Spontaneità e estemporaneità destinati a causare reali difficoltà. La verità sacrificata sull’altare dell’ipocrisia
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.01.2024 – Vik van Brantegem] – Oggi, 24 gennaio memoria liturgica di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori della comunicazione, faccio una riflessione sulla professione del comunicatore che è anche la mia, in questi mala tempora currunt sed peiora parantur. La vera battaglia nei cattivi tempi che corrono mentre dei peggiori incalzano, è per la Verità. Gli antichi romani ricorrevano a quest’espressione per esprimere difficoltà nel presente, prevedendone in futuro altre. Valeva anche come esortazione a prenderne atto e fare il possibile per invertire la rotta. Noi ne abbiamo preso atto da molto tempo: il tema della pagina Facebook di Korazym.org è Testimonium perhibere veritati (Rendere testimonianza della verità, che è significativamente anche il motto dell’Arcivescovo Georg Gänswein) e in testa alla Home page di Korazym.org campeggia l’hashtag #restiamoliberi. Perché senza la Libertà non è possibile rendere testimonianza della Verità. E invertire la rotta.
Le persone non possono cambiare la verità, ma la verità può cambiare le persone. La scrittrice canadese Leslie C. Dobson ha osservato in uno scritto qualche anno fa, che la verità non cambia mai, mentre le persone cambiano continuamente, perché fa parte della loro natura. Quindi, puoi essere certo che molte persone cambiano in continuazione il loro aspetto, le loro idee. Anche i tempi cambiano, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio. Viene chiamato evoluzione (che non è sempre anche progresso). Gli eventi determinano il cambiamento nel mondo, il modo in cui si vive e i in cui vengono formate le opinioni delle persone. Poche cose nei tempi non cambiano.
Ma Dio non cambia. E Dio, che è Colui che È, è la Verità e, quindi, la Verità non può cambiare. Rimane sempre la verità, così come Dio rimane sempre Dio. È possibile provare a cambiare la narrazione, per nascondere o falsare la verità che diventa falsità, ma ciò non cambierà i fatti. I fatti rimangono sempre veri e non vacillano. Potrebbero esserci ulteriori fatti da presentare, ma la verità non cambierà con essi.
Questo è il motivo per cui – quanto le persone cercano di nascondere la verità, di mentire o di eluderla – la verità viene sempre è galla. È estremamente difficile mantenere una menzogna. Le menzogne divorano i bugiardi dall’interno. Quando mentono, sanno dentro di loro qual è la verità. E la verità non cambierà neanche se riescono a farla franca con la loro menzogna. Dovranno sempre mantenere e ricordare la menzogna, il che non è molto difficile. Sì, molte cose nella vita cambiano, ma la verità non cambia mai.
Me lo insegno, quasi cinquant’anni fa, il Fondatore di Aiuto alla Chiese che Soffre, di cui sono stato Portavoce e Direttore del Servizio Internazionale di Informazione a Tongerlo in Belgio e Königstein in Germania: «Mai dire bugie, perché è peccato. Però, quando sei costretto a dire bugie, dirne poche, perché dovrai ricordarle tutte sempre, perché non dovrai mai contradirti». Sembrava cinico, da parte di un prete, ma era una lezione di vita che non ho mai dimenticato e chi mi è stato utile anche nella mia carriera di comunicatore.
Questa introduzione per ricordare, che abbiamo riferito [QUI] dell’Udienza concesso da Papa Francesco a 150 tra i Membri dell’Associazione Internazionale dei Giornalisti Accreditati in Vaticano (AIGAV), per mandare loro un messaggio inequivocabile, con un discorso [QUI] da qui abbiamo riportato alcuni passi rilevanti, commentandoli.
In particolare, ci siamo fermati sul singolare ringraziamento estemporaneo, che il Papa ha rivolto ai vaticanisti per la loro “riservatezza”: «Vorrei aggiungere la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali nella Chiesa: ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, “vergognoso” [intende “pudico”]: grazie di questo atteggiamento».
