Tacere non vuol dire per forza aver niente da dire

L'urlo
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.06.2024 – Vik van Brantegem] – Una risposta pungente sembra molto più “divertente” del silenzio, in particolare verso chi soffre di quella patologia incurabile (finché non cessi il respiro), che è l’acidità mista ad invidia. Non è che fossero dei campioni di simpatia quando erano giovani, ma per taluni la patologia diventa terribile in vecchiaia e peggiora di brutto con l’età che avanza. Però – come insegnano il Brianzolo e il Napoletano, Roberto Vecchioni e Luciano De Crescenzo – è meglio il silenzio della risposta pungente, perché “le parole hanno un gran bisogno di aria pulita”.

Esiste anche The Sound of Silence (il suono del silenzio) – il titolo della canzone “che praticamente si era scritta da sola”, cantata nel 1964 da Simon & Garfunkel – ma questo silenzio si sente con la mente e non con le orecchie. È stato ipotizzato che il testo sia stato ispirato dal caso dell’omicidio di Kitty Genovese, una ragazza che nel marzo del 1964 venne assassinata per le strade di New York, a cui assistettero almeno 38 persone senza che nessuno intervenisse o chiamasse aiuto. La canzone rappresenterebbe una critica all’apatia dell’uomo contemporaneo, al silenzio di fronte al male e al ruolo in queste situazioni della televisione definita “dio al neon”, per significare l’insensibilità e l’indifferenza di fronte a una situazione che dovrebbe invece smuovere le coscienze, indurre a fare qualcosa, almeno a gridare la propria indignazione.

Quindi, talvolta il “silenzio non è vuoto, ma è pieno di risposte”, che è tutt’altra cosa del silenzio di chi ha un vocabolario mentale povero. È il silenzio assordante, un silenzio che non c’è, un ossimoro. Un silenzio che si trasforma in un rumore muto assente, espresso in maniera incisiva e forte dal pittore norvegese Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863 – Oslo, 23 gennaio 1944) con la sua opera più nota, L’urlo (prima versione del 1893 in copertina), diventata un’immagine iconica dell’arte.

«Non è obbligatorio rispondere a tutti, non è obbligatorio parlare con chiunque, non è obbligatorio lasciarsi trascinare in conversazioni brutte. Quando hai davanti un idiota, ricordati di fare una cosa: respira. Ricordati chi sei, da dove vieni, dove stai andando. Ricordati di respirare quando la vita corre, quando hai fretta, quando gli spazi intorno sembrano diventare stretti. Respira prima di parlare, che le parole hanno un gran bisogno di aria pulita. E soprattutto concediti un lusso che oggi conoscono in pochi: il lusso del silenzio» (Roberto Vecchioni [Carate Brianza, 25 giugno 1943]).

«Tacere non significa che io non abbia niente da dire, o che quello che vedo mi sta bene. Il mio tacere vuol dire: “Ho capito chi sei e non vali nemmeno la mia attenzione”. Il silenzio non è vuoto, ma è pieno di risposte. È solo quando riesci a “tacere”, evitando discussioni inutili, che mostri la tua intelligenza e la tua saggezza. Questa è quel genere di filosofia che non è nata per essere insegnata, ma per essere “praticata”» (Luciano De Crescenzo [(Napoli, 18 agosto 1928 – Roma, 18 luglio 2019]).

Il rumore è così onnipervasivo oggi, che la totale assenza di rumore (il silenzio, che è come la luce che significa assenza di oscurità) può apparirci impossibile, ma questo non è un buon motivo per parlare/scrivere a vanvera, che è la sindrome dell’oratore/scrittore mancato. Poi, neanche tutti i giornalisti sono scrittori e non tutti gli scrittori sono giornalisti. Nel mondo della comunicazione ci sono tanti mestieri e c’è una stratosferica confusione riguardante il mestiere del giornalista, dello scrittore, del comunicatore… nonché del ruolo della stampa (quello che è, quello che non dovrebbe essere, quello che si auspica che sia).

Un calzolaio, un ciabattino e un lustrascarpe, tutti e tre si occupano di scarpe, ma hanno un mestiere diverso. Così, anche la comunicazione è una professione con diversi mestieri. Ognuno dovrebbe dedicarsi soltanto a ciò che è in grado di fare bene, che sia per predisposizione o per studio. Improvvisare un mestiere non porta a nulla, se non a invadere campi che non sono di competenza. Chi vuole maneggiare l’ascia al posto del falegname finisce col tagliarsi le dita, dice il proverbio.

Lo insegna anche l’espressione latina “ne supra crepidam sutor iudicaret” (che il calzolaio non giudichi al di sopra della scarpa), un monito per chi parla a vanvera. Questo dovrebbe mettere a tacere coloro che mettono bocca – e, peggio ancora, giudicano – in argomenti di cui non s’intendono, non sanno nulla o quasi. Fa pensare all’avvertimento del proverbio “el scarper va via coe scarpe rote” (il calzolaio va via con le scarpe rotte), che si dice di chi non ha tempo per seguire le proprie faccende e ma si dedica a mettere il naso in quelle degli altri, di cui non sa niente.

Si tratta della raccomandazione rivolta da Apelle a quel ciabattino che, avendo giustamente criticato un difetto nella raffigurazione dei sandali in un quadro dello stesso Apelle, voleva poi, forte della sua scienza, criticare anche il resto. L’attribuzione al famoso pittore greco del IV secolo a.C. è fatta da Plinio il Vecchio, che nel XXXV libro della sua Storia Naturale racconta, che Apelle era solito esporre le sue opere in una loggia man mano che le terminava, per ascoltare, nascosto dietro il quadro, i difetti che venivano trovati: «Dicono che ripreso una volta da un calzolaio per aver fatto un occhiello in meno su certi sandali, il giorno seguente lo stesso calzolaio, inorgoglito dal successo del precedente suggerimento, si fosse messo a fare critiche sulla gamba. Apelle allora lo affrontò indignato, dicendogli che un calzolaio non doveva giudicare al di sopra della scarpa».

«In genere è consigliabile palesare la propria intelligenza con quello che si tace piuttosto che con quello che si dice. La prima alternativa è saggezza, la seconda è vanità» (Arthur Schopenhauer).

«Se si aspettasse di sapere prima di parlare non si aprirebbe mai bocca» (Henri Frédéric Amiel). Quindi, non perdere mai una buona opportunità per stare zitto… Uomo avvisato, mezzo salvato.

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