Il paradosso all’origine

Bergoglio eletto Papa
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.07.2024 – Andrea Gagliarducci] – C’è un paradosso all’origine del pontificato di Papa Francesco. Il suo regno ha avuto origine proprio da coloro che, oggi, lo contestano e addirittura lo combattono apertamente, e si ritrovano emarginati e perfino espulsi. In breve, il pontificato di Papa Francesco nasce da una sorta di “profezia destinata ad avversarsi”, dall’idea di una disgrazia, che si vorrebbe evitare, e che è generata proprio nel momento in cui si cerca di prevenirla. Questo paradosso ha un corollario piuttosto preoccupante: dopo la profezia destinata ad avversarsi, nulla potrà più essere come prima, perché tutto dovrà essere ricostruito daccapo.

Prendiamo, ad esempio, il triste caso dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò. Adesso dichiarato uno scismatico, ha detto che era “onorato” del procedimento avviato contro di lui dall’ex Sant’Uffizio, ha rifiutato comunque di comparire davanti a un tribunale che secondo lui aveva già deciso la sentenza, ha detto di non riconoscere l’autorità di quel tribunale né Papa Francesco. Eppure, è possibile che sia stato l’Arcivescovo Viganò stesso a creare uno dei fattori scatenanti, che hanno portato al pontificato di Papa Francesco.

Costretto a lasciare il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e nominato Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, Viganò si aspettava di essere un giorno chiamato a guidarlo. Viganò, infatti, fu all’origine di quello che sarebbe stato chiamato lo scandalo “Vatileaks” [QUI]. I documenti di Viganò filtrarono fuori dal Vaticano e si sparsero, per così dire, scatenando la controversia. Quei documenti denunciavano la mancanza di trasparenza in alcune spese del governo dello Stato della Città del Vaticano, nonché irrazionali perdite di denaro. Viganò si presentava – credeva lui stesso di esserlo, a buona ragione – come un paladino della trasparenza e un crociato contro la corruzione. Ha osservato come la sua uscita dal Governatorato sarebbe stata considerata una sconfitta del suo operato fino a quel momento.

Papa Benedetto XVI decise di mandarlo negli Stati Uniti, non per punizione, ma per affidargli un incarico prestigioso che lo facesse uscire da un ambiente curiale che lo considerava tossico e probabilmente l’avrebbe schiacciato.

Viganò, però, non la interpretò in questo modo; riteneva la Segreteria di Stato e il suo meccanismo corrotto responsabile del problema. Giunto negli Stati Uniti non mancò di farsi stimare, soprattutto negli ambienti più conservatori in cui si sentiva più a suo agio e tra i cardinali. A tutti Viganò ha parlato dei problemi della Curia romana, e in particolare del rischio di una Segreteria di Stato troppo ingombrante, il vero ostacolo a qualsiasi riforma.

Questa descrizione degli eventi è stata decisiva, quando i cardinali americani arrivati a Roma per il Conclave hanno votato per il successore di Papa Benedetto XVI. La candidatura del Cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva già fatto breccia. Il cosiddetto “Team Bergoglio” (Copyright Austen Ivereigh) ha sostenuto la nomina dell’Arcivescovo metropolita di Buenos Aires, come aveva già fatto nel Conclave del 2005. Il Papa latinoamericano è stato presentato come un candidato della vecchia Curia – infatti, Papa Francesco nei suoi primi discorsi ha parlato spesso del “vecchio stile della Curia” [QUI e QUI] – ma anche come una necessaria rottura con i pontificati precedenti. L’idea era che Papa Benedetto XVI fosse stato costretto a dimettersi proprio a causa dell’inettitudine dei suoi collaboratori.

La Segreteria di Stato, in particolare, fu presa di mira da una campagna mediatica che oggi non può non sorprendere. Anche durante il pontificato di Papa Benedetto XVI si hanno notizia di gruppi di cardinali che si sono recati personalmente dal Papa per chiedere la testa del Cardinale Tarcisio Bertone. La richiesta non fu accolta.

