Celebrazioni a Genova e a Napoli nel decennale della beatificazione di Maria Cristina di Savoia

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.01.2024 – Vik van Brantegem] – In occasione del decennale della beatificazione, avvenuta il 25 gennaio 2014 nella Reale Basilica di Santa Chiara in Napoli, dove è sepolta nella Real Cappella dei Borbone, la beata Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie, verrà ricordata:

  • nel giorno della sua memoria liturgica, mercoledì 31 gennaio 2024, alle ore 17.00 presso il Santuario della Madonnetta a Genova, con una solenne Santa Messa presieduta dal Rettore Padre Eugenio Cavallari, O.A.D., Priore Generale emerito degli Agostiniani Scalzi, seguita alle ore 18.00 da un concerto del Gruppo vocale Ars Antiqua;
  • giovedì 1° febbraio 2024, alle ore 19.00 presso la Real Basilica di Santa Chiara a Napoli.

Le celebrazioni sono organizzate dall’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. Partecipano gli Ordini Dinastici di Casa Savoia e rappresentanze del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, rispettivamente della Delegazione della Liguria, guidata dal Delegato Nob. Luigi Filippo Granello di Casaleto, Cavaliere di Giustizia, e della Delegazione di Napoli e Campania, guidata dal Delegato Nob. Manuel de Goyzueta di Toverena, dei Marchesi di Toverena e di Trentenara, Cavaliere di Giustizia.


La beata Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie
Un esempio luminoso per chi è nelle condizioni di poter aiutare i poveri

«Benché io sia sana, ricca e bella – e poi?
E che io possegga argento ed oro – e poi?
E che io comandi molti servi – e poi?
E d’ingegno e saper sia sola – e poi?
E di fortuna in alto posta – e poi?
E che mille anni il mondo goda – e poi?
Presto si muore, e nulla resta – e poi?
Servi a Dio solo, e tutto avrai dappoi»
(Maria Cristina di Savoia).

Maria Cristina nacque il 14 novembre 1812 a Cagliari – figlia minore del Re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, e dell’Arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo-Este – mentre la corte sabauda con i suoi genitori era in esilio, essendo il Piemonte divenuto parte dell’Impero francese di Napoleone Bonaparte.
Sua madre la Regina la consacrò subito a Maria Santissima; consacrazione che fu poi rinnovata da Maria Cristina stessa, appena fu in grado d’intendere e di volere. Ricevette dai pii genitori una solida formazione cristiana.

Nel 1815 le quattro sorelle, Maria Beatrice, le gemelle Marianna e Maria Teresa e Maria Cristina raggiunsero Torino insieme alla madre, dove il Re aveva fatto ritorno un anno prima, dopo la Restaurazione. Le principesse crescevano a corte in un ambiente molto religioso, guidate dalla Regina e dal padre confessore, l’olivetano Giovan Battista Terzi. Maria Cristina, come le sorelle, si formò in una cultura consona ad una principessa, unita a una profonda spiritualità.

Ebbe nove anni, quando suo padre dovette rinunciare al trono a favore del fratello Carlo Felice e, dopo un periodo d’esilio a Nizza, si stabilì con tutta la famiglia a Moncalieri, dove morì dopo tre anni, nel 1824.
Maria Cristina partecipò insieme alla madre ed alla sorella Marianna ai riti d’apertura del Giubileo del 1825 a Roma. La paterna benevolenza di Papa Leone XII, la solennità delle sacre funzioni, la visita alle chiese, ai monasteri e alle catacombe fecero accrescere d’intensità la fede di Maria Cristina.

Al ritorno, dopo una breve sosta a Modena, si stabilì con la madre e la sorella Maria Anna, che diverrà Imperatrice d’Austria, a Palazzo Tursi in Genova, riducendo le sue attività alla formazione e alla conduzione della casa. Quand’ebbe vent’anni le morì anche la madre. Lasciò Genova, sola ed affranta, per disposizione di Re Carlo Alberto, che la invitò a raggiungere Torino.

A sorreggerla e confortarla in tanto succedersi di lutti e distacchi, insieme alle incomprensioni in cui si venne a trovare a corte, la fecero molto soffrire, non le rimase che la sua salda e forte fede; così forte, che avrebbe desiderato divenire monaca di clausura. Ma il Re Carlo Alberto, la Regina Maria Teresa di Toscana e l’entourage di Corte cercarono di dissuaderla, ricordandole le ragion di Stato. Infine, Padre Terzi fece cadere ogni sua resistenza: sapeva infatti che suo zio Carlo Alberto desiderava per lei un matrimonio che potesse rafforzare il debole Stato subalpino (la cui scarsa forza militare era appena stata messa in evidenza dall’invasione francese) con un’alleanza matrimoniale che legasse la sua famiglia a qualche potente dinastia. E Ferdinando II di Borbone, discendente di una delle famiglie più prestigiose d’Europa ed erede del trono più importante d’Italia, sembrava (ed in effetti era) un ottimo partito. Dunque, Maria Cristina accettò la richiesta di matrimonio e la ragion di Stato come volontà di Dio: «Ancora non capisco come io abbia potuto finire, col mio carattere, per cambiare parere e dire di sì; la cosa non si spiega altrimenti che col riconoscervi proprio la volontà di Dio, a cui niente è impossibile».

