La regista Andrée Ruth Shammah ricorda Giovanni Testori

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Scrittore, drammaturgo, pittore, critico d’arte, poeta, regista, attore: questo era Giovanni Testori, uno dei più importanti intellettuali italiani del ‘900. Nato a Novate Milanese il 12 maggio 1923, già a 17 anni collaborava ad alcune riviste del GUF con articoli di critica d’arte. Dal 1952 è allievo prediletto del critico di arte, Roberto Longhi, e pubblica celebri scritti sull’arte del Cinque-Sei-Settecento lombardo-piemontese. Nel 1954 è la sua prima opera di narrativa: ‘Il dio di Roserio’. Seguirà poi il ciclo de ‘I Segreti di Milano’ e il primo esordio come drammaturgo al Piccolo Teatro di Milano, con ‘La Maria Brasca’ nel 1960. Gli anni ‘60 sono segnati dal sodalizio con Luchino Visconti e Testori raggiunge la notorietà presso il grande pubblico.

Con Franco Parenti, a partire dal 1972, porta in scena la ‘Trilogia degli Scarrozzanti’, dando vita, con Andrée Ruth Shammah al Salone Pier Lombardo. Nel 1977, la morte della madre dà inizio a una nuova fase della vita dello scrittore, segnata dal monologo ‘Conversazione con la morte’ e dalla collaborazione con il Teatro dell’Arca di Forlì. Gli anni ‘80 sono segnati dall’amicizia di Franco Branciaroli e del Teatro degli Incamminati, da lui fondato con Emanuele Banterle. Dalla metà degli anni ‘70, Testori aveva preso il posto di Pasolini come commentatore in prima pagina del ‘Corriere’ e dal 1978 è responsabile della pagina artistica. Dopo tre anni di malattia, Testori muore il 16 marzo 1993. Nel 2005 la città di Varallo ha intitolato alla sua memoria la piazza antistante il complesso monumentale del Sacro Monte, luogo prediletto dei suoi studi. Nel gennaio 2013 la Regione Lombardia ha deliberato di intitolare alla memoria di Testori l’auditorium di Palazzo Lombardia.

Quindi nel 1972 Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, con Giovanni Testori, Dante Isella e Gian Maurizio Fercioni, fondano il Salone Pier Lombardo, che diventa immediatamente un punto di riferimento di vitalità artistica e culturale per Milano, caratterizzandosi per un’idea di teatro proiettata sia verso le novità italiane e straniere, sia verso la rilettura dei classici in chiave contemporanea e che comprende un’intensa e diversificata attività di manifestazioni culturali, concerti, rassegne cinematografiche, conferenze, festival, presentazioni di novità editoriali. Spettacoli come la Trilogia di Testori (Ambleto-Macbetto-Edipus), Il malato immaginario, Il misantropo di Molière, I promessi sposi alla prova di Testori, interpretati da Franco Parenti e tutti con la regia di Andrée Ruth Shammah, fanno ormai parte della storia del teatro italiano.

Alla direttrice del Teatro Franco Parenti, la regista Andrée Ruth Shammah, abbiamo chiesto di spiegarci perché i suoi testi subivano censure: “Questa domanda ci permette di dire anche chi era Giovanni Testori. I suoi testi subivano censure perché Testori cercava nella provocazione di togliere la crosta alla realtà e di vedere dietro cosa era l’autenticità della partenza della provocazione, cioè cosa era che spingeva a provocare, cosa era la ferita della nascita, la ferita della non volontà di essere al mondo per essere stati concepiti. Lui urlava che fosse almeno un atto di amore questa goccia di sperma che entrava nella pancia della madre, che poi faceva nascere questo essere disperato alla ricerca di un senso, disperato alla ricerca di Dio, disperato alla ricerca di una possibile serenità e non paura della morte.

Dunque Testori era questo fiume di parole, fiume di colori e di pittura che metteva nei suoi quadri; questo eccesso di lingua che ridondava, che si gonfiava, che gli attori dovevano sempre urlare, che non poteva essere fatta con la normalità, diciamo, di un naturalismo, perché era sempre estremo; mai vicino alla realtà, ma sempre vicino alla verità. Queste provocazioni andavano alla ricerca. Ad esempio ‘L’Arialda’, tra tutti i suoi testi, ha subito la censura (a Milano c’è stata solo due giorni): Arialda aveva un fratello, che si chiamava Eros ed era un uomo che amava i ragazzi. Però l’urlo era per accettare un diverso, più che omosessualità l’identità di questo ragazzo… Io ho messo in scena lo spettacolo che era una provocazione in sé, ma la censura lo volle sospendere perché parlava di questo omosessuale”.

