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Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico: ‘attenzione per i diritti dei disabili’

La Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata il 3 dicembre, è stata proclamata nel 1981 con lo scopo di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente promosso i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.

La Convenzione invita gli Stati ad adottare le misure necessarie per identificare ed eliminare tutti quegli ostacoli che limitano il rispetto di questi diritti imprescindibili.  La Convenzione (Articolo 9, accessibilità) si focalizza sulla necessità di condizioni che consentano alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita e dello sviluppo.

All’avv. Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, abbiamo chiesto di raccontare l’importanza di questa giornata: “E’ importante per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone con disabilità e per ricordarci che il cammino è ancora lungo e non dobbiamo arrestarci”.

Nello scorso ottobre al Castello di Solfagnano, in Umbria, si è svolto il ‘G7 Inclusione e Disabilità, con la sottoscrizione di una ‘Carta’. Questa ‘Carta di Solfagnano’ può segnare un passo avanti per l’inclusione delle persone con disabilità?
“Segna l’inizio di un processo. L’impegno dei Paesi del G7 su alcune priorità aprono la strada a delle politiche concrete per le persone con disabilità. Siamo chiamati a ripensare i nostri edifici, strade, trasporti, telecomunicazioni, Web, scuole e ospedali con un approccio nuovo, che è quello dei diritti umani e della progettazione universale. Ma il G7 di Assisi e Solfagnano ci ha lasciato soprattutto un metodo per affrontare il tema dell’inclusione, che è quello del coinvolgimento delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative in tutti i processi decisionale e a ogni livello”.

In quale modo è possibile l’inclusione?
“L’inclusione è una bellissima tessitura che si compone intrecciando i fili disgiunti in movimenti verticali e orizzontali. Anche se, fondamentalmente, la ‘Carta di Solfagnano’ e la politica delle istituzioni non saranno sufficienti per riportare le persone con disabilità al centro della vita, ma occorrerà l’impegno di ciascuno di noi in un movimento orizzontale capace di coinvolgere i singoli, le associazioni in continuo dialogo con la politica. Dobbiamo maturare la consapevolezza che ciascuno di noi può fare la differenza”.


E’ possibile garantire una vita autonoma ed indipendente?

“E’ certamente possibile, ma solo se non confonderemo l’autonomia con l’assenza dell’altro. Nessuno di noi può essere libero di vivere una vita piena in solitudine. E’ all’interno di una relazione, che può essere di tipo affettivo, di aiuto, di amicizia, che possono svilupparsi quelle opportunità che colmano il limite della disabilità. Dobbiamo essere pronti a stare alla necessità del bene delle persone che abbiamo accanto. E’ questa disposizione d’animo che apre la porta alla libertà di vivere delle persone che entrano in relazione con noi”.

Come è possibile cambiare il nostro sguardo verso la persona disabile?
“E’ possibile solo attraverso un riconoscimento: il valore incommensurabile della vita e la dignità unica e senza limiti di ogni persona. Siamo chiamati non tanto a vedere le persone che incrociamo nella nostra vita, ma a riconoscerle”.

‘Insieme, possiamo costruire un mondo dove la dignità di ogni persona sia pienamente riconosciuta e rispettata’, ha affermato papa Francesco ai ministri del G7: siamo pronti?

“La dignità ed il valore della vita umana sono l’architrave della ‘Carta di Solfagnano’ e della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ma c’è bisogno dell’impegno di tutti e di un lavoro integrato e multisettoriale per dare concretezza alla parola dignità. Anche se facciamo fatica a recuperare questa dimensione del vivere e del collaborare insieme: oggi tendiamo sempre di più a chiuderci in noi stessi e in un marcato individualismo. Le persone con disabilità possono insegnarci a ritrovare il gusto della relazione e della fiducia per l’altro che non è mai una minaccia, ma la porta che ci apre a un mondo giusto”.

Quale è la mission dell’Istituto Serafico? 

