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Rapporto di Antigone: rischio che la giustizia minorile perda i ragazzi per strada

“Il modello della giustizia minorile in Italia, fin dal 1988, data in cui entrò in vigore un procedimento penale specifico per i minorenni, è sempre stato un vanto per il paese. Mettendo al centro il recupero dei ragazzi, in un’età cruciale per il loro sviluppo, nella quale educare è preferibile al punire, ha garantito tassi di detenzione sempre molto bassi, una preferenza per misure alternative alla detenzione in carcere, come ad esempio l’affidamento alle comunità e ottenuto un’adesione al percorso risocializzante ampio da parte dei giovani. Dal decreto Caivano in poi, invece, il rischio che questi 35 anni di lavoro vengano cancellati e i ragazzi persi per strada è una prospettiva drammatica e attuale”: con queste parole Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, ha presentato ‘Prospettive minori’, VII Rapporto di Antigone sulla giustizia minorile.

All’inizio del 2024 sono circa 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane. Sono oltre 10 anni che non si raggiungeva una simile cifra. Gli ingressi in IPM sono in netto aumento. Se sono stati 835 nel 2021, sono stati 1.143 nel 2023, la cifra più alta almeno negli ultimi 15 anni.

La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è fatta quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare, frutto del decreto ‘Caivano’ che ha esteso l’applicazione della custodia cautelare in carcere, stravolgendo l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988.

Altra novità, in linea con quanto previsto dal decreto, laddove prevede di disporre la custodia cautelare anche per i fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti è la notevole crescita degli ingressi in IPM per reati legati alle droghe, con un aumento del 37,4% in un solo anno.  

Aumenti dei numeri, quindi, che non trovano riscontro nell’aumento dei reati, con il dato più recente che, tra alti e bassi, è in linea con quello registrato 10 anni fa, ha spiegato Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone e responsabile dell’osservatorio minori: “Sono prospettive minori quelle che oggi vediamo rispetto a due anni fa, quando pubblicammo il nostro precedente rapporto sulla giustizia minorile in Italia…

Occorre riprendere la strada tracciata dai 35 anni di giustizia minorile italiana, mettere al centro il bene supremo dei ragazzi e non cadere nella tentazione punitiva verso chi commette un reato in una fase così cruciale del proprio percorso di crescita. Se non ci possiamo permettere di perdere un adulto, ancor meno ci possiamo permettere di perdere un ragazzino”.

Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio di Antigone sulle carceri per adulti ha a sua volta sottolineato: “Con il decreto Caivano, che ha fortemente ampliato la possibilità di trasferire i ragazzi maggiorenni, che sono in IPM in quanto avevano compiuto il reato compiuto da minorenni, nelle carceri per adulti si assiste a una ulteriore torsione del sistema, portando queste persone a doversi confrontare con tipo di detenzione più dura, limitata, in luoghi dove i loro bisogni, anche a fronte del grande sovraffollamento e quindi della scarsità di opportunità di studio, lavoro e ricreative, non vengono tenuti nel giusto peso, lasciandoli invece in un sistema che, ad oggi, produce criminalità a causa di tassi di recidiva molto alti”.

All’inizio del 2024 sono circa 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane: “Sono oltre 10 anni che non si raggiungeva una simile cifra. Gli ingressi in IPM sono in netto aumento. Se sono stati 835 nel 2021, ne abbiamo avuti 1.143 nel 2023, la cifra più alta almeno negli ultimi quindici anni. I ragazzi in IPM in misura cautelare erano 340 nel gennaio 2024, mentre erano 243 un anno prima, segno evidente degli effetti del Decreto ‘Caivano. La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è fatta quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare.

Altro effetto del decreto è la notevole crescita degli ingressi in IPM per violazione della legge sugli stupefacenti, con un aumento del 37,4% in un solo anno. La presenza negli IPM oggi è fatta soprattutto di ragazzi e ragazze minorenni. La fascia più rappresentata è quella dei 16 e 17 anni, ed in totale i minorenni sono in larga maggioranza, quasi il 60% dei presenti.

Due anni fa la situazione era esattamente invertita. L’aumentata possibilità introdotta dal Decreto Caivano di trasferire i ragazzi maggiorenni dagli IPM alle carceri per adulti sta facendo vedere i propri effetti, con danni enormi sul futuro dei ragazzi”.

