Cor ad cor loquitur
Nel 1855 John Henry Newman aveva colto una frase in una lettera che san Francesco di Sales scrisse all’arcivescovo di Bourges:
Quantum vis ore dixerimus,
sane cor cordi loquitur,
lingua non nisi aures pulsat.
La sincerità del cuore e non l’abbondanza delle parole tocca il cuore degli uomini: la lingua fa vibrare soltanto i timpani.
Quando, il 12 maggio 1879, Newman fu nominato cardinale, non si fece elaborare un suo stemma, ma ne prese uno del secolo XVII, ereditato dal padre. Come motto scelse: Cor ad cor loquitur. Questa frase, concisa ed eloquente, profonda ed elegante, esprime in realtà il fondamento della vocazione cristiana che Newman visse in pienezza sia nell’esperienza della vita sia nel suo travagliato e profetico pensiero teologico.
Il cuore di Dio parla al cuore dell’uomo!
Nello stemma emergono tre cuori rossi che simboleggiano le tre Persone divine. Il Padre, l’Amante, canta una sola parola: Figlio mio, tu sei il mio amatissimo! Il Figlio, l’Amato, canta una sola parola: Abbà, tu sei il mio amatissimo! Lo Spirito Santo, l’Amore, è l’io ti amo, il Cor ad Cor tra il Padre e il Figlio. Questo Amore trinitario, dice san Paolo, è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato donato. Dio non è “energia impersonale” o demiurgo che ha creato il mondo lasciandolo in balia del suo destino di corruzione. La beata Trinità è il Dio personale che, in Cristo per lo Spirito, comunica cor ad cor con gli uomini creati a sua immagine e somiglianza e divinizzati attraverso la redenzione. Scrive Newman che per tutta la vita Cristo ci chiama. Ci ha chiamati dapprima nel battesimo… Sia che obbediamo alla sua voce, sia che non lo facciamo, egli continua benignamente a chiamarci. Se tradiamo il nostro battesimo, ci chiama al pentimento; se ci sforziamo di rispondere alla nostra vocazione, ci chiama di grazia in grazia, di santità in santità, finché abbiamo vita. La vita dell’uomo, in effetti, si snoda quotidianamente attraverso il divino dialogo a cuore a cuore con la santa beata Trinità.
Il cuore dell’uomo parla al cuore di Dio!
Newman, nel secondo Sermone all’Università di Oxford, descrivendo la differenza che c’è tra il filosofo e il cristiano, afferma che il filosofo aspira a un principio divino; il cristiano a un agente divino. Il vero credente in Cristo è costantemente attratto dalla sublime unione con Dio che raggiunge attraverso la vita di Grazia. Vivere l’esperienza di fede comporta sempre l’essere accolti come persona in un rapporto “personale” con il Dio “personale”. In definitiva, Newman è convinto che, attraverso la mediazione della Chiesa di Cristo, ciò che importa è vivere in pienezza questo rapporto cor ad cor con la divina Trinità.
Nel suo meraviglioso libro Apologia pro vita sua, ci confida che, all’età di quindici anni, trovò pace nel pensiero di due, e solo due, esseri assoluti e d’intrinseca luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore. Nell’itinerario della sua conversione, ci rivela ancora una sua fondamentale riflessione, quella di riconoscere che la Chiesa cattolica non permette a immagini di qualunque sorta, materiali o immateriali, a simboli dogmatici, riti, sacramenti, santi, e neppure alla stessa beata Vergine, di frapporsi tra la creatura e il suo Creatore. In tutte le questioni tra l’uomo e il suo Dio vi è un confronto a faccia a faccia, “solus cum solo”. Egli solo crea; Egli solo redime; davanti al suo sguardo tremendo usciamo dal mondo dei vivi; nella visione di Lui è la nostra eterna beatitudine. In un momento d’intenso rapporto con Dio, Newman tesse una confessione litanica d’interrogativi: Com’è possibile che io non ti ami con tutta l’anima? Non mi hai forse attratto a te e non mi hai scelto forse di mezzo al mondo per essere tuo servo e figlio? Non ho io forse il dovere di amarti molto più degli altri, sebbene tutti ti debbano amare? Io non so quel che tu hai fatto singolarmente per gli altri, prescindendo s’intende dal fatto che tu sei morto per tutti: so invece quello che hai fatto per me. Tanto tu hai fatto, mio amore, da impegnarmi ad amarti con tutte le forze.
Ogni personale unione con Dio dev’essere immersa nell’amore intenso e sublime per Lui, altrimenti tutto diventa un freddo, opaco e distante rapporto sacrale-retorico.
Il cuore dell’uomo parla al cuore del fratello!