“Da oltre 150 anni la nostra missione non è cambiata e consiste nel rendere piena la vita di persone con disabilità grave. Quando una finestra si è chiusa sulla vita, a causa della disabilità, noi siamo pronti a spalancarne tante altre”.

(Tratto da Aci Stampa)

Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’

“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.

A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.

Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.

In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?

“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.

Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?

“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.

Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?

“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.

Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?

“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.

L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?

“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”. 

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

Papa Francesco invita a studiare la storia per riscoprire i martiri

Papa Francesco

“Sono ben consapevole che, nel percorso formativo dei candidati al sacerdozio, viene destinata una buona attenzione allo studio della storia della Chiesa, così come è giusto che sia. Ciò che vorrei sottolineare ora va piuttosto nella direzione di un invito a promuovere, nei giovani studenti di teologia, una reale sensibilità storica. Con quest’ultima espressione voglio indicare non solo la conoscenza approfondita e puntuale dei momenti più importanti dei venti secoli di cristianesimo che ci stanno alle spalle, ma anche e soprattutto il sorgere di una chiara familiarità con la dimensione storica propria dell’essere umano. Nessuno può conoscere veramente chi è e che cosa intende essere domani senza nutrire il legame che lo connette con le generazioni che lo precedono. E questo vale non solo a livello di vicenda dei singoli, ma anche ad un livello più ampio di comunità”.

Lo ha scritto papa Francesco nella lettera sul ‘Rinnovamento dello studio della storia della Chiesa’, in continuità con la lettera sulla importanza della letteratura nella formazione dello scorso agosto, sottolineando che “una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà”.

Infatti nella presentazione di ieri il card. Lazzaro You Heung-sik, prefetto del dicastero per il Clero, ha sottolineato l’importanza della lettera: “Ho iniziato questo mio breve intervento dicendo che con questa Lettera il Santo Padre prosegue un discorso di formazione sacerdotale, cristiana e umana che va verso una piena consapevolezza dell’essere sacerdoti, cristiani, esseri umani che cercano di comprendere e di comprendersi nel portare avanti il piano di Dio”.

Ed ha sottolineato tre caratteristiche fondamentali della fede cristiana: “La prima: Dio entra in punta di piedi nella storia dell’umanità e dei singoli per innestarci nella Sua storia salvifica. La seconda, conseguenza della prima, comporta la necessità di conseguire una ‘dimensione storica dell’essere umano’ attraverso ‘una reale sensibilità storica’ che deve portare ad una ‘Chiesa che riconosce se stessa anche nei suoi momenti più oscuri’, che ‘diventa capace di comprendere le macchie e le ferite del mondo in cui vive, e se cercherà di sanarlo e di farlo crescere, lo farà nello stesso modo in cui tenta di sanare e far crescere se stessa’…

Terza caratteristica: il Dio di Gesù Cristo che entra nella nostra storia come Persona, che parla, vive, agisce, piange, sorride, accarezza, si adira. Costruisce cioè storia con noi per portarci ad un livello di comunione e consapevolezza con Lui, affinché ritroviamo noi stessi come figli suoi che hanno i suoi tratti, fatti ‘a sua immagine e somiglianza’ (Gen. 1,26), secondo la sua essenza che è comunione. Dio stesso è maestro di Storia, oltre che Signore delle nostre storie”.

Mentre il segretario dello stesso dicastero, mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, ha sottolineato la cura del papa per la formazione dei giovani: “Il Santo Padre ha particolarmente a cuore alcune attuali debolezze e limiti nella formazione dei giovani, particolarmente nei percorsi formativi agli Ordini ministeriali nei Seminari e nelle altre Case di formazione, dove si tende a considerare di meno la memoria del passato, la ricerca della verità e l’appartenenza a una cultura che si esprime attraverso molti modi, di cui l’arte letteraria è uno dei privilegiati. Tra l’altro, la superficialità delle letture e dello studio e il fascino compulsivo dell’immediato offerto da uno schermo, non poche volte, lascia prendere il sopravvento a banalità e fake news”.

