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Papa Francesco ai cristiani in Terra Santa: non vi lasceremo soli

Oggi, prima dell’udienza generale papa Francesco ha abbracciato Rami Elhanan e Bassam Aramin i due papà che hanno perso una figlia nel conflitto in Terra Santa, accompagnati dal direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV), Lorenzo Fazzini. Il momento è stata anche occasione per inviare ai cristiani della Terra Santa una lettera, esprimendo la vicinanza al dolore che soffrono:

“Da tempo vi penso e ogni giorno prego per voi. Ma ora, alla vigilia di questa Pasqua, che per voi sa tanto di Passione e ancora poco di Risurrezione, sento il bisogno di scrivervi per dirvi che vi porto nel cuore. Sono vicino a tutti voi, nei vostri vari riti, cari fedeli cattolici sparsi su tutto il territorio della Terra Santa: in particolare a quanti, in questi frangenti, stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra, ai bambini cui viene negato il futuro, a quanti sono nel pianto e nel dolore, a quanti provano angoscia e smarrimento”.

La lettera contiene il ringraziamento per la loro testimonianza: “La Pasqua, cuore della nostra fede, è ancora più significativa per voi che la celebrate nei Luoghi in cui il Signore è vissuto, morto e risorto: non solo la storia, ma neanche la geografia della salvezza esisterebbe senza la Terra che voi abitate da secoli, dove volete restare e dov’è bene che possiate restare. Grazie per la vostra testimonianza di fede, grazie per la carità che c’è tra di voi, grazie perché sapete sperare contro ogni speranza.

Desidero che ciascuno di voi senta il mio affetto di padre, che conosce le vostre sofferenze e le vostre fatiche, in particolare quelle di questi ultimi mesi. Insieme al mio affetto, possiate percepire quello di tutti i cattolici del mondo! Il Signore Gesù, nostra Vita, come Buon Samaritano versi sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza”.

Inoltre il papa ha ricordato la testimonianza della Passione, che si realizza nella Resurrezione: “Cari fratelli e sorelle, la comunità cristiana di Terra Santa non è stata soltanto, lungo i secoli, custode dei Luoghi della salvezza, ma ha costantemente testimoniato, attraverso le proprie sofferenze, il mistero della Passione del Signore. E, con la sua capacità di rialzarsi e andare avanti, ha annunciato e continua ad annunciare che il Crocifisso è Risorto, che con i segni della Passione è apparso ai discepoli e salito al cielo, portando al Padre la nostra umanità tormentata ma redenta.

In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì Santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti”.

E’ una lettera accorata, in cui il papa ha ribadito che i cristiani in Terra Santa non saranno abbandonati: “Fratelli, sorelle, voglio dirvi: non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa, sperando di poter tornare presto da voi come pellegrini, per guardarvi negli occhi e abbracciarvi, per spezzare il pane della fraternità e contemplare quei virgulti di speranza cresciuti dai vostri semi, sparsi nel dolore e coltivati con pazienza.

So che i vostri Pastori, i religiosi e le religiose vi sono vicini: li ringrazio di cuore per quanto hanno fatto e continuano a fare. Cresca e risplenda, nel crogiolo della sofferenza, l’oro dell’unità, anche con i fratelli e le sorelle delle altre Confessioni cristiane, ai quali pure desidero manifestare la mia spirituale vicinanza ed esprimere il mio incoraggiamento. Tutti porto nella preghiera”.

Papa Francesco: la pazienza è vitamina per il cristiano

Alla viglia del Triduo pasquale papa Francesco ha continuato il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, incentrando la riflessione sul tema ‘La pazienza’, attraverso l’inno paolino alla carità con un appello alla pace in Ucraina ed in Terra Santa, aggiungendo anche considerazioni a braccio per la pioggia, attraverso il racconto della Passione:

“Alle sofferenze che subisce, Gesù risponde con una virtù che, pur non contemplata tra quelle tradizionali, è tanto importante: la virtù della pazienza. Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione.

E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia. Questa è la pazienza di Gesù”.

Però la pazienza di Cristo non è quella stoica, ma è frutto dell’Amore di Dio, come emerge dall’inno alla Carità dell’apostolo Paolo: “Infatti, nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con ‘magnanima’, ‘paziente’. La carità è magnanima, è paziente.

Essa esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra ‘lento all’ira’: anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza. Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono”.

Però spesso a noi manca questa virtù: “Tuttavia, dobbiamo essere onesti: siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti. Ne abbiamo bisogno come della ‘vitamina essenziale’ per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana. Subito viene la risposta, non siamo capaci di essere pazienti”.

