Candeggina nell’acqua e nel vino della Messa per intimidire il parroco calabrese, che risponde: “La mia vendetta si chiama amore”

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.02.2024 – Vik van Brantegem] – I parroci calabresi continuano a ricevere minacce e intimidazioni con inquietanti ed inequivocabili “messaggi”. Poche settimane abbiamo riferito dell’aggressione e dell’auto incendiata a Don Gianni Rigoli, Parroco di Santo Stefano e di San Nicola in Varapodio, piccolo centro tra Taurianova e l’Aspromonte, della città metropolitana di Reggio Calabria, Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi [QUI]) e dell’auto danneggiata, dopo le minacce e lettere intimidatorie, che coinvolgevano anche il Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Mons. Attilio Nostro, inviate a Don Felice Palamara, OSC, Parroco di San Nicola in Pannaconi, frazione di Cessaniti in provincia di Vibo Valentia, Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea [QUI].

Le intimidazioni nei confronti dei parroci calabresi sono cresciute negli ultimi giorni, perché Don Gianni Rigoli e Don Felice Palamara (nella foto sopra) non sono gli unici sacerdoti calabresi a subire atti intimidatori. Solo nei giorni scorsi, Don Francesco Pontoriero, Parroco di San Basilio Magno a Cessaniti, ha ricevuto a sua volta delle intimidazioni: prima una lettera con esplicite minacce di morte e una lama affilata allegata. Poi un gatto morto lasciato sul cofano della sua auto con un nuovo biglietto minaccioso.
Poi, sabato si è alzato il tiro contro i sacerdoti calabresi, con la violenza che è diventa ora fisica e diretta, con un nuovo tentativo di intimidazione ai danni di Don Palamara. Mentre celebrava la Santa Messa prefestiva, si è accorto dall’odore che nelle ampolle dell’acqua e del vino era stata versata della candeggina. Un gesto gravissimo, soprattutto per lui che soffre di asma ed è cardiopatico. Ha interrotto la Celebrazione Eucaristica e ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine, che ora stanno raccogliendo in particolare le immagini di alcune telecamere per individuare chi nella mattinata è entrato in chiesa per manomettere le ampolline.
«Sono certo che questa intimidazione non sia opera dei miei parrocchiani. Sono qui da dieci anni e con la gente del posto ho sempre avuto un rapporto di affetto reciproco», ha commentato Don Palamara. «Non permetteremo a nessuno di fare del male al nostro parroco. Nessuno potrà fermare un Paese che vuole e merita riscatto e che vuole crescere», è stata la voce della comunità, con tante espressioni di solidarietà da parte della gente comune.
Per la Gazzetta del Sud, Cessaniti è ormai una “polveriera” dove si rispira un clima di tensione e paura. Il Comune di Cessaniti, nell’entroterra vibonese, è stato commissariato nell’agosto 2023 dopo le dimissioni del Sindaco, visto che erano emersi possibili condizionamenti mafiosi nell’ambito dell’amministrazione comunale. Da allora le intimidazioni si sono ripetute, soprattutto nei confronti dei sacerdoti. Ma le minacce in Paese non riguardano solo il parroco, ma anche altre persone. Dopo l’intimidazione rivolta nelle scorse settimane ad una dottoressa della Guardia medica, una lettera anonima contenente insulti e minacce è stata spedita anche all’operatrice culturale Romina Candela, Presidente dell’associazione Crisalide, che ha subito denunciato l’episodio ai carabinieri consegnando la lettera. Candela, che è impegnata da tempo non solo nell’ambito culturale ma anche in quello sociale, rivolgendosi ai mittenti della lettera, ha dichiarato: «Non ho paura – vado avanti perché sono libera, e voi no».
Anche Don Palamara non si fa intimorire e poco dopo le mezzanotte di ieri, domenica 25 febbraio, ha commentato sui propri canali social con l’immagine – che abbiamo riportato in copertina, il Gesù crocifisso di Guido Reni, conservato nella Galleria Estense di Modena, che è «una fra le opere più celebrate che abbia eseguito», ha detto il pittore, tanto che secondo Luigi Lanzi guardando il volto di Cristo «par bella la morte stessa» – accompagnata dal testo che segue: «La mia vendetta si chiama amore, il mio scudo perdono, la mia armatura misericordia. Il mio agire sarà l’accoglienza, la mia parola la preghiera, il mio gesto un cuore aperto, la mia battaglia il loro cambiamento. Non mi soffermo agli ostacoli, né mi lascerò impaurire dal buio, perché al di là di tutto chiunque sia, qualsiasi cosa è stata fatta per me è, e rimane quel fratello solamente d’amare, anche se la giustizia dovrà fare il suo corso».