Infine il prof. Andrea Riccardi, presidente della ‘Società Dante Alighieri’, ha sottolineato la continuità con il Concilio Vaticano II: “In linea con il Concilio, papa Francesco chiede di maturare una ‘reale sensibilità storica’. Non una difesa trionfalista. Non una storia ideologica, né manipolatrice degli eventi (i conflitti talvolta si giustificano con ricostruzioni tendenziose della storia). Per il papa bisogna conoscere la storia, ma avere una mentalità storica nel vivere il presente e nella Chiesa: ‘Senza memoria non si va mai avanti’, dice”.

Tale Lettera è un collegamento con la memoria dei martiri: “Del resto, il recupero della memoria dei martiri del Novecento, voluto da Giovanni Paolo II per il Grande Giubileo, ha salvato dall’oblio questi ultimi sepolti dalla violenza. Ne è emersa dal recupero della memoria una Chiesa di martiri. La storia libera e restituisce alla realtà. Ha fatto emergere storicamente l’autocoscienza della Chiesa dei martiri. Francesco ha voluto una nuova commissione per i martiri del XXI secolo. La storia della Chiesa non è solo di papi o grandi personaggi, ma anche storia degli umili, della loro preghiera, della carità, della pietà popolare. Abbiamo già una grande storiografia in proposito”.

Ed infatti nella conclusione della lettera il papa ha chiesto di studiare la storia per recuperare l’esperienza martiriale della Chiesa: “In quest’ultima osservazione, desidero ricordare che la storia della Chiesa può aiutare a recuperare tutta l’esperienza del martirio, nella consapevolezza che non c’è storia della Chiesa senza martirio e che mai si dovrebbe perdere questa preziosa memoria. Anche nella storia delle sue sofferenze ‘la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano’. Proprio lì dove la Chiesa non ha trionfato agli occhi del mondo, è quando ha raggiunto la sua maggiore bellezza”.

Papa Francesco: l’intelligenza artificiale non è neutrale

“Mi rivolgo oggi a Voi, leader del Forum Intergovernativo del G7, con una riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità. ‘La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano ‘saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro’ (Es. 35,31’. La scienza e la tecnologia sono dunque prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani. Ebbene, è proprio dall’utilizzo di questo potenziale creativo che Dio ci ha donato che viene alla luce l’intelligenza artificiale”: con la citazione dell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale per la pace papa Francesco ha iniziato il discorso al G7, riunito in Puglia, sottolineando il valore della dignità umana.

Il tema centrale del discorso del papa ha riguardato, infatti, la dignità umana che si deve confrontare con l’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.

Il pensiero del papa non è un atto di condanna nei confronti dell’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.

E ne ha sottolineato i vantaggi pur richiamandone i ‘pericoli’ di creare una più larga ingiustizia: “Non possiamo, del resto, dubitare che l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali. Ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe permettere una democratizzazione dell’accesso al sapere, il progresso esponenziale della ricerca scientifica, la possibilità di delegare alle macchine i lavori usuranti; ma, al tempo stesso, essa potrebbe portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi, mettendo così in pericolo la possibilità di una cultura dell’incontro a vantaggio di una cultura dello scarto”.

Quindi il papa ha chiesto di ridare rilievo alla dignità della persona: “Oltre la complessità di legittime visioni che caratterizzano la famiglia umana, emerge un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze. Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana. Sembra che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana..

Non dobbiamo dimenticare infatti che nessuna innovazione è neutrale. La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata”.

Ed ha rimesso al centro la necessità dell’azione politica: “Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi.

Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di ‘paradigma tecnocratico’. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: trasmettere la storia è vita

“Sono lieto di potervi accogliere in questa ‘Città’ vaticana che, come quelle che rappresentate, conserva una ricca eredità di cui siamo custodi”: oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri del gruppo ‘Ciudades Patrimonio de la Humanidad’, fondato in Spagna nel 1993 mettendo in rete le città dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità, ed è riconosciuto anche a livello governativo.

