Papa Francesco agli afgani in Italia: non si strumentalizzi la fede per creare conflitti

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“L’Afghanistan, negli ultimi decenni, ha avuto una storia complicata e drammatica, caratterizzata da un susseguirsi di guerre e di conflitti sanguinosi, che hanno reso assai difficile per la popolazione condurre un’esistenza tranquilla, libera e sicura. L’instabilità, le operazioni belliche, con il loro carico di distruzione e di morte, le divisioni interne e gli impedimenti a vedersi riconosciuti alcuni diritti fondamentali, hanno spinto molti a prendere la via dell’esilio. Io ho incontrato alcune famiglie dell’Afghanistan che sono venute qui”.

Con queste parole di esordio papa Francesco, prima dell’udienza generale, ieri ha incontrato l’Associazione Comunità Afgana in Italia, sottolineando la ‘fierezza’ della propria cultura, capace, però, di causare anche conflitti: “Va ricordata anche un’altra importante caratteristica della società afgana e anche di quella pakistana, vale a dire che esse sono costituite da molti popoli, ciascuno fiero della sua cultura, delle sue tradizioni, del suo specifico modo di vivere.

Questa marcata differenziazione, invece di essere occasione per promuovere un minimo comune denominatore a tutela delle specificità e dei diritti di ciascuno, a volte è motivo di discriminazioni ed esclusioni, se non addirittura di vere e proprie persecuzioni. Sembra tragico, ma voi avete passato un tempo tragico, con tante guerre”.

Tale situazione si amplifica nei territori al confine con il Pakistan: “Tutto questo poi trova una rilevanza ancora maggiore nell’area di confine con il Pakistan, dove l’intreccio delle etnie e l’estrema ‘porosità’ dei confini determinano una situazione non facile da decifrare e nella quale è molto arduo rendere effettiva una normativa che sia concretamente recepita e applicata da tutti.

In simili contesti possono innescarsi processi nei quali la parte che è o si sente più forte tende ad andare oltre gli stessi dettami della legge o a prevaricare sulle minoranze, facendosi scudo del preteso diritto della forza piuttosto che contare sulla forza del diritto”.

Con la cultura qualche volta si innesca anche l’elemento religioso: “Il fattore religioso, per sua natura, dovrebbe contribuire a stemperare le asprezze dei contrasti, dovrebbe creare lo spazio perché a tutti vengano riconosciuti pieni diritti di cittadinanza su un piano di parità e senza discriminazioni. Tuttavia, diverse volte la religione subisce manipolazioni e strumentalizzazioni, e finisce per servire a disegni che non sono compatibili con essa.

In questi casi la religione diventa fattore di scontro e di odio, che può sfociare in atti violenti. E voi lo avete visto, alcune volte. Io ricordo, quel momento duro, aver visto filmati nelle notizie: con quanta durezza, con quanto dolore”.

Il monito del papa è stato un incoraggiamento a promuovere la pace tra le religioni: “E’ perciò indispensabile che in tutti maturi la convinzione che non si può, in nome di Dio, fomentare il disprezzo dell’altro, l’odio e la violenza.

Vi incoraggio, dunque, a proseguire nel vostro nobile intento di promuovere l’armonia religiosa e di operare affinché vengano superate le incomprensioni tra le diverse religioni per costruire così un percorso di dialogo fiducioso e di pace. E’ un cammino non semplice, che a volte subisce delle battute d’arresto, ma è l’unico cammino possibile, da perseguire con tenacia e costanza, se davvero si desidera fare il bene della comunità e favorire la pace”.

E dopo aver ricordato il suo viaggio apostolico nella Repubblica Centrafricana, ha menzionato il documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio di cinque anni fa: “Cari fratelli, auspico vivamente che questi criteri diventino patrimonio comune, tale da influenzare mentalità e comportamenti, così che i principi siano non soltanto astrattamente apprezzati e condivisi, ma concretamente e puntualmente applicati.

Se ciò accadrà, anche le discriminazioni che la vostra Associazione lamenta ai danni dell’etnia Pashtun in Pakistan avranno termine e potrà iniziare una nuova epoca, nella quale la forza del diritto, la compassione (questa parola è chiave: la compassione) e la collaborazione nel rispetto reciproco daranno luogo a una civiltà più giusta e umana”.

Ha concluso l’incontro con l’auspicio che non ci sia più discriminazione verso nessuno: “Voglia Dio onnipotente e misericordioso assistere i governanti e i popoli nella costruzione di una società dove a tutti sia riconosciuta piena cittadinanza nell’uguaglianza dei diritti; dove ognuno possa vivere secondo i propri costumi e la propria cultura, in un quadro che tenga conto dei diritti di tutti, senza prevaricazioni o discriminazioni”.

(Foto: Santa Sede)

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