Il caso 60SA e il caso Rupnik. Tic-tac, tic-tac…

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.07.2024 – Ivo Pincara] – Tic-tac, tic-tac… e non si tratta della marca di caramelle. È la voce onomatopeica con cui si riproduce il rumore cadenzato e apparentemente duplice degli orologi, delle sveglie e delle antiche pendole, quelle di cui parlò Pirandello: «Quel silenzio di specchio che c’era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola nel salotto da pranzo» (Luigi Pirandello, Il silenzio, 1905). «Il silenzio era tanto, che un tic-tac lento d’antica pendola, forse nella sala da pranzo, s’udiva spiccato in tutte le altre stanze, come il battito del cuore della casa. (…) Com’era stato ridotto da quel silenzio in quella casa, lui non era più nessuno. Lui era quel silenzio stesso, misurato dal tic-tac lento della pendola» (Luigi Pirandello, La casa dell’agonia, 1935).
Ritorniamo su due casi, di cui oltretevere nei (non così) sacri palazzi si ostina a non sentire il ticchettio da bombe a orologeria.
Il primo è il Caso 60SA, dell’(in)giustizia e della verità stuprata dall’ultima monarchia assoluta rimasta, nello Stato della Città del Vaticano, con una riflessione su due passaggi nel lungo articolo pubblicato su Diritto e Religioni in cui il Promotore di giustizia vaticano, Prof. Avv. Alessandro Diddi ha difeso a spada tratta il suo operato.
Il secondo è il Caso Rupnik, con un’integrazione sui fatti di Conegliano Veneto, Inoltre, seguita da un articolo sul caso Rupnik a firma del vaticanista di lungo corso e firma storica del settimanale L’Espresso, Sandro Magister pubblicato sul sito Diakonos, che attualmente ospita il suo blog Settimo Cielo: «Rupnik. Quel processo che non finisce mai, ora anche alle sue opere».
Magister scrive, che a carico del 69enne ex gesuita Marko Ivan Rupnik, Papa Francesco ha «messo in moto un “processo”, nel senso giuridico della parola, che francamente sembra andare troppo al di là dei tempi». L’articolo è corredato con la foto di «un particolare del grande mosaico della cappella “Redemptoris Mater” in Vaticano, nel quale Rupnik ha raffigurato se stesso con in mano la tavolozza dei colori, con accanto il Cardinale Tomáš Spidlik (1919-2010), suo maestro spirituale, e la connazionale e sodale Nataša Govekar, 49 anni, che dirige la sezione teologico-pastorale del Dicastero per la Comunicazione».

Caso 60SA
Una riflessione su due passaggi
nel saggio di Alessandro Diddi
Saltano agli occhi proprio due passaggi in che scrive lo stesso Promotore di giustizia vaticano, Prof. Avv. Alessandro Diddi: la costituzione della prova e i limiti di utilizzabilità della stessa. Sappiamo bene che l’onere della prova spetta all’accusa, quindi da ignoranti comprendiamo le parole di Diddi in questo senso. L’accusa come é stato fatto nel processo 60SA può costituire una prova senza che se ne debba rendere conto a nessuno, tantomeno all’ordinamento vigente sulla sua origine. E poi su quella prova della quale non si può sapere l’origine – di come, quando e perché é stata costituita – se ne fissano limiti di utilizzabilità per le difese. L’Avv. Luigi Panella lo ha detto sin dal principio, definendolo “tribunale speciale”. Ecco, questo é stato un processo farsa dove sono stati calpestati i diritti di ogni difesa, sempre che nello Stato della Città del Vaticano le difese abbiano dei diritti.