Nell’incontro il papa ha sottolineato la responsabilità e la vocazione delle città culturali:”In questo senso penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa rimanere nell’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, abbracciando l’integrità della persona che riceve questa eredità e delle persone che ce la hanno trasmessa. Le situazioni storiche (con le loro luci e ombre) ci parlano di uomini e donne veri, di sentimenti autentici, che dovrebbero essere per noi lezioni di vita, più che pezzi da museo”. S

Infatti le città sono state fondate per la trasmissione di cultura e di fede: “Sono le sofferenze e i desideri delle persone che hanno costruito le loro città nel corso del tempo, la mescolanza di culture e civiltà che si sono verificate in esse e, naturalmente, la loro fede in Dio, che fa battere i loro cuori con passione. Chiedo al Signore che, insieme alla bellezza delle loro città, conceda loro la grazia di trasmettere la fede, la speranza e la carità della loro gente”.

Tutto ciò permette di trasmettere la storia: “La contemplazione dei diversi monumenti permetta sia a chi li abita, sia a chi li visita, di riconsiderare la prudenza e la forza che ne hanno reso possibile la realizzazione. Si sentano interpellati dagli insegnamenti di giustizia e di temperanza che ogni situazione storica contiene. Parleremo così di città, di persone, di una storia non contemplata, ma realizzata, con un occhio al passato e un altro al futuro, per avere sempre le mani sul presente che ci interroga ogni giorno”.

Mentre ai membri del Consiglio Nazionale del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (MASCI), in occasione del 70^ anniversario dalla fondazione, il papa ha sottolineato il titolo dell’incontro, ‘Più vita alla vita’: “Lo avete voluto incarnare in alcuni progetti-simbolo da realizzare: donare una culla termica al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa; costruire una falegnameria nautica in Zambia; e piantare un bosco ad Argenta, in Romagna”.

E la vita è un valore fondamentale, offrendo una riflessione sulla natalità: “Primo: la culla, che ci ricorda l’amore per la vita che nasce. Viviamo in un tempo di drammatica denatalità. L’età media degli italiani è 46 anni, l’età media degli albanesi è 23: questo ci fa capire. Una drammatica denatalità in cui l’uomo sembra aver smarrito il gusto del generare e del prendersi cura dell’altro, e forse anche il gusto di vivere. Una culla simboleggia invece la gioia per un bimbo che viene alla luce, l’impegno perché possa crescere bene, l’attesa e la speranza per ciò che potrà diventare”.

La culla è attenzione per ogni vita: “La culla ci parla della famiglia, nido accogliente e sicuro per i piccoli, comunità fondata sulla gratuità dell’amore; ma anche, di riflesso, ci parla di attenzione per la vita in ogni sua fase, specialmente quando il passare degli anni o le asperità del cammino rendono la persona più vulnerabile e bisognosa. Ed è significativo, in questo senso, il fatto che il vostro dono sia destinato al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa: ciò sottolinea ulteriormente che l’amore per la vita è sempre aperto e universale, desideroso del bene di tutti, al di là della provenienza o di qualsiasi altra condizione”.

La seconda iniziativa messa in campo dal Masci è la falegnameria, che richiama la famiglia di Nazaret: “La falegnameria è un simbolo caro a noi cristiani, perché il Figlio di Dio l’ha scelta come luogo in cui prepararsi alla sua missione di salvezza nel suo villaggio, a Nazaret, lavorando umilmente ‘con mani d’uomo’. In un mondo in cui si parla tanto, forse troppo, di fabbricare armi per fare la guerra… essa ci rimanda alla vocazione fondamentale dell’uomo di trasformare i doni di Dio non in mezzi di morte, ma in strumenti di bene, nell’impegno comune di costruire una società giusta e pacifica, dove a tutti sia data la possibilità di una vita dignitosa. La dignità della vita: lavorare per la dignità della vita”.

