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Simone Varisco e Paolo Alliata: raccontare il Vangelo con l’arte e la letteratura
“Cosa unisce la vigna di van Gogh al filobus di Rodari? Oppure il disperato di Courbet all’idiota di Dostoevskij? E’ il punto di vista, lo sguardo su di noi e sugli altri, che accomuna arte, letteratura e parabole. Ad esempio, è il collocarci fra gli ultimi arrivati, e non fra i primi operai della vigna, a rendere il racconto di Gesù un felice paradosso e non un’incomprensibile ingiustizia. Lo stesso accade se svestiamo i panni del fratello maggiore per calarci in quelli del figlio prodigo, che più ci appartengono.
Perché neppure il più virtuoso o il più lavoratore fra gli uomini e le donne può vantare un credito verso Dio, come ci insegnano le parabole del fariseo e del pubblicano o quella del padrone e del servo. Siamo pecore smarrite fra grano e zizzania, chiamati ad essere samaritani, ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra. Germogli soffocati fra le spine, corriamo il rischio di uccidere e gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio”.
E’ il percorso proposto nel libro, ‘Le parabole fra pittura e letteratura’, scritto da Simone Varisco, storico e saggista, e da don Paolo Alliata, responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico della diocesi di Milano, che raccoglie, rielabora ed amplia le meditazioni sui Vangeli offerte ogni settimana sul blog di cultura, attualità e fede Caffestoria.it, unendo ad esse il ‘respiro largo’ dell’arte, accompagnate da un brano letterario, già autori dei precedenti volumi ‘La Pasqua fra pittura e letteratura’ ed ‘Il Natale fra pittura e letteratura’.
A Simone Varisco chiediamo il motivo per cui c’è bisogno di raccontare le parabole attraverso la pittura e la letteratura: “Prima ancora che un genere letterario, le parabole sono un eccezionale stile di comunicazione, e l’arte (che sia pittura, letteratura od altro) costituisce un ulteriore esempio di linguaggio efficace. Al di là delle evidenti differenze, parabole e arte hanno in comune l’immediatezza, la potenza espressiva, l’eloquenza, la capacità di ‘incarnare’ un messaggio e di farlo sopravvivere alla prova del tempo. Dopo aver percorso insieme alla pittura e alla letteratura le strade del Natale e della Pasqua, nei due libri precedenti, ci è parso naturale incamminarci lungo la via delle parabole in compagnia di queste due forme di arte”.
Con quale criterio sono state scelte le parabole?
“Come già per gli altri libri scritti insieme in passato, anche ‘Le parabole fra pittura e letteratura’ ha origine nell’amicizia e nelle passioni che condividiamo, don Paolo Alliata e io. Le parabole sono state scelte insieme, per lo più fra quelle commentate durante l’anno liturgico da don Paolo nella rubrica ‘La Parola, la Chiesa, il mondo’ del mio blog Caffestoria.it. Si tratta di un excursus che comprende alcune delle parabole evangeliche più celebri, come quella dei talenti o della pecora smarrita, ma anche racconti sui quali soffermarci con rinnovata attenzione. Penso, ad esempio, ai vignaioli omicidi od al campo in cui si mescolano grano e zizzania: di straordinaria attualità in un mondo che ha imboccato la via dell’autodistruzione, non solo con la guerra, e in cui sembra prevalere il male, nell’apparente indifferenza di Dio”.
Allora, in quale modo la Parola diventa lievito?
“Poche immagini sono in grado di rendere l’idea di quali dinamiche appartengano al Regno di Dio e ai suoi testimoni come il lievito e il sale. Uno può fermentare in noi e negli altri, se gli diamo l’occasione per farlo; l’altro dà sapore, anche se è pressoché invisibile. Si tratta di un processo delicato, serve prestare attenzione alle dosi, per così dire, ma l’esito è inevitabile, nelle giuste condizioni. La Parola ‘fermenta’ in noi, perché appartiene al quotidiano di ognuno: anche se spesso lo dimentichiamo, nessuno escluso, siamo pecore smarrite, germogli che stentano a crescere fra sassi e spine, corriamo costantemente il rischio di uccidere e di gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio.
Ogni giorno ci muoviamo in un campo dove convivono grano e zizzania, spesso anche per nostra responsabilità, e nondimeno (anzi, forse proprio per questo) siamo chiamati ad essere samaritani, a farci ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra”.
Per quale motivo artisti ed autori hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con il Vangelo?
“Il Vangelo ha segnato (e continua a segnare, anche se è impopolare affermarlo) la storia di molta parte del mondo, e naturalmente anche la storia dell’arte. Vale la pena sottolineare che gli orizzonti evangelici appartengono in gran parte alla tradizione ebraica, come è particolarmente evidente proprio nelle parabole. Sublimati in seguito dal cristianesimo, non sono estranei neppure al mondo islamico. Va da sé, ci sono anche ragioni più prosaiche nel rapporto che lega artisti e parabole: la Chiesa è sempre stata una straordinaria committente d’arte”.
Perché nel libro nessuna opera d’arte ‘sacra’?
“Cosa c’è di ‘sacro’ in una moneta caduta da qualche parte in casa, in una lampada a corto di olio oppure in una rete piena di pesci? Eppure sono queste le immagini con cui Gesù ha scelto di raccontarci i misteri più insondabili della nostra esistenza. E le ha scelte, possiamo supporre, perché appartengono al nostro quotidiano. E’ la dimostrazione di un Dio incredibilmente elegante nel suo stile. Nulla, in nessun tempo, gli è estraneo, né può esserlo. Ogni dipinto, ogni barra rap, ogni piega che l’artista potrà mai imprimere nel marmo o nel legno raccontano dell’uomo ed, inevitabilmente di Dio. Anche quando l’intento è altro, o addirittura contrario”.
Con quale linguaggio è possibile oggi narrare ai giovani le parabole?
