Tag Archives: Pasqua

L’Aquila non dimentica i morti del terremoto del 2009

Un fascio di luce, acceso nel cortile centrale del Palazzo de L’Aquila, ha illuminato la notte del ricordo nel 15^ anniversario del terremoto che il 6 aprile 2009 provocò 309 vittime, sconvolgendo la vita del capoluogo abruzzese e di altri 55 comuni in Abruzzo. Un appuntamento che negli anni è cambiato ed ha evoluto la sua forma, senza mai cessare di rappresentare un momento di riflessione, di condivisione e segno di rinascita per una comunità che guarda al futuro senza lasciare dietro il passato.

A rappresentare il futuro due giovani aquilani entrambi nati nel 2009 ed iscritti al Conservatorio cittadino, chiamati ad accendere il braciere al Parco della Memoria al termine del percorso a piedi, partito da via XX Settembre, nei pressi del Tribunale: si tratta di Elisa Nardi, che per il suo percorso di formazione musicale ha intrapreso lo studio delle percussioni, e Tommaso Sponta, studente di violoncello.

Nell’omelia il card. Giuseppe Petrocchi ha invitato a non perdere la memoria di quell’evento tragico: “Facciamo memoria, nella liturgia, delle 309 vittime di quella catastrofica calamità; come anche di Coloro che sono deceduti successivamente, a causa dei traumi subìti. Portiamo nel cuore e nelle nostre preghiere il dramma di quanti sono stati profondamente feriti nella mente, negli affetti e nelle situazioni ‘esistenziali’ da quegli eventi distruttivi”.

La memoria accomuna: “Ricordiamo pure gli abitanti, delle aree a noi vicine, che hanno perso la vita o sono stati colpiti nelle rovinose ‘repliche telluriche’ del 2016-2017. Raccogliamo, nella nostra invocazione e solidarietà fraterna, tutte le Persone che hanno patito, in altre parti del mondo e nelle diverse epoche, questo stesso ‘martirio sismico’. Il terremoto del 2009 costituisce un ‘osservatorio’ sulle tragedie del mondo: le vittime di quella immane disgrazia sono ‘Compagni di sorte’ di altri Soggetti sui quali si sono abbattute le violenze di conflitti e di calamità dirompenti”.

Un anniversario che si è svolto nel periodo pasquale per meditare sulla rinascita della vita: “Facciamo nostra questa solenne ‘attestazione’ del Credo: la Pasqua di Gesù ci ha reso certi che la morte dei discepoli non rappresenta lo sfacelo ultimo e definitivo dell’esistenza, ma è passaggio alla Vita eterna: quella che non muore più. Stasera siamo riuniti qui proprio per proclamare, insieme al dolore per le vittime del sisma, la nostra certezza che il vincolo di unità, che ci ha legato a loro, non si è spezzato, ma si è stretto ancora più forte: perché in esso è stato impresso il sigillo dell’amore evangelico.

Sperimentiamo dolorosamente il ‘lutto’, che non viene meno perché è sacro, ma senza esserne sopraffatti: ha la meglio l’annuncio della Pasqua, che abbiamo ricevuto e accolto. Se è vero, infatti, che ‘tutto passa’, è ancora più vero, nella Carità, che ‘tutto resta’: infatti, l’amore autentico è siglato dal ‘per sempre’; ed ogni affetto, che dura solo a ‘tempo determinato’, non è amore, ma emozionalità volubile e inaffidabile”.

L’omelia dell’arcivescovo della città è stato un invito a non disperare in quanto concittadini del Regno di Dio: “Sappiamo che ‘Cielo’ e ‘Terra’ sono congiunti nel Signore, anche se, durante lo scorrere dei nostri giorni, questa ‘saldatura’ non si è ancora interamente compiuta. Siamo già tutti ‘Con-cittadini’ del Regno di Dio, anche se con diverse ‘titolarità’: i nostri Fratelli, che dimorano “lassù”, hanno già una appartenenza piena e definitiva; noi, che abitiamo ‘quaggiù’, camminiamo per raggiungerli nella stessa Patria celeste.