Ed infine il bosco: “Esso ci ricorda la nostra responsabilità per la casa comune, che il Creatore ha affidato alle nostre mani. Il rispetto, l’amore e il contatto diretto con la natura sono caratteristiche peculiari dello scoutismo, fin dalle sue origini. E sono valori di cui abbiamo tanto bisogno oggi, mentre ci scopriamo sempre più impotenti di fronte alle conseguenze di uno sfruttamento irresponsabile e miope del pianeta, prigionieri di stili di vita e comportamenti tanto egoisticamente sordi ad ogni appello di buon senso, quanto tragicamente autodistruttivi; insensibili al grido di una terra ferita, come pure alla voce di tanti fratelli e sorelle ingiustamente emarginati ed esclusi da un’equa distribuzione dei beni”.

Tutto ciò è stato realizzato per ricordare don Giovanni Minzoni: “Egli è stato un parroco coraggioso che, in un contesto di violenta e prepotente ostilità, si è battuto, anche attraverso lo scoutismo, per formare i suoi giovani ‘a una solida vita cristiana e a un conseguente impegno per la trasformazione della società’. Anche questo è un richiamo importante a quell’ecologia integrale che, partendo dal farsi carico delle emergenze climatiche e ambientali, amplia la propria riflessione considerando, a monte, il ‘posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda’”.

‘Dignitas infinita’: il magistero della Chiesa per la tutela della dignità umana

“Nel Congresso del 15 marzo del 2019, l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede decise di avviare ‘la redazione di un testo evidenziando l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana all’interno dell’antropologia cristiana e illustrando la portata e le implicazioni benefiche a livello sociale, politico ed economico, tenendo conto degli ultimi sviluppi del tema nell’ambito accademico e delle sue ambivalenti comprensioni nel contesto odierno’.

Un primo progetto al riguardo, elaborato con l’aiuto di alcuni Esperti nel corso dell’anno 2019, venne ritenuto insoddisfacente da una Consulta ristretta della Congregazione, svoltasi l’8 ottobre dello stesso anno. Si procedette ad elaborare ex novo un’altra bozza del testo da parte dell’Ufficio Dottrinale, sulla base del contributo di diversi Esperti. La bozza venne presentata e discussa da una Consulta ristretta svoltasi il 4 ottobre del 2021. Nel gennaio 2022 la nuova bozza fu presentata nella Sessione Plenaria della Congregazione, durante la quale i Membri hanno provveduto ad abbreviare e semplificare il testo”.

Con queste parole introduttive il prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede, card. Victor Manuel Fernandez, ha firmato la dichiarazione ‘Dignitas infinita’, che ricorda il 75^ anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, riaffermando ‘l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana all’interno dell’antropologia cristiana’, dopo un lavoro durato cinque anni di lavoro con l’inclusione di alcuni temi portanti del recente magistero pontificio che affiancano quelli bioetici: violazioni della dignità umana, aborto, eutanasia, maternità surrogata, guerra, povertà, migranti, tratta delle persone, superando la dicotomia esistente tra chi guarda in modo esclusivo nella difesa della vita nascente o morente, e tra chi si concentra sulla difesa dei poveri e dei migranti.

Infatti nell’introduzione si richiama la definizione di persona: “Giova qui, infine, ricordare che la definizione classica della persona come ‘sostanza individuale di natura razionale’ esplicita il fondamento della sua dignità. Infatti, in quanto ‘sostanza individuale’, la persona gode della dignità ontologica (cioè a livello metafisico dell’essere stesso): essa è un soggetto che, ricevendo da Dio l’esistenza, ‘sussiste’, vale a dire esercita l’esistenza in modo autonomo. La parola ‘razionale’ comprende in realtà tutte le capacità di un essere umano: sia quella di conoscere e comprendere che quella di volere, amare, scegliere, desiderare”.