“Anche se gli orizzonti di vita sono molto cambiati da quelli delle società rurali di un tempo, e del tempo di Cristo, il significato delle parabole è ancora comprensibile oggi. Non hanno perso nulla della loro attualità: le parabole sono più ricche di significato di ogni analisi geopolitica o sociologica. Ed i giovani, cui dovremmo riconoscere più fiducia, ne sono consapevoli: meglio di altri intuiscono che il messaggio delle parabole li riguarda. Invece che interrogarci su una presunta ‘vecchiaia’ del Vangelo, perciò, dovremmo chiederci perché troviamo difficile coinvolgerli. Più che un problema di linguaggio, che sia un problema di testimonianza, e di credibilità dei testimoni?”
50 anni di Agesci accompagnando nella vita ragazze e ragazzi
Sono più di 18.000 le capo ed i capi dell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) iscritti alla Route nazionale 2024, il percorso pensato per le ‘Comunità capi’ che culminerà in un incontro nazionale a Villa Buri – Verona dal 22 al 25 agosto; un incontro che avviene nel 50^ anno dalla fondazione dell’AGESCI, avvenuto nel 1974. Infatti da 50 anni le capo e i capi si appassionano alla bellezza del servizio e accompagnano le nuove generazioni alla realizzazione di sé come uomini e donne, attraverso il gioco, l’avventura e la strada.
Sarà un grande momento di riflessione collettiva: quattro giorni per partecipare a oltre 60 tra incontri, approfondimenti, momenti di formazione e dibattiti, con lo scopo di analizzare la realtà dei giovani di oggi e definire le sfide e il percorso dell’Associazione per i prossimi anni: “L’incontro di Verona sarà un momento importante, non solo per i numeri delle persone che saranno coinvolte, ma anche per l’eccezionalità dell’evento: le Route nazionali precedenti si sono tenute nel 1979 a Bedonia (Parma) e nel 1997 ai Piani di Verteglia (Avellino) e hanno rappresentato momenti di snodo dell’Associazione, che oggi conta 182.000 iscritti, tra capi e ragazzi”. Presentando l’incontro nazionale Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale dell’AGESCI, hanno ribadito gli obiettivi dell’organizzazione:
“Numerosi sono gli obiettivi di questo incontro: dal coinvolgere i capi dell’Associazione in un’esperienza fortemente motivante che possa regalare un tempo di qualità, nuove energie, nuove parole, nuovi contenuti per l’educazione; all’offrire un’occasione unica di confronto sugli orientamenti educativi e sociali attuali; dal valorizzare il contributo dei 50 anni di storia dell’AGESCI e posizionare l’Associazione nella società e nella Chiesa come attore importante di cambiamento nel presente; all’identificazione di nuove risposte, nuovi equilibri e nuovi assetti di fronte alle sfide educative attuali”
A fare da collante alla quattro giorni, il tema della felicità, che rappresenta oggi una scelta politica forte, controcorrente rispetto al negativismo e ai segnali di crisi e sfiducia, e che ritorna anche nel titolo di questo appuntamento: ‘Generazioni di felicità’.
L’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) è stata presente con una delegazione alle giornate della Settimana sociale ed ha portato “il suo contributo di realtà educativa giovanile, che sul tema della democrazia e della cittadinanza attiva fonda il proprio metodo. Attraverso l’educazione di ogni guida e scout nel proprio territorio, ma con uno sguardo ampio di fratellanza internazionale lo scautismo accompagna alle scelte e a vivere esperienze di servizio al prossimo, attraverso azioni quotidiane che sono fondanti per sperimentare modalità di partecipazione democratica e di crescita verso una cittadinanza responsabile e attiva. Ogni cittadino per rafforzare la propria partecipazione può e deve agire per contribuire al cambiamento, mettendosi in gioco in prima persona nel proprio territorio e in alleanza con gli altri, e questo è quello che si prefigge lo scautismo fin da piccoli”.
L’Agesci è nata nel 1974 come iniziativa educativa liberamente promossa da credenti, dall’unificazione di due preesistenti associazioni, l’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani), maschile, e l’AGI (Associazione Guide Italiane) femminile e grazie al metodo educativo scout, aiuta i giovani di tutta Italia a crescere, come buoni cittadini e cristiani, in una società che cambia evolve e affronta sfide complesse. Essa conta 182.000 soci e si propone di contribuire alla formazione della persona secondo i principi ed il metodo dello scautismo, adattato ai ragazzi e alle ragazze nella realtà sociale italiana.
Per questo anniversario abbiamo chiesto a Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale dell’Agesci, di spiegarci il significato di questi 50 anni: “Nel nostro Paese quest’anno saranno 50 anni che l’Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) è al servizio della crescita delle giovani generazioni, offrendo loro l’opportunità, da protagonisti, di fare del proprio meglio per lasciare il mondo migliore di come trovato.
Consapevoli che viviamo oggi un tempo complesso, che ci riporta sulla soglia e ci obbliga a metterci sempre in ascolto, volgiamo il nostro sguardo alle scelte profetiche che abbiamo voluto fare, pronti ad accogliere il futuro con speranza e voglia di abitare questi tempi incerti, afflitti dalle guerre che imperversano e da una crisi di cambiamento climatico, che ci ricorda che siamo tutti sotto lo stesso cielo. Tempi che necessitano ancora di più della presenza di capi significativi, che crescano accanto e con i 150.000 giovani dell’Agesci, il vero cuore pulsante dell’Associazione”.
In quale modo Agesci educa alla vita cristiana?