In questa assemblea liturgica ‘Loro’ non sono assenti, ma si rendono realmente presenti, nella stessa Famiglia degli ‘Ammessi alla Vita’. Per tale ragione, nel corso della celebrazione, ne vengono evocati i nomi: si tratta di una scansione solenne, a voce alta; dimostrazione che, nella loro vicenda, rifiutiamo qualunque ‘amnesia’ anagrafica ed esistenziale. Tuttavia la nostra memoria non intende rimanere solo ‘retroflessa’, cioè ripiegata all’indietro, ma vuole proiettarsi in avanti, sviluppando la capacità di affrontare creativamente il futuro”.

In questo senso la fede ha forgiato la comunità: “La luce della fede ha compiuto il ‘miracolo’ di far germogliare, in noi e tra di noi, il fiore prezioso della ‘consolazione’, che si espande dal grande albero della Speranza. Ma questo ‘approccio cristiano’ ha pure contribuito a forgiare atteggiamenti sociali ‘adeguati’, per sostenere una efficace ‘risposta ricostruttiva’ alla sfida lanciata dal sisma”.

La città non si è lasciata vincere dal pessimismo: “Dopo aver sperimentato la furia demolitiva del terremoto, L’Aquila non si è fermata: non ha messo la ‘marcia indietro’ della ‘rassegnazione perdente’, ma è subito ‘ripartita’ attivando una reazione coraggiosa e fattiva: si è spinta in avanti, accelerando il ‘ritmo operativo’ del suo robusto ‘motore’ religioso, etico e sociale. Così è stata avviata la grande e faticosa impresa della ‘rinascita’: avventura corale e permanente, tesa a riguadagnare la fiducia nel presente, custodendo con fierezza i valori del passato, per riaprire le prospettive di un promettente avvenire. La Comunità, al completo, si è mobilitata per ‘ri-edificare’ non solo ‘come’ prima, ma ‘meglio’ e ‘più’ di prima: in tutti i campi!”

Quindi è stato un invito a riconoscere la provvidenza, come l’apostolo Pietro dopo la pesca miracolosa: “Ricordiamo che il Signore ci parla attraverso il Vangelo e nella Comunità ecclesiale, come anche ‘dentro’ la nostra coscienza e per mezzo degli eventi che ci accadono. Sta a noi imparare a cogliere la Sua volontà, facendo il giusto discernimento e agendo con la dovuta coerenza: proprio questa fedeltà ci consentirà di ‘riconoscere’ e accogliere Gesù, dicendo, come Pietro: ‘è il Signore!’

La Provvidenza di Dio ci ha accompagnato in questi 15 anni, consentendoci di attraversare la tragedia del sisma, dirigendoci però verso orizzonti di speranza, e conquistando novità inedite e di maggior valore. Il dolore per il ‘distacco’ dalle Persone care rimane radicato nella nostra anima: e continuerà ad ardere nel cuore, come una lampada perenne, alimentata da un amore che non si spegne e attende il momento del ricongiungimento”.

(Foto: diocesi de L’Aquila)

Seconda Domenica di Pasqua: domenica della divina Misericordia   

suor faustina e gesù misericordioso

Papa san Giovanni Paolo II ha definito questo giorno ‘la Domenica della divina misericordia’. L’evangelista san Giovanni  ci fa cogliere l’emozione profonda degli apostoli nell’incontro con Cristo risorto, mentre il Maestro trasmette loro, ancora timorosi e stupefatti,  la missione di essere ministri della Misericordia di Dio. Gesù risorto, dopo la sua risurrezione opera la ‘risurrezione dei Discepoli’ e questi cambiamo tenore di vita.

Gesù rialza i Suoi con la misericordia e questi diventano misericordiosi offrendo loro tre doni: la pace, lo Spirito Santo e le sue piaghe. Gesù offre la Pace: i discepoli erano ancora angosciati quando Gesù entra a porte chiuse ed annuncia: ‘Pace a voi’. Non è la pace  che risolve i problemi ma la pace che infonde fiducia; è la pace del cuore che trasforma gli apostoli in veri missionari nel mondo.