L’unico fatto di cui attendiamo notizie sono dai tribunali esteri che sicuramente interverranno sulla vicenda e sui vari aspetti degli altri filoni riguardo ai diritti violati, calpestati di cittadini italiani, ricercati e arrestati su territorio italiano per volontà del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Non ci dimentichiamo del caso Marogna, dove la Cassazione italiana ha giudicata illegittima la sua detenzione. Non ci dimentichiamo il giudice Tony Baumgartner della Corte della Corona di Southwark a Londra e la sua sentenza che tratta alcuni aspetti con commenti dell’atteggiamento tenuto da Diddi e dal Tribunale vaticano nei confronti di un tribunale londinese [QUI]. Il Papa dovrà intervenire anche su tribunali di altri Stati, se vuole mettere a tacere tutte queste storie, che hanno dell’assurdo, ma sono storie che sicuramente andranno avanti. Il Papa sarà capace di intervenire fuori dello Stato della Città del Vaticano su questo aspetto giudiziario, che riguarda altri Stati sovrani? Vedremo se lo farà, perché se lo farà il Cardinale Giovanni Angelo Becciu avrà dalla sua parte la prova provata, che il Papa ha voluto il suo allontanamento, perché lui stesso interviene nei processi. Così si potrebbe smettere di dire che il Papa è stato ingannato. Ma dai! Perché a questo punto questa tesi non tiene più. Il Papa voleva escludere Becciu, disfarsi di Becciu e aveva bisogno di un pretesto, che è stato il dossier del falsificatore seriale de L’espresso. Il processo farsa dimostra quello che sappiamo tutti: nello Stato della Città del Vaticano la giustizia non esiste, perché lo Stato della Città del Vaticano è una monarchia assoluta/dittatura e il monarca decide sovranamente la vita é la morte dei laici e dei religiosi al suo interno.

Caso Rupnik
Un’integrazione
sui fatti di Conegliano Veneto
Rileggendo la copertura del caso Rupnik, notiamo che ci è sfuggito quanto riferito della giornalista Federica Tourn in un articolo del 12 giugno 2024 (pochi giorni prima dei fatti del 28 giugno) su Appunti di Stefano Feltri [QUI], sui mosaici nella chiesa a Conegliano Veneto di cui abbiamo riferito il 14 luglio scorso [QUI]: «Benedetti mosaici: La chiesa italiana celebra il gesuita abusatore. A Conegliano Veneto inaugurano nuovi mosaici prodotti dall’atelier di Marko Rupnik e finanziati dai fedeli. Come se lo scandalo non ci fosse mai stato». «Il vescovo ha dato il via libera ai lavori quando da un anno era ormai noto l’imbarazzante curriculum di Rupnik. Eppure nessuno, in curia e in diocesi, e nemmeno a Roma, si è fatto venire qualche scrupolo, e a Natale Don Pierino ha cominciato a chiedere contributi per pagare l’opera».
Riteniamo che sia utile ricordare questo episodio significativo, poiché la realizzazione dei mosaici è stata resa possibile grazie alle offerte dei fedeli della Chiesa Madonna delle Grazie e ad un contributo di 15mila euro da parte del comune. Questa integrazione che riguarda la Chiesa in Italia nel contesto delle opere del predatore seriale Rupnik, è importante perché c’è chi le vuole sdoganare come da considerare in maniera separata rispetto alla condotta criminale di vita del loro autore:
«Federica Tourn si sta dedicando al personaggio più importante e simbolico di quello che non va nel modo in cui la Chiesa gestisce questo genere di problemi al suo interno. Mentre il Papa torna a parlare in modo superficiale e offensivo di “frociaggine”, è bene che noi invece ci dedichiamo ancora a Marko Rupnik, ai suoi mosaici che continuano ad adornare chiese in tutto il mondo, Italia inclusa. E all’ambiguo rapporto che le istituzioni ecclesiastiche hanno tenuto nei confronti suoi e della sua arte dopo che sono emerse – anche grazie proprio a Federica Tourn – delle sue inchieste.
Federica Tourn è andata a Conegliano Veneto, dove pochi giorni fa hanno inaugurato una nuova opera di Rupnik, nonostante tutto. Ecco come è andata e perché questa storia è importante» (Stefano Feltri – Appunti, 12 giugno 2024).
«(…) Benedetti mosaici – Gli artisti hanno impiegato sei giorni a montare gli imponenti mosaici nella chiesa del trevigiano, lo stesso tempo che, secondo il racconto biblico, è servito a Dio per creare il mondo. 160 metri quadri che raffigurano scene della crocifissione e della resurrezione di Gesù, un’opera che nei colori sgargianti e nelle linee, che si richiamano alla tradizione bizantina, porta chiara la firma di Rupnik.
