Un’altra chiave di lettura

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.06.2024 – Andrea Gagliarducci] – La presentazione del documento Il Vescovo di Roma il 13 giugno è stata occasione per un raro esercizio di parresia (Il diritto-dovere di dire la verità, franchezza), quando il Cardinale Kurt Koch ha risposto ad una domanda sull’impatto ecumenico della Fiducia supplicans. Era una domanda ragionevole, dal momento che la Chiesa Ortodossa Copta ha deciso di sospendere il dialogo teologico a causa della Dichiarazione. Questo fatto da solo era potenzialmente molto significativo, dal momento che il dialogo tra la Chiesa Ortodossa Copta e la Chiesa Cattolica Romana stava andando molto bene, finché non è successo. Il leader dei Copti, Papa Tawadros di Alessandria, era addirittura apparso accanto a Papa Francesco in un’udienza generale mentre visitava – tra le altre cose – la storica inclusione dei martiri Copti della Libia nel martirologio romano.

Interrogato al riguardo, la risposta del Cardinal Koch è stata, che Fiducia supplicans “ha sollevato preoccupazioni anche all’interno della Chiesa Cattolica”. Koch ha osservato che “non era mai successo che tutta l’Africa si fosse opposta ad un documento”. Poi ha detto, che il co-Presidente Copto della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali aveva subito chiesto chiarimenti e che non era soddisfatto dei chiarimenti scritti del Cardinal Fernández. Il Cardinal Fernández si è recato poi in Egitto, ma mancano ancora notizie sulla ripresa del dialogo teologico.

Perché le parole del Cardinal Koch sono un raro esercizio di parresia? Perché erano schietti, hanno puntato il dito contro un problema interno alla Chiesa Cattolica e di strutturazione dei documenti; non hanno nascosto i problemi. Ed è, dopo tutto, raro in un momento in cui il pontificato di Papa Francesco viene definito attraverso la narrazione. Ciò che il Cardinal Koch ha detto sulla Fiducia supplicans smentisce piuttosto la narrazione ufficiale secondo cui la resistenza a Papa Francesco esiste solo all’interno della Chiesa Cattolica. Soprattutto, rompe un clima che vuole far finta che tutto vada bene, quando non è così.

Papa Francesco decide, e lo fa in autonomia, cosa legittima per un Papa. Tuttavia, non è detto che le decisioni saranno ben accolte, e che i grandi numeri non cambieranno la situazione interna.

In un certo senso anche il Cardinal Koch dà motivo di pensare. Per comprendere il pontificato sono necessarie diverse interpretazioni. Forse c’è qualcosa che ci è sfuggito.

In definitiva, questo pontificato sarà probabilmente caratterizzato tra ciò che è stato prima di Fiducia supplicans e ciò che è stato dopo. La questione è decisiva perché, da un lato, c’è questa apertura a tutti – todos! todos! todos! – come dice Papa Francesco; dall’altro c’è l’apparente contraddizione di un Papa che vuole accogliere, ma che poi non manca di usare parole non consoni allo stile papale, per parlare del problema degli omosessuali tra il clero.

Papa Francesco non solo avrebbe usato una brutta parola italiana, fro****gine, a porte chiuse durante l’incontro con i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, ma lo avrebbe fatto anche incontrando i sacerdoti ordinati tra i 39 e 11 anni fa, lo scorso 12 giugno, presso la Pontificia Università Salesiana. Ancora una volta, la discussione avrebbe dovuto svolgersi a porte chiuse. Ma come si fa a mantenere riservato un discorso davanti a più di 150 persone?

Il punto è che il 14 giugno Papa Francesco ha ricevuto Padre James Martin e – secondo le parole dello stesso gesuita – lo ha confermato nel ministero per le persone LGBTQIA+, lodando la sua apertura. Ovviamente è facile da interpretare: Papa Francesco non chiude le porte della pastorale; vuole che tutti siano accolti. Allo stesso tempo, chiude le porte dei seminari, confermando una linea prudenziale imposta dai Papi precedenti. Eppure, tutto ciò non coincide con la violenza e la brutalità del linguaggio adoperato da Papa Francesco.

Allora, come interpreta Papa Francesco? Il Papa è, prima di tutto, un costruttore di narrazioni. Dicono che quando ha saputo di due giornalisti che stavano preparando un libro sui suoi anni di “esilio” a Córdoba, nell’Argentina centrale, Papa Francesco li ha chiamati e ha offerto loro materiale e retroscena. In cambio voleva rivedere il testo.

Papa Francesco sa che aprire i seminari a tutti, sarebbe considerato da molti problematico. Ma sa anche, che non mostrare segnali di apertura verso la comunità LGBTQIA+ brucerebbe di fatto il capitale guadagnato con la domanda “chi sono io per giudicare?”, l’episodio del 2013 sul quale il suo pontificato ha oscillato – giustamente o ingiustamente – per più di un decennio. Insomma, Papa Francesco agisce in modo pragmatico, a volte contraddicendo se stesso ma cercando sempre il meglio per la narrazione.

La seconda chiave di interpretazione è che – nonostante la richiesta di un cambiamento nella mentalità della Chiesa – Papa Francesco è un Papa dell’ego. Il Papa non parla mai di studi, discussioni o conversazioni, che lo avrebbero particolarmente colpito. Papa Francesco dice quello che pensa e lo ripete all’infinito; e i suoi pensieri diventano la linea di interpretazione. Papa Francesco sta facendo una cosa del tutto legittima. Gli uomini di Chiesa attingono al magistero pontificio e sviluppano i loro insegnamenti, partendo da esso e cercando di valorizzarlo.

Tuttavia, il fatto che Papa Francesco fa predominare l’ego ha i suoi svantaggi. Prendiamo i movimenti ecclesiali. Un altro Papa avrebbe fatto un discorso molto sfumato, sottolineando i pro e i contro delle situazioni e cercando di dare indicazioni senza intervenire personalmente. Nell’incontro con i moderatori dei movimenti ecclesiali del 13 giugno, Papa Francesco ha detto in modo brutale che “un movimento chiuso non è ecclesiale; deve essere chiuso”. Il Papa non ha ritenuto che ciò potesse essere letto come un atto di accusa nei confronti dei movimenti. Voleva dare un segnale.

La terza chiave di lettura è che Papa Francesco non ha più filtri e lascia i suoi collaboratori molto più liberi di lui. Non esita a intervenire nei dibattiti quando è necessario, ma tende a restare in disparte. È un uomo – come direbbe lo scrittore Borges, che il Papa ama tanto – solitario e definitivo. Ma con tutta questa centralizzazione, questa sinodalità parlata ma non praticata, come tengono Papa Francesco in contatto con la gente? Quanto, tuttavia, una corte lo ha circondato, filtrato, dato indicazioni e deciso la vita e la morte delle persone intorno a lui?

Queste domande vitali portano a leggere il pontificato con occhi diversi. Del resto, molte delle grandi risorse della Santa Sede hanno deciso di lasciare, e questo è un segnale che va compreso. Nessuno, però, osa parlare apertamente di questa situazione. Nessuno che goda del favore papale, tranne il Cardinal Koch, che ha permesso di aprire lo scrigno dei segreti di questo pontificato, nel quale ognuno rivendicherà il diritto di aver ottenuto qualcosa. Sarà interessante.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].