Non è il solito saluto giudaico ‘shalom’, ma ‘Pace a voi’ dove l’assenza del verbo fa bene intendere il compimento della promessa  nell’ultima cena: ‘Vi do la mia pace e non come quella che dà il mondo’; poi Gesù alitò su di essi e disse: ‘Ricevete lo Spirito santo’; il perdono nello Spirito Santo è il dono  più bello per risorgere dentro il cuore a nuova vita. ‘A chi rimetterete i peccati saranno rimessi’: da qui il sacramento del perdono.

Lo Spirito santo con il Battesimo, mentre ci innesta a Cristo e alla sua vita divina, pone in noi tre semi: la Fede, la Speranza e la carità; tre doni  che con il nostro ‘sì’ generoso e responsabile crescono nel cuore e danno un senso nuovo alla nostra vita quotidiana. Questa è quella risurrezione a nuova vita,  di cui parla Gesù a Nicodemo, che trasforma l’individuo e con esso la società intera.

Una vita nell’amore verso Dio e verso il prossimo dove il cristiano prende coscienza che gli altri uomini non sono semplici individui ma persone umane per le quali Cristo Gesù si è offerto in croce, persone con pari dignità, chiamate a costituire la comunità, che si chiama Chiesa, popolo di Dio, membra dello stesso corpo mistico di Cristo. Ecco perché la Chiesa non può accettare né il liberalismo che inneggia all’individuo, né il materialismo ateo che inneggia alla lotta di classe; siamo chiamati tutti ad essere una grande famiglia.

L’uomo (ogni uomo) è un valore e i rapporti sociali  non possono e non debbono essere regolati né dall’odio, né dall’arrivismo, né dalla lotta di classe ma dall’amore. L’amore misericordioso è la prima preoccupazione del Signore Risorto e dalle piaghe del Crocifisso esce un vero effluvio di grazie per gli smarriti nella fede. Gesù risorto mostra ai Discepoli le sue cinque piaghe.

I timori dei Discepoli finiscono appena toccano le sue piaghe, espressione del suo amore profondo per tutti gli uomini. Tommaso, uno dei Dodici, aveva detto: ‘Se non lo vedo, se non tocco le sue ferite, non crederò’. Gesù risponde: ‘Beati quelli che pur non avendo visto crederanno’. Gesù non intende esaltare una fede cieca e senza ragione, ma una fede illuminata, che fa leva sui valori spirituali più che fisici. 

Consapevole della nuova realtà alla quale siamo chiamati, Gesù evidenzia: ‘Io sono la vite, voi i tralci’ e l’Apostolo Paolo in sintonia afferma: ‘Cristo è il capo, noi siamo le membra’ evidenziando la realtà del Corpo mistico di Cristo. Risorgere diventa il passaggio dalla vita secondo la carne alla vita secondo lo spirito.

Risorgere, come vedi, non è uno scoperchiare la tomba, venire fuori possibilmente con una bandiera in mano, come viene talvolta rappresentato il Risorto, ma un camminare da una vita secondo la carne in una vita secondo lo spirito, camminare in una vita nuova.. Questa nuova vita è il frutto di due componenti: una divina, frutto dell’azione dello Spirito santo, che nel battesimo ci inserisce a Cristo come il tralcio alla vite e ci conferisce carismi e le tre virtù teologali; l’altra umana: il nostro ‘sì’ generoso che fa crescere questi semi e vivere ‘la vita secondo la spirito’.

Da qui la gioia cristiana perché come Cristo è risorto anche noi risorgeremo. Maria, madre della Misericordia, aiutaci a mantenere viva questa fiducia nel tuo Figlio, nostro redentore.    

