Caso Rugolo. “Esempio concreto di come la Chiesa insabbia i casi di pedofilia e violenza”. “La Confessione” oltre 70.000 ascoltatori

Manifesto
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.05.2024 – Ivo Pincara] – In una puntata pubblicata da Stefano Feltri oggi su Appunti [QUI] dal titolo La Confessione extra: Lo strano processo a Don Giuseppe Rugolo, la giornalista Pierelisa Rizzo racconta come si è arrivati all’accertamento dei fatti e alla condanna – nonostante ritardi e prescrizioni – del sacerdote di Enna, al centro del podcast La Confessione (un progetto autoprodotto e senza risorse, sopportato dal team di Spotify Italia [QUI]), i cui numeri ascolti continuano a crescere, secondo il report degli ascolti, scrive Feltri, «che comincia a essere quello di un podcast di prima grandezza: grazie anche al sostegno della comunità di Appunti, l’operazione sta funzionando».

Ascolti podcast La Confessione

Stefano Feltri prosegue il suo aggiornamento settimanale sul podcast La Confessione e dintorni: «Antonio Messina sta avendo una qualche forma di giustizia reputazionale, dopo aver cercato per anni di ottenerne una ecclesiastica (senza successo) e dopo una condanna del suo abusatore che gli ha dato ragione ma non piena soddisfazione». Feltri introduce così il racconto di Pierelisa Rizzo del processo a Don Rugolo, ma anche al sistema di copertura degli abusi nella Chiesa in Italia, dal Vescovo di Piazza Armerina, Mons. Rosario Gisana, a Papa Francesco: «Per ragioni produttive, il podcast parla poco del processo – abbiamo iniziato a lavorarci molti mesi prima della sentenza. Dunque è particolarmente utile questa analisi di Pierelisa Rizzo. Se volete capire di più sul personaggio di Don Giuseppe Rugolo, vi rimando alla puntata numero 3 de La Confessione, quella intitolata L’uomo e il prete che è un viaggio nella vita e nella testa del prete abusatore, grazie a intercettazioni, registrazioni e documenti acquisiti nel processo [QUI]. Con Federica Tourn e Giorgio Meletti, intanto, ragioniamo su come continuare a lavorare sul tema».

La giornalista Pierelisa Rizzo, corrispondente da Enna dell’ANSA, ha seguito tutte le udienze del processo Don Rugolo Rugolo, tra mille difficoltà, rompendo la cappa di silenzio che in tanti hanno cucito intorno alla vicenda.

Gli insabbiamenti della Chiesa e il processo
di Pierelisa Rizzo
Appunti, 22 maggio 2024

La storia del processo a Giuseppe Rugolo, il sacerdote condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale aggravata a danno di minori e atti sessuali su minori, è un esempio concreto di come la Chiesa insabbia i casi di pedofilia e violenza. Reticenza, omertà, spirito di appartenenza, menzogne, false testimonianze, giochi di potere, nell’aula del tribunale di Enna c’è stato di tutto. E, a fronte di quanto si è visto e sentito, la sentenza fa pensare.

Si sono viste prove documentali, intercettazioni, copie forensi, hard disk estratti dai supporti informatici del prete, frutto del lavoro immane della Squadra Mobile di Enna e del suo coraggioso dirigente Nino Ciavola, dei pubblici ministeri, in testa Stefania Leonte che è rimasta fino alla fine del processo, con Orazio Longo che è andato via in corso d’opera e il procuratore capo Massimo Palmeri.

Eppure, a fronte di una intercettazione tra Rugolo e il vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana nella quale il presule confessa candidamente di avere insabbiato il caso, nulla è avvenuto.

In aula poi sono emersi altri casi di cui erano a conoscenza sia il vescovo che Monsignor Vincenzo Murgano, che allora era il responsabile per la tutela dei minori per la Diocesi di Piazza Armerina e giudice del Tribunale ecclesiastico, e anche stavolta nulla è avvenuto.

In aula alcuni testimoni hanno palesemente mentito, sconfessati da altri testimoni. E si è capito che la vicenda che porta dritto al cuore del Vaticano, con il coinvolgimento di Papa Francesco, al quale Antonio Messina, la vittima che ha denunciato Rugolo, aveva scritto senza mai avere risposta.