Poi ha tratteggiato Testori come critico d’arte: “Come critico d’arte è stato sempre rispettato ed osannato, perché è stato un grandissimo studioso della pittura, sopratutto lombarda, ed aveva un modo di guardare la pittura secondo la realtà, perché amava il realismo lombardo, da cui il critico d’arte scriveva in questo linguaggio ed anche sempre usava la pittura per parlare delle cose che amava e che odiava”.

Da questo tratteggio si può comprendere quale sguardo Testori aveva sulla realtà: “Era un uomo di grandi sentimenti e non di ‘mezze misure’: detestava ed insultava o aderiva e sposava. E’ stato anche un anarchico nel periodo in cui ci siamo conosciuti nel 1972, finché alla morte di sua madre ha trovato la dolcezza della Parola di Dio e da lì è stato considerato da Comunione e Liberazione un maestro. Ma aveva abbastanza urlato l’esigenza di incontrare Dio, anche con bestemmie violentissime, come nel testo ‘La cattedrale’, dove il protagonista era arrivato ai limiti del sopportabile. Anche da leggere era insopportabile, però non ha avuto censure. Dunque Testori era questo: un grande anarchico; poi è diventato un grande cattolico, autentico, perché aveva sofferto molto per arrivare lì. E’ morto con il sorriso sulla bocca e sereno.

Io sono stata ad uno degli ultimi incontri, che lui ha avuto, prima che entrasse il card. Martini, con il quale finalmente faceva la pace dopo anni di incomprensione, perché erano due cattolicesimi completamente diversi. Però posso dire che Testori non aveva paura di morire, perché era assolutamente convinto nella sua fede di entrare in un mondo che non era il nulla. Testori era tante contraddizioni insieme ed è per questo che la sua figura è ancora molto moderna e molto viva, in quanto è molto difficile rinchiudere Testori in un’etichetta: prima è stato un grande anarchico, poi un grande cattolico, un grande scrittore e critico d’arte; ha anche recitato qui i testi che scriveva; ha scritto poesie straordinarie: brevi, ma molto musicali, come ha detto la poetessa Alda Merini”.

Ci tratteggia anche il Testori come autore di testi cinematografici: “Conosco il Testori cinematografico, perché ho letto la prima versione dell’Amleto, quando stava scrivendo l’Ambleto. Visconti ha utilizzato alcuni suoi scritti, ma non so quanto lavorassero insieme; mi manca il tragitto che ha compiuto con ‘Rocco e i suoi fratelli’. So che è stato utilizzato, ma non so quanto lui lavorasse sulle sceneggiature”.

Poi ha raccontato un Testori familiare: “Non si stancava mai; non so quante cose faceva fin dal mattino, quando arrivava con il treno da Novate; anche se io l’ho conosciuto quando viveva a Milano in via Fatebenefratelli. Ho raccontato spesso i nostri incontri con l’Adele che veniva ad aprirmi ed a portarmi il caffè; lui mi chiedeva come stavano i miei genitori. L’unica persona che ha sempre chiesto come va la famiglia, che nel nostro ambiente non si fa mai!

Questa voglia di interrogare la realtà, spaccando la crosta, era una delle sue caratteristiche; certamente pensava con la sua testa e certamente rifiutava qualsiasi codice ed era scomodo per tutti: per la sinistra, per i cattolici, per gli omosessuali , perché non voleva essere riconosciuto come omosessuale. Odiava il fatto che i gay si proclamassero e cercassero di essere accettati. Lui pensava di sentire i suoi sensi di colpa, perché da cattolico voleva sentirsi in colpa e non voleva che gli togliessero i suoi sensi di colpa”.

Infine, la regista ci spiega perchè a 20 anni dalla sua morte, la cultura italiana sente molto la sua mancanza: “Perché sente la mancanza di tutto ciò che è generosità, totalità, ricchezza e non stitichezza. Eppoi lui amava la Lombardia, Milano e la sua cultura; questo gli permetteva di interpellare le altre parti di cultura e le altre arti. E’ come se lui avesse radici così profonde, che gli permettevano di dialogare con tutti dal suo punto di vista. Era difficile che lui non fosse lì; lì era la sua voce, lì erano i suoi occhi penetranti; lì era la sua scrittura, la sua dolcezza e la sua violenza. In quelle radici stava la sua verità… E ci manca molto!”.

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