La Principessa Maria Cristina di Savoia diventò la prima moglie del Re delle due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, con le nozze – pur forzate, erano poi anche felici, perché seppe farsi profondamente amare dal marito e dalla nuova famiglia – che per suo volere furono celebrate il 21 novembre 1832, festa della Presentazione di Maria a cui era devota, nel santuario di Nostra Signora dell’Acquasanta, presso Veltri, vicino a Genova, officiate dal Cardinale Giuseppe Morozzo della Rocca, dei Marchesi di Brianzè, Arcivescovo-Vescovo di Novara. Il 26 novembre, gli sposi s’imbarcarono per Napoli, dove giunsero il giorno 30: sotto una pioggia torrenziale, furono accolti da una folla festante ed entusiasta.

Il matrimonio di Re Ferdinando delle Due Sicilie con la Principessa Maria Cristina di Savoia.

La fede di Maria Cristina, la “Regina innamorata di Gesù”, definita dai Napoletani la “Reginella Santa”, era così forte, che in punto di morte rincuorava chi piangeva per lei e pronunciando con il poco respiro rimasto: «Credo in Dio, amo Dio, spero in Dio».

È stata una delle prime ad avviare un concetto nuovo di carità, con l’adoperarsi per offrire ai bisognosi l’opportunità di una vita migliore. Nei quartieri più abbandonati di Napoli aprì mobilifici e maglifici, e inserì nelle seterie del Casertano una produzione di abiti e tessuti dando lavoro e riscatto a tantissime persone.

Bella, mite e colta – «charmante et parfaite», la definiva il Conte di Cavour – a suo agio con ambasciatori, sovrani e lazzaroni, portatrice di una visione politica di orientamento riformista e, talvolta, apertamente liberale: sono queste le caratteristiche di Maria Cristina, che nel breve arco della sua vita sarà capace di ritagliarsi un profilo di grande spessore, a dispetto della sua estrema riservatezza.

Maria Cristina iniziò il suo regno accanto al ventiduenne Ferdinando, che già regnava da tre anni. Fu donna di intelligenza non comune, colta ed esperta in discipline come la fisica e la classificazione delle pietre preziose. Non si occupò del governo dello Stato, ma il suo pur breve periodo di regno (1833-36) fu ottimo. Non pensava di riformare lo Stato, ma la sua benefica azione cristiana agiva, per forza di cose, sul marito, che con coraggio si oppose alle idee risorgimentali e liberali. Riguardo i ministri di Corte disse: «Ferdinando sta attento, perché questi ti rendono nemici i popoli; perciò, prima di ascoltarli, raccomandati alla Madonna». «Cristina mi ha educato», soleva dire Ferdinando II, avvezzo all’uso di espressioni talvolta indecenti, ed ella divenne la sua preziosa consigliera, trasformandosi nel suo “Angelo”, come egli stesso la chiamava.

La sovrana riuscì ad instaurare col marito un rapporto di profonda stima reciproca e ad essere al suo fianco non solo nella vita coniugale, ma anche nella vita politica e sociale, seppure in modo discreto.
Accanto a questo “ruolo indiretto” spicca il vero e proprio protagonismo della regina nella gestione dell’assistenza e della beneficenza pubblica, nella promozione del mecenatismo di Stato, nell’ideazione di progetti relativi alla custodia ed alla valorizzazione dei beni architettonici e culturali del Regno. Anche sotto il profilo delle relazioni diplomatiche, Maria Cristina è in grado di incidere profondamente dando vita ad una complessa trama di affari, capace di rafforzare la proiezione internazionale della Corona delle Due Sicilie.

Lo studio dei documenti permette di tratteggiare il volto di una regina “moderna” e cosmopolita; ostile alle persecuzioni politiche (celebri sono le sue intercessioni per la sospensione della pena di morte – ottenne per molti condannati a morte la grazia e fra questi persino Cesare Rosaròll, il quale cospirò per uccidere Ferdinando II – che hanno portato ad una moratoria per i condannati politici); attenta ai temi dell’emancipazione (soprattutto femminile), della tutela delle arti e delle antichità, della comunicazione con le masse, dell’assistenza agli indigenti e dell’assistenza sociale di Stato, che rappresentano a tutti gli effetti un “surrogato” del protagonismo politico vero e proprio.

