COP: ripensare la parrocchia nella grande città

“Abbiamo sempre chiamato settimana del COP questo nostro incontrarci ogni anno a riflettere sulla pastorale italiana e quest’anno non potevano non partire dalla sinodalità, come esperienza che ha caratterizzato tutte le diocesi italiane, per acquisire il lavoro fatto e per fare un passo ulteriore: declinare la categoria sinodalità dentro le nuove comunità parrocchiali che si stanno formando in molte regioni italiane, perché il termine “sinodalità” non risuoni come un vuoto refrain, ma apra a ricadute concrete, attraverso una profonda conversione. L’altro elemento che abbiamo voluto approfondire è la missione: una comunità vera non può non essere comunità missionaria, con un movimento ‘in uscita’, quindi”.
Il presidente del Centro Orientamento Pastorale (COP), mons. Domenico Sigalini, ha concluso la 73^ Settimana di aggiornamento sociale, invitando a riflettere sul tema della parrocchia sinodale e missionaria, ‘sempre vicina alla gente’, svoltosi a Seveso, in cui teologi, pastoralisti, liturgisti, ma anche esperti di nuove tecnologie e rappresentati dell’associazionismo hanno tentato di declinare le prospettive di una trasformazione magmatica e impetuosa che obbliga a rivedere certezze e abitudini rassicuranti: “La preoccupazione e l’obbligo di abitare le trasformazioni che stiamo conoscendo come Chiesa: ci fa porre qualche domanda: Cosa fare? Cosa stiamo diventando? Missionari dentro una città che non abbiamo generato, anzi che ci genera, allo stesso tempo capaci di ritrovare le tracce dello Spirito, che ci rende protagonisti in questa storia di piena trasformazione. Milano come Ninive è una grande metafora”.
Ed ha ricordato la lettera pastorale del card. Martini rivolta alla città di Milano agli inizi degli anni ’90: “E’ una metafora d’invito ad imparare a guardare la città come Giona guardava Ninive, ovvero una città che ci può sembrare estranea ma che è già abitata da Dio. Vogliamo ritrovare le tracce di Dio che abita in questa città, in un momento in cui abbiamo la sensazione che la trasformazione invece ci ‘espella’ dalla città. Lo possiamo fare accettando un metodo, che è il rovesciamento di prospettiva, ovvero non guardare sempre a chi siamo noi dentro la città ma a guardare a chi è la città, e come ci guarda. Un metodo che possiamo eseguire in tre tappe”.
Il presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, Gianni Borsa, ha invitato ad incontrare le ‘città’ nella città: “Ci riferiamo peraltro alla città riconoscendo di essere sempre meno radicati in un luogo fisico (la città appunto). Tra pendolarismo per studio o lavoro, delocalizzazioni, mobilità e viaggi, internet e social media, tra reale e virtuale… diventiamo sempre più residenti non abitanti di infiniti non-luoghi. I nonluoghi descritti da Marc Augè, spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli (treni e metropolitane, supermercati, parcheggi, stadi).
Le piazze oggi sono virtuali, gli incontri avvengono spesso on line e sui social, le chiacchiere uozzappate… Siamo al contempo, qui e altrove grazie al digitale. Siamo vicini – in metropolitana – eppure distanti. Così gli spazi fisici tendono a perdere o dilatare i confini: pensiamo solo al profilo della parrocchia, che non a caso è stata definita liquida”.
E’ stato un invito ad ‘uscire’ da casa: “Per capire davvero le città, per capire dalla città, occorre “perdersi” nella città. Viverla intensamente. Necessario uscire da casa (uscire dalla chiesa, andare oltre il sagrato). Charles Dickens, cantore della Londra vittoriana, racconta di essersi smarrito da piccolo nella City londinese: così comincia ad apprezzare e amare la città.
Il Renzo dei ‘Promessi sposi’ apprende grandi lezioni di vita dopo essersi immerso, fra tante peripezie, nella Milano della peste, per lui città ‘straniera’. La stessa Milano è oggi segnata, sul piano urbanistico, da nuovi quartieri pensati e costruiti per essere frequentati solo alcune ore al giorno (quartieri degli orari ‘feriali’), per il resto svuotati di gente, di vita. Diventando periferie silenziose, a tempo, di lusso”.
Mentre don Mattia Colombo, docente di teologia pastorale al Seminario di Milano, prendendo spunto da una serie di interviste a donne e uomini diversamente impegnati a livello parrocchiale e sociale, più o meno assidui nella frequentazione dei sacramenti, ha fornito alcune indicazioni: “Come questo contesto interpella la parrocchia urbana (che è nella regione postmetropolitana)? Occorre collocarsi nella lettura del contesto, piuttosto che applicare modelli. Quali sono le trasformazioni da mettere a tema? Alcune provocazioni. 1) Ri-strutturare, dare una nuova struttura alla fede rispetto al tempo. Come la parrocchia può garantire una certa comodità temporale specie per ristrutturare il ‘precetto’ festivo? La sola pratica sacramentale (insuperabile) non diventa l’assoluto dell’analisi.
2) Accogliere una logica affinitaria, senza canonizzarla. La gente sempre più sceglie oltre il criterio di appartenenza territoriale, ad esempio con il criterio del tempo. Nonostante questa dimensione affinitaria-elettiva occorre vigilare perché non si passi da una forma popolare ad una forma di scelta. 3) Formare a scelte consapevoli. Pur non vivendo all’ombra del campanile ogni battezzato è discepolo missionario. In parrocchie sempre più ‘attraversate’ piuttosto che abitate, occorre rendere proficue esperienze pastorali. 4) Superare una logica di ‘specializzazione’. Non esiste una evangelizzazione da effettuarsi con logiche pure. Il contesto urbano, ricorda alla Chiesa la complessità dell’azione pastorale, un’azione che ha peso simbolico specie nella città”.
In apertura del convegno mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano, ha introdotto il tema della ‘settimana’: “Il cristianesimo ha cambiato la storia introducendo un argomento nuovo, quello della resurrezione. Come torniamo oggi a quello che una volta chiamavamo ‘precetto festivo’? E’ tramontato perché lo abbiamo ridotto alla sua sola dimensione morale, facendo venir meno dimensioni fondamentali come l’aggregazione, la costruzione di dinamiche simboliche, riconoscersi come comunità, capire il senso della storia, generare un noi; solo alla fine è diventato un principio etico. Oggi dobbiamo rifare tutto questo in modo nuovo, ed è quello che ci viene consegnato, per scoprire che in realtà ne abbiamo già tanti di spazi rigeneratori del precetto festivo. Per rigenerare un cristianesimo anche nel XXI secolo”.
In conclusione nella lettera alla parrocchia mons. Sigalini ha sottolineato il dono dell’accoglienza da parte della parrocchia: “Proprio qui sta la prima accoglienza che ci è chiesta di vivere: la povertà del nostro tempo. Accogliere la povertà delle nostre chiese vuote. Siamo invitati a essere prossimi a tutte le nuove forme di povertà e fragilità, sentendo viva anche per la tua piccola o grande comunità l’esortazione «ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità della tua vecchia parrocchia sia capace di creare nuove ospitalità per dare bellezza alle nostre comunità”.
(Foto: COP)