“L’associazione già da alcuni anni ha posto la sua attenzione sul tema dell’educare alla vita cristiana per supportare i capi nel cammino insieme ai ragazzi. Alla luce di questa consapevolezza ci immaginiamo il capo e il ragazzo come i due discepoli di Emmaus, che vivono le loro vite e fanno un percorso all’interno della comunità, abitano il mondo e le sue vicende e non ne rimangono indifferenti. Per educare alla vita cristiana c’è bisogno di accompagnare i ragazzi nel loro cammino di crescita nella fede. Significa essere capaci di offrire degli strumenti perché possano riconoscere il proprio percorso di fede e offriamo percorsi per esplorare, capi e ragazzi insieme, i sentieri della vita riconoscendo che Dio cammina con ciascuno di noi”.
Quanto è importante l’educazione per Agesci?
“Educare, accompagnare, crescere assieme sono la nostra scelta di servizio, attraverso lo scautismo. In questo momento storico appare chiaro come e quanto bambini e bambine, ragazzi e ragazze abbiano bisogno di ambiti educativi e di socializzazione positivi. L’intera proposta educativa dell’Agesci è animata e sostenuta dall’annuncio del Vangelo. Le attività, la testimonianza e lo stile dei capi costituiscono un luogo privilegiato per l’incontro personale con Dio e per il cammino di fede della ragazza e del ragazzo. Ci impegniamo ogni giorno nei territori per ribadire la centralità dell’educazione, per non lasciare indietro nessuno”.
Come aiutate i ragazzi a scegliere?
“Attraverso l’autoeducazione di ogni ragazzo e ragazza alla vita sociale, lo scautismo li accompagna alle scelte talvolta complesse che portano ad uno sviluppo armonico del carattere, alla cura della propria salute e alla crescita delle proprie abilità e competenze, a vivere esperienze di servizio al prossimo, attraverso azioni quotidiane che sono fondanti per sperimentare modalità di partecipazione e di educazione ad una cittadinanza responsabile. Il nostro ruolo è quello riconoscere le ragazze e i ragazzi, nelle loro emozioni e desideri, con sguardo amorevole e accogliente. Accompagnarli affinché siano protagonisti del proprio presente e del futuro, con spirito coraggioso, pragmatico e visionario. Infine, ma non in ultimo, convocarli perché possano fare sentire la propria voce e scoprire, attraverso forme autentiche di partecipazione, il proprio valore originale”.
In Norvegia si sta svolgendo ‘Roverway’, a cui partecipate con un contingente, con un titolo ‘North of the Ordinary’ (‘A Nord dell’Ordinario’): perché Roverway?
“Il Roverway è un evento europeo organizzato in ambito internazionale per dare l’opportunità alla branca Rover e Scolte, ragazzi e ragazze di età compresa dai 16 ai 22 anni, di scoprire e condividere differenti culture e tradizioni. L’edizione di quest’anno si svolge in Norvegia, a Stavanger, fino al 2 agosto, ma durante i mesi precedenti il contingente si è preparato in Italia. Il motto di questa edizione è ‘North of the Ordinary’ e l’evento si svolgerà immersi nella natura norvegese”.
Infine a don Andrea Turchini, assistente ecclesiastico generale dell’AGESCI, chiediamo il motivo per cui ancora oggi don Giovanni Minzoni è un ‘prezioso’ testimone?
“Don Giovanni Minzoni è un’ispirazione per noi guide e scout dell’Agesci. Soprattutto oggi, in questi tempi così sfidanti, quando abbiamo bisogno di stringerci alla nostra fede e di ancorarci all’esempio di profeti credibili, dobbiamo tornare alla sua testimonianza. La sua coraggiosa predicazione evangelica è memoria viva per l’educazione dei cittadini e cittadine di domani e per tutti noi che siamo come adulti invitati a conoscerne la storia e per imitare il suo esempio. Soprattutto nei territori difficili, con coraggio e speranza, dove non c’è una possibilità, dove manca la fede”.
(Tratto da Aci Stampa)
In cammino verso il Giubileo: la Chiesa ‘pellegrina e testimone di speranza’
“Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma. La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari… Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé”.
Giovedì 9 maggio nella basilica di san Pietro è stata consegnata da ‘papa Francesco la Bolla di indizione del prossimo anno giubilare ‘Spes non confundit’, in cui la Chiesa è chiamata ‘continuamente ad annunciare sempre, ovunque e a tutti Cristo nostra speranza’, ha chiosato il francescano p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università Antonianum di Roma, nonché assistente alla facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma: per quale motivo la Chiesa è ‘pellegrina e testimone di speranza’?
“La Chiesa, in ascolto dei segni dei tempi, è chiamata a vivere da ‘pellegrina’ nella sua dimensione autenticamente dinamica per ricordare all’uomo contemporaneo che tutti sono in ‘cammino verso il Regno’. Il Giubileo del 2025 è una grande opportunità per tutto il Popolo di Dio per ‘rianimare’ la speranza e attraverso parole, gesti e appelli, ricordare che la ‘speranza non delude’ (Rm 5,5). La Chiesa, ‘pellegrina e forestiera’, interpella il mondo circa la bontà della creazione nell’ottica della redenzione”.
Perché la Chiesa proclama un Giubileo?
“Nel 1300 Papa Bonifacio VIII, con la Bolla Antiquorum habet, istituisce il grande Giubileo come opportunità di perdono e misericordia, concedendo l’indulgenza. E’ un kairos, un’opportunità di grande rinnovamento per tutti i cristiani che, mettendosi in cammino ‘verso Roma’, desiderano ripartire dalla ‘radice comune’, che è il Battesimo, per vivere pienamente da discepoli-missionari. La Chiesa, nell’anno giubilare, offre particolari occasioni per esprimere la prossimità e vicinanza, soprattutto in quelle situazioni ancora controverse della storia, segnate tanto spesso ancora da venti di guerra e di odio. Il Giubileo del prossimo anno è davvero l’occasione per ‘ripartire da Cristo’, vero Dio e vero uomo e unico Salvatore dell’umanità”.
In quale modo vivere questo anno pre-giubilare come ‘una grande sinfonia di preghiera’?
