Non expedit. La ragione umile, basata su fallibilismo e umiltà epistemica, quella sconosciuta

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.01.2024 – Vik van Brantegem] – Questa mattina alle ore 08.00 il Santo Padre Francesco ha ricevuto per un’ora in Udienza nel Palazzo Apostolico Vaticano 150 tra i Membri dell’Associazione Internazionale dei Giornalisti Accreditati presso il Vaticano (AIGAV). Prima di salutarli uno a uno (con foto), ha rivolto loro un discorso [QUI], da qui riportiamo alcuni passi rilevanti.


Dice il Papa: «(…) Essere giornalista è una vocazione, un po’ come quella del medico, che sceglie di amare l’umanità curandone le malattie. Così, in un certo senso, fa il giornalista, che sceglie di toccare con mano le ferite della società e del mondo. È una chiamata che nasce da giovani e che porta a capire, a mettere in luce, a raccontare. Vi auguro di tornare alle radici di questa vocazione, di farne memoria, di ricordare la chiamata che vi unisce in un compito così importante. Quanto bisogno di conoscere e di raccontare da una parte, e quanta necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità dall’altra! (…).
Il nostro incontro è un’occasione per riflettere sul faticoso mestiere di vaticanista nel raccontare il cammino della Chiesa, nel costruire ponti di conoscenza e di comunicazione invece che solchi di divisione e di diffidenza (cfr S. GIOVANNI XXIII, Discorso ai giornalisti in occasione del consiglio nazionale della federazione stampa italiana, 22 febbraio 1963).
(…) Nonostante le difficoltà (…): amare l’uomo, imparare l’umiltà.
San Paolo VI, appena eletto, nei mesi che precedevano la ripresa del Concilio, invitò i giornalisti che seguivano le vicende vaticane a immergersi nella natura e nello spirito dei fatti ai quali dedicavano il loro servizio. Esso – disse – “non dev’essere guidato, come talora accade, dai criteri che classificano le cose della Chiesa secondo categorie profane e politiche, le quali non si addicono alle cose stesse, anzi spesso le deformano, ma deve tener conto di ciò che veramente informa la vita della Chiesa, e cioè le sue finalità religiose e morali e le sue caratteristiche qualità spirituali” (Discorso ai rappresentanti della stampa)».

A braccia il Papa ringrazia i vaticanisti per la loro “riservatezza”: «Vorrei aggiungere la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali nella Chiesa: ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, “vergognoso” [intende “pudico”]: grazie di questo atteggiamento».

Con questa aggiunta al discorso ufficiale (chiaramente preparato dalla Segreteria di Stato) si è registrato l’ennesimo fatto preoccupante in questo insolito pontificato. Un velato invito, che sottintende per i vaticanisti che vogliono mantenersi l’accreditamento privilegiato, di attenersi a questo “delicato” e “discreto” suggerimento papale. ci ha fatto pensare al “non expedit” (non conviene), un’espressione che venne utilizzata, in un altro contesto, per la prima volta dalla Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, il 30 gennaio 1868. Non conviene, non è conveniente per i vaticanisti accreditati (“embedded” è detto nel gergo inglese, per non perdere i privilegi, connessi all’essere “delicati”), rompere il silenzio su tanti scandali, se questo non è gradito a colui che dice di apprezzare la “delicatezza grande”, pensando a “pudicizia”, ma in una sorte di lapsus parlando di “vergogna”, che è quello che è. Altro che “delicatezza”. Da tempo il silenzio stampa è calato e tutto il mondo dei “vaticanisti” si è incredibilmente omologato all’oscurità, perché si sa che ”altrimenti ti sanzionano” (Franca Giansoldati dixit).

Da questo momento termini irritanti e fastidiosi come “censura” o “omertà” possono essere sostituiti come sinonimi da parole come “riservatezza” o “delicatezza”, proprio come accade per gli scandali degli abusi sessuali su minori e adulti vulnerabili addolciti dal “romanticismo” con cui si indirizza la comunicazione cattolica ad affrontare gli scandali della pedofilia e delle violenze sessuali di religiosi e laici nella Chiesa Cattolica Romana.

Ribadiamo con fermezza che il primo compito di chi opera nel mondo della comunicazione è la verità in tutte le sue forme. Con lo scopo precipuo che la verità va cercata, trovata e divulgata. Chi tace è complice.
Gli unici che si sono mossi a smascherare i falsari nel caso Becciu, sono stati Feltri e la sua squadra di Libero Quotidiano. È stato Minoli con la sola Radio Rai più isolata che mai. Sono stati loro, che certo non possiamo definire proprio vaticanisti, ma sicuramente giornalisti attenti e coraggiosi. È stata la Scaraffia, l’unica luce che splende nelle tenebre della comunicazione vaticana, ma a lei il coraggio non è mai mancato. Il coraggio di andarsene in tempi non sospetti, quando ha trovato grandi ostacoli nel suo lavoro a L’Osservatore Romano [QUI e QUI].