Per questo motivo il papa ha ricordato che la pazienza è una ‘chiamata’: “E ciò chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il ‘tutto subito’; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante. Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale. Perché? Dio è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere… La pazienza ci fa salvare tutto”.

E la pazienza si può accrescere con la contemplazione al Crocifisso: “Specialmente in questi giorni ci farà bene contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza. Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste. E non è facile. Pensiamo se noi facciamo questo: sopportare pazientemente le persone moleste. Si comincia dal chiedere di guardarle con compassione, con lo sguardo di Dio, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli”.

Ed infine il consiglio per ‘coltivare’ la pazienza è quello di ampliare la propria visione, come insegna il libro ‘Imitazione di Cristo’: “Infine, per coltivare la pazienza, virtù che dà respiro alla vita, è bene ampliare lo sguardo… Ed ancora, quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che Egli non lascia deluse le nostre attese. Pazienza è saper sopportare i mali”.

Inoltre, al termine dell’udienza papa Francesco ha ricordato che sono presenti due padri, che hanno perso le figlie nella guerra, uno israeliano e una arabo, e sono amici: “Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione. Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa. Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!”

(Foto: Santa Sede)

Domenica delle Palme: la Passione del Signore

Il cammino quaresimale oggi ci introduce nella Settimana Santa nella quale la Liturgia ci propone il ricordo della passione, morte e risurrezione di Cristo Gesù. Una giornata caratterizzata  da due momenti che vanno del canto della folla ‘Osanna’ al grido blasfemo della stessa folla, aizzata dai Capi e dal Sinedrio, che grida ‘Crucifige’.

Il primo momento liturgico di oggi è gioioso: palme e rami di ulivo in segno di esultanza al grido: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore: il Re di Israele’. E’ la domenica del trionfo di Gesù che viene accolto nella città di Gerusalemme; Gesù appare il vero Messia atteso da secoli. Il secondo momento è il ricordo drammatico della sua passione e morte descritto  nel Vangelo: è l’iter del sacrificio annunziato da Gesù: “se il chicco di grano non muore, non diventerà una spiga”. Grazie infatti al sacrificio di Gesù sulla croce sono state aperte a noi  le porte del regno dei cieli; inizia la nuova Alleanza tra Dio e l’uomo, grazie al sacrificio di Cristo Gesù.

Ma la domanda è spontanea: chi sono i veri responsabili della passione e morte di Gesù? Sono stati gli Ebrei o sono stati i Romani?  Gesù ha subìto  due processi: uno religioso e l’altro politico. Due tribunali con accuse diverse; nel processo religioso è stato accusato di avere bestemmiato perché ha affermato di essere ‘figlio di Dio’: al Sommo Sacerdote, che lo aveva interrogato: “Se tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, Gesù aveva risposto: “sì, lo sono” e tutti gridarono: “è reo di morte”. Il secondo processo è stato impiantato in chiave politica: davanti al governatore romano; a Ponzio Pilato che interroga Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”, Gesù risponde: “Sì, sono Re, ma il mio regno non è di questo mondo!”. Pilato si convince che Gesù è innocente, ma, dietro le grida della folla: “Se non lo condanni a morte, ti accuseremo a Cesare”, Pilato se ne lava le mani, libera Barabba ed accontenta la folla e i Capi del Sinedrio. 

Due tribunali, due accuse diverse, due condanne a morte. Chi è il vero responsabile della condanna a morte di Gesù? Nel racconto del Vangelo si inseriscono vari episodi: Giuda, che lo aveva tradito si è andato ad impiccare; Pietro che lo rinnega davanti ad una cameriera, piange il suo peccato. A questi fatti eclatanti fanno riscontro fatti positivi: Un Cireneo aiuta Gesù a portare la croce; Maria e le pie donne seguono Gesù piangendo; il Centurione romano, visto Gesù spirare, esclama: “davvero costui era figlio di Dio” mentre il velo del tempio si squarcia in due. Chi è il vero responsabile della morte in croce di Gesù? 

Certamente al di là del racconto storico, i veri responsabili, senza alcun forse, non sono né gli Ebrei, né i Romani, il vero responsabile è l’uomo e il suo peccato, sei tu, sono io, siamo tutti  perché Cristo si è offerto al sacrificio della croce per salvare l’uomo peccatore. Gesù ha portato i nostri peccati sulla croce per salvare l’uomo peccatore: “Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità”. Dietro Giuda, che vendette Gesù per trenta denari (baratto terribile), ci sei tu, ci sono io, che tanta volte facciamo di peggio. Gesù era passato ‘sanando e beneficando tutti’, noi  barattiamo e vendiamo Gesù per molto meno di trenta denari; tradiamo l’amore di Dio per soddisfare un capriccio, per la nostra stupida superbia ed orgoglio e talvolta ci vergogniamo di apparire cristiani davanti ad avversari della fede. L’uomo peccatore è peggio di Pilato, che se ne lava le mani.