Riportiamo di seguito il commento che abbiamo pubblicato al riguardo, seguito dalle osservazioni di Phil Lawler dal titolo Quando Papa Francesco esce dal copione, pubblicati su Cathlic Culture del 23 gennaio 2024.
Con quella aggiunta a braccia al discorso ufficiale, chiaramente preparato dalla Segreteria di Stato (quindi ben ponderato), si è registrato l’ennesimo fatto preoccupante in questo insolito pontificato. Un velato invito, che sottintende per i vaticanisti che vogliono mantenersi l’accreditamento privilegiato, di attenersi a questo “delicato” e “discreto” suggerimento papale. ci ha fatto pensare al “non expedit” (non conviene), un’espressione che venne utilizzata, in un altro contesto, per la prima volta dalla Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, il 30 gennaio 1868. Non conviene, non è conveniente per i vaticanisti accreditati (“embedded” è detto nel gergo inglese, per non perdere i privilegi, connessi all’essere “delicati”), rompere il silenzio su tanti scandali, se questo non è gradito a colui che dice di apprezzare la “delicatezza grande”, pensando a “pudicizia”, ma in una sorte di lapsus parlando di “vergogna”, che è quello che è. Altro che “delicatezza”. Da tempo il silenzio stampa è calato e tutto il mondo dei “vaticanisti” si è incredibilmente omologato all’oscurità, perché si sa che ”altrimenti ti sanzionano” (Franca Giansoldati dixit).
Scrive oggi Andrea Gagliarducci sul suo blog Vatican Reporting (un testo che poi in un articolo successivo rilancerò): «Noi oggi facciamo molti discorsi tecnici sull’essere giornalista, e anche Papa Francesco, ricevendo l’Associazione Internazionale di Giornalisti Accreditati presso il Vaticano (AIGAV) ha parlato di una “delicatezza” nel trattare gli scandali, ringraziando. Ma la delicatezza non può funzionare se è fine a se stessa, se è frutto di un calcolo che prevede il non dire per non essere sanzionati, il non dire per evitare problemi, il non dire per ottenere qualche vantaggio dopo. La delicatezza funziona se fatta per amore e con amore, se le considerazioni che portano a questa delicatezza sono scevre dall’idea di vantaggi personali, ma sono a favore della veridicità e della notizia.
Spesso, oggi, viene scambiata una critica per un attacco personale, un ragionamento ampio per un atto di disubbidienza, un rilievo critico per un atto di lesa maestà. Eppure, se davvero sappiamo essere autentici e interiormente liberi, sappiamo che una critica non è un atto di disubbidienza o di mancato amore, e che non sempre le critiche sono frutto di pregiudizi».
Dal momento di quelle frasi estemporanei rivolte ai vaticanisti, termini irritanti e fastidiosi come “censura” o “omertà” possono essere sostituiti come sinonimi da parole come “riservatezza” o “delicatezza”, proprio come accade per gli scandali degli abusi sessuali su minori e adulti vulnerabili addolciti dal “romanticismo” con cui si indirizza la comunicazione cattolica ad affrontare gli scandali della pedofilia e delle violenze sessuali di religiosi e laici nella Chiesa Cattolica Romana.
Ribadiamo con fermezza, che il primo compito di chi opera nel mondo della comunicazione è la verità in tutte le sue forme. Con lo scopo precipuo che la verità va cercata, trovata e divulgata. Chi tace è complice.
Gli unici che si sono mossi a smascherare i falsari nel caso Becciu [QUI], sono stati Feltri e la sua squadra di Libero Quotidiano. È stato Minoli con la sola Radio Rai più isolata che mai. Sono stati loro, che certo non possiamo definire proprio vaticanisti, ma sicuramente giornalisti attenti e coraggiosi. È stata la Scaraffia, l’unica luce che splende nelle tenebre della comunicazione vaticana, ma a lei il coraggio non è mai mancato. Il coraggio di andarsene in tempi non sospetti, quando ha trovato grandi ostacoli nel suo lavoro a L’Osservatore Romano [QUI e QUI].