Papa Francesco: le stimmate di san Francesco siano segno di perdono e di pace

“San Francesco, uomo piagato dall’amore Crocifisso nel corpo e nello spirito, guardiamo a te, decorato delle sacre stimmate, per imparare ad amare il Signore Gesù, i fratelli e le sorelle con il tuo amore, con la tua passione. Con te è più facile contemplare e seguire Cristo povero e Crocifisso. Donaci, Francesco, la freschezza della tua fede, la certezza della tua speranza, la dolcezza della tua carità. Intercedi per noi, perché ci sia dolce portare i pesi della vita e nelle prove possiamo sperimentare la tenerezza del Padre e il balsamo dello Spirito. Le nostre ferite siano sanate dal Cuore di Cristo, per diventare, come te, testimoni della sua misericordia, che continua a guarire e a rinnovare la vita di quanti lo cercano con cuore sincero. O Francesco, reso somigliante al Crocifisso, fa’ che le tue stimmate siano per noi e per il mondo segni splendenti di vita e di risurrezione, che indichino vie nuove di pace e di riconciliazione. Amen”.

Con questa preghiera e con la benedizione con la reliquia di san Francesco papa Francesco ha concluso l’udienza ai i frati minori del santuario di La Verna e della provincia toscana in occasione dell’VIII centenario del dono delle stimmate ricevute dal santo di Assisi nel 1224, con una riflessione sul significato dei segni che ricordano il dolore sofferto da Gesù:

“E proprio di questa conformazione le stimmate sono uno dei segni più eloquenti che il Signore abbia concesso, lungo il corso dei secoli, a fratelli e sorelle nella fede di varia condizione, stato e provenienza. A tutti, nel Popolo santo di Dio, ricordano il dolore sofferto per nostro amore e per la nostra salvezza da Gesù nella sua carne; ma sono anche un segno della vittoria pasquale: è proprio attraverso le piaghe che la misericordia del Crocifisso Risorto, come attraverso dei canali, scorre verso di noi. Fermiamoci a riflettere sul significato delle stimmate, dapprima nella vita del cristiano e poi nella vita del francescano”.

Il papa ha ricordato il valore delle stimmate nella vita di ogni cristiano: “Il discepolo di Gesù trova in san Francesco stimmatizzato uno specchio della sua identità. Il credente, infatti, non appartiene a un gruppo di pensiero o di azione tenuto insieme dalle sole forze umane, ma ad un Corpo vivente, il Corpo di Cristo che è la Chiesa.

E questa appartenenza non è nominale, ma reale: è stata impressa nel cristiano dal Battesimo, che ci ha segnati con la Pasqua del Signore. Così, nella comunione d’amore della Chiesa, ciascuno di noi riscopre chi è: un figlio amato, benedetto, e riconciliato, inviato per testimoniare i prodigi della grazia ed essere artigiano di fraternità”.

Per questo il cristiano è chiamato a fare attenzione a tutti coloro che incontra: “Perciò il cristiano è chiamato a rivolgersi in modo speciale agli ‘stimmatizzati’ che incontra: ai ‘segnati’ dalla vita, che portano le cicatrici di sofferenze e ingiustizie subite o di errori commessi. E in questa missione il Santo della Verna è un compagno di cammino, che sostiene e aiuta a non lasciarsi schiacciare da difficoltà, paure e contraddizioni, proprie e altrui”.

Seguendo le orme di san Francesco il cristiano deve testimoniare la povertà evangelica: “E’ ciò che Francesco ha fatto ogni giorno, dall’incontro con il lebbroso in poi, dimenticando sé stesso nel dono e nel servizio, arrivando perfino, negli ultimi anni, a ‘disappropriarsi’ (questa parola è chiave) in un certo senso di ciò a cui aveva dato inizio, aprendosi con coraggio e umiltà a vie nuove, docile al Signore e ai fratelli. Nella sua povertà di spirito (sottolineiamo questo: Francesco, la povertà di spirito) e nel suo affidamento al Padre ha lasciato a tutti una testimonianza sempre attuale del Vangelo. Se vuoi conoscere bene il Cristo addolorato, cerca un francescano. E voi, pensate se siete testimoni di questo”.