I dati forniti dall’Istat e dal Ministero dell’Interno relativi ai minorenni arrestati e/o indagati nel periodo 2010–2022, mostrano un picco nel 2015, essendo stati segnalati complessivamente 32.566 minori (il numero massimo registrato fino ad ora). Dal 2015 si registra un costante decremento fino al 2019, mentre il numero più basso di segnalazioni nel periodo in esame si è raggiunto nel 2020 con 25.088 segnalazioni, decremento dovuto soprattutto alle restrizioni imposte per contenere la pandemia da Covid-19.

Nel 2021, dopo il trend in discesa degli anni precedenti, si è registrato un lieve aumento rispetto al 2020 (28.954 segnalazioni) mentre nel 2022 si rileva un considerevole incremento delle segnalazioni, con 32.522 minori segnalati, andando quasi ad eguagliare il picco raggiunto nel 2015.

Nelle regioni del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) si registra il maggior numero di segnalazioni. L’andamento è caratterizzato da un trend in aumento nel lungo periodo in esame. Il biennio 2021-2022 presenta i picchi dell’intera serie temporale, con 9.849 segnalazioni nel 2021 e 10.486 nel 2022. I dati sono simili a quelli del 2015 e sono in aumento rispetto al 2020 che però era l’anno del lockdown e del numero più basso di delitti degli ultimi decenni anche tra gli adulti.

Nell’area geografica del Nord-Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto) l’andamento della criminalità minorile è quasi sovrapponibile a quello delle regioni del Nord-Ovest, seppure su un ordine di grandezza inferiore: si evidenzia anche qui un trend in aumento nel biennio 2021-2022.

Nelle regioni del Centro (Lazio, Marche, Toscana ed Umbria) si rileva un lieve incremento negli ultimi anni mentre nelle regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia) si registra un significativo decremento. Circa 6.000 le segnalazioni nel centro d’Italia, circa 5.000 nel sud (erano circa 7.000 nel 2015) e circa 3.000 nelle isole.

Al 15 gennaio 2024 i ragazzi e le ragazze straniere in IPM erano 254, il 51,2% dei presenti. I ragazzi stranieri vengono dalla Tunisia (12,3%), dal Marocco (10,6%) e dall’Egitto (10,4%). Le ragazze invece vengono soprattutto dalla Bosnia-Erzegovina (23,3%), dalla Serbia (10%) e dalla Croazia (8,3%). Gli stranieri sono mediamente più giovani degli italiani, minorenni per il 64,2% contro il 50,8% degli italiani. Sono più spesso in custodia cautelare (il 75,6% contro il 61,2% degli italiani) e commettono generalmente reati meno gravi: per il 63,9% sono detenuti per reati contro il patrimonio contro il 47,2% degli italiani.

I reati contro la persona sono il 22,7% dei reati a carico delle persone entrate in IPM. La categoria di reati più frequente sono i reati contro il patrimonio, che rappresentano il 55,2% dei totale dei reati a carico di tutti coloro che sono entrati in IPM nel corso del 2023, il 63,9% se si guarda ai soli stranieri, e addirittura il 70,2% se si guarda alle sole donne. Tra i reati contro il patrimonio il più ricorrente è la rapina, che pesa per il 30,5% del totale dei reati a carico di tutti coloro che sono entrati in IPM nell’anno, seguito dal furto con il 15,1%.

I reati contro l’incolumità pubblica (10,6% del totale) sostanzialmente coincidono con le violazioni della legge sugli stupefacenti, che rappresentano il 10,2% del totale dei reati a carico di chi è entrato in IPM nel 2023, ed il 14,5% se si guarda ai soli italiani.

La Chiesa italiana presenta il primo report sui casi di abuso

“Negli ultimi vent’anni sono pervenuti al Dicastero per la Dottrina della Fede 613 fascicoli dalle diocesi… Su questi dati la Chiesa italiana farà un’indagine che sarà la prima al mondo di questo genere”:

così ha detto mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti relative ai casi di abusi, durante la conferenza stampa di presentazione del primo Report nazionale sulle attività di tutela dei minori nelle diocesi italiane.