Papa Francesco, per tutta risposta, ha tagliato sia la sua Segreteria particolare – i due segretari sono già stati cambiati più volte, nessuno dei due decisivo nel fissare l’agenda del pontefice – sia la Segreteria di Stato, che ha perso molta centralità nella Curia romana e ha perso soprattutto l’amministrazione in proprio dei suoi fondi. Nessuna entità in Vaticano è ancora indipendente. Il risultato è la burocratizzazione di tutte le decisioni.

In concreto, per risolvere il problema della centralizzazione totale, i critici del governo precedente hanno creato il “mostro” opposto, ovvero la “burocratizzazione totale”. Era logico per Papa Francesco di fare questo. Ma è anche logico che questo movimento, avviato in totale buona fede, sia difficile da riequilibrare. Non solo. La profezia destinata ad avversarsi ha anche creato un pontificato che è stato coraggioso nell’affrontare le questioni di governance [*] in modo particolarmente pragmatico.

In particolare, Papa Francesco ha cambiato profondamente il profilo del Collegio cardinalizio. Oggi, forse nessun cardinale andrebbe in Conclave con l’idea di dover dare un taglio netto al passato per quanto riguarda la governance della Chiesa. Ma questo accade perché pochissimi cardinali sono interessati alla governance della Chiesa.

Finora, Papa Francesco ha creato 142 cardinali, cambiando profondamente il volto del Collegio cardinalizio. Soprattutto, Papa Francesco ha privilegiato le Chiese “periferiche”, senza premiare eccessivamente o sempre i cosiddetti sedi cardinalizi. Ha anche deciso di attribuire la berretta rossa solo ad alcuni capi dicastero. Quindi, esiste il rischio che ci siano troppo pochi capi dicastero nel prossimo Concistoro. Al momento, gli unici capi dicastero non ancora cardinali sono il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, l’Arcivescovo Rino Fisichella, e il Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi, l’Arcivescovo Filippo Iannone. Nemmeno Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione, è cardinale, ma essendo laico è escluso dalle possibili scelte del Papa.

Ci sono voci frequenti di un nuovo Concistoro entro la fine dell’anno. Le scelte potrebbero, ancora una volta, sorprendere. La presenza nel Collegio cardinalizio degli Europei, e in particolare degli Italiani, si è diradata. Papa Francesco potrebbe però ancora guardare ai criteri di rappresentanza, dando la porpora all’Australia, che non ne ha più dalla morte del Cardinal Pell, o al Perù e all’Ecuador in Sudamerica, per non menzionare l’Africa, che perderà ben tre cardinali elettori (Pengo, Oudereaogo e Sarah) nei prossimi 12 mesi. Non solo, pochissimi cardinali elettori solleverebbero la questione di governance, ma i pochi che lo farebbero sono destinati a non essere ascoltati. Se la questione di governance è stata decisiva nel Conclave del 2013, non lo sarà nel prossimo.

Però, risulta difficile dire quale sarà la questione decisiva. Papa Francesco lascia dietro di sé, dopo tutto, una Santa Sede indebolita e un appello generale a un cambiamento nella mentalità della Chiesa, affinché vada verso le periferie. Sul fronte di governance, ha messo in cima i capi dicastero laici e alcune donne (quasi sempre religiose), parlando molto del ruolo delle donne. Nessuno delle due questioni sarà discusso in un prossimo Conclave.

Forse si parlerà di come affrontare, da un lato, la spinta sinodale che vuole una Chiesa nuova e un rinnovamento nella sua dottrina (vedi il Sinodo tedesco) e, dall’altro, il movimento tradizionalista che è sempre più messo in disparte da Papa Francesco. Dopotutto, una profezia destinata ad avversarsi ha influenzato il mondo conservatore più di chiunque altro. Preoccupati della governance, non pensavano che il nuovo governo potesse anche voler centralizzare tutto, dalle decisioni alla vita della Chiesa.

Qualsiasi punto di vista diverso diventa, quindi, “scismatico”, e ciò porta a una reazione eccessiva e a uno scisma vero e proprio. Ma, dopo tutto, la Chiesa stava vivendo già in uno stato di scisma pratico. Il paradosso di Viganò lo ha solo reso più evidente.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

[*] L’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano l’esercizio dell’autorità, della direzione, del controllo e della gestione da parte di un governo, di una società, di un’istituzione, di un fenomeno collettivo.

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