Quinta domenica di Pasqua: Io sono la vite, voi i tralci    

Condividi su...

Dopo essersi definito ‘Buon Pastore’, Gesù utilizza un’altra immagine presa dal mondo dell’agricoltura: ‘Io sono la vite, voi i tralci’. Gesù si qualifica come la vera ‘vite’ ed identifica la sua Chiesa come ‘suoi tralci’. E’ una immagine assai significativa: la vite è il simbolo di benedizione, di felicità, di fecondità; è simbolo soprattutto di comunione. Nella Bibbia la vigna sta ad indicare Israele e le cure assidue ed affettuose di Dio per il suo popolo. La vite è una delle piante più tipiche della Palestina.

Il profeta Isaia celebra la fecondità di questa vigna (Is. 27,2-6), il profeta Ezechiele evidenzia le minacce di Dio contro la sua improduttività; l’apostolo Giovanni fa della vite e i tralci il simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa: un rapporto intimo ad indicare come Cristo Gesù e i discepoli costituiscono una unica realtà. E Gesù evidenzia: senza di me non potete far nulla. Tutto il nostro essere è da Dio, che è creatore e padre; l’uomo che pretende di fare a meno di Dio è come il tralcio separato dalla vite, la linfa vitale non passa, il tralcio subito secca e serve solo ad essere bruciato. Il tralcio è il prolungamento della vite: Io sono la vera vite, dice Gesù, il Padre mio è il vignaiuolo.

Nell’allegoria Gesù pone al primo posto il Padre perché tutto proviene dal Padre, siamo stati creati dal Padre, ritorneremo al Padre: la nostra permanenza sulla terra è provvisoria; creati da Dio, ritorneremo a Dio; ‘Siate pronti, diceva Gesù, con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa in mano’, perché non siamo cittadini della terra ma del cielo. Torneremo a Dio se abbiamo prodotto frutti di vita eterna: questi frutti saranno veri e validi se il tralcio rimane legato alla vite. Questo legame si mantiene e si alimenta solo amando perché Dio è amore; un amore non ideale ma concreto, che si estrinseca con atti concreti.

Amare Dio in senso concreto  è osservare i suoi comandamenti che si riassumono e si sintetizzano nell’amore  verso Dio ( i primi tre comandamenti) e nell’amore verso i fratelli (gli altri sette); un amore orizzontale e verticale: l’uno completa l’altro. Non rimane allora alcuna alternativa: se vogliamo produrre frutti di vero amore dobbiamo rimanere innestati a Cristo con la fede e con l’amore; vivere in vera comunione con i fratelli: allora e solo allora dimostriamo che Dio è veramente il nostro Padre. Da qui la necessità per il tralcio di rimanere legato alla Vite. Gesù insiste sul verbo ‘rimanere’, e lo ripete sette volte.

Questo ‘rimanere’ non è un ‘rimanere passivi’, un addormentarsi, ma un ‘rimanere attivi’ ed è reciproco: la vite ha bisogno del traccio per produrre e il tralcio ha bisogno della vite perché la linfa vitale possa scorrere e produrre  frutti. Il frutto è portare amore. Con il sacramento del Battesimo noi, che eravamo come olivastri selvatici, ci siamo inseriti ed innestati a Cristo per produrre frutti di vita eterna; è necessario allora rimanere legati alla vite, a Cristo Gesù, perché la grazia, questa linfa vitale che viene da Gesù, arrivi a noi e produciamo frutti di vita eterna.

Rimanere legati alla vite significa  attuare gli impegni assunti con il Battesimo, non andare via come il figliuolo prodigo, ma rimanere nell’amore di Dio. Quando è necessario il Padre pota questo tralcio per produrre di più e meglio; la nostra risposta deve essere una sola: ‘Padre, sia fatta la tua volontà’. Come cristiano non sei più una pianta selvatica ma un innesto; i frutti dell’innesto sono frutti di fede e di amore verso Dio e i fratelli.

Se vuoi pensare, agire solo secondo te, troverai solo te: creatura povera, debole, peccatrice, con te troverai  solo debolezze, meschinità, follie ed infelicità; se vuoi che Dio sia veramente tuo padre, allora non rompere mai i legami con Cristo Gesù: Fede ed Amore. Affidiamoci allora alla intercessione di Maria, la santa madre di Dio e nostra, che è rimasta sempre legata al suo Gesù ed ha portato frutti di vita eterna.

151.11.48.50