Poi, accompagnato da un’altra immagine del Crocifisso, domenica tardi ha pubblicato un altro testo: «Con l’amore combattiamo l’odio. Se pur stanco, amareggiato nel vedere tanto odio, non mi arrendo, né mi nascondo, perché più di prima continuo: ad alzare la bandiera dell’amore, ad indossare l’abito della misericordia, vendicandomi solamente con il perdono, fidandomi della giustizia. Non mi farò vincere dalle tenebre, dal buio, dall’odio, ma continuerò ad amare, perché l’amore vince, ti rende libero, facendoti camminare senza paura in mezzo a lupi rapaci. Non posso non amare, non perdonare, perché Gesù sulla croce continua ad essermi maestro amandomi, perdonandomi, aprendo anche per me il suo cuore oceano di misericordia».
Dopo il nuovo episodio, il Vescovo Attilio Nostro si è recato a Pannaconi con le forze dell’ordine e subito dopo ha precisato in una nota: «La Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea sta vivendo un momento di sofferenza a causa di atti intimidatori che nulla hanno a che fare con la normale vita cristiana delle parrocchie. Per questo mi appello nuovamente alle comunità cristiane perché non si lascino scoraggiare da questo linguaggio di violenza. Non dobbiamo cedere a questa logica, facendoci tentare dallo sconforto e dalla rabbia. Non possiamo accettare questo linguaggio, non dobbiamo rispondere all’odio con odio, sapendo che non è possibile dialogare davvero con chi si rifiuta di farlo. Ringrazio di cuore le forze dell’ordine per la professionalità con la quale ci stanno aiutando e sostenendo in questo momento umanamente difficile, e anch’io continuerò a garantire ai miei sacerdoti la mia costante presenza perché possano svolgere il proprio prezioso servizio in favore del Popolo di Dio».
Intanto, ripetiamo la nostra domanda, se per la Santa Sede le priorità continuano a restare altre [QUI]. Nel 2021, l’house organ della Santa Sede Vatican News aveva dato ampio risalto al fatto che in Vaticano era al lavoro il Gruppo sulla “scomunica alle mafie”. Della commissione, creata nel Dicastero per lo Sviluppo Umano, facevano parte Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera; l’ex Procuratore capo di Roma, Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone; l’officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Prof. Vittorio V. Alberti, coordinatore; l’Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi; l’ex Presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi; il docente della Pontificia università Lateranense, Don Marcello Cozzi; l’Ispettore generale dei Cappellani delle carceri, Don Raffaele Grimaldi; l’officiale del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Ioan Alexandru Pop. Il coordinatore Vittorio V. Alberti aveva spiegato a Vatican News: “Vogliamo sia chiaro che non è possibile appartenere alle mafie e far parte della Chiesa” [QUI]. Alcuni giorni dopo, Vatican News aveva ripetuto la notizia che presso il Dicastero per lo Sviluppo Umano era stato creato il Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie” [QUI]. Un anno dopo, il 24 gennaio 2022, Vatican News aveva messo in risalto che su Chiesa e mafie, si sarebbe svolto il convegno internazionale promosso dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale [QUI].
Poi, con il 2023 era arrivata una notizia, che appariva difficile a credere che fosse vera e incomprensibile. Risulta comunque totalmente inaccettabile, che la Santa Sede ha bloccato il documento “sulla scomunica ai mafiosi” perché “le priorità sono altre”. Che un Gruppo di lavoro “sulla scomunica ai mafiosi” era stato costituito per volontà di Papa Francesco dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale presieduto dal Cardinale Peter Turkson, fu annunciato Il 9 maggio 2021, nel giorno della beatificazione di Rosario Livatino, il giudice siciliano ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Poi, tra le tante commissioni di questo pontificato, propria questa risulta essere “non prioritaria”. Il ripensamento dopo il cambio di guida al Dicastero, affidato al Cardinale gesuita Michael Czerny.