Il progetto di abbellire l’abside, scrive il parroco Don Pietro Bortolini nell’ultima lettera di Natale alla comunità, era già un sogno del suo predecessore e l’idea di affidare l’incarico al Centro Aletti di Roma è stata apprezzata “dal consiglio pastorale, dal consiglio affari economici, dall’arte sacra della diocesi”, e “incoraggiato dal vescovo, che ha interpellato addirittura la CEI”. Così, si sono ritrovati tutti in prima fila di domenica pomeriggio per presenziare alla benedizione dei mosaici. Il parroco, commosso fino alle lacrime, il Vescovo di Vittorio Veneto Corrado Pizziolo, il Sindaco di Conegliano Fabio Chies (Forza Italia) e Don Sandro Mora, sacerdote di Novara che dal 2020 fa parte del Centro Aletti.
Il nome di Rupnik non viene mai pronunciato, ma in chiesa la sua presenza si percepisce ugualmente: Don Sandro addirittura la esplicita, dicendo all’assemblea che porta “il saluto di Padre Marko e di tutto il Centro Aletti”, mentre il parroco si dilunga volentieri sulla sua amicizia con il sacerdote, che ha portato infine, dopo anni di scambi e una visita al suo atelier di Roma, a realizzare i sospirati mosaici. “Facevo gli esercizi spirituali con lui e le sue opere mi hanno sempre colpito – dice – le ho viste a Lourdes, Fatima, Cracovia, dove c’è una crocifissione che somiglia molto alla nostra: trasmettono più calore, una spiritualità più libera, si sente lo Spirito Santo”. (…)» (Federica Tourn – Appunti, 12 giugno 2024)
Il 16 giugno 2024, qualche giorno dopo l’articolo di Federica Tourn su Appunti, sul Corriere del Veneto [QUI] esce un articolo di Margherita Bertolo: «Treviso, nella chiesa di Conegliano splendono le opere di Marko Rupnik: il gesuita accusato di molestie. Inaugurati a maggio (in sordina), a Santa Maria delle Grazie, i mosaici del religioso espulso nel 2023: “Non conoscevamo quei suoi precedenti”». Traspare con tutta la sua vergogna, lo stile dell’excusatio non petita accusatio manifesta, con il quale ci si arrampica sugli specchi per cercare una motivazione utile a giustificare l’ingiustificabile:
«(…) Le offerte dei fedeli per realizzare i mosaici – A fianco, a sinistra dell’ambone, si ammira la visitazione di Maria a Elisabetta. Infine nelle pareti del Santissimo, a destra rispetto all’altare, la pesca miracolosa e i due discepoli di Emmaus. “Una splendida sintesi tra arte e fede”: così si legge nella brochure di presentazione delle opere, a disposizione di fedeli e visitatori all’ingresso del luogo di culto. Non è dato sapere il costo complessivo delle opere. Quel che è certo è che c’è stato il contributo dei fedeli come rivela, poco distante dall’ingresso, la cassetta per le «offerta mosaico». Oltre a un supporto di 15mila euro da parte dell’amministrazione comunale.
“Mostra organizzata prima dello scandalo” – I primi contatti con il Centro Aletti erano partiti quasi vent’anni fa, quando il parroco era Massimo Magagnin, ma il progetto si fermò con la morte del sacerdote. È stato quindi l’attuale parroco di Santa Maria delle Grazie, Don Pietro Bortolini a riprendere il filo del dialogo con l’atelier romano nel 2018 e a seguire lo svolgimento dei lavori conclusi lo scorso marzo. Nel frattempo, però, è scoppiato lo scandalo che ha investito l’ex gesuita.
