Sergio Paronetto: dal papa esperienze di riconciliazione

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Di fronte a 12.500 persone, il dialogo del Papa con rappresentanti di società civile, movimenti e associazioni impegnati in percorsi di costruzione della pace: l’individualismo è la radice delle dittature, guardare con realismo ai conflitti per disinnescarli: una pace che va promossa, preparata, curata, sperimentata e organizzata. Di questo è convinta la rete di persone, dialogo a conclusione di un percorso, aperto a tutti, realizzato per la costruzione della pace, della giustizia e della cura della casa comune.

Il culmine dell’incontro è stato l’abbraccio di papa Francesco con l’israeliano Maoz Inon, a cui sono stati uccisi i genitori nell’attacco terroristico del 7 ottobre, e con il palestinese Aziz Sarah, a cui il conflitto ha strappato il fratello con l’invito a raccogliersi in silenzio: “Ambedue hanno perso i familiari, la famiglia si è rotta. A che serve la guerra? Per favore facciamo un piccolo spazio di silenzio. Non si può parlare troppo di questo. Ognuno preghi e faccia una riflessione interiore di fare qualcosa per finire con le guerre. In silenzio, un attimo. Pensiamo ai bambini in questa guerra e in tante guerre. Quale futuro avranno. Mi vengono in mente i bambini ucraini che vengono a Roma”.

Ed il centro del dialogo è stato il pensiero cattolico del teologo Romano Guardini, che si oppose al nazismo: “Oggi il Vescovo mi ha fatto vedere l’atto di nascita di un grande, Romano Guardini, che è nato qui a Verona. Lui diceva che sempre i conflitti si risolvono su un piano superiore, perché così i conflitti si trasformano in lievito di nuova cultura, di nuove cose per andare avanti. L’uniformità è un vicolo cieco: invece di andare avanti si va sotto; l’uniformità non serve, serve l’unità, e per raggiungere l’unità bisogna lavorare con i conflitti”.

Papa Francesco ha citato Romano Guardini, con l’invito a risolvere i conflitti su un piano superiore per trasformarli in lievito di nuova cultura: al presidente del Centro Studi di Pax Christi e partecipante al movimento ‘Beati i costruttori di pace’, Sergio Paronetto, chiediamo di spiegare in quale modo vivere con i conflitti: “Durante l’evento ‘Giustizia e pace si baceranno’ (Sal 85) dello scorso 18 maggio in Arena a Verona, papa Francesco, richiamandosi all’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’ (226-230) ed all’enciclica ‘Fratelli tutti’ (244-245), osserva che ‘il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza.

Quindi non averne paura… Ed il dialogo ci aiuta a risolvere i conflitti, sempre’. Dicendo questo, il papa ha in mente tante esperienze di riconciliazione, commissioni di ‘giustizia riparativa’ o ‘scuole di perdono’ diffuse in varie parti del mondo, comprese le zone ad alta conflittualità come Israele e Palestina, l’Africa e il Sud America (e anche in Italia)”.

Per quale motivo papa Francesco invoca sempre la pace?

“La invoca, ma, soprattutto, la testimonia, la promuove, la organizza. Prega e fa pregare per lei. Per lui costituisce la questione fondamentale dell’umanità, l’unico grande messaggio del Vangelo, anzi Gesù stesso ‘nostra pace’ (Ef), il cuore delle religioni, la sostanza di un nuovo umanesimo”.

Lei ha scritto un libro intitolato ‘Papa Francesco, l’uomo più pericoloso al mondo’: per quale motivo?

“Perché è un autentico rivoluzionario e chiede un cambio di rotta ai responsabili dell’economia e della politica. Perché è scomodo per i signori della guerra, per i predatori della finanza speculativa, per i negazionisti climatici, per nazionalisti e imperialisti. Lo definiscono pericoloso non solo i restaurazionisti o reazionari che guardano al passato ma anche i cosiddetti progressisti diventati devoti al dio del denaro e della guerra. Sono diffusi negli Stati Uniti, in Sud America, in Russia, in Europa e hanno tanti soldi con cui finanziano campagne denigratorie contro di lui. In ‘Arena’, sabato 18 maggio, gli ho detto che gli siamo grati per il suo coraggio, che siamo con lui, che vogliamo aiutarlo, che gli vogliamo bene”.

L’abbraccio del papa con un israeliano ed un palestinese è stato un segno evidente: in cosa consiste la ‘geopolitica’ della misericordia del papa?

“Ne ha parlato molto nel 2015, anno della misericordia. La misericordia è la profezia di un mondo nuovo. Cerca un nuovo ordine internazionale basato sul rispetto della dignità della persona e sui pilastri della pace, indicati dall’enciclica ‘Pacem in terris’ (verità, giustizia, libertà, amore). Misericordia è uno dei nomi della nonviolenza attiva. Assieme alla compassione e alla tenerezza, per lui costituisce anzi lo stile di Dio”.

Il primo incontro del 1986 dell’Arena di Pace verteva sull’educazione di pace: dopo 38 anni quanto è necessario educare alla pace?

“E’ decisivo. Tante sono le responsabilità delle violenze  ma la responsabilità educativa coinvolge tutti e tutte. La pace è un bene da cercare, studiare, preparare, diffondere. Un cammino pedagogico verso la nonviolenza deve cominciare tra le mura di casa e di scuola. E’ fondamentale risvegliare la passione educativa e coltivare l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di prefigurare un’altra storia possibile. La scuola può organizzare la formazione alla nonviolenza facendo conoscere esperienze di gestione dei conflitti e pratiche di riconciliazione”.

‘In piedi tutti, costruttori di pace!’, ha invitato papa Francesco concludendo l’incontro: come rendere ancora vitale questo invito di mons. Bello?

“In tre modi. In primo luogo, cercando di conoscere bene l’opera di don Tonino, leggendolo in gruppi operativi. In secondo luogo, seguendo il magistero di papa Francesco che è l’erede del suo pensiero cui attinge moltissimo (ho detto, anzi, che Francesco è don Tonino diventato papa). In terzo luogo mettendosi in rete. Sono tante le iniziative in cantiere, comprese quelle indicate nei documenti dei cinque tavoli di Arena (democrazia, economia, ecologia, migrazioni, disarmo) e nel documento finale”.