Maria Cristina ha saputo trasformare la sua bellezza, come strumento per avvicinare la gente e per aiutare i più bisognosi. Modello di sposa e di madre, il suo esempio ci ricorda che la vocazione alla santità è per tutti. Il popolo napoletano è stato ed è sempre attento e devoto a chi si prodiga per esso e sa scegliere le persone che meritano questa fiducia. Maria Cristina è stata una grande donna, guida giusta di un popolo. Far conoscere le virtù di questa beata potrebbe essere di esempio a chi è nelle conduzioni di poter aiutare i bisognosi.

Prima di tutto, come sposa è stata un ponte tra due dinastie italiane e questo fu un problema per i suoi contemporanei nel valutare la sua causa di beatificazione, divisi dalla retorica risorgimentale in due schieramenti.

Da un lato quello che considera l’esito positivo della causa di beatificazione di colei che era la moglie del Re delle Due Sicilie Ferdinando II e la madre del suo successore e ultimo Re delle Due Sicilie Francesco II, uno schiaffo alla retorica risorgimentale italiana.

D’altro lato quello che fu spinto da speculazioni molto semplicistiche della storia e spesso da vere e proprie bufale confezionate ad arte, che da anni aveva riversato odio nei confronti dei Savoia, come il male assoluto.

In mezzo si trovarono i tanti credenti e devoti, che erano invece uniti per giungere a chiudere la causa di beatificazione.

Neanche ventiquattro anni di vita e tre anni di regno le sono stati sufficienti per lasciare un’impronta indelebile nella storia: settentrionale per carattere e abitudini, tuttora venerata come santa del Mezzogiorno, a testimonianza del profondo legame fra lei e il popolo del Sud, che fece suo.

La sua fede Cattolica non fu un sentimento, ma un fatto di vita: ogni giorno assistette a tre Santa Messe durante la mattina, all’Adorazione Eucaristica e al Rosario nel pomeriggio; le sue letture quotidiani furono la Bibbia e l’Imitazione di Cristo; partecipò intensamente agli esercizi spirituali; fermò la carrozza, ogni qual volta incontrasse il Santo Viatico per via e si inginocchiò anche quando vi fosse fango; in cappella tenne lungamente lo sguardo sul Tabernacolo per meglio concentrarsi su Colui ch’era padrone del suo cuore. Affidò la protezione della sua esistenza a Maria Santissima e donò il suo abito da sposa al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Toledo, dove tuttora si conserva con venerazione.

Agiva anche sul suo regale consorte, che se non poteva seguire l’intensa vita religiosa di Maria Cristina, almeno partecipava quotidianamente alla prima Messa e al Rosario. Oltre al Re ed alla Corte (alla Messa mattutina e al Rosario venivano invitati tutti i famigliari), anche i sudditi del Regno seguivano l’esempio della “Reginella Santa”: si parlava più decorosamente, le donne vestivano meno scollacciate e si praticava maggiormente la fede.

Cristina Siccardi, studiosa specializzata in biografie di santi e di beati, basandosi in gran parte sull’epistolario della Regina Maria Cristina e sui ricordi quotidiani di dame di compagnia e di cameriere, è riuscito con la bella biografia «Sono Maria Cristina». La beata Regina delle Due Sicilie, nata Savoia (San Paolo 2016, 228 pagine [QUI]), da cui ho attinto, a dare una visione dei sentimenti che provava e della vita effettiva che conduceva, lontano quindi dal distacco della storiografia ufficiale e soprattutto dalle calunnie della propaganda liberale, che negò l’amore di Re Ferdinando II per la sua consorte, sia il benefico influsso che ella ebbe su di lui, inventando una serie di calunnie volte a screditarlo, facendolo passare per un villano ed inetto alla politica. Calunnie di cui la biografia di Cristina Siccardi fa piena giustizia: l’amore coniugale di Ferdinando – peraltro perfettamente coetaneo di Maria Cristina ed anch’egli nato in un esilio isolano, a Palermo, a causa dell’invasione francese – fu sincero ed altrettanto sincera fu la sua adesione alle pratiche religiose, che la consorte propose alla corte napoletana.

Le eccezionali esperienze mistiche e di estasi arricchirono il profondo cammino spirituale di Maria Cristina. Inoltre, la sua umiltà e la sua carità erano immense e conquistarono i Napoletani. Provvide, in accordo con il Re, che una parte del denaro destinato ai festeggiamenti per le loro nozze fosse utilizzato per donare una dote a 240 spose e per riscattare un buon numero di pegni depositati al Monte di Pietà.
Tra altro, Maria Cristina era Protettrice della Real Arciconfraternita e Monte di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi a Napoli, in quanto Regina consorte del Regno delle Due Sicilie.

Vera regina dei poveri, seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, per la cui promozione ideò ardite opere sociali. La carità verso i bisognosi, l’occupò in pieno: si dice che Padre Terzi avesse presso di sé un baule pieno di ricevute di chi aveva avuto un beneficio. Inviava denaro e biancheria, dava ricovero agli ammalati, un tetto ai diseredati, assegni di mantenimento a giovani in pericolo morale, sosteneva economicamente gli istituti religiosi e i laboratori professionali, togliendo dalla strada gli accattoni.

