Un cerchio che si chiude

Georg Gaenswein e Papa Francesco
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.07.2024 – Andrea Gagliarducci] – La nomina dell’Arcivescovo Georg Gänswein a Nunzio Apostolico nei Paesi baltici chiude un cerchio. Papa Francesco aveva chiesto all’ex Segretario di Benedetto XVI di tornare nella sua Diocesi di Freiburg senza incarico, dopo aver annunciato la cessazione dal suo incarico di Prefetto della Casa Pontificia. Dopo un anno e mezzo, Papa Francesco assegna Gänswein ad una Nunziatura Apostolica – un lavoro che Gänswein non ha mai svolto – allontanando così l’uomo di Papa Benedetto XVI ancora più lontano da Roma.

Con sede a Vilnius, la Nunziatura Apostolica nei Paesi baltici può sembrare periferica. Lo sarebbe, se non fosse che i Paesi baltici si trovano ora al confine con la Russia e in stretto contatto con il conflitto in Ucraina. Ciò probabilmente ha poco a che fare con il motivo per cui Papa Francesco ha inviato lì l’Arcivescovo Gänswein come suo ambasciatore.

Le prime indiscrezioni sulla nomina di Gänswein parlavano di un atto di misericordia di Papa Francesco. Dopo aver subito le accuse di Mons. Gänswein in un libro pubblicato subito dopo la morte del Papa emerito e dopo aver destituito l’arcivescovo, lasciandolo senza incarico, Papa Francesco avrebbe deciso di dargli un nuovo incarico e di perdonargli i suoi errori. Ma la decisione di Papa Francesco può essere definita un atto di misericordia, o si è trattato invece di un atto di convenienza?

Negli ultimi mesi, Papa Francesco ha definito con chiarezza il racconto che vuole dare al suo pontificato. Ha pubblicato due libri-intervista di un certo spessore, una biografia personale e un libro sul suo rapporto con Benedetto XVI.

È arrivato fino a rileggere il Conclave del 2005. Nel 2013 ha fornito indiscrezioni – quelle che solo lui poteva fornire e nessuno poteva smentire – e ha ricreato situazioni storiche, che sembrano essere sbiadite nella memoria del Papa. Occorre sommare diversi dettagli delle ricostruzioni di Papa Francesco, a cominciare da come egli dice di essersi sentito usato a bloccare l’elezione di Ratzinger nel 2005.

Inoltre, Papa Francesco aveva definito il comportamento di Gänswein come “una mancanza di nobiltà e umanità”, che sono parole pesanti, senza permettere all’altra parte di spiegarsi o rendere conto di alcune decisioni. Intendiamoci: la pubblicazione delle memorie all’indomani della morte del Papa emerito non è stata una mossa prudente, e la ricostruzione di alcune cose fatta da Gänswein potrebbe molto ragionevolmente essere considerata un inutile “kiss and tell” (raccontare dettagli di questioni private) [QUI]. È anche vero che la decisione di pubblicare spetta alla casa editrice, così come il taglio del libro riflette una fase di editing, per la compressione di cui un non professionista della comunicazione potrebbe aver bisogno di aiuto. Succede che gli uomini di Chiesa si fidano gli uni degli altri. Succede che le persone o le aziende a cui fanno affidamento non lavorano per la Chiesa. Succede che si creino scandali, a volte anche esagerati.

La reazione di Papa Francesco è stata però durissima. Un vescovo non può essere costretto a risiedere in una diocesi a meno che non sia titolare di una diocesi o non ci sia una sanzione canonica contro di lui. Ma Gänswein venne trattato come se ci fosse una sanzione canonica. Inoltre, la cessazione dall’incarico di Prefetto della Casa Pontificia è stata comunicata solo due mesi dopo la scadenza del mandato. Essa però è stata effettiva proprio alla fine del mandato. Una scelta che non ha consentito a Gänswein di chiedere la pensione vaticana versando un conguaglio al fondo pensione vaticano – richiesta che potrà essere avanzata solo entro un mese dalla fine dell’incarico. E no, Gänswein non aveva mai lavorato come vescovo in Germania e, quindi, non aveva il beneficio della ricca pensione del clero tedesco.

Queste decisioni del Papa non sono passate inosservate. Hanno reso chiaro un modus operandi di Papa Francesco che mai prima era stato rivelato con tanta forza. Ad esempio, il Papa non ha rinnovato l’incarico al Cardinale Gerhard Ludwig Müller dopo aver annunciato improvvisamente a questi, a soli 70 anni, la fine del suo lavoro in Vaticano al termine del suo primo mandato quinquennale. Ma Müller era cardinale; era stato vescovo in Germania e non aveva ricevuto alcuna imposizione residenziale da Papa Francesco.