Oggi più che mai bisogna dire e scrivere la verità, anche se così facendo si toccano i fili dell’alta tensione. L’unico patto che il giornalista e il comunicatore devono fare, è un patto con la propria coscienza rispetto alla verità oggettiva. Ma sappiamo bene che il compito più difficile nella ricerca della verità non è solo la ricerca della stessa, ma soprattutto – una volta che la verità è stata trovata – il valore aggiunto è che questa verità venga divulgata in modo incontrovertibile.
Abbiamo già in passato rivolto la nostra attenzione ai giornalisti, in particolare ai vaticanisti (Cosa siete venuti a fare i giornalisti in vaticano?) [QUI, QUI e QUI]. Li abbiamo esortati a cercare e a divulgare la verità senza la paura di essere sanzionati, senza la paura di essere esclusi per un onesto lavoro da un volo papale. Se non ora quando? Oggi più che mai bisogna scriverla la verità, anche se così facendo si toccano i fili dell’alta tensione. Nessun Papa escluderà un giornalista che onestamente divulgherà la verità anche se scomoda. Non è mai troppo tardi per fare chiasso. Quel chiasso di verità che Roma ha sentito e mai dimenticherà.
Papa Francesco stesso ha detto in diverse occasioni, che prende delle decisioni sull’altare dell’ipocrisia, facendosi guidare sull’aria che tira nell’opinione pubblica e nei media. «Che cos’è l’ipocrisia?», si è chiesto lui stesso, il 25 agosto 2021: è vivere con «una maschera sul volto» e non avere «il coraggio di confrontarsi con la verità. È truccarsi l’anima» [QUI]. Gesù ha detto: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37). E dal maligno viene anche l’operazione di distrazione di massa, con la benevolente (e benedicente) “delicatezza” e “riservatezza” degli operatori dei media embedded.
Infine, è significativo che i social dei vaticanisti sono pieni di foto autocelebrativi, peggio delle tifoserie calcistiche, ma silenzio assordante sulle parole (e l’avvertimento) rivolte loro dal Papa. Essendo in fondo di indole buono, immagino che è un “silenzio vergognoso/imbarazzato” (come scrive Phil Lawler). Ma dimenticando di essere buono per un momento, provo di immaginare cosa sarebbe successo se per esempio il Presidente della Repubblica italiana o degli Stati Uniti d’America avessero rivolto quelle parole ai giornalisti presso il Quirinale o la Casa Bianca.
Quando Papa Francesco esce dal copione
di Phil Lawler
Cathlic Culture, 23 gennaio 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Quando era Arcivescovo di Buenos Aires, l’allora Cardinale Jorge Bergoglio declinò la richiesta di un giornalista per un’intervista approfondita. Ha spiegato che non si sentiva a suo agio nell’esprimersi sotto forma di intervista; suggerì che chiunque volesse comprendere il suo pensiero sarebbe stato meglio servito leggendo le sue opere scritte.
Ma è successo molto tempo fa. Dalla sua elezione nel 2013, Papa Francesco non ha mostrato alcuna avversione per le conversazioni non scritte. È sicuramente il pontefice più intervistato della storia, con decine di conversazioni approfondite pubblicate durante il suo pontificato. Oltre alle interviste formali apparse su giornali e riviste, si è impegnato in scambi di domande e risposte con tutti i tipi di pubblico. Infatti i viaggi papali fuori dell’Italia ora includono abitualmente una sessione di domande e risposte con i membri della comunità gesuita locale.
Alcune delle dichiarazioni più memorabili – e controverse – del Papa sono arrivate durante questi scambi estemporanei. Le sue incontro con i giornalisti in volo durante i viaggi fuori dell’Italia hanno prodotto molti titoli sensazionali. Le sue numerose conversazioni amichevoli con il defunto Eugenio Scalfari – che il giornalista ateo ha riprodotto a memoria, senza il beneficio di una trascrizione o di una registrazione – hanno ripetutamente mandato la Sala Stampa della Santa Sede in modalità di controllo dei danni. Forse l’affermazione più famosa di tutto il suo pontificato è stata la risposta alla domanda di un giornalista: “Chi sono io per giudicare?”