Ogni rapporto filiale a cuore a cuore con Dio diviene fondamento e origine del rapporto fraterno con gli altri. L’uomo nuovo in comunione con Dio vivrà naturalmente in comunione con i fratelli attraverso il linguaggio squisito del cuore così come vivevano i primi cristiani usciti dal cuore della Pentecoste: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola (At 4,32). Essi, infatti, appartenevano tutti a Cristo. Il “sacramento” della concordia diventava segno di credibilità e sprone alla conversione.
Il quinto Sermone all’Università di Oxford aveva come tema: L’influsso personale come mezzo di diffusione della verità. Newman, asserendo che nessuno può essere conquistato a Cristo e alla sua Chiesa con i soli argomenti teologici, spiega che la verità del Vangelo è stata sostenuta nel mondo non da un sistema, non da libri né argomenti né da poteri temporali, ma dall’influenza personale di quegli uomini… che sono insieme maestri e modelli di essa. Newman spiega che la riflessione intellettuale della verità rivelata è di grande importanza, ma la verità bisogna viverla nel rapporto con gli altri. Colui che vive la verità, benché sconosciuto al mondo, susciterà in coloro che lo vedono sentimenti di natura diversa da quelli destati dalla semplice superiorità intellettuale. Gli uomini illustri agli occhi del mondo sono grandissimi da lontano, mentre, avvicinandosi, rimpiccioliscono; invece, l’attrazione esercitata da una santità inconscia possiede una forza irresistibile. Essa persuade il debole, il timido, il dubbioso e l’indagatore. Poi, parlando dei santi che sono pochi ma sufficienti per progredire l’opera silenziosa di Dio, dice che essi, avendo un influsso irresistibile, sono testimoni credibili che trasmettono la verità cor ad cor, portando la luce di Cristo a quanti si lasciano illuminare. Newman è convinto, infatti, che: un pugno d’uomini come questi, arricchiti di doni superiori, basterebbero a salvare il mondo nei secoli futuri.
Accogliere il Dio che si dona
Il pane non è fatto per essere analizzato, ma per essere mangiato, gustato e offerto agli altri. La fede, ricevuta in dono, dev’essere non solo pensata, ma tradotta in azione. Chi crede possiede un cuore che dona. La fede non mi fa credere solo all’esistenza di Dio, ma mi fa spalancare il cuore per accogliere il Dio che si dona. Nella divina Liturgia, culmine e fonte della vita cristiana, Dio mi parla cor ad cor attraverso le Sante Scritture. Partecipando poi al Corpo e al Sangue di Cristo, diventiamo in Lui un solo Corpo, un cuor solo e un’anima sola.
Suggestiva e tenerissima questa preghiera che sgorga dal cuore di Newman: O santissimo e amabilissimo Cuore di Gesù, tu sei nascosto nella Santa Eucaristia e qui palpiti sempre per noi. Ora come un tempo tu dici “desiderio desideravi”: ho desiderato ardentemente. Io ti adoro con tutto il mio cuore e con tutta la mia venerazione, col mio affetto fervente e con la mia volontà più sottomessa e risoluta. O mio Dio, quando tu vieni a me nella santa Comunione e poni in me la tua dimora, fa che il mio cuore batta all’unisono col tuo…Riempilo talmente di te che né gli avvenimenti quotidiani né le circostanze della vita possano riuscire a sconvolgerlo, e nel tuo timore e nel tuo amore possa trovare pace.
Vedere con gli occhi del cuore
Newman cerca di guardare la vita presente e quella futura come le vede Dio: con gli occhi del cuore. Suo ultimo scopo è: Vedere il Re… nel suo splendore. Ecco perché il suo sguardo acuto e profetico cerca di abolire dalla vita del cristiano il chiacchiericcio vuoto e ipercritico, la professione di fede oziosa, la riflessione superba sulla dottrina della fede, lo sfoggio della vanità che si annida nel cuore umano, che critica senza costruire e che brama d’eccellere sugli altri, distruggendo. Nei Sermoni Anglicani XV così afferma: Coloro i quali pongono come grande oggetto della loro contemplazione il proprio io, invece del loro proprio Creatore, naturalmente esalteranno se stessi. E’ questa auto idolatria che distrugge ogni rapporto cor ad cor, sia interpersonale che comunitario ecclesiale e sociale.
I maestri di danza russi insegnano che occorre “danzare con l’anima”. Non si tratta di muovere soltanto braccia, gambe e testa, ma ogni gesto deve venire dal cuore esprimendo l’armonia interiore. Il punto di concentramento dell’artista è l’interno della sua anima, dove contempla l’idea che egli vuole esprimere fuori di sé. Il luogo della creazione è il cuore dell’artista. Solo quando la ragione penetra il cuore, la profezia esplode nella vita.