Dall’alto della Croce Gesù prega: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato (recita un salmo), non è un grido di disperazione, non è un rifiuto della Croce e le sue ultime parole sono: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”. Gesù, abbassato il capo, spira; il velo del Tempio si squarcia in due mentre il centurione romano esclama: “davvero costui è Figlio di Dio”.  La quaresima acquista un senso solo se si attua l’invito di Gesù: ‘convertitevi’, cambiate testa, prendete coscienza che davanti a Dio vivere è amare, amare è servire, come il buon Pastore che dà la sua vita per salvare le sue pecorelle.                                                                                       

La Chiesa ha ricordato i martiri copti

Giovedì 15 febbraio scorso nella basilica di san Pietro si è svolta la prima commemorazione dei 21 Martiri Copti di Libia, il cui inserimento nel Martirologio Romano era stato annunciato da papa Francesco nello scorso 11 maggio, organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stata presieduta dal card. Kurt Koch, con la partecipazione di mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto-cattolico emerito di Ghizeh, di p. Thaouphilos, vicario generale della diocesi copto-ortodossa di Torino-Roma, di don Antonio Gabriel, parroco della chiesa copta di san Mina a Roma, animata dal coro copto di Roma.

Nell’omelia il card. Koch ha sottolineato il significato di sacrificio: “La croce di Gesù mostra chiaramente che l’amore non può esistere senza l’investimento della propria vita a favore degli altri, e testimonia ciò che la fede cristiana intende per sacrificio. Il vero sacrificio di Gesù Cristo non consiste nel sacrificio di animali o nell’offerta di beni materiali a Dio, ma risiede nel dono di sé da parte del Figlio al Padre, per noi uomini.

Non poteva essere sufficiente che Gesù offrisse a Dio cose materiali: animali o altri doni, come avveniva nel Tempio di Gerusalemme. Gesù non ha offerto nulla se non se stesso. Per questo è diventato il nuovo Tempio e ha introdotto nel mondo una nuova forma di culto, realizzandola sulla croce tramite il dono della sua vita per noi”.

Il ‘sacrificio’ di Gesù mostra che Egli ama l’umanità: “Questa nuova liturgia è il sacrificio che Gesù ha compiuto non solo per mostrarci il suo amore a parole, con dichiarazioni astratte, ma per farci sperimentare il suo amore, che è senza limiti, nel dono della sua vita. La croce è la manifestazione del più grande amore di Gesù; essa mostra che Gesù Cristo è il primo martire, e dunque il vero amico dell’uomo”.

Però il martirio non è fine a se stesso: “La passione di Gesù è il primo martirio e, allo stesso tempo, è il modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella sua sequela e donano la propria vita per amore di Lui, avendo così parte al suo martirio. Il martirio originale di Gesù mostra cosa è un martire nello spirito cristiano.

Come Gesù si è conformato interamente alla volontà del Padre celeste per noi uomini e ha dato la vita sulla croce a motivo del suo amore infinito per noi, così anche il martire cristiano non cerca il martirio, ma se il martirio giunge in maniera inevitabile lo prende su di sé, come conseguenza della lealtà alla sua fede”.

L’essere ucciso non costituisce di per sé il martirio: “Pertanto il fatto di essere uccisi non costituisce in sé il martirio secondo la tradizione della Chiesa cattolica. Non è la morte in sé a fare del cristiano un martire, ma è piuttosto il suo intento e quindi la sua disposizione interiore, come ha notato sant’Agostino: ‘Christi martirem non facit poena, sed causa’. Se per il martirio cristiano prendiamo come esempio Gesù Cristo, allora il suo segno distintivo sarà l’amore. Il martire mette in pratica la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte”.

Ciò è stato vissuto dai martiri coopti ortodossi: “I martiri copti ortodossi, che sono stati uccisi crudelmente in Libia il 15 febbraio 2015 e che oggi ricordiamo con gratitudine per la loro testimonianza di fede, hanno testimoniato ciò con il sacrificio della loro vita… I martiri della Chiesa non sono un fenomeno marginale, ma costituiscono il suo fulcro fondamentale”.