Ed il ‘razionale’ non costituisce un pericolo per la ‘natura’: “Il termine ‘razionale’ comprende poi anche tutte le capacità corporee intimamente collegate a quelle sopradette. L’espressione ‘natura’ indica le condizioni proprie dell’essere umano che rendono possibili le varie operazioni ed esperienze che lo caratterizzano: la natura è il ‘principio dell’agire’. L’essere umano non crea la sua natura; la possiede come un dono ricevuto e può coltivare, sviluppare e arricchire le proprie capacità. Nell’esercitare la propria libertà per coltivare le ricchezze della propria natura, la persona umana si costruisce nel tempo.

Anche se, a causa di vari limiti o condizioni, non è in grado di mettere in atto queste capacità, la persona sussiste sempre come ‘sostanza individuale’ con tutta la sua inalienabile dignità. Questo si verifica, per esempio, in un bambino non ancora nato, in una persona priva di sensi, in un anziano in agonia”.  

Dopo un breve excursus nel tempo il documento ha evidenziato il concetto di dignità: “Per chiarire meglio il concetto di dignità, è importante segnalare che la dignità non viene concessa alla persona da altri esseri umani, a partire da determinate sue doti e qualità, in modo che potrebbe essere eventualmente ritirata.

Se la dignità fosse concessa alla persona da altri esseri umani, allora essa si darebbe in modo condizionato e alienabile, e lo stesso significato di dignità (per quanto meritevole di grande rispetto) rimarrebbe esposto al rischio di essere abolito. In realtà, la dignità è intrinseca alla persona, non conferita a posteriori, previa ad ogni riconoscimento e non può essere perduta. Di conseguenza, tutti gli esseri umani possiedono la medesima ed intrinseca dignità, indipendentemente dal fatto che siano in grado o meno di esprimerla adeguatamente”.

Anche il magistero della Chiesa ha apportato un contributo alla definizione di dignità: “Lo stesso magistero ecclesiale ha maturato con sempre maggior compiutezza il significato di tale dignità, unitamente alle esigenze ed alle implicazioni ad esso connesse, giungendo alla consapevolezza che la dignità di ogni essere umano è tale al di là di ogni circostanza…

Questo principio nuovo nella storia umana, per cui l’essere umano è tanto più ‘degno’ di rispetto e di amore quanto più è debole, misero e sofferente, fino a perdere la stessa ‘figura’ umana, ha cambiato il volto del mondo, dando vita a istituzioni che si prendono cura delle persone che si trovano in condizioni disagiate: i neonati abbandonati, gli orfani, gli anziani lasciati soli, i malati mentali, le persone affette da malattie incurabili o con gravi malformazioni, coloro che vivono per strada”.

Quindi il documento del dicastero invita a non abusare della parola ‘dignità umana’: “… il concetto di dignità umana, a volte, viene usato in modo abusivo anche per giustificare una moltiplicazione arbitraria di nuovi diritti, molti dei quali spesso in contrasto con quelli originalmente definiti e non di rado posti in contrasto con il diritto fondamentale della vita, come se si dovesse garantire la capacità di esprimere e di realizzare ogni preferenza individuale o desiderio soggettivo. La dignità s’identifica allora con una libertà isolata ed individualistica, che pretende di imporre come ‘diritti’, garantiti e finanziati dalla collettività, alcuni desideri e alcune propensioni che sono soggettivi”.

La dignità umana si fonda su diritti e doveri: “Ma la dignità umana non può essere basata su standard meramente individuali né identificata con il solo benessere psicofisico dell’individuo. La difesa della dignità dell’essere umano è fondata, invece, su esigenze costitutive della natura umana, che non dipendono né dall’arbitrio individuale né dal riconoscimento sociale.