Mentre mons. Lorenzo Ghizzoni, responsabile del Servizio nazionale della Cei per la Tutela dei minori e delle persone vulnerabili. ha ricordato che “il 93% dei casi di abusi avvengono in famiglia, o in ambito familiare o nel ‘circolo della fiducia’ che si crea negli ambienti che frequentano i minori”.

Però negli ultimi anni è cambiata in positivo la percezione della gravità degli abusi: “C’è una coscienza diversa riguardo alle vittime: il vero cambiamento, come Chiesa, è avvenuto proprio quando noi abbiamo cominciato a metterci nei panni delle vittime…

Questo è avvenuto anche a livello sociale e culturale: del resto, il reato di pedofilia è entrato nel diritto italiano alla fine degli Anni Novanta… Stiamo uscendo dall’idea che i panni sporchi si lavano in famiglia”.

Eppoi ha specificato sui 613 fascicoli esistenti in questi 20 anni: “613 fascicoli non significa che ci sono 613 casi di pedofilia sacerdotale dal 2000 a oggi in Italia. Intanto bisogna notare che è solo dal 2000 che esiste l’obbligo per le diocesi di trasmettere il fascicolo alla Dottrina della Fede. I casi segnalati possono però riferirsi anche a un arco temporale precedente al 2000. Inoltre bisogna vedere il contenuto dei singoli fascicoli.

Un singolo abusatore potrebbe essere autore di più abusi. Così come darsi che la segnalazione sia stata archiviata perché infondata. Bisogna dunque attendere i risultati della ricerca per una fotografia più precisa”.

Quindi, alla vigilia della giornata dedicata alle vittime e ai sopravvissuti agli abusi sessuali, la Cei ha reso noto il primo report nazionale per fare luce sui casi di abuso nella Chiesa segnalati ai centri di ascolto diocesani, riguardanti l’ultimo biennio. In particolare, sono stati rilevati i dati relativi a 90 Centri di ascolto: di questi 21 attivati nel 2019 o prima, 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. I casi segnalati, anche per fatti riferiti al passato, riguardano 89 persone, di cui 61 nella fascia di età 10-18 anni, 16 over 18 anni (adulto vulnerabile) e 12 under 10 anni.

I Servizi Diocesani e Inter-diocesani per la tutela dei minori sono presenti nelle 226 diocesi italiane e le elaborazioni effettuate fanno riferimento a 158 risposte su 166 diocesi coinvolte, mentre 8 servizi sono a carattere Interdiocesano. La rappresentatività statistica del campione di indagine è pari al 73,4% (166 diocesi sulle 226 totali in Italia, in quanto sono in corso ulteriori accorpamenti).

Ad avere l’incarico di referente nella maggior parte dei casi è un sacerdote (51,3%), seguito da laico o laica (42,4%) e solo raramente un religioso o una religiosa (6,3%). Le diocesi di piccole dimensioni si distinguono in quanto a ricoprire il ruolo di referente, in oltre la metà dei casi, è un laico/a (56, 0%), mentre negli altri casi un sacerdote.

La maggior parte delle Diocesi ha attivato un Centro di ascolto (70,8%), in particolare nelle Diocesi di grandi dimensioni (84,8%). Le modalità con cui vengono pubblicizzate le attività del Servizio diocesano della tutela dei minori si avvalgono soprattutto del sito web (67,7%), in secondo luogo si utilizzano presentazioni o comunicazioni ordinarie alla stampa (42,4%).

Tra i punti di forza sono indicati la sensibilità di educatori e catechisti nei confronti del tema degli abusi sui minori (il punteggio medio da 1 a 10 è 7,3) e la gestione delle relazioni con gli Uffici pastorali diocesani (7,1), con il Seminario diocesano (6,5) e con educatori e catechisti (6,4).

I punti negativi risultano la capacità di gestire relazioni con Istituti e Congregazioni religiose (5,1), con le associazioni non ecclesiali (4,9), con gli enti locali (4,8); infine, il giudizio più negativo è riservato all’attività di comunicazione realizzata sui media locali (4,1) circa le iniziative proposte dai Servizi.

In questo triennio sono stati attivati 90 Centri di ascolto: di questi 21 attivati nel 2019 o prima, 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. L’attivazione dei Centri di ascolto è strettamente correlata alla dimensione delle Diocesi, con 38 Centri costituiti in Diocesi di grandi dimensioni o Diocesi che si sono aggregate.