“In ascolto delle indicazioni di Papa Francesco, la Chiesa si sta preparando a questo evento riscoprendo la centralità della preghiera quale dato fondante dell’esistenza cristiana, vissuta nella dimensione ecclesiale, come opportunità di supplica e di intercessione per le situazioni della globalità. Davvero il Popolo di Dio è chiamato a ‘farsi voce’ di un’esistenza nuova che rinnova la società dall’interno, prestando una particolare attenzione alla voce degli ‘scartati’ che si trovano nelle periferie esistenziali delle nostre città. Quindi quest’anno può essere considerato come una grande ‘maratona spirituale’ per allenare il passo, anche attraverso la Scuola di preghiera, al cammino dell’Anno giubilare”.
Come è possibile essere ‘strumento di unità nell’armonia delle diversità’?
“San Paolo, nei suoi scritti, ha utilizzato l’immagine del ‘Corpo di Cristo’, quale principale immagine ecclesiologica, che ha caratterizzato e segnato l’intera riflessione teologica. Il principio della diversità nella riflessione antropologica è sempre stato considerato come ricchezza e ‘valore aggiunto’; nella dinamica ecclesiale, il tema dell’armonia non è questione di uniformità, ma realtà di accoglienza e inclusione. Il Giubileo del 2025, che cade anche nel 1700 anniversario del Concilio ecumenico di Nicea, vuole diventare un’opportunità anche per la Chiesa di ‘camminare insieme’ con chi professa la stessa fede, nell’accoglienza, nel dialogo, nella reciprocità e nella ricerca del bene comune in ottica universale”.
In quale modo il cammino giubilare può aiutare a progredire nella missione di portare a tutti il Vangelo?
“Nella riflessione in merito agli eventi giubilari, la Chiesa innanzitutto è chiamata ad avere come priorità l’annuncio del Vangelo, che inserisce ogni uomo in un cammino di permanente conversione e riconciliazione con Dio, con il prossimo e con il creato. Il tema del Giubileo, ‘Pellegrini di speranza’, vuole offrire un orientamento chiaro alle molteplici iniziative affinché siano un’opportunità di evangelizzazione per tutta la Chiesa, attenta al dialogo con il mondo contemporaneo.
Come afferma papa Francesco, nella Bolla di indizione, ‘La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (2Pt 3,13)’, dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore”.
(Tratto da Aci Stampa)
Missionari Oblati: annunciare il Vangelo con la mentalità digitale
Ad inizio mese si è svolto un convegno sui missionari digitali degli Oblati di Maria Immacolata della Provincia Mediterranea, una famiglia religiosa, fondata da Sant’Eugenio de Mazenod nel 1816, in quanto la predicazione delle missioni popolari è il primo ministero degli Oblati:
“L’evangelizzazione dei giovani è una delle nostre priorità e ci impegniamo a rispondere a bisogni e urgenze della Chiesa e dei poveri in vari altri campi. I poveri più poveri: carcerati, immigrati, tossicodipendenti, fin dall’inizio sono i nostri preferiti. Il ministero parrocchiale non ci è estraneo e ci permette di infondere lo spirito missionario alle comunità che serviamo. Promuoviamo progetti in tanti Paesi in via di sviluppo per l’educazione, la salute, la formazione dei giovani. Alcuni santuari mariani ci vedono impegnati ad accogliere i pellegrini per offrir loro l’esperienza della misericordia ‘materna’ di Dio. Siamo attenti alle culture e alle religioni dei popoli che incontriamo, con spirito di apertura e di dialogo”.
Una riflessione interessante è stata svolta dal superiore generale, p. Chicho Rois, che ha cercato di identificare i missionari digitali per definire il ministero degli Oblati, ricordando il carisma del fondatore, sant’ Eugenio de Mazenod: “State portando il Vangelo nel continente digitale e questo è il nostro carisma, annunciare il Vangelo ai più abbandonati, portare il Vangelo nei luoghi dove non è ancora stato annunciato o dove la Chiesa ci manda.
Vi vedo come il fondatore con i suoi primi compagni: volevano portare il Vangelo alla gente di Provenza parlando la loro lingua. E’ stato lo stesso quando i missionari sono stati inviati in terre nuove e sconosciute in America, Africa e Asia. Andavano in territori sconosciuti pronti ad annunciare il Vangelo ai più poveri parlando la loro lingua, stando vicino alla gente e servendola nella carità. E’ l’amore trasformato in zelo apostolico che li ha spinti, per amore di Gesù, a dare la vita in questi nuovi mondi”.
Quindi il digitale è un ‘mondo’ importante che attende l’annuncio del Vangelo, che ha bisogno di un linguaggio nuovo: “Come i primi missionari, dovete lasciarvi emozionare dall’amore che provate per Gesù e per gli uomini e le donne che incontrerete attraverso le reti per annunciare la Buona Novella. E bisogna farlo con questo nuovo linguaggio fatto di immagini, videoclip, fotografie, scritti, interviste”.
Questo è stato l’appello del superiore generale, in quanto il fondatore della congregazione insisteva sulla necessità di comunicare bene il Vangelo: “A tal proposito, il Fondatore ha insistito molto affinché i suoi missionari si preparassero ad annunciare bene il Vangelo. Li invitava a studiare molto, ad aggiornarsi e ad essere semplici e chiari nell’esprimersi per raggiungere il cuore di coloro che ascoltavano.
E voglio dirvi che anche voi dovete prepararvi bene per poter raggiungere i cuori delle persone che a volte hanno bisogno di messaggi chiari e diretti che diano loro motivi per nutrire la speranza. Vi prego di diffondere la buona notizia della nostra famiglia carismatica e di esplorare i sentieri missionari da percorrere per annunciare il Vangelo nel nuovo linguaggio e nella nuova mentalità digitale”.