La spiegazione: “Non sapevamo di quelle accuse” – “La diocesi è venuta a conoscenza delle accuse rivolte a Padre Rupnik solo dopo l’avvio del progetto dei mosaici – afferma Don Alessio Magoga dell’Ufficio Stampa della Diocesi di Vittorio Veneto –. Per questo progetto, vale la pena ricordarlo, la parrocchia si è interfacciata con il Centro Aletti, diversi anni prima che scoppiasse il caso Rupnik. Inoltre, bisogna precisare che il progetto è stato ideato dal Centro Aletti, che non coincide esattamente con la persona di Padre Rupnik. Va aggiunto il fatto, non trascurabile, che sul caso è in corso un processo canonico che dovrà accertarne le responsabilità e sarà quindi la sentenza finale a dichiararne la colpevolezza o l’innocenza. Infine – conclude Don Magoga – una delle indicazioni che sono state date nell’ambito del procedimento canonico sul caso è che i lavori iniziati dal Centro Aletti e già parzialmente finanziati, come nel caso dei mosaici di Madonna delle Grazie, fossero portati a termine. Ed è quello che è stato fatto.
Le precedenti polemiche per la qualità dell’opera – Dopo le polemiche sollevate dall’architetto della chiesa coneglianese, Nerino Meneghello, sul presunto scarso livello formale dei mosaici, la vicenda Rupnik è destinata a far discutere e non ha lasciato indifferente l’attuale parroco. Il quale, però, sottolinea l’importanza di distinguere la persona dal risultato artistico: Caravaggio ha ucciso, ma non per questo le sue opere sono meno sublimi».
La stessa Margherita Bertolo il 30 giugno firma un altro articolo [QUI]: «Rupnik, le vittime chiedono la rimozione dei mosaici», dopo il caso Ruffini scoppiato il 21 giugno scorso, di cui abbiamo riferito il 28 giugno [QUI], e la successiva lettera del Cardinale Sean O’Malley [QUI], di cui abbiamo riferito il 29 giugno, che è stata ampiamente vista come una risposta mirata alla posizione del Prefetto del Dicastero per le Comunicazioni della Santa Sede, Dott. Paolo Ruffini [QUI], che il 21 giugno alla Catholic Media Conference ad Atlanta aveva affermato, che il suo dicastero avrebbe continuato a utilizzare le opere di Rupnik nei suoi materiali e sul suo sito web Vatican News, indipendentemente dalle accuse a suo carico. Ruffini aveva affermato che la rimozione di opere d’arte esposte pubblicamente non è un atto ragionevole per la “civiltà”, suggerendo che anche se Rupnik fosse condannato dal Dicastero per la Dottrina della Fede per gravi abusi sessuali, la Santa Sede potrebbe non sostenere la rimozione delle sue opere d’arte esposte pubblicamente: “Pensate che se tolgo una foto di un’opera d’arte dal nostro sito web, sarò più vicino alle vittime, lo pensate?”
Nel suo articolo del 30 giugno, Margherita Bertolo riporta un virgolettato di Don Alessio Magoga, Responsabile dell’Ufficio Stampa della Diocesi di Vittorio Veneto, che a noi pare sospetto – correggeteci se ci sbagliamo, che era già contenuta nel suo precedente articolo del 16 giugno, ma questa volta virgolettato: «Una delle indicazioni che sono state date nell’ambito del procedimento canonico sul caso è che i lavori iniziati dal Centro Aletti e già parzialmente finanziati, come nel caso dei mosaici di Madonna delle Grazie, fossero portati a termine. Ed è quello che è stato fatto».
Non ci risulta che siano «state date delle indicazioni nell’ambito del procedimento canonico sul caso». A noi comuni mortali è giunta solo un’unica notizia nell’ambito del procedimento canonico a carico di Don Marko Ivan Rupnik e cioè che Mons. John Joseph Kennedy, Capo della Sezione disciplinare del Dicastero per la Dottrina della Fede, incalzato dai giornalisti il 29 maggio scorso ha dichiarato che sul caso Rupnik «stiamo lavorando» e che «siamo abbastanza avanti, gradino dopo gradino» [QUI].
La domanda sorge spontanea: come fa Don Alessio Magoga a sapere che sono «state date delle indicazioni nell’ambito del procedimento canonico sul caso», di cui altri non sanno niente o almeno di cui nessun altro ha mai scritto o fatto riferimento?