A lei si deve l’istituzione di un opificio di letti, indumenti e coperte presso il convento di San Domenico Soriano, per distribuirne i prodotti alle famiglie meno abbienti.

A lei si deve il rilancio della lavorazione del corallo a Torre del Greco.

Ma l’opera più grande legata al suo nome è la “Colonia di San Leucio”, con una legislazione ed uno statuto propri, dove le famiglie avevano casa, lavoro, una chiesa ed una scuola obbligatoria. L’attività produttiva era basata sulla lavorazione della seta che veniva esportata in tutta Europa.

Erano straordinarie misure di politica economica che aspettano ancora di essere ricostruite in modo approfondito e analitico: è stata lei a percorrere sul lavoro alcuni principi della Dottrina Sociale della Chiesa.

Infatti, a lei si devono, ancora, l’estensione delle misure di protezione sociale e il rilancio delle manifatture e dei commerci in tutte le province del Regno, e in particolare nella “ribelle” Sicilia, nella convinzione che solo una rinnovata presenza dello Stato e un volto più clemente della monarchia avrebbero potuto colmare la distanza fra l’isola e la capitale partenopea.

Dopo tre anni da sposa, la mancanza di un figlio che non veniva, faceva molto soffrire Maria Cristina, che pregava incessantemente per questa ragione. Finalmente, nel 1835, si accorse di aspettare un bambino. Passò gli ultimi mesi di gravidanza nella Reggia di Portici per stare più calma.

In attesa dell’erede scrisse: «Il Re ed io siamo i soli che non ci affliggiamo che non sia ancora successo ciò che tutti smaniano ma che noi lasciamo tutto in mano di Dio»; alla cameriera Rosa Borsarelli: «Mi affretto a scriverti ancora una volta prima di questa gran faccenda per dirti che preghi Iddio e la Madonna per me, affinché mi aiutino, e mi facciano la grazia di mettere al mondo una creatura sana e forte, la quale, crescendo sia buona e col tempo si faccia santa»; ad una nobildonna: «Non ti pare curioso che io vada a diventare mamma? Quanto mi piacerebbe farti conoscere quel piccolo marmocchio!». Ma aveva una sorta di presentimento: «Oh, quanto è meglio stare in Paradiso che non su questa terra!». E all’avvicinarsi del parto, scriveva alla sorella, la Duchessa di Lucca: «Questa vecchia va a Napoli per partorire e morire».

Il 16 gennaio 1836 nacque Francesco II, il futuro e ultimo Re delle Due Sicilie, che verrà deposto dalla nefasta impresa massonica garibaldina. Già il 29 Maria Cristina era morente per complicazioni sopravvenute. Prendendo in braccio il tanto atteso erede e porgendolo al Re suo marito, disse: «Tu ne risponderai a Dio e al popolo… e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui».

Era il 31 gennaio 1836 e le campane suonarono il mezzogiorno, quando Maria Cristina, poco più che ventitreenne e Regina per appena tre anni, si addormentò per sempre, in piena comunione con Dio, in odore di santità, tra l’unanime compianto della famiglia reale e del popolo napoletano. Lo stesso Francesco, che ereditò dalla madre una forte devozione religiosa e un’indole assai sensibile, sarebbe stato educato nel suo culto. Poi, all’unica figlia del Servo di Dio Francesco II e di sua moglie Maria Sofia di Baviera, una bambina che nacque quando i genitori erano già in esilio, venne dato il nome della nonna. La piccola Maria Cristina Pia visse però solo alcuni mesi.

Rivestita del manto regale, adagiata nell’urna ricoperta da un cristallo, venne trasportata nella Sala d’Erede per l’esposizione al pubblico. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto pellegrinaggio per rivedere per l’ultima volta la loro “Reginella Santa”, prima dei solenni funerali, che furono celebrati l’8 febbraio 1836.

Il suo corpo rimase fino al 31 gennaio 1858 nella stanza dei depositi reali, insieme ai resti degli altri membri della Real Casa delle Due Sicilie. Le autorità ecclesiastiche, a fronte della fama di santità che già in vita aveva circondato la Regina Maria Cristina, disposero la ricognizione del suo corpo e la traslazione nella Real Cappella dei Borbone, dedicata a San Tommaso Apostolo, nella Real Basilica di Santa Chiara a Napoli.

In seguito, anche per via delle grazie che il popolo napoletano attribuiva alla sua intercessione, e per l’interessamento del Re Ferdinando II, il 6 novembre 1852 l’Arcivescovo metropolita di Napoli, il Venerabile Cardinale Sisto Riario Sforza, avviò il Processo sulla fama di santità, virtù e miracoli della Regina consorte Maria Cristina. Nel corso del Processo Ferdinando II dichiarerà: «Lei mi ha insegnato a vivere e a morire». Il 9 luglio 1859 fu dichiarata Serva di Dio da Papa Pio IX e iniziò il Processo di Beatificazione e Canonizzazione. il 6 maggio 1937 fu dichiarata Venerabile da Papa Pio XI. A questo punto però, anche a causa della Seconda Guerra Mondiale e delle vicende conseguenti, tra cui il bombardamento di Napoli e la distruzione del complesso monumentale di Santa Chiara, la Causa subì un rallentamento negli anni seguenti. In seguito, fu proclamata la Repubblica in Italia e Re Umberto II di Savoia andò in esilio.