I doveri che scaturiscono dal riconoscimento della dignità dell’altro e i corrispondenti diritti che ne derivano hanno dunque un contenuto concreto ed oggettivo, fondato sulla comune natura umana. Senza un tale riferimento oggettivo, il concetto di dignità viene di fatto assoggettato ai più diversi arbitrii, nonché agli interessi di potere”.

Quindi è ripresa la concezione di dignità umana, che si fonda sulla libertà, come ha enucleato san Giovanni Paolo II: “La dignità umana, alla luce del carattere relazionale della persona, aiuta a superare la prospettiva riduttiva di una libertà autoreferenziale e individualistica, che pretende di creare i propri valori a prescindere dalle norme obiettive del bene e dal rapporto con gli altri esseri viventi.

Sempre più spesso, infatti, vi è il rischio di limitare la dignità umana alla capacità di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener presente l’appartenenza alla comunità umana. In tale comprensione errata della libertà, i doveri e i diritti non possono essere mutuamente riconosciuti di modo che ci si prenda cura gli uni degli altri”.

Quindi la libertà è indispensabile: “Si tratta di una liberazione che dal cuore delle singole persone è chiamata a diffondersi e a manifestare la sua forza umanizzante in tutte le relazioni. La libertà è un dono meraviglioso di Dio. Anche quando ci attira con la sua grazia, Dio lo fa in modo tale che mai la nostra libertà sia violata.

Sarebbe pertanto un grave errore pensare che, lontani da Dio e dal suo aiuto, possiamo essere più liberi e di conseguenza sentirci più degni. Sganciata dal suo Creatore, la nostra libertà non potrà che indebolirsi e oscurarsi. Lo stesso succede se la libertà si immagina come indipendente da ogni riferimento che non sia se stessa e avverte ogni rapporto con una verità precedente come una minaccia. Di conseguenza, anche il rispetto della libertà e della dignità degli altri verrà meno”.

Il documento si conclude con un ‘forte’ richiamo al rispetto della dignità umana, condannando tutte le violenze contro di essa con un invito agli Stati di difenderla e tutelarla: “E’ in questo spirito che, con la presente Dichiarazione, la Chiesa ardentemente esorta a porre il rispetto della dignità della persona umana al di là di ogni circostanza al centro dell’impegno per il bene comune e di ogni ordinamento giuridico.

Il rispetto della dignità di ciascuno e di tutti è, infatti, la base imprescindibile per l’esistenza stessa di ogni società che si pretende fondata sul giusto diritto e non sulla forza del potere. Sulla base del riconoscimento della dignità umana si sostengono i diritti umani fondamentali, che precedono e fondano ogni civile convivenza…

Anche oggi, davanti a tante violazioni della dignità umana che minacciano seriamente il futuro dell’umanità, la Chiesa incoraggia la promozione della dignità di ogni persona umana quali che siano le sue qualità fisiche, psichiche, culturali, sociali e religiose. Lo fa con speranza, certa della forza che scaturisce dal Cristo risorto, il quale ha rivelato in pienezza la dignità integrale di ogni uomo e di ogni donna”.

(Foto: Vatican News)

Anche in Emilia-Romagna braccio di ferro sul suicidio medicalmente assistito

“Nascere, vivere, morire: tre verbi che disegnano la traiettoria dell’esistenza. La persona li attraversa, forte della sua dignità che l’accompagna per tutta la vita: quando nasce, cresce, come quando invecchia e si ammala. Sperimenta forza e vulnerabilità, intimità e vita sociale, libertà e condizionamenti. Gli sviluppi della medicina e del benessere consentono oggi cure nuove e un significativo prolungamento dell’esistenza. Si profila così la necessità di modalità di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche”.

Così inizia il giudizio della Conferenza episcopale dell’Emilia- Romagna sulle ‘Istruzioni tecnico-operative’ con le quali la giunta regionale aveva tracciato lo scorso 9 febbraio il percorso per ottenere il suicidio medicalmente assistito. Nella nota i vescovi hanno sottolineato che procurare la morte contrasta con il valore della vita:

“Alla base di questa esigenza ci sono il valore della vita umana, condizione per usufruire di ogni altro valore, che costruisce la storia e si apre al mistero che la abita, e la dignità della persona, in intrinseca relazione con gli altri e con il mondo che la circonda”.