La sede del Centro di ascolto differisce dalla sede della curia diocesana nel 74,4% dei casi; mentre il responsabile del Centro, in oltre due terzi dei casi, è un laico o una laica (77,8%). Meno frequente è la scelta di un sacerdote (15,5%), oppure un religioso o una religiosa (6,7%).

Tra i laici prevalgono nettamente le donne, che quindi rappresentano i due terzi dei responsabili. Nella maggior parte dei casi (83,3%), i Centri di ascolto sono supportati da una équipe di esperti.

In questo periodo il totale dei contatti registrati da 30 Centri di ascolto è stato pari a 86, di cui 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021. Il genere delle persone che hanno contattato il Centro rivela una maggiore rappresentazione delle donne (54,7%).

Inoltre i contatti sono avvenuti principalmente via telefono (55,2%) o, in misura inferiore, tramite corrispondenza online (28,1%). Il motivo del contatto è rappresentato dalla volontà di segnalare il fatto all’Autorità ecclesiastica (53,1%), dalla richiesta di informazioni (20,8%), da una consulenza specialistica (15,6%).

I casi segnalati, anche per fatti riferiti al passato, riguardano 89 persone, di cui 61 nella fascia di età 10-18 anni, 16 over 18 anni (adulto vulnerabile) e 12 under 10 anni. Circa la tipologia dei casi segnalati, è emersa la prevalenza di ‘comportamenti e linguaggi inappropriati’ (24), seguiti da ‘toccamenti’ (21); ‘molestie sessuali’ (13); ‘rapporti sessuali’ (9); ‘esibizione di pornografia’ (4); adescamento online’ (3); ‘atti di esibizionismo (2). Le segnalazioni fanno riferimento a casi recenti e/o attuali (52,8%) e a casi del passato (47,2%).

Il profilo dei 68 presunti autori di reato evidenzia soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni all’epoca dei fatti, in oltre la metà dei casi. Il ruolo ecclesiale ricoperto al momento dei fatti è quello di chierici (30), a seguire di laici (23), infine di religiosi (15).

Tra i laici emergono i ruoli di insegnante di religione; sagrestano; animatore di oratorio o grest; catechista; responsabile di associazione. Il contesto nel quale i reati sono avvenuti è quasi esclusivamente un luogo fisico (94,4%), in prevalenza in ambito parrocchiale (33,3%) o nella sede di un movimento o di una associazione (21,4%) o in una casa di formazione o seminario (11,9%).

Infine il numero di incontri formativi proposti nel biennio 2020-2021 è aumentato, passando dai 272 incontri del 2020 ai 428 del 2021 con conseguente aumento di partecipazione passato da 7.706 nel 2020 a 12.211 nel 2021; mentre gli operatori pastorali sono passati da 3.268 a 5.760. E sul versante della prevenzione e del contrasto alla pedofilia, il Consiglio nazionale della Scuola Cattolica ha pubblicato le Linee-guida per la tutela dei minori nelle scuole cattoliche.

(Foto: Cei)

A Specchia il seminario ‘Usura fenomeno diffuso, reato sommerso’

La Fondazione ‘Mons. Vito De Grisantis’, organismo della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, comunica che oggi venerdì 21 ottobre, dalle ore 16.00, a Specchia, presso l’Ex Convento dei Francescani Neri, sito in via F. M. Perrone, si svolge il seminario dal tema: ‘Usura fenomeno diffuso, reato sommerso’.

Il papa riforma il Libro VI del Codice di Diritto Canonico

“E il Pastore è chiamato a esercitare il suo compito ‘col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà’, giacché la carità e la misericordia richiedono che un Padre si impegni anche a raddrizzare ciò che talvolta diventa storto. Procedendo nel suo pellegrinaggio terreno, sin dai tempi apostolici, la Chiesa si è data regole di condotta che nel corso dei secoli hanno composto un coeso corpo di norme vincolanti, che rendono unito il Popolo di Dio e della cui osservanza sono responsabili i Vescovi. Tali norme riflettono la fede che noi tutti professiamo, dalla quale traggono la loro forza obbligante, e su di essa fondate, manifestano la materna misericordia della Chiesa, che sa di aver sempre come fine la salvezza delle anime”.

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