Caso Rupnik
Quel processo che non finisce mai,
ora anche alle sue opere
di Sandro Magister
Diakonos, 16 luglio 2024
Papa Francesco l’ha detto e scritto più volte che preferisce aprire processi dalla durata e dagli esiti indefiniti, piuttosto che emettere decisioni premature e improvvide.
Ha però anche messo in moto un “processo”, nel senso giuridico della parola, che francamente sembra andare troppo al di là dei tempi. È il processo che ha come imputato per abusi spirituali e sessuali, con decine di vittime, l’ex gesuita Marko Ivan Rupnik, 69 anni, sloveno, artista di fama mondiale, i cui mosaici ornano decine di luoghi sacri in tutto il mondo, compresi i palazzi vaticani e il santuario di Lourdes.
Nella foto qui sopra è riprodotto un particolare del grande mosaico della cappella “Redemptoris Mater” in Vaticano, nel quale Rupnik ha raffigurato se stesso con in mano la tavolozza dei colori, con accanto il Cardinale Tomáš Spidlik (1919-2010), suo maestro spirituale, e la connazionale e sodale Nataša Govekar, 49 anni, che dirige la Sezione teologico-pastorale del Dicastero per la Comunicazione.
Sono di tale gravità le accuse che pendono su Rupnik che c’è chi vorrebbe persino distruggere le sue opere artistiche, come se fossero anch’esse veicolo dei suoi misfatti. E la disputa è arrivata a coinvolgere i gradi alti delle istituzioni vaticane. Ma andiamo con ordine.
Anzitutto va notato che il processo canonico che Papa Francesco, lo scorso 27 ottobre, ha ordinato al Dicastero per la dottrina della fede di istruire contro Rupnik non è il primo che lo vede come imputato, ma il terzo.
Il processo numero uno contro di lui risale al gennaio del 2020, e la sua istruttoria fu affidata dalla congregazione per la dottrina della fede alla Compagnia di Gesù, a seguito di una denuncia contro Rupnik per aver assolto in confessione una persona sua complice in un peccato “contro il sesto comandamento”. I giudici, tutti non gesuiti, accertarono all’unanimità che la gravissima accusa era fondata. E su tale base la Congregazione, presieduta all’epoca dal Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, si apprestò ad emettere la sentenza.
Sorprendentemente, però, proprio mentre su Rupnik incombeva il giudizio e la Compagnia di Gesù gli aveva già imposto delle misure disciplinari tra cui il divieto di predicare, Francesco, il 6 marzo 2020, affidò a lui il compito di tenere la prima meditazione di Quaresima agli alti dignitari della curia, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico.
In maggio la Congregazione emise la sentenza di condanna, che comprendeva la scomunica “latae sententiae”. E qui altra sorpresa. Pochi giorni dopo – ma c’è chi assicura poche ore dopo –, in ogni caso entro quello stesso mese come confermato da un successivo comunicato della Compagnia di Gesù, la scomunica fu revocata.
E da chi poteva essere rimossa una scomunica del genere se non dall’unico che è al di sopra della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè dal Papa?
Il secondo processo con Rupnik come imputato prese il via nel giugno del 2021, sulla base di accuse di abusi sessuali e spirituali rivolte da alcune consacrate della Comunità Loyola da lui fondata a Lubiana nei primi anni Ottanta assieme alla religiosa sua connazionale Ivanka Hosta, comunità poi scissa con l’emigrazione a Roma di Rupnik e di un manipolo di sue seguaci.
Anche qui la Congregazione per la Dottrina della Fede arrivò presto a constatare l’effettiva consistenza delle accuse. Ma, di nuovo senza che Rupnik mostrasse il minimo timore, evidentemente per lo scudo [QUI] che gli era assicurato dal Papa, il quale lo ricevette in amichevole udienza il 3 gennaio del 2022.
Nell’ottobre di quello stesso anno, il 2022, il processo fu infatti chiuso con un nulla di fatto, con la motivazione che i reati imputati a Rupnik, risalenti agli anni Ottanta e Novanta, erano “da considerarsi prescritti per decorrenza dei termini”.