Nacquero le prime comunità di devoti alla Venerabile Maria Cristina, all’inizio riunite dall’obbiettivo comune di propiziare, con la preghiera e con le opere, la supplicata beatificazione. Tali associazioni si diffusero un po’ ovunque nella cristianità, ma soprattutto laddove la venerazione della Reginella Santa risultava più praticata: nel Piemonte sabaudo, nei territori del perduto Regno delle due Sicilie, all’estero presso le comunità di emigrati da quelle contrade ed a Genova, luogo dove Maria Cristina volle sposarsi.
Scopo di questi consessi era altresì quello di diffondere il culto pubblico della venerabile, organizzando solenni Celebrazioni a suo suffragio e Convegni.

Anche grazie all’opera meritoria e decisiva di queste associazioni spontanee di fedeli laici, come i Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia (membri attivi dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche-UMOFC) e i Colloqui Letterari Beata Maria Cristina di Savoia (ente fondato da gentiluomini genovesi), il 22 luglio 1958 la Causa riprese il suo percorso.

Nel 1958, in seguito ai lavori di restauro di Santa Chiara, fu disposta una ricognizione del corpo della Venerabile Maria Cristina, che fu trovato intatto e riconoscibile, nonostante il trascorrere del tempo e la situazione d’incuria in cui era stato rinvenuto. A quel punto, Umberto II domandò di riattivare la Causa di beatificazione. I Convegni di Cultura Maria Cristina si resero nuova parte attrice della causa, con la nominato anche un nuovo postulatore.

È significativo, per il risvolto ecclesiale e pastorale che ne assume, che il percorso finale della Causa di beatificazione, sia stato sostenuto da associazioni del laicato cattolico. Proprio per offrire alla Chiesa l’opportunità di venerare un modello di santità laicale poco usuale: quello di una regina che vive eroicamente il Vangelo nell’ambito della famiglia, del matrimonio, della corte e delle molteplici relazioni del suo rango, animando cristianamente la realtà secolare a lei contemporanea.

Tra le numerose grazie attribuite all’intercessione della Venerabile Maria Cristina, venne presa in esame dal nuovo postulatore una della quale fu possibile rinvenire la documentazione processuale, conservata nell’Archivio della Postulazione generale dei Frati Minori. Si trattava dell’asserita guarigione di Maria Vallarino, malata dal giugno 1866, da tumore maligno scirroso al secondo stadio alla mammella destra e tumore incipiente anche alla mammella sinistra. La datrice di lavoro della donna, la Marchesa Antonia Carrega, la fece visitare da due specialisti di Genova, che le diedero diagnosi negativa. Dopo aver rifiutato un’operazione, che comunque non avrebbe risolto la situazione, Maria si affidò all’intercessione della Regina Maria Cristina, ingerì un frammento di tessuto a lei appartenuto e invocò il Signore: «Gesù, o buon Gesù, glorificate questa vostra Serva». Il male regredì subito e, dopo una settimana, fu dichiarato scomparso. Maria Vallarino morì 39 anni dopo e non ebbe alcuna recidiva.

La Positio super miraculo, che riportava i documenti dei processi svolti negli anni 1872-1888 presso la Curia di Genova, venne esaminata dai Medici nella Consulta del 29 ottobre 2009, dai Teologi nel Congresso del 26 maggio 2012 e infine dai Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi il 9 aprile 2013. Infine, il 2 maggio 2013, Papa Francesco, ricevendo in Udienza il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzava la promulgazione del decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione di Maria Cristina.

Il rito della beatificazione si è svolto sabato 25 gennaio 2014, alle ore 11.00, presso la Reale Basilica di Santa Chiara a Napoli, dov’è sepolta nella Cappella Reale dei Borbone, in un solenne Pontificale presieduto dal Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo metropolita di Napoli, concelebranti dal Cardinale legato Angelo Amato, dal Cardinale Renato Raffaele Martino e dagli Arcivescovi Tommaso Caputo, Armando Dini, Fabio Bernardo D’Onorio, Arrigo Miglio e Mario Milano. La memoria liturgica della nuova beata fu fissata al 31 gennaio, giorno della sua nascita al Cielo.

«Cristina, la nostra Reginella Santa, ha trasformato la nobiltà di censo in nobiltà di Grazia», dichiarò il Cardinal Sepe.

