Giornata missionaria mondiale; Padre Giulio Albanese spiega che la missione è un guadagno

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In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra oggi, Papa Francesco scrive nel messaggio: “Quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l’Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo. In questa prospettiva, vorrei proporre alcune riflessioni. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella.

Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E’ un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità. Tutti dovrebbero poter sperimentare la gioia di sentirsi amati da Dio, la gioia della salvezza!” Per comprendere meglio il messaggio del Papa, abbiamo rivolto alcune domande a padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, che ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato nel 1997 la Missionary International Service News Agency (MISNA). Attualmente è direttore delle riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie. Nel luglio del 2003 il presidente Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito del titolo di Grande ufficiale della Repubblica Italiana per meriti giornalistici nel Sud del mondo.

Quale è il nucleo fondamentale del messaggio del Papa per la giornata missionaria?
“Donare missionari e missionarie non è mai una perdita, ma un guadagno: queste parole di papa Francesco costituiscono, certamente, il nucleo del messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2013. Un messaggio, dal mio punto di vista, che illumina cuore e mente, trovando, peraltro, un’efficace sintesi nello slogan scelto da Missio, l’Organismo pastorale della Cei per l’intero mese missionario di Ottobre: ‘Sulle strade del Mondo’. Ecco che allora siamo invitati a fare memoria del ‘Mandatum Novum’ di Nostro Signore Gesù Cristo, nella consapevolezza che dobbiamo uscire fuori le mura delle nostre comunità, per raggiungere le periferie, le frontiere, tutto ciò che è distante da noi, non solo fisicamente, ma anche a livello esistenziale”.

Con quale stile annunciare il Vangelo?
“Si tratta di operare un decentramento nel nostro ‘modus vivendi’, come dice papa Francesco, a fianco dei poveri, degli ultimi, nei bassifondi dove sono relegati. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato. Se la dimensione religiosa viene spesso percepita nella nostra società globalizzata come un qualcosa di accessorio, se non addirittura alienante, è perché non abbiamo compreso che il perimetro della speranza non può coincidere con quello delle sacrestie o dei cortili parrocchiali, ma abbraccia il mondo intero. Da questo punto di vista dobbiamo fare tesoro delle provocazioni che ci sta lanciando il vescovo di Roma, Francesco. Egli viene dalla ‘fine del mondo’, come ebbe a dire il giorno della sua elezione al soglio pontificio. Egli ha il coraggio di osare, d’innescare il cambiamento, convinto com’è dell’urgenza di rendere intelligibile il Vangelo”.

Quali sono gli ostacoli che la missione si trova ad affrontare?
“Più che di ostacoli, parlerei di sfide. Perché, come scrive Paolo di Tarso nella Seconda Lettera ai Corinti (capitolo 12) è nella ‘debolezza che si manifesta la potenza di Dio’. Dunque, le difficoltà, gli ostacoli, le resistenze di fronte all’annuncio di Cristo vanno ottimizzate e reinterpretate in positivo, come un’occasione per crescere. Ecco che allora mi vengono istintivamente alla mente quelle terre dove si combattono le cosiddette ‘guerre dimenticante’, dalla Somalia alla regione sudanese del Darfur, dalla Repubblica Centrafricana all’ex Zaire, o le grandi baraccopoli latinoamericane, asiatiche o africane dove l’insicurezza regna suprema. Vi sono, poi, gli areopaghi esistenziali del nostro tempo che vanno oltre la categoria geografica e che rappresentano le grandi praterie dell’evangelizzazione.

Basti pensare alla crisi dei mercati che ha penalizzato un numero indicibile di persone a cui è negato il lavoro e dunque, come ha denunciato recentemente a Cagliari papa Bergoglio, è misconosciuta la dignità della persona umana creata a immagine somiglianza di Dio. Riguardo, poi, al tema delle persecuzioni dei cristiani, in alcuni Paesi della cosiddetta Mezzaluna, la loro testimonianza è certamente motivo di edificazione. Infatti non dobbiamo mai dimenticare quello che leggiamo nel celebre discorso della montagna di Gesù nel Vangelo di Matteo (Capitolo 5). ‘Beati i perseguitati’. Alla luce della fede, la persecuzione è un dato di fatto con il quale i cristiani devono misurarsi se vogliono essere fedeli al messaggio evangelico”.

Papa Francesco invita le chiese più ricche ad aiutare le chiese più povere: questo invito sarà ascoltato?
“C’è da augurarselo! Questo, in parte, sta già avvenendo, ma l’attuale crisi finanziaria ha determinato un calo notevole delle offerte e quindi la raccolta, proposta a tutte le comunità parrocchiali, per la Giornata Missionaria Mondiale, può essere davvero l’occasione per riscoprire quello che leggiamo nel libro del Atti degli Apostoli (capitolo 20) e che cioè nella vita c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Quindi sulle strade del mondo fino alla fine del mondo: un cambiamento epocale?
“Sono 2000 anni che la Chiesa vive e interpreta la missione di Cristo che, a pensarci bene, è la vera globalizzazione di cui avremmo bisogno: la ‘globalizzazione perspicace di Dio’, quella della fratellanza universale. Naturalmente, questa visione di una missione senza confini suppone che esistano ancora delle persone che si consacrano totalmente per la causa del Regno. In tal senso, il momento presente esige un rinnovato impegno nella preghiera perché ‘la messe è tanta, ma gli operai sono pochi’. Vediamo, in effetti, che le vocazioni missionarie stanno diminuendo non solo in Italia, ma anche in quelle Chiese che finora ne hanno avute molte, mentre quelle che fioriscono nelle nuove comunità del Sud del mondo, non riescono ancora a rimpiazzarle in modo da dare continuità al passato.

Sarà questo un dato di fatto scoraggiante che ci fa cadere le braccia come davanti ad un fatto inevitabile e irreparabile? O non sarà invece un’indicazione provvidenziale che Dio ci fa giungere per rinnovare evangelicamente la figura stessa del missionario, aprendola a tutti coloro, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche, che sentono il bisogno di rispondere all’amore di Cristo? Non resta che pregare e discernere per fare la Sua volontà”.

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