Quindi annunciare il Vangelo attraverso i nuovi media significa essere ‘nodi di comunione’: “Quando i missionari Oblati si diffusero ai quattro angoli del mondo, il fondatore insistette affinché gli scrivessero delle lettere per mantenere unita la famiglia Oblata. Eugenio chiese ai suoi missionari di scrivere tutto ciò che accadeva nella missione per farlo conoscere a tutti… Potete fare molto perché cresciamo nella comunione, nella carità. Potete fare molto perché viviamo la carità tra di noi.
Potete fare molto per tenerci uniti nello stesso carisma. Potete anche fare molto per incoraggiare le iniziative che stiamo prendendo oggi, per esempio, per realizzare il Capitolo generale e altre. Potete fare molto per aiutarci a diventare sempre più una famiglia carismatica sinodale che cammina in una Chiesa sinodale con i poveri”.
Nella conclusione il superiore generale ha invocato lo Spirito Santo per l’annuncio del Vangelo a tutti: “Dopo avervi ascoltato in questo primo incontro, sento che lo Spirito Santo ci sta invitando ad essere coraggiosi, a fare di tutto per essere migliori missionari in questo mondo digitale. E’ lo Spirito Santo che ci spinge e ci illumina, quindi non abbiamo paura. Come sant’Eugenio e i suoi primi compagni, lasciamo che Dio ci guidi e ci mostri come annunciare il Vangelo di Gesù attraverso l’amore e la vicinanza, attraverso la testimonianza della vita”.
Infine ha invocato la Madonna per lasciarsi trasformare dallo Spirito Santo: “Possiamo chiedere a Maria di aiutarci e ispirarci: lei si è lasciata trasformare dallo Spirito e si è fidata di Dio dando la sua vita per ricevere e donare Gesù. Lei ci accompagna in questa avventura, è in pellegrinaggio con noi. Ha saputo essere la Madre della comunione nella Chiesa nei suoi primi momenti missionari”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco agli imprenditori: la povertà non è una colpa
“Le funzioni che siete chiamati a svolgere sono sempre più decisive nella vita non solo economica ma anche sociale e politica. Le grandi imprese sono soggetti che incidono sulle dinamiche dei rapporti internazionali. Vi trovate, dunque, a prendere decisioni che hanno impatto su migliaia e migliaia di lavoratori e di investitori, e sempre più su scala globale. Il potere economico si intreccia con quello politico. Le grandi imprese, infatti, oltre alle scelte del consumo, del risparmio e della produzione, condizionano anche le sorti dei governi, le politiche pubbliche nazionali e internazionali, la sostenibilità dello sviluppo. Questa realtà voi la vivete, perché ‘ci siete dentro’, è il vostro mondo”: dopo il discorso al G7 papa Francesco ha incontrato un gruppo di amministratori delegati di grandi imprese e banche, sottolineando il valore della cura.
Però occorre prendere coscienza della situazione, cogliendo le sfide poste ad iniziare dalla cura dell’ambiente: “Ma questo non basta: bisogna prenderne coscienza e guardarla criticamente, con discernimento, così da poter esercitare pienamente la responsabilità degli effetti, diretti e indiretti, delle vostre scelte. Perché oggi più che mai l’economia è più grande dell’economia..
Siamo in un tempo di grave crisi ambientale, che dipende da molti soggetti e da molti fattori, comprese anche le scelte economiche e imprenditoriali di ieri e di oggi. Non basta più rispettare le leggi degli Stati, che procedono troppo lentamente: occorre innovare anticipando il futuro, con scelte coraggiose e lungimiranti che possano essere imitate. L’innovazione dell’imprenditore oggi dev’essere in primo luogo innovazione nella cura della casa comune”.
La seconda preoccupazione del papa riguarda la cura dei poveri, consigliando l’economia circolare: “Mentre però ricicliamo le materie e gli scarti dei materiali, non abbiamo ancora imparato a ‘riciclare’ e non scartare le persone, i lavoratori, soprattutto i più fragili, per i quali vige spesso la cultura dello scarto. Siate diffidenti verso una certa “meritocrazia” che viene usata per legittimare l’esclusione dei poveri, giudicati demeritevoli, fino a considerare la povertà stessa come colpa”.
La proposta del papa non è filantropica, ma evangelica: “E non accontentatevi di un po’ di filantropia, è troppo poco: la sfida è includere i poveri nelle aziende, farli diventare risorse per un vantaggio comune. E’ possibile. Sogno un mondo in cui gli scartati possano diventare protagonisti del cambiamento; ma mi pare che questo lo abbia già realizzato un certo Gesù, non vi pare?”
Ma la sfida più importante per il papa riguarda i giovani e la denatalità: “I giovani sono spesso tra i poveri del nostro tempo: poveri di risorse, di opportunità e di futuro. E questo, paradossalmente, sia dove sono tantissimi, ma mancano i mezzi, sia dove sono sempre più pochi (come ad esempio in Italia, perché non c’è nascita qui) ed i mezzi ci sarebbero.
Non si apprende nessun lavoro senza l’ ‘ospitalità aziendale’, che significa accogliere generosamente i giovani anche quando non hanno l’esperienza e le competenze richieste, perché ogni lavoro si impara solo lavorando. Vi incoraggio a essere generosi, ad accogliere i giovani nelle vostre imprese, dando loro un anticipo di futuro per non far perdere la speranza a un’intera generazione”.
(Foto: Santa Sede)
Da Padova un messaggio per riscoprire il Vangelo come buona notizia
“Sant’Antonio aiuti ogni uomo e donna di buona volontà a riscoprire la Parola del Vangelo come buona notizia che apre al perdono, alla pace, all’ascolto e alla cura premurosa dei deboli e dei fragili”: lo scrivono mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, e fra’ Antonio Ramina, rettore della Basilica del Santo, a conclusione di un messaggio congiunto in occasione della festa di sant’Antonio che ricorre giovedì 13 giugno.