Oggi più che mai bisogna scriverla la verità, anche se così facendo si toccano i fili dell’alta tensione. L’unico patto che il giornalista e il comunicatore devono fare, è un patto con la propria coscienza rispetto alla verità oggettiva. Ma sappiamo bene che il compito più difficile nella ricerca della verità non è solo la ricerca della stessa, ma soprattutto – una volta che la verità è stata trovata – il valore aggiunto è che questa verità venga divulgata in modo incontrovertibile.

Abbiamo già in passato rivolto la nostra attenzione ai giornalisti, in particolare ai vaticanisti (Cosa siete venuti a fare i giornalisti in vaticano?) [QUI, QUI e QUI] . Li abbiamo esortati a cercare e a divulgare la verità senza la paura di essere sanzionati, senza la paura di essere esclusi per un onesto lavoro da un volo papale. Se non ora quando? Oggi più che mai bisogna scriverla la verità, anche se così facendo si toccano i fili dell’alta tensione. Nessun Papa escluderà un giornalista che onestamente divulgherà la verità anche se scomoda. Non è mai troppo tardi per fare chiasso. Quel chiasso di verità che Roma ha sentito e mai dimenticherà.

«Che cos’è l’ipocrisia?», si è chiesto Papa Francesco il 25 agosto 2021: è vivere con «una maschera sul volto» e non avere «il coraggio di confrontarsi con la verità. È truccarsi l’anima» [QUI]. Gesù ha detto: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37).


Il Papa ha proseguito il suo discorso ai Membri dell’AIGAV: «Vi ringrazio per lo sforzo che fate nel mantenere questo sguardo che sa vedere dietro l’apparenza, che sa cogliere la sostanza, che non vuole piegarsi alla superficialità degli stereotipi e delle formule preconfezionate dell’informazione-spettacolo, le quali, alla difficile ricerca della verità, preferiscono la facile catalogazione dei fatti e delle idee secondo schemi precostituiti. Vi incoraggio ad andare avanti in questo cammino che sa coniugare l’informazione con la riflessione, il parlare con l’ascoltare, il discernimento con l’amore».

Magari fosse così (Cit.).


Il passaggio cruciale del discorso, dopo all’inizio già aver sottolineato la «necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità»: «(…) la grandezza del vaticanista, [è] la finezza d’animo che si aggiunge alla bravura giornalistica. La bellezza del vostro lavoro attorno a Pietro è quella di fondarlo sulla solida roccia della responsabilità nella verità, non sulle sabbie fragili del chiacchiericcio e delle letture ideologiche; che sta nel non nascondere la realtà e anche le sue miserie, senza edulcorare le tensioni ma al tempo stesso senza fare clamori inutili, bensì sforzandosi di cogliere l’essenziale, alla luce della natura della Chiesa. Quanto bene questo fa al Popolo di Dio, alla gente più semplice, alla Chiesa stessa, che ha ancora del cammino da compiere per comunicare meglio: con la testimonianza, prima ancora che con le parole. (…)».

Magari fosse così (Cit.). Il compito del giornalista non è solo sapere la verità e rimanere in silenzio, “per delicatezza”, “vergognoso”, ma dire e far conoscere la verità (al contrario della cultura mafiosa, che non teme la verità, ma non vuole che se ne parla, si chiama omertà).

Come ci sono due teorie della relatività, si sono anche due teorie della verità. Quella speciale e quella generale. La relatività speciale dice che non si può superare la velocità della luce cioè 300.000 km/s. La relatività generale dice che non si può superare la velocità che decidono i comuni e cioè 30 km/h. La verità speciale è quella che non si saprà mai, perché la menzogna è veloce come la luce, così umana, così redditizia. La verità generale è la scelta della vera Carità senza inganno, del vero Amore senza menzogna.
Insomma, la verità è l’esatto contrario delle macchine del fango e della menzogna, per quanto lusingatrici esse possano essere, che sono state attivate per mezzo stampa nel caso del mascariamento ai danni del Cardinale Angelo Becciu, trascinato nelle “sabbie fragili del chiacchiericcio” dai media. La “bravura giornalistica” nel mascariare, verbo della lingua sicula, ovvero delegittimare, che vuol dire distruggere una persona con la delegittimazione, con la menzogna, distruggendola agli occhi dell’opinione pubblica. Un efficace modo affine soprattutto alla mafia siciliana, dove, non potendo colpire con la lupara o con esplosivi, delegittima il “nemico” che la sta combattendo.