Eppoi anche nella vita di ogni francescano le stimmate sono importanti: “Il vostro Santo fondatore vi offre un potente richiamo a fare unità in voi stessi e nella vostra storia. Infatti, il Crocifisso che gli appare alla Verna, segnando il suo corpo, è lo stesso che gli si era impresso nel cuore all’inizio della sua “conversione” e che gli aveva indicato la missione di ‘riparare la sua casa’. In questo punto del ‘riparare’, vorrei inserire la capacità di perdono. Voi siete bravi confessori: il francescano ha fama di questo. Perdonate tutto, perdonate sempre!”

Le stimmate sono un ammonimento ad un ritorno all’essenzialità del messaggio francescano: “In Francesco, uomo pacificato nel segno della croce, con il quale benediceva i fratelli, le stimmate rappresentano il sigillo dell’essenziale. Ciò richiama anche voi a tornare all’essenziale nei vari aspetti del vostro vissuto: nei percorsi formativi, nelle attività apostoliche e nella presenza in mezzo alla gente; ad essere perdonati portatori di perdono, guariti portatori di guarigione, lieti e semplici nella fraternità; con la forza dell’amore che sgorga dal costato di Cristo e che si alimenta nel vostro personale incontro con Lui, da rinnovare ogni giorno con un serafico ardore che bruci il cuore”.

Il messaggio del papa è un invito ad essere testimoni del Regno di Dio: “Sentitevi chiamati a portare nelle vostre comunità e fraternità, nella Chiesa e nel mondo, un po’ di quell’amore immenso che spinse Gesù a morire in croce per noi. L’intimità con Lui, come avvenne per Francesco, vi renda sempre più umili, più uniti, più gioiosi ed essenziali, amanti della croce e attenti ai poveri, testimoni di pace e profeti di speranza in questo nostro tempo che tanto fatica a riconoscere la presenza del Signore. Possiate essere sempre più segno e testimonianza, con la vostra vita consacrata, del Regno di Dio che vive e cresce in mezzo agli uomini”.

(Foto: Santa Sede)

Buona Pasqua!

“Stiamo sperimentando delle tenebre profondissime che avvolgono migliaia di persone, in tanti luoghi nel mondo, in particolare in Ucraina e in Terra Santa. Quanta desolazione! Non possiamo abituarci alla guerra, ai combattimenti che non risparmiano deboli e innocenti, soprattutto i bambini: dovremmo sempre guardare attraverso le loro lacrime, attraverso il pianto dei più piccoli. E’ da lì che capiamo tutto l’orrore e la violenza della guerra, dell’ingiustizia e quanto questo sia inaccettabile”.

Mentre in Europa si levano sempre più massicce parole inneggianti alla guerra dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana giungono chiari e precisi gli auguri per la Pasqua con un invito a non abituarsi agli orrori della guerra, definita ‘tempo triste’:

“Dimoriamo in un tempo triste, in cui la morte occupa le pagine dei giornali. Pensiamo alle violenze sulle donne, alla cattiveria frutto di prepotenze che segnano anche gli ambiti più delicati dell’esistenza, come quelli familiari e affettivi. Il rapporto tra uomo e donna sembra quasi avvelenato dall’istinto del possesso e dall’evocazione della morte”.

Ecco la bellezza della Resurrezione, spesso negata anche dai cristiani che credono nella purificazione della guerra: “Ma il Risorto porta nel mondo la bellezza di una vita nuova, la creatività paziente della nuova creatura. Una novità, la più grande. Il mondo, oggi così deturpato, può essere ricostruito e trasformato da uomini e donne che vivono le più grandi ragioni di vita e di speranza”.

