Papa Francesco, Graziella Viterbi e gli ebrei rifugiati che la Chiesa salvò ad Assisi
“Grazie per quello che la Chiesa ha fatto per noi”. Graziella Viterbi lo ha voluto dire personalmente a Papa Francesco. Graziella Viterbi è l’ultima sopravvissuta dei 200 ebrei che furono salvati dalle persecuzioni razziali. Lì, nella Sala della Spoliazione dove ha potuto salutare il Papa per due volte, all’entrata e all’uscita, la Chiesa di Assisi aveva raccolto i rifugiati ebrei. Graziella Viterbi, ultima superstite di quel gruppo di ebrei, non poteva non essere presente nel giorno in cui Papa Francesco, primo Papa in 800 anni, come ha ricordato il vescovo Sorrentino, faceva tappa nella Sala della Spoliazione.
“Shalom”. “Shalom”. Il primo saluto tra Papa Francesco e Graziella Viterbi è il saluto di pace. Si incrociano quando Francesco fa il suo ingresso nella Sala della Spoliazione. Graziella Viterbi non vive più ad Assisi. Ma lì si sente a casa. Vi ha trascorso gli anni dell’adolescenza e della giovinezza. Si è trasferita a Roma negli Anni Settanta, ma è sempre tornata ad Assisi nei periodi di festa e per le vacanze estive.
Abitava in piazza Santa Chiara, al numero 11. Il padre, Emilio Viterbi, era un accademico dell’università di Padova, molto stimato. Ma a 52 anni le leggi razziali lo avevano spogliato di tutto: perse la cattedra universitaria, gli amici, e infine anche la città dove viveva, Padova. Aveva deciso di andare ad Assisi, verso la linea del fronte, verso la “liberazione”. Era il 1943.
Arrivarono in migliaia, ad Assisi, tra il 1943 e il 1944. Tra loro molti ebrei, che fecero la vita degli altri sfollati. In pochissimi sapevano della loro presenza, quasi nessuno.
La storia degli ebrei di Assisi inizia molto prima della liberazione del 17 giugno 1944, quando il suo Vescovo Monsignor Giuseppe Placido Nicolini, con il giovane segretario Padre Aldo Brunacci, con Padre Rufino Nicacci, guardiano di San Damiano e il santuarista del Sacro Convento Michele Todde, costituiscono una rete di assistenza clandestina per salvarli dai nazisti.
I religiosi arrivano ad avere contatti anche a Firenze e a Genova. Forse Gino Bartali, da poco proclamato “Giusto tra le nazioni” faceva la staffetta proprio per questa rete. E queste rete salva oltre 300 ebrei, nascondendoli tra le centinaia di sfollati e travestendoli da frati e suore nei conventi e nei monasteri, soprattutto quelli femminili di clausura, come quello delle Clarisse. Prima di allora Assisi non aveva mai avuto una comunità ebraica.
In una intervista a Terrasanta.net, Graziella Viterbi ha descritto il vescovo Nicolini come “l’incarnazione dell’innocenza. Conservava lui le carte di identità autentiche di tutti noi (ebrei nascosti ad Assisi). Le teneva in una nicchia nel muro sopra la sua scrivania, al riparo d’una tendina”.
Oltre a Nicolini, Brunacci e Rufini, sapevano anche i tipografi Luigi e Trento Brizi, comunisti, incaricati di stampare i documenti falsi. E sapeva della presenza degli ebrei anche il podestà Arnaldo Fortini, che prese alla famiglia Viterbi tutti gli oggetti religiosi che li potevano identificare e li nascose nel suo giardino. Aveva forse capito anche il colonnello tedesco Valentin Mueller. Che però non fece ulteriori indagini, lasciò andare la questione. Ad Assisi è ricordato ancora con affetto, come un personaggio positivissimo.
La storia del salvataggio degli ebrei ad Assisi è stata ricordata anche dal vescovo Sorrentino, nell’indirizzo di saluto a Papa Francesco. “Questo vescovado – ha detto Sorrentino – sulle tracce di una “vocazione” suscitata dello Spirito, non solo “accolse” Francesco attraverso il vescovo Guido. Un altro vescovo, Mons. Giuseppe Placido Nicolini , accolse e salvò qui molti ebrei braccati dalla folle ideologia della razza”.
Graziella Viterbi era lì a ricordarlo. Per due volte i suoi occhi si sono incrociati con quelli di Papa Francesco. E al suo grazie, Papa Francesco ha risposto: “Grazie a lei. Preghi per me”.