Mariapia Veladiano: il tempo è un dio breve, ma salvifico

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Quanto amore serve a salvare un amore? Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c’è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall’amore per il figlio che adora. Quando l’ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l’amore, di perdere il figlio.

Lo strazio per l’abbandono e soprattutto l’angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell’uomo. E’ la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell’incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un’attesa di eternità. Di un’altra vita e giorni nuovi.

Apprezzato molto il romanzo abbiamo contattato l’autrice, Mariapia Veladiano, laureata in Filosofia e Teologia, è preside a Rovereto. Collabora con Repubblica e con la rivista Il Regno, ed ha pubblicato ‘La vita accanto’ (ora anche in Francia), vincitore del Premio Calvino 2010, e secondo al Premio Strega 2011. Recentemente è uscito un piccolo giallo per ragazzi, ‘Messaggi da lontano’.

Innanzi tutto perché questo titolo? “I miei libri, e anche i racconti, nascono sempre con il loro titolo già bello definito. A volte nasce prima il titolo e il racconto quasi lo asseconda. In questo caso il titolo è arrivato subito, dopo i primi passi della storia. ‘Il tempo è un dio breve’ dice che la vita è preziosa, è il bene che noi abbiamo. Ed è sempre breve, anche quando la fine arriva carica di anni, perché la vita ha una sua promessa di eternità. Quel che siamo vuol essere per sempre, come l’amore. Non diciamo dell’amore: ‘Ti amo fino al 30 ottobre e poi basta’. Lo immaginiamo per sempre. Così la vita. Non possiamo immaginare la sua fine davvero. E’ certamente presente la fine, a volte, nella forma del sussulto da paura, di un mistero da attraversare. Ma non si fa immaginare la fine. Ci siamo, ecco”.

E’ un romanzo in cui c’è la presenza del dolore e del male. Come si sconfigge? “Il tempo è un dio breve è soprattutto un romanzo d’amore. Amore per un uomo, un bambino, la natura, la vita, Dio. La protagonista incontra il male, e chi non lo incontra nella vita? E vive l’esperienza devastante della paura. Quando il male ci tocca, nella forma dell’abbandono improvviso da parte di chi ci amava, come capita a Ildegarda, oppure di un tradimento, o di una malattia, quando il male ci tocca arriva la paura. Paura che tutto possa accadere. Ma la paura è ancora più potente dell’evento. Di fronte all’evento ciascuno di noi agisce. All’evento si fa fronte con tutte le energie.

Non si fa filosofia intanto che il mondo intorno a noi va a fuoco. Si fa tutto quel che si può. Ma la paura è più potente. Ci paralizza, ci impedisce di entrare nel fiume dei fatti, degli incontri. Ruba la vita prima che la abbiamo vissuta. Si rinuncia all’amore per paura di perderlo. Magari non capita più nulla, ma intanto la paura ci ha paralizzato. Ecco, credo che la paura sia potente quando siamo soli. La solitudine ne moltiplica la forza. Insieme la paura è nulla, dice Ildegarda ad un certo punto. E’ una esagerazione certamente. Ma sempre insieme la paura fa meno paura. E’ l’amore che sconfigge la paura. Per quel che possiamo”.

Perché la protagonista si chiama Ildegarda? “Amo i nomi ‘parlanti’. In generale credo che ad ascoltare le loro storie sempre o quasi i nostri nomi siano parlanti. Raccontano la storia di un santo, o un personaggio storico, o un bisnonno che i genitori hanno amato, a volte qualcuno che se n’è andato troppo presto. Ildegarda prende il nome dalla santa erborista del dodicesimo secolo. E’ un nome associato a una donna forte, combattente, dalla libertà inaudita per l’epoca. Era colta, determinata, sapeva il potere delle erbe, ha scritto di teologia.

I suoi scritti sono intrisi di fede che passa attraverso una fisicità potente. Santa Ildegarda aveva trovato questo modo suo proprio di amare gli uomini e di servire Dio: la cura del corpo malato. Curava con le erbe le malattie del corpo, guariva il corpo e questo era segno della potenza buona di Dio nel mondo. Bellissima figura. La protagonista del romanzo è a sua volta una donna combattente e nella sua storia c’è un percorso di amore e di consapevolezza della vita che passa attraverso il corpo, la passione fisica”.

I riferimenti del libro sono soprattutto teologici. Qual è la presenza di Dio nel libro? “Nelle prime pagine Ildegarda si dichiara credente. Ma le parole che usa per dirlo sono queste: ‘Io ho conosciuto Dio, la presenza e l’assenza’. Ecco. Dio c’è nel libro, è tutto nell’interrogare di Ildegarda che però avviene dalla sponda della nostra comune umanità, non dall’interno di un fortino ben protetto da una fede piena di risposte già date a domande ben diluite e depotenziate. E’ un interrogare Dio che tace, e la risposta che Ildegarda troverà sarà una risposta condivisibile con tutti gli uomini e le donne. Credenti o no”.

Nonostante tutto nel libro la salvezza arriva dall’amore che rigenera la vita? “Il libro è stato letto da molti ragazzi di quinta superiore, insieme ai loro insegnanti. E quando li incontro spesso mi chiedono: ‘Ma allora, l’amore salva o no le nostre vite?’ E io rispondo che non sempre questo accade, oppure non sempre noi lo vediamo accadere. Però davvero noi qui non abbiamo di meglio. E amare in ogni caso rende le il mondo migliore e le nostre vite più belle, semplicemente”.

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