Perciò il martirio è un aspetto essenziale del cristianesimo: “Questa convinzione si è rivelata vera ripetutamente nel corso della storia della Chiesa. Ciò si riconferma anche nel mondo odierno, dove si contano addirittura più martiri rispetto al tempo delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che oggi sono perseguitati a causa della loro fede sono cristiani. Attualmente, la fede cristiana è la religione più perseguitata. La cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, in misura incomparabile”.

E l’ecumenismo dei martiri era stato evidenziato da san Giovanni Paolo II durante l’Anno Santo del 2000: “Nell’ecumenismo dei martiri, papa Giovanni Paolo II aveva già ravvisato una fondamentale unità tra noi cristiani e aveva sperato che i martiri potessero aiutare la cristianità a ritrovare la piena comunione…

Come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri sarebbe stato seme di nuovi cristiani, così anche oggi possiamo nutrire la speranza nella fede che il sangue di tanti martiri del nostro tempo possa un giorno rivelarsi seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo, ferito da così tante divisioni. In fondo, nel sangue dei martiri (possiamo esserne certi) siamo già diventati una cosa sola”.

Quindi i martiri pongono la sfida dell’unità dei cristiani: “Difatti, la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo odierno costituisce un’esperienza comune che ci aiuta ad avvicinarci gli uni agli altri. E la comunione dei martiri parla senza dubbio in maniera più eloquente delle divisioni che ancora oggi ci dividono.

In questo spirito di ecumenismo del sangue, papa Francesco ha sempre considerato molto importante la testimonianza dei martiri copti ortodossi. Includendoli nel Martirologio Romano come ‘segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese’, egli ha voluto mostrare che i martiri copti ortodossi sono testimoni della fede anche nella Chiesa cattolica, e che dunque sono anche i nostri martiri”.

Al termine della celebrazione è stato proiettato ‘I 21. La potenza della fede’, un documentario sulla vita dei martiri girato proprio nel villaggio da dove provenivano i martiri, che aveva il patrocinio del Patriarcato coopto.

(Foto: Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani)

Diario della Felicità 4: storie di giovani che aiutano a ritrovare la speranza

Siete a corto di speranza, ma volete tornare a sperare? Avete perso entusiasmo, ma desiderate trovare gioia in mezzo alle tempeste della vita? Vi state chiedendo a cosa serva fare il bene, in un mondo così malato e segnato dal male? Allora abbiamo un libro da consigliarvi: ‘Diario della felicità 4’ (Cecilia Galatolo e Suor Dolores Boitor, Mimep Docete). Nel testo troverete le storie di quattro giovani, vissuti in luoghi, famiglie, contesti diversi, accumunati però da una stessa luce, da una stessa fede, quella in Cristo.

Natale: Dio ha passione per l’uomo

Questo è il tempo della vergogna, della sfiducia, del risentimento e della sofferenza. Mi riservo da cinque anni solo questa opportunità annuale per gli auguri in prossimità del Santo Natale e dell’anno che verrà per scrivervi brevemente cari amministratori del bene comune. La sanità non è un problema di questo o di quell’altro schieramento politico.

Papa Francesco: la gioia della fede ‘in moto’

“Una volta che abbiamo conosciuto la parola di Dio, non abbiamo diritto di non riceverla; una volta ricevuta non abbiamo diritto di non lasciare che si incarni in noi, una volta incarnata in noi non abbiamo diritto di tenerla per noi: da quel momento apparteniamo a coloro che la attendono”: con questa citazione nell’udienza generale odierna della catechesi ‘La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente’ papa Francesco  ha incentrato la sua meditazione sulla venerabile Madeleine Delbrêl per spiegare ‘la gioia della fede tra i non credenti’:

Mons. Trevisi mostra ai giovani san Giusto come modello

“San Giusto lo penso come un giovane, che ha dato la vita, che è stato legato a grosse pietre ma che è vivo”: lo ha detto il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, nella solenne celebrazione in cattedrale del patrono di Trieste, san Giusto, concelebrata anche dall’arcivescovo emerito, mons. Giampaolo Crepaldi, ringraziando i fedeli per l’accompagnamento di questi primi mesi: “A tutti dico grazie per come mi state accompagnando in questi miei primi passi e a tutti chiedo scusa per i miei limiti e la mia inesperienza”.

Mons. Lorefice: salire al monte per cambiare la città

Lunedì 4 settembre Palermo ha celebrato l’ascesa sul monte Pellegrino della patrona santa Rosalia con l’arcivescovo, mons. Corrado Lorefice, che è stato chiaro nel motivare questo momento: “Salgo con voi, cammino con voi, per chiedere alla nostra Santuzza, perdono”.

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