In riferimento al punto dove il Papa sottolinea la necessità per il vaticanista di «imparare l’umiltà», vale la pena rileggere la conclusione dell’articolo dal titolo Il Vaticano e i vaticanisti. Un giornalismo tutto speciale di Sandro Magister, pubblicato il 7 giugno 2005 sul suo blog Settimo Cielo, allora ancora ospitato su L’Espresso online [QUI], su «come il Vaticano racconta se stesso e come lo raccontano i suoi osservatori e cronisti. Fatti, analisi e indiscrezioni su una professione che non ha eguali al mondo». Era il testo di una conferenza tenuta il 26 maggio 2005 all’Università Jean Moulin di Lyon, su invito del Club Media France e del locale Istituto Italiano di Cultura. La prima parte spiega come il Vaticano racconta se stesso. La seconda parte spiega come la stampa estera racconta il Vaticano, specificando che «per stampa estera si intendono i “vaticanisti” non appartenenti alla Santa Sede»: chi sono, come lavorano, quali modelli seguono, quali problemi affrontano.

Ecco la conclusione dal titolo Verso nuovi modelli di informazione religiosa. Ricordiamolo, siamo nel 2005 e Papa Benedetto XVI è stato eletto quasi 3 settimane prima, il 19 aprile: «A fronte dello smarrimento e della confusione di cui hanno dato prova gran parte dei media nel riferire il recente cambio di pontificato, va dunque richiamato il dovere dei vaticanisti di capire e far capire la realtà nuda dei fatti di Chiesa, non il loro rivestimento artificiale e deviante.
Un esempio lampante di distacco dalla realtà è il modo abituale con cui sono realizzate quasi ovunque le telecronache delle liturgie papali.
Il buon senso consiglierebbe di fornire ai telespettatori l’unica cosa loro dovuta, esattamente come quando si trasmette un concerto o un’opera lirica: quella di assistere alla Messa del Papa, via etere, nel modo più autentico e il più possibile vicino a quello vissuto dai fedeli fisicamente presenti in piazza San Pietro.
I quali fedeli semplicemente assistono alla Messa, con i suoi testi, i riti, i canti. E basta.
Mentre invece sui telespettatori piove addosso tutt’altro: una congerie di cronache, commenti, interviste, rievocazioni, traduzioni. Che invece di aiutare la visione e la comprensione dell’evento trasmesso, lo mascherano e lo snaturano.
Anche per tutti gli altri fatti della vita della Chiesa dovrebbe essere rispettata questa aderenza alla realtà, per poter darne conto fedelmente. Se solo si fosse seguito con attenzione il percorso di Joseph Ratzinger dalla metà del 2004 in poi, se si fossero letti i suoi discorsi, se si fossero allineati i suoi gesti, se si fosse registrato il crescente consenso che attorno a lui si creava nel collegio cardinalizio, la sua elezione a Papa non sarebbe arrivata come una sorpresa – è stato così per quasi tutti i media – ma come un approdo naturale.
Per far questo, però, il Vaticanista deve munirsi di una speciale virtù: l’“umiltà epistemologica” [*]. Deve astenersi da giudizi affrettati su ogni avvenimento piccolo o grande, deve rifuggire dal ricorrere a schemi precostituiti, deve semplicemente mettersi alla scuola delle cose.
Proprio per questo il mestiere di vaticanista è difficile e impegnativo. Perché quella “cosa” che è la Chiesa è una delle realtà più grandiose, complesse, vitali, ricche di mistero che mai siano apparse sotto il cielo. E, per chi ha fede, anche lassù nei cieli».

[*] Il ruolo dell’epistemologia è fondamentale. Essa permette – a monte dei contenuti di ricerca scientifica – una riflessione critica sui metodi scientifici e sui limiti della conoscenza, mantenendo quindi la scienza onesta e adamantina, salvaguardandone il valore. Nasce quando la scienza si scopre fragile e problematica ma, al tempo stesso, decisiva per l’uomo contemporaneo e per il mondo.
La ragione umile è basata su fallibilismo e umiltà epistemica, che rispetto a l’umiltà epistemologica, accentua più il momento positivo, conoscitivo, oltre quello critico.

Foto di copertina di Manuela Tulli.

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