Papa Francesco a Verona: la missione è audace

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Oggi la visita pastorale di papa Francesco a Verona è iniziata nella Basilica di San Zeno, con l’incontro con i sacerdoti e i consacrati, soffermando la riflessione sulla chiamata e sulla missione, anche se in precedenza aveva fatto visita alle suore di clausura: “Ho voluto incominciare salutando queste donne, che sono le monache di clausura. Avete visto come erano tutte così? Perché nella clausura non si perde la gioia, c’è la gioia. E sono brave! Mai fanno chiacchiericcio, mai, sono brave. Grazie, sorelle!”

Mentre ai sacerdoti ha richiamato i temi della bellezza del cristianesimo: “E’ bello trovarci in questa Basilica romanica, una tra le più belle d’Italia, che ha ispirato anche poeti come Dante e Carducci. Ed essere qui insieme, il vescovo, preti, religiose e religiosi, e guardare questo splendido soffitto a carena ci fa sentire come dentro a una grande barca, e ci fa pensare al mistero della Chiesa, la barca del Signore che naviga nel mare della storia per portare a tutti la gioia del Vangelo.

Questa immagine evangelica ci ricorda almeno due cose sulle quali vorrei soffermarmi con voi: la prima è la chiamata, la chiamata ricevuta e sempre da accogliere; e la seconda è la missione, da compiere con audacia”.

All’inizio c’è sempre una ‘chiamata’ di Gesù: “All’inizio del suo ministero in Galilea, Gesù passa lungo la riva del lago e posa il suo sguardo su una barca e su due coppie di fratelli pescatori, i primi che gettano le reti e gli altri che le rassettano. Si avvicina e li chiama a seguirlo. Non dimentichiamo questo: all’origine della vita cristiana c’è l’esperienza dell’incontro con il Signore, che non dipende dai nostri meriti o dal nostro impegno, ma dall’amore con cui ci viene a cercare, bussando alla porta del nostro cuore e invitandoci a una relazione con Lui”.

All’inizio della vita consacrata esiste la Grazia: “Ancora di più, all’origine della vita consacrata e della vita sacerdotale, non ci siamo noi, i nostri doni o qualche merito speciale, ma c’è la chiamata sorprendente del Signore, il suo sguardo misericordioso che si è chinato su di noi e ci ha scelti per questo ministero, benché non siamo migliori degli altri, siamo peccatori come gli altri.

Questo, sorelle e fratelli, è pura grazia, pura grazia. Mi piace quello che sant’Agostino diceva: guarda da una parte e dall’altra, cerca il merito, e non troverai niente, soltanto grazia. E’ pura grazia, pura gratuità, un dono inatteso che apre il nostro cuore allo stupore davanti alla condiscendenza di Dio. La grazia provoca questo: lo stupore”.

Quindi è necessario accogliere questo dono di Dio: “Se smarriamo questa coscienza e questa memoria, rischiamo di mettere al centro noi stessi invece che il Signore; senza questa memoria rischiamo di agitarci attorno a progetti e attività che servono più alle nostre cause che a quella del Regno; rischiamo di vivere anche l’apostolato nella logica della promozione di noi stessi e della ricerca del consenso, cercando di fare carriera, e questo è bruttissimo, invece che spendere la vita per il Vangelo e per un servizio gratuito alla Chiesa”.

Tale accoglienza del dono significa educarsi alla pazienza: “Possiamo gettare la rete e attendere con fiducia. Questo ci salva, anche nei momenti più difficili; perciò ricordiamoci della chiamata, accogliamola ogni giorno, e restiamo con il Signore. Tutti noi sappiamo che ci sono momenti difficili, ci sono. Momenti di buio, momenti di desolazione… In questi momenti bui, ricordare la chiamata, la prima chiamata e da lì prendere forza”.

La pazienza è un invito alla missione: “E penso ancora al mare di Galilea, stavolta dopo la risurrezione di Gesù… Nei momenti della delusione, non fermarci, resistere. Resistere. Tante volte dimentichiamo questo: a nessuno di noi, quando abbiamo incominciato questa strada, il Signore ha detto che tutto sarebbe stato bello, confortante. No. La vita è di momenti di gioia, ma anche di momenti bui. Resistere. La capacità, il coraggio di andare avanti e il coraggio di resistere”.

Da qui nasce l’audacia: “L’audacia, l’audacia apostolica, è un dono che questa Chiesa conosce bene. Se c’è infatti una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi, è proprio quella di essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo. Grazie, grazie di questo. E questa intraprendenza evangelica, si tratta di un sigillo, che ha segnato la vostra storia: basti pensare all’impronta lasciata da tanti sacerdoti, religiosi e laici nell’Ottocento, che oggi possiamo venerare come Santi e Beati… Questa audacia di essere creativi per il popolo di Dio”.

Ed ha concluso, dopo aver citato i santi veronesi con un augurio: “Questo auguro a voi e alle vostre comunità: una ‘santità capace’, una fede viva che con carità audace semini il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana.

E se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore: dove c’è odio, che io metta amore, dove c’è l’odio che io sia capace di seminare amore… Sognatela così, Verona, come la città dell’amore, non solo nella letteratura, ma nella vita”.

Mentre, incontrando i bambini e le bambine, ha risposto alle loro domande ha sottolineato che anche loro possono essere ‘segni di pace’: “Gesù manda i discepoli, gli Apostoli e tutti noi a predicare nel mondo, certo… Ma la domanda è: noi adesso come possiamo essere segno di pace nel mondo? Voi sapete che in questo mondo, in questo momento il mondo è in guerra.

Sapete questo? Ci sono tante guerre, tante guerre, sia Ucraina, sia Terra Santa, nell’Africa, nel Myanmar… Tante, tante guerre… Dobbiamo essere un segno di pace, condividere, seminare il bene, ascoltare gli altri, giocare con gli altri, ma non litigare con gli altri… Diciamolo insieme: Dobbiamo essere un segno di pace! Insieme!”

(Foto: Santa Sede)