Nel documento congiunto si chiede al santo portoghese il senso della responsabilità: “A sant’Antonio, fratelli e sorelle, desideriamo quest’anno rivolgerci lasciandoci ispirare in modo particolare dal senso di responsabilità con il quale, appassionatamente, questo nostro amico si è sempre mobilitato contro le ingiustizie, contro ogni forma di violenza, contro le divisioni, in difesa dei poveri e di tutti coloro che, nella loro solitudine, hanno bisogno di aiuto”.
Ma la responsabilità si alimenta attraverso il perdono: “Certo: rispetto al coraggio e alla determinazione del nostro caro sant’Antonio ci sentiamo tutti inadempienti, ben lontani dall’audacia che egli ha sempre manifestato nel prendere posizione a favore degli indifesi. E forse la prima cosa che dovremmo fare è proprio questa: chiedere perdono se troppe volte il nostro cuore dorme nell’indifferenza, le nostre mani si chiudono nell’egoismo, la nostra generosità si lascia inaridire da interessi di parte o di comodo. Questo ci accomuna tutti: il nostro bisogno di perdono!”
Ed il perdono non può essere disgiunto dalla pace: “Anche in questo sant’Antonio ci viene certamente in aiuto. Mai ha sbarrato la porta a chi, rendendosi conto delle proprie chiusure ostinate e dei propri peccati, ha scelto di rimettersi in cammino nella novità di vita, sullo stile gioioso del Vangelo. A tutti Antonio ha indicato una via per ripartire con fiducia; ricordandoci, a tal proposito, che lo scoraggiamento è forse il pericolo più insidioso che occorre scacciare con prontezza…
Sarebbe bello poter chiedere al Signore, ponendolo nelle mani di sant’Antonio, un dono diverso rispetto a quello degli anni scorsi. Con insistenza e con il cuore accorato abbiamo infatti più volte pregato per la pace, ma ci ritroviamo a dover fare nostro il grido di Geremia (cfr. 6,14): ‘Pace, pace, ma pace non c’è’. I conflitti sulla faccia della terra, anziché ridimensionarsi o trovare una via di uscita, sembrano moltiplicarsi e accendersi di sempre più preoccupante violenza”.
La lettera congiunta è un invito a pregare per la pace con l’impegno di ristabilirla nei nostri ambienti di vita quotidiana: “La preghiera ci potrà sembrare inutile, ma vogliamo ancora una volta domandare questo dono al Signore, affidandoci alla mediazione di Antonio di Padova. Chiedere la pace significa non rimanere estranei ai drammi del mondo. E soprattutto ci aiuta a sentirci impegnati a divenire noi, nella realtà in cui viviamo, persone che amano la pace e s’impegnano a edificarla.
Un rapporto ristabilito in famiglia, un gesto di perdono accordato a una persona amica con cui abbiamo litigato, un segno di generosità che riallaccia la relazione con un collega, tante altre decisioni di questo tipo depositano nel cuore del mondo semi di pace che avranno frutto, forse a nostra insaputa. La preghiera ci aiuti a fare questo: a rimanere desti, per far sviluppare nelle nostre esistenze umili e ordinarie, personali e comunitarie, l’energia buona della pace”.
Quindi è un invito a riscoprire la capacità di pensiero: “Una risorsa che siamo chiamati nuovamente a desiderare con nostalgia è proprio questa: la profondità! Ci serve l’ardire di fermarci, per metterci in ascolto della realtà che ci circonda, dei fratelli e delle sorelle, dei fatti che accadono. Il Sinodo diocesano ci ha aiutato in questo, ma guai a noi se lo consideriamo una tappa definitivamente conclusa. Occorre mantenersi in cammino e ricordarci che non è ciò che strilla di più a essere più ‘vero’, non è ciò che ha maggiore visibilità o diffusione a essere più importante”.
Ed hanno indicato tre ‘strategie’ per aiutare a riscoprire l’innamoramento della vita, di cui la prima è la gratitudine, che aiuta a sconfiggere la solitudine: “Essere grati non significa, semplicemente, essere persone ben educate. La gratitudine è il modo di abitare la vita di chi sa cogliere molto bene d’aver ricevuto tutto in dono, di chi riconosce nella distensione del tempo tanti segni di fecondità che meritano di essere accolti e resi generativi a favore di altri. Tutti, proprio tutti, abbiamo la possibilità di riconoscerci destinatari di doni da condividere”.
Un’altra strategia necessaria è quella della pazienza: “E’ l’intelligentissima disposizione che siamo invitati a coltivare, per resistere. La pazienza non è la grigia accettazione di ciò che ci dà fastidio o ci fa soffrire, aspettando con ansia che passi, il più in fretta possibile. E’ piuttosto la scelta libera e creativa di resistere al male, costi quel che costi, anche se apparentemente ci sembra di andare controcorrente”.
Ed infine l’umiltà: “Umiltà è lo stile realistico di chi sa domandarsi che cosa conta davvero, che cosa rimane davvero. Sa cercare che cosa merita, davvero il nostro impegno. E forse qui ci ritroveremo tutti d’accordo: ci renderemo conto che solo la qualità buona, forte e concreta delle nostre relazioni merita la nostra dedizione più grande”.
Oratori: mons. Gervasi al COR chiede di annunciare il Vangelo ai bambini
Un forte invito a non lasciar perdere, a seguire l’esempio del fondatore, il Venerabile Arnaldo Canepa, ha espresso mons. Dario Gervasi, Vescovo ausiliare di Roma per il settore sud e delegato per l’ambito della cura delle età e della vita presiedendo la solenne celebrazione eucaristica a Santa Maria Odigitria al Tritone. L’appuntamento, organizzato dal Centro Oratori Romani per fare memoria della conversione del suo fondatore, ha visto soci e amici dell’associazione pregare insieme nella piccola chiesa legata alla storia di Canepa e al suo servizio fra i bambini e i ragazzi.