Alla fine a condannare Rugolo per il tentativo di violenza ai danni di Messina nel 2013 (i fatti dal 2009 al 2011 sono stati giudicati prescritti), e per violenza sessuale aggravata a danno di altri due minori, è stato il collegio giudicante presieduto da Francesco Paolo Pitarresi, lo stesso giudice che il 16 febbraio 2024, due settimane prima di decidere la sentenza Rugolo, è stato ospite dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico di Ragusa  insieme al Segretario Generale della CEI Giuseppe Baturi, Vescovo di Cagliari.

È Pitarresi a leggere la sentenza che illumina il sistema Gisana, i suoi silenzi rispetto agli altri casi emersi in aula, e per i quali il vescovo non ha mai preso provvedimenti né fatto denuncia all’autorità giudiziaria.

La procuratrice Leonte lo aveva detto durante la requisitoria: “Comunque vada, Antonio oggi ha vinto, ha vinto il coraggio di questo ragazzo di affrontare l’incubo della sua adolescenza, perché non si è fermato davanti al timore di non essere creduto e al pregiudizio della gente, perché ha presentato la denuncia per un senso di dovere nei confronti di se stesso e dei suoi coetanei che avevano subito i suoi stessi abusi e dei tantissimi adolescenti che frequentavano il gruppo del 360, sotto l’egida di Rugolo. Antonio non avrebbe potuto essere l’uomo di una società pulita, onesta e non omertosa, fatta di famiglie che tutelano i propri figli, se lui per primo avesse continuato a tacere”.

E in quell’aula i silenzi sono stati tanti, silenzi omertosi, che hanno coperto un sistema abusante che ha un copione sempre uguale, basato sulle connessioni tra i prelati che si proteggono l’uno con l’altro e che sono quasi scandalizzati di dovere venire in aula a raccontare come testimoni.

Il processo ha raccontato come un’intera generazione di giovani sia uscita turbata da comportamenti che non è stata più in grado di decifrare, perché in quell’oratorio anche gli abusi erano contrabbandati per “goliardate”.

E così in aula, per giustificare le condotte abusanti di Rugolo, che toccava a destra e a manca per salutare i giovani, che era solito fare la doccia nudo con i ragazzi, che durante i ritiri si coricava puntualmente con un giovane, una vittima minorenne all’epoca dei fatti, uno degli avvocati della parte civile ha portato, a discolpa del prete, una foto che ha fatto il giro del mondo, quella di Roberto Benigni che palpeggia Pippo Baudo in diretta tv.

Dunque, si può fare, questa la tesi. Quella che aveva fatto credere Rugolo alle sue vittime, mettendo in atto non singoli episodi abusanti, come sembra voler fare credere la sentenza, ma una vera e propria manipolazione per condurre i giovani dove lui vuole. Lo fanno in seminario, dunque si può fare, lo facciamo tutti qua e, dunque, si può fare.

Ne esce una generazione confusa che ha così tanto metabolizzato questa condotta abusante di Rugolo che, pur ammettendo che ci sono stati quegli atti, questi gesti, quei baci prolungati dietro l’orecchio, continua a pensare che fosse sempre e solamente uno scherzo.

Ne escono famiglie che hanno preferito tenersi i figli abusati, con quello che in termini di frustrazione questo comporta a lungo termine, piuttosto che ammettere che avevano strizzato l’occhio a rapporti omosessuali, seppure costretti.

La sentenza di Enna statuisce però l’importanza del danno collettivo prodotto da Rugolo, con il risarcimento concesso alle due associazioni ammesse come parti civili, la Cotulevi, contro tutte le violenze, e Rete l’Abuso.

Dovrà pagare la Curia in solido con il sacerdote. Viene anche sancita la pericolosità di Rugolo che viene interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori.

Per questo è significativa la condanna della Diocesi come responsabile civile e ancor più il suo atteggiamento processuale: nessun pentimento, nessuna parola per le vittime, piuttosto ancora battaglia a suon di ricorsi annunciati.

L’ultimo aspetto della sentenza che lascia pensare è che arriva tardi, nella diffusa consapevolezza che la prescrizione per i reati compiuti contro Antonio Messina dal 2009 al 2012 sarebbe maturata a novembre 2023, data per la quale era prevista la conclusione del processo.

I reati che ha denunciato con coraggio Antonio Messina ci sono stati, si sono consumati, ma si sono prescritti anche grazie a rinvii, perizie ed incarichi dati a dibattimento già in corso.

Fonte: Appunti, 22 maggio 2024 [QUI]

Indice – Caso Rugolo [QUI]

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