Anche qui, però, va notato che questa caduta in prescrizione delle accuse non era affatto una scelta obbligata, perché nell’estate del 2020 erano arrivate ai vescovi di tutto il mondo, per volontà dello stesso Papa Francesco, delle istruzioni riguardo agli abusi sessuali su minori e “adulti vulnerabili” che autorizzavano e, anzi, consigliavano la deroga alla prescrizione, valutata la gravità dei fatti e i loro durevoli effetti sulle vittime reali e potenziali.
E nei mesi successivi, quando per la prima volta affiorarono in pubblico le prima denunce portate contro Rupnik dalle donne da lui abusate, emerse che gli atti a lui imputati erano effettivamente di una gravità inaudita, con violazioni sistematiche nello spirito e nel corpo, in nome di aberranti giustificazioni teologiche e mistiche.
Ma evidentemente, a giudizio di Francesco, né gli abusi compiuti da Rupnik erano gravi, né le donne adulte da lui violate erano da considerarsi “vulnerabili”. Intervistato il 24 gennaio 2023 da Nicole Winfield dell’Associated Press [QUI] [1], il Papa ribadì che “la prescrizione è una garanzia. Se c’è una minorenne la tolgo sempre, o con un adulto vulnerabile”, ma “in questo caso no”.
Al terzo e attuale processo si arriva nell’autunno del 2023, quando le denunce pubbliche delle vittime di Rupnik sono ormai cresciute a trenta e su un arco di anni molto esteso.
È la Compagnia di Gesù ad aprire nell’inverno precedente la nuova indagine, incoraggiando tutte le vittime a presentare denuncia [QUI], accertando come credibili le accuse pervenute e poi rimandando la competenza del processo al Dicastero per la Dottrina della Fede.
In giugno Rupnik è espulso dalla Compagnia [QUI], che quindi perde ogni autorità su di lui, e come semplice sacerdote si incardina nella Diocesi slovena di Capodistria, senza mai dichiararsi colpevole.
Il Cardinale Angelo De Donatis, fino al 6 aprile 2024 Vicario della Diocesi del Papa, continua a difenderlo, assegnando il tutto a una “malevola campagna mediatica”. E lo difende dal presunto “linciaggio” anche Maria Campatelli, la Direttrice del laboratorio artistico di Rupnik a Roma, che il Papa riceve in benevola udienza il 15 settembre.
Ma ormai anche a Francesco – dopo che un’ennesima, pressante richiesta gli è arrivata dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori presieduta dal Cardinale Sean O’Malley – non resta che autorizzare il 27 ottobre l’avvio di un nuovo processo senza più prescrizione [QUI], che effettivamente è messo in moto nella sede sua propria, la Sezione disciplinare del Dicastero per la Dottrina della Fede, con suo Segretario l’irlandese John Joseph Kennedy.
Il quale sette mesi dopo, il 30 maggio di quest’anno, incalzato dai giornalisti, ha confermato [QUI] che al processo “stiamo lavorando”, anzi, “siamo abbastanza avanti, gradino dopo gradino”, senza però fissare alcuna scadenza.
A Kennedy i giornalisti chiedono anche un parere sull’uso strumentale delle immagini dei suoi mosaici che Rupnik avrebbe fatto nel violare le sue vittime, come ispirato da un “falso misticismo”.
Ed è proprio sulla presenza, sull’utilizzo e sulla sorte delle opere artistiche dell’ex gesuita che si è accesa in questi ultimi mesi un’ulteriore disputa.
Uno dei mosaici di Rupnik più noti si trova all’esterno della basilica del santuario mariano di Lourdes, dove è stata istituita una commissione per decidere se lasciarli al loro posto o rimuoverli. Il vescovo di Lourdes, Jean-Marie Micas, si è detto incline alla rimozione, per rispetto delle vittime, ma nella commissione i pareri sono talmente contrastanti che per ora la decisione provvisoria è semplicemente di non illuminare i mosaici durante le processioni notturne.