“E’ sempre molto importante tornare sui luoghi dove si è sentito che Dio parla”, ha esordito don Dario commentando il brano evangelico del giovane ricco. “Questa piccola chiesa, che oggi è sommersa dalla città prettamente turistica, ha visto il momento centrale della vita di Canepa, quando tutto quello che sarebbe stato il futuro della sua opera, il COR, è stata a lui donato, una sorta di radice di tutta l’associazione. Sono convinto che sia stato il suo rapporto personale con Dio a dargli la forza per rispondere alla chiamata, una vera irruzione dell’amore soprannaturale nella nostra piccolezza umana.
E’ un dono immenso che sicuramente ha vissuto anche Canepa perché la Madonna lo ha guardato con la stessa intensità con cui Gesù guarda il giovane ricco. Arnaldo, a differenza di quest’ultimo, ha risposto positivamente a questa chiamata. Nel tempo ha donato tutta la sua vita e le sue ricchezze per i ragazzi e per l’oratorio. Ha dedicato tutta la sua vita al servizio, alla sequela di Cristo ma certamente il suo segreto era questo rapporto speciale con il Signore. Una relazione che lo ha spinto a diventare quel seme che si è moltiplicato in migliaia e migliaia di giovani”.
Invitando i presenti a fare personalmente memoria della propria conversione, don Gervasi ha chiarito come “ritornare, alla conversione, ricordare che siamo stati mandati dal Padre con lo Spirito che ci guida, è fondamentale perché le nostre forze prima o poi si esauriscono. Quelle di Dio no! E’ importante chiedere al Signore una costante conversione: Dio ci conduce sempre avanti, ci aiuta ad affrontare quelle difficoltà dell’oggi e a Lui dobbiamo chiedere la forza di annunciare il Vangelo”.
Il Vescovo Gervasi ha anche sottolineato la geniale intuizione di Canepa per aver compreso come avviare l’oratorio in un periodo storico disastroso. “Lui stesso veniva da una vita borghese in un tempo complesso anche per la vita della Chiesa e della nostra città di Roma”, ha proseguito nel corso dell’omelia, “ma ha avuto questa forza intensa che si spiega solo per il forte rapporto personale con Cristo. La situazione di oggi è anch’essa drammatica perché i giovani vivono uno sbandamento generale enorme.
Chi gira di notte in questa nostra città conosce l’emergenza di giovani ed adolescenti, spesso preda di chi li spinge a buttarsi via. Ci vuole proprio il cuore di Canepa perché aiuti noi tutti a capire cosa si possa fare. Sono convinto che ogni ragazzo che riusciamo ad attirare all’oratorio, in qualche modo viene aiutato ad uscire da queste situazioni. Dovremmo capire come fare per avvicinare anche tutti loro. I giovani sono terreno fertile: se riuscissimo ad entrare nel loro cuore come faceva Arnaldo sicuramente potremmo portare avanti questa opera. Dobbiamo andare avanti, non perdere la fiducia e pensare che ogni ragazzo che si pone al servizio dei piccoli è una benedizione.
Adesso vedremo la partenza degli oratori estivi, che a Roma stanno vivendo un certo risveglio, ma dobbiamo andare avanti anche per quello feriale e credere che possiamo veramente incidere nella vita di questi ragazzi toccando il loro cuore, specie se il nostro rimane sempre aperto. Penso alla potenzialità del COR: dobbiamo capire insieme come fare perché i nostri oratori continuino ad essere un luogo sano per i nostri ragazzi”.
“Il Signore ci ha chiesto, a ciascuno personalmente e insieme come comunità del COR, di servirlo nella speciale vocazione all’oratorio mettendoci a disposizione della Chiesa di Roma e delle giovani generazioni” ha sottolineato da parte sua la Vicepresidente del COR, Micaela Castro, salutando il Vescovo all’inizio della celebrazione. “In ogni bambino che incontriamo riconosciamo il volto di Colui che ci ha chiamato e intendiamo accompagnarli verso un incontro personale con l’intera Trinità che abbiamo appena celebrato liturgicamente. Lo facciamo come catechisti e animatori, ma anche attraverso il servizio nei territori di questa grande e complessa città accompagnando sacerdoti e laici nella formazione e nella progettazione degli oratori”.
(Foto: COR)
Milano e gli oratori, una storia che racconta anche la città oggi
Nello scorso febbraio all’Ambrosianeum di Milano è stato presentato ‘Il posto degli oratori – Una mappa delle proposte educative e ricreative per gli adolescenti di Milano’, uno studio qualitativo e quantitativo che offre una panoramica sulle proposte educative e ricreative offerte dai 146 oratori presenti nei 12 decanati in cui è suddivisa la città, realizzato tra maggio 2022 e gennaio 2023, anche attraverso la somministrazione di questionari online, da docenti e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e del Politecnico.
Introducendo la ricerca la prof.ssa Rosangela Lodigiani, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro, e la dott.ssa Veronica Riniolo, ricercatrice di sociologia, entrambe all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, hanno sottolineato la necessità della sfida educativa, divenuta urgenza dopo il Covid: “La sfida educativa, infatti, è divenuta ancora più centrale con la pandemia Covid-19, quando perfino il diritto di accesso alle proposte educative è vacillato ed il benessere psico-fisico degli adolescenti ha subito un forte contraccolpo…
Inoltre, le fasi di lockdown e la spinta alla remotizzazione dell’insegnamento hanno fatto risaltare ancor di più le disuguaglianze sociali, riflesse nella mancanza di dispositivi elettronici, dell’accesso ad Internet e delle condizioni minime per poter fruire della didattica a distanza, che hanno riguardato soprattutto gli adolescenti, provenienti da famiglie svantaggiate da un punto di vista socio-economico, spesso appartenenti alle minoranze etniche”.