Per questo il valore della vita impone la difesa delle persone fragili: “Il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia. Proprio lì la società è chiamata ad esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società. Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica”,

Per i vescovi dell’Emilia-Romagna la proposta del ‘suicidio medicalmente assistito’ è sconcertante, proponendo un loro contributo: “Esprimiamo con chiarezza la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, ben consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e sofferenti e di quanti sono loro legati da sincero affetto.

Ma la soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione, e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono”.

Tali ragioni possono trovarsi nell’umanità del cristianesimo, che si fonda sulla vita: “Tale prossimità e le ragioni che la generano hanno radici nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona, e trovano sorgente, luce e forza ulteriore in Gesù di Nazareth che, proprio sulla Croce, nella fase terminale della esistenza, ci ha redenti e ci ha donato sua madre, scambiando con Lei, con il discepolo amato e con chi condivideva la pena, parole e un testamento di vita unico, irrinunciabile, non dissimili a quelle confidenze che tanti cari ci hanno lasciato sul letto di morte”.

A tale giudizio il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, è disponibile ad ogni approfondimento, affermando che “le sentenze della Corte Costituzionale si applicano, come prescrive la Costituzione italiana. Possono certamente essere discusse e non condivise, ma non disattese, in ossequio al principio di legalità.

Come noto, la Corte Costituzionale si è pronunciata per colmare un vuoto sulla materia prodotto dall’inerzia prolungata del Parlamento. E lo ha fatto, ancora una volta, chiedendo alle Camere di legiferare, di discutere e approvare una legge nazionale. E questo è anche il mio auspicio”.

Nel frattempo la regione ha disposto  le modalità di accesso all’istituto del suicidio medicalmente assistito: “E lo ha fatto perché ciò è dovuto in uno Stato di diritto, scongiurando viceversa quanto altrove già accaduto e ancora rischia di accadere: che un paziente, peraltro in condizioni drammatiche, debba ricorrere al giudice ordinario per vedersi riconosciuto quello che, va ribadito, è un diritto ora sancito dalla Corte costituzionale. Sono certo che sul principio di legalità anche la Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna non possa che convenire”.

Papa Francesco ai dipendenti dell’ospedale ‘Miulli’: al centro la cura della persona

Iniziando la settimana che introduce al Natale papa Francesco ha ricevuto stamattina una rappresentanza dell’Ospedale ‘Francesco Miulli’ di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, sottolineando la responsabilità nella ricerca scientifica, mettendo al centro di essa la persona:

Papa Francesco: attenzione e professionalità ai bisogni delle persone

La settimana di papa Francesco è iniziata con due incontri ai dipendenti di due strutture importanti per la macchina burocratica degli Stati: il revisore generale e la prefettura. Quindi, ricevendo il personale dell’ufficio generale dello stato vaticano, riformato a seguito del motu proprio ‘Fidelis dispensator et prudens’, papa Francesco ha sottolineato tre caratteristiche, di cui la prima è l’indipendenza:

Papa Francesco: in economia prevalga il bene comune

Il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano ha aperto in Vaticano due giorni di incontro della Fondazione ‘Centesimus Annus Pro Pontifice’, che celebra il trentennale: l’amicizia sociale e la cultura dell’incontro sono valori inclusivi, che sanno promuovere realmente uno sviluppo delle società e dei singoli nel segno della coesione, evitando la tentazione di rifugiarsi ‘nella sfera del privato’. Esistono due fattori che possono indirizzare verso una coesione e una integrazione maggiori, sui quali il papa insiste molto: l’ ‘amicizia sociale’ e la ‘cultura dell’incontro’.

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