II giorno successivo, domenica 26 gennaio 2014, dopo la recita dell’Angelus in piazza San Pietro, Papa Francesco definì la nuova beata «donna di profonda spiritualità e di grande umiltà, seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, diventando vera madre dei poveri». Dichiarò che «il suo straordinario esempio di carità testimonia che la vita buona del Vangelo è possibile in ogni ambiente e condizione sociale».

La memoria della beata Maria Cristina di Savoia continua ad essere custodita e diffusa con straordinario impegno dalle associazioni a lei dedicate, come anche dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dagli Ordini Dinastici di Casa Savoia (Ordine Supremo della Santissima Annunziata; Ordine Militare e Religioso dei Santi Maurizio e Lazzaro; Ordine Civile di Savoia e Ordine al Merito di Savoia), promuovendo e pregando per la sua canonizzazione.

Preghiera

O Dio, che hai ornato di sollecita e sapiente carità la beata Maria Cristina, perché con la sua testimonianza contribuisse all’edificazione del tuo regno, concedi anche a noi, sul suo esempio, di operare il bene attingendo alla vera ricchezza del tuo amore. Per sua intercessione ottienici la grazia … che con fiducia invochiamo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Notizie di grazie ricevute vanno comunicate alla Postulazione della Causa di canonizzazione dell’Ordine dei Frati Minori, via Santa Maria Mediatrice 25, 00165 Roma – postgen@ofm.org.

Il Santuario della Madonnella
a Genova

Posto sulle colline della città di Geneva, il Santuario della Madonnetta è innalzata su un tratto di terreno al di sopra del convento di San Nicola, donato agli Agostiniani Scalzi dal Senato della Repubblica di Genova il 6 agosto 1641. In quella zona esisteva un’antica cappellina, dedicata a San Giacomo, che Padre Carlo Giacinto Sanguineti, O.A.D., fece restaurare nel 1689, collocandovi una bellissima statua della Vergine Maria col Bimbo in braccio, chiamata affettuosamente la Madonnetta.

Il Santuario dedicato alla Natività e alla Immacolata Madre di Dio Assunta in Cielo, è stato aperto al pubblico per volontà del fondatore, il 15 agosto 1696. Fu visitato annualmente dal Doge e da Senatori della Repubblica di Genova. Nel 1712 il Senato stabilì che nella domenica dopo la festa dell’Assunta una delegazione ufficiale della Repubblica, composta da quattro senatori appartenenti alle più prestigiose famiglie patrizie, salisse al santuario per assistere alla solenne Santa Messa, durante la quale veniva riconsacrata la città alla Madonna, mentre le artiglierie del Molo sparavano quaranta colpi a salve, in segno di saluto e di festa.

Il Santuario divenne ben presto centro di vita religiosa e meta tradizionale di pellegrinaggi dalla Città e dall’entroterra genovese, dalle due Riviere liguri, dal Piemonte e dalla Lombardia. Lo testimoniano fra l’altro i numerosi privilegi accordati dai Papi Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII e Pio VI, che il 7 dicembre 1777 aggregò il Santuario alla Basilica Lateranense con gli stessi privilegi e indulgenze.
Tanti illustri personaggi si sono avvicendati al Santuario. Nel 1818 Vittorio Emanuele I salì pellegrino con la sposa Maria Teresa di Savoia. Nel 1829, rimasta vedova la regina vi ritornò accompagnata dalle figlie: Maria, futura imperatrice d’Austria, e Maria Cristina, futura Regina di Napoli e oggi beata.
Il Santuario rappresenta un punto centrale di riferimento anche per la storia artistica genovese, poiché è considerato il prototipo delle chiese settecentesche liguri. Comunque, la sua architettura eccelle soprattutto per l’alta qualità del simbolismo mistico, che in modo mirabile riesce a tradurre plasticamente la bellezza e la presenza di Dio.

La pianta della chiesa è ad ottagono irregolare, variazione dello schema barocco ellittico. Lo stile a pianta ottagonale indica la Resurrezione di Cristo, simboleggiata dall’ottavo giorno, quello della Resurrezione.
Lungo i fianchi dell’ottagono si sviluppano sei archi, quelli centrali a tutta altezza, e nei vani corrispondenti sono collocate le cappelle. Dall’aula centrale si allungano il presbiterio e il coro, leggermente più stretti ma molto profondi, cui si accede salendo due scalinate laterali, collegate in alto da una balaustrata.

Puro la cripta è a pianta ottagonale, delimitata da una bellissima cancellata, ospita la cappella o scurolo della Madonnatta, verso la quale si allarga un’ampia scalinata centrale. Ciascuna delle tre scalinate risulta di quindici gradini, e richiama quella del tempio di Gerusalemme verso cui salivano i pellegrini cantando i quindici salmi ‘dei gradini’. La scalinata discendente e le due ascendenti prefigurano inoltre l’itinerario di conversione cristiana a Dio: prima bisogna scendere nell’umiltà del cuore, per poi salire a vita nuova. Ce lo ricorda sia il cartiglio marmoreo che introduce alla cripta: Ella converte la roccia del peccatore in fonti di acque di grazia (Salmo 113) sia il celebre testo di Agostino: O uomo, se vuoi salire discendi; tu, che per voler salire, sei disceso (Conf. 4, 12, 19).