Dallo studio emerge la distribuzione fitta e capillare degli oratori all’interno del comune di Milano, capace di offrire un servizio di prossimità, accessibile a piedi in 5-10 minuti in ogni quartiere. Inoltre una parte importante dello studio ha cercato di delineare l’identikit di chi frequenta l’oratorio e di individuare le motivazioni di tale scelta.
Accanto ai bambini e ai preadolescenti coinvolti nell’iniziazione cristiana (destinatari della pastorale giovanile ‘classica’) si osserva che, con l’aumentare dell’età, la presenza in oratorio diventa una presenza ‘ingaggiata’, ovvero impegnata a frequentare in modo attivo le proposte. Meno presenti dei bambini in termini numerici, i più grandi hanno una presenza più attiva:
“L’indagine fa emergere una apertura all’accoglienza e all’integrazione che nei fatti si realizza negli spazi aperti e nelle attività informali dell’oratorio, nelle attività educative e ricreative più strutturate e persino, anche se più raramente, nei percorsi di educazione alla fede, con soluzioni di inclusione anche molto diversificate tra loro. Soluzioni che riflettono la capacità ma anche la creatività di alcuni responsabili di oratorio, coadiutori, laici impegnati come catechisti o educatori, nel rendere inclusive le proposte”.
Una seconda parte della ricerca è dedicata ad esplorare i segni lasciati dalla pandemia anche nei preadolescenti e adolescenti che frequentano l’oratorio e le conseguenze sulla proposta educativa: si osserva che l’emergenza sanitaria ha spinto a sviluppare nuovi linguaggi, consentendo di innovare non tanto i contenuti ma il metodo delle proposte educative e ricreative instaurando rapporti più diretti con gli educatori, gli animatori e i volontari: è risultato così più facile entrare in contatto con le fragilità nascoste o meno visibili.
Per quale motivo una ricerca sugli oratori a Milano o, meglio, una mappatura territoriale?
“Nel 2021 c’è stata profonda ridefinizione dei confini dei decanati cittadini. Ridotti da 21 a 12 sono divenuti territori molto vasti di cui è importante conoscere le caratteristiche. Gli oratori sono ‘sentinelle’ e ‘sensori’ dei territori e delle comunità che li abitano, operano al fianco e talvolta in sinergia con altre realtà educative. La ricerca ha mappato le proposte educative e ricreative rivolte a adolescenti tra gli 11 e i 19 anni, studiando le principali caratteristiche socio-demografiche e urbanistiche i contesti in esse cui si situano e considerando, insieme agli oratori, le proposte provenienti anche da altri soggetti impegnati sul fronte educativo, del pubblico (centri di aggregazione giovanile, centri di aggregazione multifunzionali, biblioteche), e del privato profit (scuole di teatro, piscine e palestre) e non profit (associazioni e cooperative sociali)”.
In questo scenario gli oratori che ‘posto’ occupano? Come riescono a esprimere la loro unicità, ad annunciare il Vangelo?
“La mappatura ha evidenziato che gli oratori sono diffusi in modo capillare ed esteso su tutto il territorio di Milano rappresentando, in alcune aree, gli unici spazi aggregativi per i più giovani, rivelandosi preziosi specie per quanti hanno minore capitale culturale ed economico e vivono in contesti più svantaggiati. Da qualunque punto della città ci si metta in cammino, in massimo 10 minuti a piedi si può raggiungere un oratorio.
La prossimità che offrono gli oratori non è solo spaziale: l’oratorio assicura un luogo di accoglienza a ‘bassa soglia’, con accesso libero e gratuito, con tempi e spazi di incontro sia organizzati sia informali, con proposte strutturate e occasioni spontanee di condivisione, aperte a tutti ma non per questo aspecifiche. E’ anche tramite questa apertura che nella concretezza dei gesti quotidiani si testimonia e trasmette la fedeltà al Vangelo.
La tensione tra dentro e fuori, vicini e lontani resta però una costante che chiede di sperimentare linguaggi e forme nuove tanto per attrarre quanto per uscire. La pandemia è stata da questo punto di vista l’occasione per avviare cammini di condivisione per sottrarsi al ripiegamento autoreferenziale; cammini di apertura per lasciarsi provocare; cammini di comunità, convivialità, condivisione, co-protagonismo: quelle che la ricerca chiama le ‘4 C’ dell’oratorio”.
Come si caratterizza l’offerta educativa e ricreativa degli oratori?
“L’offerta degli oratori integra finalità diverse: di evangelizzazione e formazione cristiana, educative e formative, ricreative e di socializzazione, e lo fa attraverso un’ampia varietà di proposte: dall’oratorio estivo ai percorsi di formazione cristiana, dal gioco libero alle attività ricreative strutturate, a partire da quelle sportive, le più diffuse, dai ritiri alle esperienze di vita in comune, ai campi estivi e alle vacanze formative.
Con un mix modulato in funzione delle diverse fasce d’età e delle relative esigenze di accompagnamento, educazione personale e spirituale. Dal canto loro, ragazzi e ragazze esprimono chiaramente il bisogno di essere di confrontarsi su temi decisivi per la propria vita, con adulti significativi, ma anche di essere maggiormente protagonisti, di sperimentare spazi di autonomia, di ‘poter contare’ anche nella costruzione delle proposte a loro rivolte”.
Come si caratterizza la popolazione di giovani che frequenta gli oratori?
“Gli oratori accolgono con un universo giovanile plurale e frastagliato in cui si intrecciano appartenenze culturali, etniche e perfino religiose diverse (la presenza di giovani con background migratorio è ormai strutturale), ma anche differenze di genere e di età, differenti capacità e bisogni speciali, differenti desideri di protagonismo e di accompagnamento, nella fede, nella crescita personale. Di conseguenza all’oratorio spetta oggi più che mai di trovare la via per valorizzare questa pluralità, rafforzando le competenze educative per saper promuovere percorsi di integrazione e inclusione, di fatto rappresentando un laboratorio di cittadinanza plurale”.
(Tratto da Aci Stampa)