Nel nostro mondo, sempre più alle prese con la terza guerra mondiale, i vescovi italiani invitano i cristiani ad impegnarsi a preparare la ‘venuta’ del Signore riecheggiando le parole del profeta Isaia: “Vorremmo che l’annuncio della pace corresse di terra in terra, di popolo in popolo. Vorremmo che arrivasse presto la fine dei conflitti e che si aprisse il tempo della fraternità. Il profeta Isaia ci aiuta a guardare avanti con speranza cristiana e a lavorare ogni giorno per costruire la pace. Per noi cristiani si tratta di impegnarci a preparare la venuta del Regno, a far sì che il Signore sia riconosciuto e amato”.

Tali parole si realizzano nella contemplazione della Pasqua: “Nel mistero pasquale il Signore si è già rivelato nella sua gloria manifestando l’amore infinito del Padre per ogni creatura. Possa il mistero della Pasqua raggiungere tutti noi e insegnarci ad amare senza confini, a porre segni concreti di vita là dove c’è la morte, a trasformare in luoghi di pace le terre oggi segnate dall’inimicizia”.

Dalla Pasqua si irradia una luce capace di sconfiggere le tenebre: “Pasqua è la luce che vince le tenebre: nessuno è spettatore, ma tutti attori. Nella Pasqua non c’è una via di mezzo: o si è con Gesù e si resta con l’amore, con la luce, con una forza che sconfigge quelle terribili tenebre oppure si diventa complici del male… Questa è la Pasqua di Gesù che apre la via del cielo e fa risorgere, oltre il limite della morte”.

Solo la Pasqua è capace di illuminare la vita: “La via che conduce alla vita piena e alla verità completa è una Presenza che viene e cammina al nostro fianco. L’augurio è che tutti possano incontrare questo misterioso Viandante, l’unico capace di dare un senso alla nostra esistenza, di bruciare il cuore e aprire gli occhi. Perché il Risorto illumina gli occhi del cuore”.

La Pasqua allora è un invito ad ‘andare’ in Galilea, (cioè negli ‘incroci’ dei popoli) ha sottolineato il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giampiero Palmieri: “In forza dello Spirito la comunità credente è spinta dal Risorto ad andare ‘sempre oltre’, ad andare in Galilea. Per la sua collocazione lungo l’antica via del Mare, la Galilea era il paese dove si incrociavano ebrei e pagani, persone di ogni popolo, lingua, cultura e religione. Ecco, il Risorto ci aspetta lì, nella Galilea delle Genti, dove lo possiamo scoprire già misteriosamente presente e dove siamo chiamati a portare a tutti l’annuncio della Resurrezione”.

Questa è l’unica speranza per i cristiani, consistente nella vita: “Si, carissimi! Quale è il motivo della speranza dei cristiani, anche in questo tempo così profondamente segnato dalla guerra, dalla violenza, dallo smarrimento? Il segreto di questa speranza è lo Spirito di Gesù risorto, è Lui che spinge i credenti e ogni uomo che si apre alla grazia ad andare avanti, a lottare, a combattere con le armi della persuasione per la giustizia, la fraternità universale, la pace. Questo allora è il nostro augurio di Pasqua: non siamo fatti per la rassegnazione ma per la vita, non siamo fatti per l’odio, ma per la pace!”

Buona Pasqua per un passaggio dalla morte alla vita; dal tempo di tristezza al tempo di speranza!

Pasqua: Cristo è risorto! Alleluia 

Pasqua di risurrezione!  La luce del Signore risorto illumini la nostra vita. La Liturgia oggi presenta alla Chiesa questo messaggio di vita: la luce del Risorto annuncia Vita e Amore. Tre donne, di buon mattino, l’indomani del sabato, si avviano per prendersi cura del corpo di Gesù. Lo amano anche da morto; è il loro Maestro e scoprono che il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita.

Arrivano alla sepoltura ma li attende la più grande sorpresa: ‘Guardando videro che il grande masso era stato spostato’. Da qui  il loro stupore e paura; entrano e si fa loro incontro un giovane (si rivela poi  un Angelo) che annuncia loro la più bella notizia: ‘Gesù, che avete visto crocifisso, è risorto’, non è più qui: Egli, Gesù è il Vivente. Andate e dite ai suoi discepoli che ‘vi precede in Galilea’.

