L’Europa consegna il Premio Sakharov a Malala
Nei giorni scorsi Malala Yousufzai ha ottenuto il riconoscimento del Premio Sakharov per i diritti umani da parte del Parlamento Europeo. La sedicenne pachistana nota nel mondo come difensore del diritto allo studio per tutte le coetanee che i radicali religiosi vorrebbero escludere dalle aule, ha provocato le ire del Tehreek-e-Taleban Pakistan (Ttp).
Il movimento, che il 9 ottobre 2012 cercò di uccidere Malala con due colpi di pistola al capo mentre stava rientrando a casa su uno scuolabus, ha definito immotivata la scelta della giuria del Sakharov: “Non ha fatto nulla. I nemici dell’Islam la stanno premiando perché ha lasciato l’Islam ed è diventata atea” ha fatto sapere da una località ignota il portavoce del movimento Shahidullah Shahid. Malala è balzata agli onori delle cronache nel 2009 grazie a un blog tenuto in forma anonima per l’edizione in urdu della Bbc. Nel diario online la ragazza, allora 12enne, raccontava la sua vita in Pakistan sotto il dominio talebano e la mancanza di educazione per le ragazze.
Il premio Sakharov, dal valore di € 50.000, è considerato il più importante riconoscimento europeo per i diritti umani. Creato in memoria del medico e dissidente sovietico Andrei Sakharov, in passato è stato conferito a personalità come Nelson Mandela e Aung San Suu Kyi. Malala riceverà il premio a Strasburgo il 20 novembre. Il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, ha dichiarato: “Il Parlamento europeo accoglie con favore l’incredibile forza di questa giovane donna. Malala difende coraggiosamente il diritto di tutti i bambini all’istruzione, un diritto troppo spesso negato alle ragazze… L’esempio di Malala ci ricorda i nostri doveri e la responsabilità per il diritto all’istruzione dei bambini. Questo è il miglior investimento per il futuro”.
Malala è diventata il simbolo della lotta per i diritti all’educazione di tutti i bambini e le bambine dopo il discorso tenuto lo scorso 13 luglio alle Nazioni Unite: “Oggi è un onore per me tornare a parlare dopo un lungo periodo di tempo. Essere qui con persone così illustri è un grande momento nella mia vita ed è un onore per me che oggi sto indossando uno scialle della defunta Benazir Bhutto. Non so da dove cominciare il mio discorso. Sono qui a parlare per il diritto all’istruzione per tutti i bambini. Voglio un’istruzione per i figli e le figlie dei talebani e di tutti i terroristi e gli estremisti. Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e me lo ritrovassi davanti, non gli sparerei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la tradizione del cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa.
E’ questo il perdono che ho imparato da mio padre e mia madre. Questo è ciò che la mia anima dice: sii in pace e ama tutti. Nessuno ci può fermare. Alzeremo la voce per i nostri diritti e la nostra voce porterà al cambiamento. Noi crediamo nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo, perché siamo tutti insieme, uniti per la causa dell’istruzione”.
Intanto dal Pakistan è partito un appello da un forum di associazioni guidate dalla ‘Asian Human Rights Commission’, che ha trovato sostegno in movimenti e organizzazioni cristiane per abolire la pena di morte: “Uccidere i prigionieri serve solo a perpetuare la violenza e aumenta il rischio di ritorsioni da parte di gruppi militanti e fondamentalisti religiosi”. La società civile ha apprezzato il passo compiuto dal governo pakistano, che ha annunciato la decisione di rinnovare la moratoria sulla pena di morte. La decisione è stata adottata dopo forti pressioni internazionali da parte delle Ong e di governi, specie dell’Unione Europea. La moratoria salva la vita di oltre 8.000 prigionieri attualmente nel braccio della morte.
Infine domenica 13 ottobre si è svolta una manifestazione di ‘protezione’ ad una chiesa di Lahore contro possibili attacchi terroristici: “Siamo pakistani, abbiamo lo stesso sangue”. E’ la seconda volta nel giro di una settimana, in quanto domenica 6 ottobre una catena di ‘scudi umani’, formata da circa 300 musulmani aveva protetto la chiesa cristiana di S. Patrick a Karachi, in cui era in corso la Messa per evitare possibili attacchi terroristici. L’iniziativa, portata avanti dal gruppo Pakistan For All, favorevole al dialogo interreligioso, aveva visto la partecipazione di un Mufti che ha letto alcuni brani del Corano sulla tolleranza e la pace, ed è stata applaudita dal sacerdote che stava celebrando la funzione, padre Nasir Gulfam.
I due religiosi si sono stretti la mano mentre i partecipanti al raduno innalzavano cartelli con scritto ‘One Nation, One Blood’ (una sola nazione, un solo sangue). La manifestazione è avvenuta, spiega il quotidiano pakistano The Express Tribune, dopo la strage di cristiani compiuta da terroristi a Peshawar lo scorso 22 settembre, provocando oltre 100 vittime.