Di solito, quando un Papa – qualsiasi Papa – fa una dichiarazione da mettere agli atti, parla sulla base di un testo già preparato. Con innumerevoli migliaia di persone che leggono le sue parole, la precisione è importante; la spontaneità può essere imprudente.
La spontaneità è, tuttavia, un tratto distintivo del suo pontificato, e Papa Francesco non si lascia scoraggiare dal furore che ha suscitato con le sue incontrollate osservazioni pubbliche. Del resto quando scrive, spesso scrive in modo impulsivo. I funzionari della Santa Sede lamentano di essere stati colti di sorpresa da importanti annunci, emessi senza consultazione. Anche nel suo ruolo di legislatore canonico può essere frettoloso. Andrea Gagliarducci osserva [QUI], che ha emesso ben 70 Motu proprio, integrando o modificando il diritto canonico, nel suo decennio sul Soglio di Pietro. In diversi casi, un Motu proprio ha corretto le sviste di un altro.
Tutti noi siamo soggetti a errori quando parliamo troppo velocemente. La maggior parte di noi, fortunatamente, non dipende molto da ciò che diciamo. A Buenos Aires, il Cardinal Bergoglio avrebbe potuto parlare a braccio senza suscitare più di qualche sussulto di curiosità. A Roma, sotto il costante controllo della stampa, le cose sono ben diverse.
E questa settimana, è stato durante un’udienza privata con i membri dell’Associazione Internazionale dei Giornalisti Accreditati in Vaticano, che il Papa ha rilasciato la sua ultima citazione strabiliante. Di sicuro, è arrivato quando ha messo da parte le sue osservazioni preparate e ha ringraziato i giornalisti riuniti per “la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali della Chiesa”.
Cosa intendeva il Pontefice per “delicatezza” nella copertura degli scandali? Ha spiegato che «ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, “vergognoso”». (Qui “vergogna” potrebbe essere meglio tradotto come “imbarazzato”.)
In questo contesto, il Papa ha ringraziato i giornalisti per non aver approfondito i dettagli più squallidi degli scandali. Ed è importante tenere presente che non tutti i Paesi hanno visto la stessa saturazione di copertura dello scandalo degli abusi sessuali che i media americani hanno fornito negli ultimi vent’anni. Tuttavia i commenti del Papa – come tanti dei suoi commenti fuori copione – sono destinati a causargli delle reali difficoltà.
In primo luogo, Papa Francesco sembra incoraggiare i giornalisti a NON riferire sugli scandali vaticani. Quel messaggio – che sia stato trasmesso intenzionalmente o meno – è diverso a 180 gradi dall’impegno spesso dichiarato dal Papa per la trasparenza e la piena divulgazione.
In secondo luogo, il Papa sembra ringraziare i giornalisti accreditati – il cui lavoro richiede un accesso costante ai funzionari della Santa Sede – per aver mantenuto un discreto silenzio riguardo agli scandali.
Riconosce forse implicitamente che finora i giornalisti non hanno messo in discussione in modo aggressivo il suo coinvolgimento personale nell’affare Zanchetta, nello scandalo Rupnik, nel fiasco immobiliare londinese? Potrebbe anche suggerire che durante il resto di questo pontificato, i giornalisti che trattano queste questioni con “delicatezza” e forse anche con “silenzio vergognoso/imbarazzato” saranno trattati con favore?
Ecco un’altra cosa che abbiamo imparato durante questo pontificato: quando Papa Francesco esce dal copione, né lui né la Sala Stampa della Santa Sede si preoccupano di chiarire. Quindi le questioni persistono.
«Nel paese della bugia,
la verità è una malattia.
Non ha vaccino, non ha cura
e neanche a metri si misura;
la verità è presagio solo di buona sorte
e ai bugiardi non rimane
che tenersi il naso lungo o le gambe corte»
(Gianni Rodari).