La risurrezione di Gesù è il sigillo divino su quanto Gesù ha detto e fatto. Se Cristo, in realtà,  non fosse risorto, vana sarebbe stata la nostra fede e l’attesa cristiana; ma poiché Cristo è risorto ha valore il nostro Battesimo, che ci inserisce a Lui e la nostra vita si rivela un cammino verso il cielo. La giornata di questa prima Pasqua cristiana era sorta al buio, in chiave di costernazione e dolore.

Il Maestro, nel quale gli apostoli e i discepoli avevano creduto, era stato crocifisso, l’avevano visto morire in croce e una pietra tombale aveva chiuso la sua sepoltura. Picchetti armati di soldati romani ed ebrei  erano stati posti a custodia con l’ordine di custodirne per tre giorni la sepoltura.

La mattina del terzo giorno queste pie donne si recano al sepolcro per ungere con unguenti il corpo del Maestro e, appena arrivate, avvertono confusamente di essere i testimoni di un evento che ha cambiato la storia dell’uomo: la tomba è vuota, il corpo di Gesù crocifisso non c’è, il sudario, ripiegato, è messo da parte.

Le donne, di corsa, ritornano, raccontano agli Apostoli l’esperienza vissuta; Pietro e Giovanni si recano subito al sepolcro. Nessuno ha visto Gesù risorgere; è un evento che non si può testimoniare con una esperienza personale. Oggi la Chiesa ci fa rivivere l’evento e quella sepoltura dove si erano recate le pie donne per ungere il corpo del Maestro; un giovane messaggero annuncia loro la inaspettata  notizia: ‘Gesù, che avete visto crocifisso, è risorto’. Le donne avrebbero dovuto gioire e invece ammutoliscono.

Il giovane le incalza: ‘non è qui’, lui c’è, vive, ma non è qui; Egli è il Vivente e vi precede in Galilea. Dopo l’annuncio la conferma ufficiale:  lo stesso Gesù, in persona, si incontra con Maria, che piange vicino la tomba; Gesù inoltre va a trovare i suoi  apostoli,  chiusi nel Cenacolo per paura dei giudei, e li saluta: pace a voi; lo stesso Gesù incontra  due dei suoi discepoli, che tristi se ne andavano verso Emmaus, si fa loro compagno di viaggio e si fa riconoscere nello spezzare il pane.

Per gli Apostoli la risurrezione di Gesù è stata una totale sorpresa, anche se Egli aveva detto: ‘Il figlio dell’uomo il terzo giorno risusciterà’. Io sono la risurrezione e la vita, aveva chiaramente detto ai Suoi  e ne aveva dato prova risuscitando Lazzaro, seppellito da quattro giorni.

Gesù risorge per non morire più; vincitore della morte, tranquillizza i suoi, preoccupati di vedere un fantasma, dicendo: avvicinatevi, sono proprio io; evidenzia inoltre  la nuova dimensione del Risorto: ‘Esce ed entra a porte chiuse’ e  può vederlo e riconoscerlo  solo la persona a cui egli vuole rivelarsi: gli Apostoli, i Discepoli e quanti sono chiamati a testimoniare davanti ai popoli la verità fondamentale del cristianesimo: Cristo è veramente risorto!

Tutte le obiezioni si infrangono davanti al sepolcro vuoto e alle guardie che facevano la guardia. Avevano alcuni detto: mentre le guardie dormivano, hanno rubato il corpo  stupida osservazione: se dormivate, come avete visto rubare il corpo?, se eravate svegli, perché non l’avete impedito?  Cristo risorto ha consolidato la fede degli Apostoli, ha fatto rinascere  in  essi la speranza vera, basata sulla sua parola rassicurante: ‘E’ arrivato in mezzo a voi il Regno di Dio’.

La Chiesa annuncia oggi il Vangelo della vita con la forza di colui che ha vinto la morte. Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello, canta la liturgia, ma il Signore della vita ora trionfa, ora è vivo.  Questa gioia la Chiesa la condivide con Maria, la Madre del Risorto: ‘Regina coeli, laetare, alleluia’. A tutti un augurio vivo di buona e santa Pasqua.