C’è poi stato il caso del Cardinale Raymond Leo Burke, al quale il Papa ha tolto l’incarico di Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta in seguito alla crisi di governance interna all’Ordine, e al quale il Papa ha recentemente tolto l’assistenza sanitaria e l’appartamento vaticano a sua disposizione. La “punizione” del Cardinal Burke sarebbe stata comunicata dal Papa al termine di un incontro interdicasteriale, anche se non si hanno notizie di provvedimenti da parte del Decano del Collegio Cardinalizio o almeno dell’APSA, legittima proprietaria della casa cardinalizia —contro lo stesso cardinale.

Questi sono solo due esempi, ma si possono ricordare altre situazioni. È il caso del Cardinale George Pell, che il Papa ha formalmente mantenuto nel suo incarico per un po’ ma che nella sostanza ha lasciato affrontare un processo ingiusto in Australia. Il caso del Cardinal Woelki, costretto a sei mesi di ferie a causa di un “errore di comunicazione” (parole della Nunziatura Apostolica) riguardante una denuncia di abusi nella sua arcidiocesi, che aveva smentito. E come non citare il caso del Cardinal Becciu [QUI], sottoposto ad un processo in Vaticano, dopo che il Papa ha rivisto la norma che prevedeva che i cardinali fossero giudicati solo dai pari e costretto a dimettersi da ogni incarico? Il Papa gli chiese poi di riprendere a partecipare ai Concistori e agli atti pubblici, senza interrompere il processo né riabilitare il cardinale, che è ancora alla gogna.

Ogni esempio ha dettagli e sfumature diverse. Il Papa generalmente governa con il pugno di ferro, quando è necessaria la convenienza. Quando cambiano le ragioni di convenienza, però, il Papa cambia approccio. Nel caso particolare di Gänswein, il Papa probabilmente ha capito che la “punizione” del Segretario di Benedetto XVI, soprattutto dopo le discussioni seguite al modo modesto con cui Papa Francesco ha celebrato i funerali del suo predecessore, avrebbe potuto incidere sul giudizio stesso del pontificato. Non sono bastate le ricostruzioni dei funerali, le parole su Gänswein e il fatto che lo stesso Papa Francesco si sia soffermato a parlarne.

Era necessario un gesto. Quel gesto è stato l’assegnazione di una Nunziatura Apostolica in un luogo periferico, ma non troppo periferico. Questa decisione permetterà al Papa di dire di aver saputo perdonare, come ha fatto che gli osservatori notassero l’atteggiamento benevolo del Papa nei confronti di Becciu [QUI], quando lo reinvitò ai Concistori [QUI].

Passi indietro di questo tipo non sono nuovi a Papa Francesco. Dopo la pubblicazione del Documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, che impediva la benedizione delle coppie omosessuali, Papa Francesco all’Angelus domenicale ha sottolineato che il linguaggio di Dio è «compassione e tenerezza», e queste parole sono state subito lette come un cambio di tono da parte di Papa Francesco. Peccato che il Papa abbia letto e approvato il Documento. L’autore del Documento, Mons. Giacomo Morandi, fu poi inviato vescovo a Reggio Emilia. Curiosamente è stato eletto Presidente della Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna, segno che i suoi colleghi vescovi non lo disprezzano.

La domanda che resta, però, è se ci si possa fidare delle marce indietro di Papa Francesco o se molte cose non vadano lette secondo la logica dell’altare dell’ipocrisia, espressione che lo stesso Papa ha utilizzato per spiegare la sua decisione di accettare le dimissioni dell’Arcivescovo di Parigi, Mons. Michel Aupetit [QUI], che fu vittima di una campagna mediatica e di accuse dalle quali venne poi assolto integralmente [QUI].

Se tutto è metodo di governo e tutto è narrazione, qual è il vero volto del pontificato di Papa Francesco? C’è una linea nel pontificato che va oltre le decisioni personali e personalistiche del Papa? Alla fine, Papa Francesco ha mostrato differenze di approccio anche sulla questione tradizionalista: feroci con chi vuole celebrare secondo il rito antico, relativamente morbidi con le realtà già strutturate nella Chiesa che lo fanno; molto duro nell’attaccare alcune “oasi” tradizionaliste (i Francescani dell’Immacolata all’inizio del pontificato, ma anche la sospensione delle ordinazioni sacerdotali nella diocesi di Fréjus-Toulon in Francia [QUI]).

Ogni situazione è infatti una storia a sé. È anche vero, però, che la caratteristica principale del pontificato di Papa Francesco è la sua ambiguità. Non c’è linea. Approssimazioni ed errori definiscono l’immagine del pontificato. O, per meglio dire, una linea c’è, ma c’è anche la consapevolezza che si tratta di una linea controversa, che creano divisione. La divisione, infatti, si è creata ogni volta che Papa Francesco ha preso una decisione chiara e personale.

Con la nomina dell’Arcivescovo Gänswein a Nunzio Apostolico, Papa Francesco chiude un cerchio. Ma non chiude certo il dibattito sul suo rapporto con il Papa emerito o sull’aspetto fondamentale del suo pontificato. Questo tema costituirà uno spunto di riflessione in vista del prossimo Conclave.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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