C’è però un altro uso delle opere di Rupnik, ed è quello del loro rilancio per illustrare libri, manifesti, convegni, pagine web. In Vaticano ciò avviene molto di frequente, ad esempio [QUI] per illustrare le catechesi di Don Fabio Rossini sul sito ufficiale Vatican News. Ed è proprio questo utilizzo che è stato vivacemente contestato a Paolo Ruffini, prefetto del dicastero vaticano per la comunicazione, lo scorso 21 giugno, nel corso di un convegno della Catholic Media Conference ad Atlanta.
Alle domande, Ruffini ha risposto seccato: “Non abbiamo messo in rete nuove immagini, semplicemente abbiamo lasciato quelle che già c’erano. Personalmente penso che rimuoverle non sia un buon modo per anticipare l’esito del processo. O lei pensa che se io tolgo la foto di un’opera d’arte dal mio sito web sarò più vicino alle vittime? Lei pensa questo? Io penso che lei sbaglia”.
Pochi giorni dopo, però, il 28 giugno, è intervenuto il Cardinal O’Malley, la più alta autorità per la tutela delle vittime, con una lettera a tutti i capi dicastero della Curia romana, nella quale ha chiesto di non utilizzare più le immagini delle opere di Rupnik. “Negli ultimi mesi – scrive O’Malley – vittime e sopravvissuti ad abusi di potere, spirituali e sessuali hanno contattato la commissione per esprimere la loro crescente frustrazione e preoccupazione per il continuo utilizzo di opere d’arte di Padre Marko Rupnik da parte di diversi uffici vaticani, tra cui il dicastero per la comunicazione”. E quindi, sebbene il processo sia ancora in corso e la presunzione di innocenza prima del verdetto debba essere rispettata, “la Santa Sede e i suoi uffici devono esercitare una saggia prudenza pastorale e la compassione verso coloro che sono stati danneggiati da abusi sessuali”, rimuovendo, appunto, immagini che “potrebbero implicare una discolpa o una sottile difesa” dell’imputato « o indicare indifferenza per il dolore e la sofferenza di tante vittime”.
Sta di fatto che ancora oggi, a metà luglio, le immagini contestate sono rimaste visibili nei siti web gestiti dal Dicastero per la Comunicazione, dove ricopre una carica direttiva una seguace di Rupnik che tuttora lo difende ad oltranza: Nataša Govekar, la stessa che compare accanto a lui nel mosaico sopra riprodotto.
Quanto invece all’idea di distruggere come anch’essi colpevoli e malefici i mosaici dell’ex gesuita – idea che mostra una certa collimanza, voluta o no, con la “cancel culture” – ha opposto convincenti obiezioni, alla luce di eccelsi artisti come Raffaello, Caravaggio, Bernini dalla vita non inappuntabile ma di cui nessuno oserebbe oscurare le opere, la storica dell’arte Elizabeth Lev, intervistata per Crux da Elise Ann Allen [QUI].
Elizabeth Lev è figlia di Mary Ann Glendon, docente emerita di diritto alla Harvard University, Ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede negli anni di Benedetto XVI e a capo nel 1995 a Pechino della delegazione vaticana alla conferenza mondiale sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite.
L’11 luglio è arrivata però la notizia che due mosaici di Rupnik saranno presto tolti alla vista, coperti da un telo [2]. È il primo caso del genere ed è stato deciso dai Cavalieri di Colombo, la grande organizzazione caritativa americana, in due loro chiese a Washington e a New Haven, per solidarietà con le vittime “che hanno già sofferto immensamente e sarebbero ulteriormente ferite dalla continua ostensione dei mosaici”.
Col vero processo, quello canonico, che non arriva mai a sentenza, il caso Rupnik rischia così di debordare dalle aule giudiziarie alle piazze. Ennesimo frutto del malgoverno della Chiesa.
[1] The Associated Press, 28 giugno 2024 [QUI]-The Associated Press, 29 giugno 2024 [QUI].
[2] I Cavalieri di Colombo in segno di solidarietà con le vittime degli abusi oscurano le opere di Rupnik. Un affare mosaico milionario mondiale – 14 luglio 2024 [QUI]