La decorazione dello scurolo è assai ricca. L’altare marmoreo, ornato di intarsi e con ricco ciborio, è sormontato da un morbido tempietto che poggia su quattro colonne tortili di alabastro. La volta e il fondo della cappella sono affrescate dal Guidobono con la Glorificazione dell’Assunta del 1697, mentre le pareti sono rivestite di marmo e ornate da sei medaglioni-reliquiari.

Genova, che fu nei secoli città di grandi ardimenti e di grande pietà, che ebbe tanta parte nelle Crociate da meritare il ricordo del praepotens Genuensium praesidium e che non mancò mai di uomini forti e generosi e di famiglie potenti e ferventi, venne arricchendosi durante il suo grande passato di tutto un inestimabile corredo di reliquie: dalle ceneri del Battista, ai corpi dei Martiri e dei Santi e alle altre preziosissime memorie che si venerano presso il Santuario della Madonnetta. L’arte del reliquiario non potrebbe essere più degnamente e più compiutamente rappresentata, tanto che, anche sotto tale aspetto, questo grande tesoro del Santuario si presenta con caratteri di interesse affatto particolare e degni di studio.

Lo scurolo ospita l’altare con la sovrastante statua della Madonnetta. La sacra Immagine, scolpita in alabastro finemente decorato con fregi in oro proviene da Trapani. È una copia dell’omonima statua del Duomo di Trapani ad opera di Giovanni Romano, che fu portata a Genova nel 1686. I documenti storici descrivono, infatti, la città di Trapani come un approdo privilegiato delle rotte marittime delle più importanti città marinare del mediterraneo. La Madonnetta è stata incoronata quattro volte: 14 agosto 1692, 14 agosto 1693, 25 dicembre 1700 e 27 giugno 1920.

Il complesso monumentale di Santa Chiara
e la Real Cappella dei Borbone
a Napoli

La Basilica di Santa Chiara – uno dei più insigni monumenti medioevale e tra i più importanti e grandi complessi monastici di Napoli – sorse per munificenza di Sancia di Maiorca, seconda sposa di Roberto d’Angiò, la quale sentendosi fin da giovanissima portata alla vita di clausura e non potendo soddisfare la sua vocazione, volle manifestare la sua devozione, facendo costruire il grande monumento. La costruzione del Complesso monumentale di Santa Chiara ebbe inizio nel 1310. I lavori furono eseguiti sotto la direzione di Gagliardo Primario prima e Lionardo di Vito poi, in forme gotico-provenzali. per terminarli nel 1328, aprendo al culto definitivamente nel 1330, seppure la consacrazione a Santa Chiara avverrà solo nel 1340, divenuta la chiesa della regalità e della nobiltà napoletana.

Va ricordato che nella Basilica di Santa Chiara, il 14 agosto 1571, vennero solennemente consegnati a Don Giovanni d’Austria il vessillo pontificio di Papa Pio V ed il bastone del comando della coalizione cristiana prima della partenza della flotta della Lega Santa per la battaglia di Lepanto contro i Turchi Ottomani.

Durante il bombardamento degli alleati del 4 agosto 1943 alcune bombe, cadute sul complesso monumentale, provocarono un violentissimo incendio che durò oltre 48 ore, distruggendo interamente il tetto, la sovrastruttura barocca e molti dei monumenti conservati all’interno, danneggiandone altri in maniera irreparabile. Rimasero in piedi le antiche mura perimetrali, che, opportunamente rinforzate, hanno poi consentito il ripristino dell’organismo architettonico nelle originarie forme gotiche, sotto la direzione di Mario Zampino.

Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio Dell’Aja fu nominato “rappresentante dell’ordine dei Frati Minori per i lavori di ricostruzione della basilica”. In seguito, i discussi lavori di restauro si concentrarono sull’architettura medievale rimasta intatta dai bombardamenti, riportando la basilica all’aspetto originario trecentesco e omettendo in questo modo il ripristino delle aggiunte settecentesche. Dieci anni dopo, il 4 agosto del 1953, la chiesa fu riaperta al culto.

L’interno si presenta come una grandissima, luminosa aula rettangolare, senza transetto, con 10 cappelle per lato (oltre a due passaggi laterali), secondo uno schema tipico delle chiese gotiche della Francia meridionale. Le cappelle, aperte da gotiche arcate e illuminate da bifore e bifore, sporgono fortemente dalle pareti della navata, nelle quali altissime e sottili monofore salgono fino al tetto a capriate.

