Save the Children: in Italia 336.000 ragazzi tra i 7 e i 15 anni lavorano per aiutare la famiglia

In Italia si stima che 336.000 minori tra i 7 e i 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro e che 58.000 adolescenti tra i 14-15 anni siano stati coinvolti in attività lavorative dannose per i percorsi scolastici e per il benessere psicofisico: sono i dati di una ricerca di Save the children dedicata al tema della povertà minorile e delle aspirazioni degli adolescenti, intitolata ‘Domani (Im)possibili’, attraverso interviste ad un campione rappresentativo di giovani tra i 15 e i 16 anni, in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile che ricorre oggi, 12 giugno.
Dal rapporto emerge che il 43,7% degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni aiuta in vario modo la famiglia ad affrontare le spese e, tra questi, il 18,6% ha svolto e svolge qualche attività lavorativa per non gravare sulla famiglia in difficoltà (uno su due ha meno di 16 anni). Le testimonianze sono state raccolte da un gruppo di 25 adolescenti tra i 15 e i 21 anni individuati nell’ambito dei progetti promossi da Save the children e da altre organizzazioni e realizzate con la metodologia della ‘ricerca tra pari’ a Palermo, Scalea, Roma e Torino, tramite interviste singole o di gruppo e video reportage che hanno consentito di raccogliere 40 storie che restituiscono la grande eterogeneità delle situazioni legate al fenomeno.
Tra i motivi e le cause che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi di lavoro ci sono l’avere soldi per sé, che riguarda il 56,3%, la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori, per il 32,6%. Non trascurabile è il 38,5% di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo. Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile.
La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.
La maggioranza dei minori, 53,8%, ha dichiarato di aver lavorato durante l’ultimo anno o in passato, ha iniziato dopo i 13 anni, mentre il 6,6% prima degli 11 anni. Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Molti i racconti che parlano di minorenni che combinano la frequenza scolastica con l’attività lavorativa, una scelta motivata in alcuni casi da una necessità economica, in altri dalla concezione del ‘lavoro come valore’ che integra il percorso educativo. La conciliazione di studio e lavoro si rivela però difficile da sostenere per la maggior parte dei ragazzi intervistati.
Dall’indagine ‘Non è un gioco’ è emerso che tra i 14-15enni intervistati che lavorano, quasi 1 su 3 (29,9%) lo fa durante i giorni di scuola, tra questi il 4,9% salta le lezioni per lavorare. Dai dati si evince che la percentuale di minori bocciata durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato.
Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1.500.000 nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania.
I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile in Italia sono quelli più tradizionali come la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%)[6], ma non mancano le nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Sebbene il 70,1% dei 14-15enni che lavorano o hanno lavorato, lo abbiano fatto in periodi di vacanza o in giorni festivi, il lavoro è faticoso da un punto di vista della frequenza e dell’intensità: quando lavorano, più della metà dei 14-15enni lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana, circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.