La decima Cappella a destra, accanto al Presbiterio che, assieme a quella di San Francesco d’Assisi, è l’unica ad aver conservato la struttura barocca, è la Cappella di San Tommaso Apostolo (sulla parete frontale si trova la tela tardo cinquecentesca dell’Incredulità di San Tommaso opera dell’artista fiorentino Girolamo Macchietti), testimonianza settecentesca della basilica scampata ai bombardamenti alleati del 1943.

La Cappella costituisce il Pantheon dei Borbone, dove riposano i Sovrani di Napoli e delle Due Sicilie, da Ferdinando I a Francesco II, ultimo Re delle Due Sicilie, di sua moglie Maria Sofia e della loro figlia Maria Cristina, che furono portati in loco solo il 10 aprile 1984, in quanto fino ad allora erano sepolti nella romana chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani.

Hanno trovato sepoltura qui anche i cinque figli di Carlo di Borbone e di Maria Amalia di Sassonia e, più tardi, l’Infante Filippo di Borbone, primogenito di Carlo III, allontanato dalla successione perché infermo, morto di vaiolo a 30 anni nel 1777.

Nel sarcofago a destra riposa la beata Maria Cristina di Savoia.

La nascita della Real Cappella dei Borbone avviene nel 1742 su volontà di Carlo III di Borbone, il quale la intese solo provvisoriamente, in attesa che venisse costruita in un altro luogo la definitiva struttura che avrebbe ospitato i reali con le famiglie. Col tempo e con l’aggiunta man mano di altri componenti della Casa Reale di Borbone nella Cappella, l’ambiente divenne definitivamente stabile nell’ospitare i reali.
Cessata la dominazione spagnola, Napoli ritornò ad essere capitale di un regno autonomo e i sovrani borbonici vollero non senza significato – riprendere la consuetudine delle sepolture in Santa Chiara. Probabilmente il saggio e virtuoso Re Roberto d’Angiò dovette costituire per più versi, agli occhi di Carlo III di Borbone, un modello di sovrano illuminato, sagace amministratore dello Stato ed intelligente protettore di artisti. Così Santa Chiara ritornava a custodire le spoglie dei membri della casa regnante nella Cappella dedicata a San Tommaso Apostolo.

Dopo che Carlo di Borbone divenne Re di Spagna e Imperatore delle Indie, i Re di Napoli suoi successori concepirono l’ambizioso disegno di costruire, nella basilica angioina, una cappella funeraria destinata ad accogliere i resti dei Sovrani e dei Principi della Dinastia delle Due Sicilie. In attesa di realizzare tale proponimento, cui però né Ferdinando IV di Napoli (poi I delle Due Sicilie) né Francesco I diedero corso con alcun progetto, i resti dei sovrani e dei principi furono depositati in due ambienti adiacenti al coro dei frati francescani, deposito che diventò la cappella funeraria, malgrado che all’uopo venissero redatti tre progetti a iniziativa dei sovrani Ferdinando II e Francesco II.

Da tempo si sentiva l’esigenza di conoscere la secolare e complicata vicenda della sistemazione delle sepolture borboniche: questo scopo è stato raggiunto nel 2010 con Il Pantheon dei Borboni in Santa Chiara di Napoli, grazie alle pazienti e sapienti ricerche svolte dal Padre francescano Gaudenzio dell’Aja, autore, fra l’altro, del saggio sul restauro della basilica di Santa Chiara, pubblicato nel 1980. Egli, oltre a far conoscere le rinnovate premure svolte per vari decenni dai discendenti della Casa Reale delle Due Sicilie, per dare sepoltura ai loro antenati, chiarisce definitivamente errori ed equivoci, come lo scambio di nome fra due dei figliuoli di Ferdinando IV, o l’invenzione di una principessa per nome Germana, mai esistita, o lo smarrimento dell’identità del principe “senza nome” o infine l’errata sepoltura in Santa Chiara di Anna Maria di Sassonia, Granduchessa Ereditaria di Toscana e rende nota, in una più accurata redazione, la genealogia dei Sovrani e dei Principi della Casa Reale delle Due Sicilie, da Carlo di Borbone a Francesco II. L’opera di Padre Gaudenzio dell’Aja costituisce pertanto un ulteriore contributo per la conoscenza del patrimonio storico e di quello artistico napoletano, offerta con la competenza e l’entusiasmo che animano ormai da tempo l’attività dell’autore, che partecipò in prima persona al ripristino e al restauro della Basilica di Santa Chiara e alla soluzione concreta del problema delle sepolture borboniche. Di grande interesse è il capitolo dedicato, in questo libro, all’esame dei progetti elaborati dagli architetti Gaetano Genovese, Francesco Gavaudan e Antonio Niccolini a metà del secolo scorso, per la Real Cappella Funebre, con la pubblicazione di disegni originali, ancora inediti.

Con la sepoltura delle salme dell’ultimo Re delle Due Sicilie Francesco II, della sua consorte la Regina Maria Sofia e della loro figliuola Maria Cristina Pia, tumulate in Santa Chiara il 10 aprile 1984, si era finalmente conclusa una secolare vicenda.

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