Papa Francesco: alziamo lo sguardo

“Le donne vanno al sepolcro alle prime luci dell’alba, ma dentro di sé conservano il buio della notte. Pur essendo in cammino, sono ancora ferme: il loro cuore è rimasto ai piedi della croce. Annebbiate dalle lacrime del Venerdì Santo, sono paralizzate dal dolore, sono rinchiuse nella sensazione che ormai sia tutto finito, che sopra la vicenda di Gesù sia stata messa una pietra. E proprio la pietra è al centro dei loro pensieri”: nella veglia pasquale papa Francesco ha sottolineato i dubbi che assillavano le donne durante l’omelia.

Nell’omelia il papa ha evidenziato due momenti, che conducono alla gioia della Pasqua: “Anzitutto, primo momento, c’è la domanda che assilla il loro cuore spezzato dal dolore: chi ci farà rotolare via la pietra dal sepolcro? Quella pietra rappresentava la fine della storia di Gesù, sepolta nella notte della morte. Lui, la vita venuta nel mondo, è stato ucciso; Lui, che ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, non ha ricevuto pietà; Lui, che ha sollevato i peccatori dal peso della condanna, è stato condannato alla croce.

Il Principe della pace, che aveva liberato un’adultera dalla furia violenta delle pietre, giace sepolto dietro una grossa pietra. Quel masso, ostacolo insormontabile, era il simbolo di ciò che le donne portavano nel cuore, il capolinea della loro speranza: contro di esso tutto si era infranto, con il mistero oscuro di un tragico dolore che aveva impedito ai loro sogni di realizzarsi”.

Ciò avviene ogni qualvolta si sperimenta la delusione: “Sono ‘macigni della morte’ e li incontriamo, lungo il cammino, in tutte quelle esperienze e situazioni che ci rubano l’entusiasmo e la forza di andare avanti: nelle sofferenze che ci toccano e nelle morti delle persone care, che lasciano in noi vuoti incolmabili; li incontriamo nei fallimenti e nelle paure che ci impediscono di compiere quanto di buono abbiamo a cuore; li troviamo in tutte le chiusure che frenano i nostri slanci di generosità e non ci permettono di aprirci all’amore; li troviamo nei muri di gomma dell’egoismo e dell’indifferenza, che respingono l’impegno a costruire città e società più giuste e a misura d’uomo; li troviamo in tutti gli aneliti di pace spezzati dalla crudeltà dell’odio e dalla ferocia della guerra”.

Eppure le donne sono state capaci di alzare lo sguardo per vedere Gesù risorto: “Risuscitato dal Padre nella sua, nella nostra carne con la forza dello Spirito Santo, ha aperto una pagina nuova per il genere umano. Da quel momento, se ci lasciamo prendere per mano da Gesù, nessuna esperienza di fallimento e di dolore, per quanto ci ferisca, può avere l’ultima parola sul senso e sul destino della nostra vita. Da quel momento, se ci lasciamo afferrare dal Risorto, nessuna sconfitta, nessuna sofferenza, nessuna morte potranno arrestare il nostro cammino verso la pienezza della vita”.

Questa è la Pasqua: “Fratelli e sorelle, Gesù è la nostra Pasqua, Lui è Colui che ci fa passare dal buio alla luce, che si è legato a noi per sempre e ci salva dai baratri del peccato e della morte, attirandoci nell’impeto luminoso del perdono e della vita eterna. Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui, accogliamo Gesù, Dio della vita, nelle nostre vite, rinnoviamogli oggi il nostro ‘sì’ e nessun macigno potrà soffocarci il cuore, nessuna tomba potrà rinchiudere la gioia di vivere, nessun fallimento potrà relegarci nella disperazione”.

E’ un invito ad alzare lo sguardo al cielo: “Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui e chiediamogli che la potenza della sua risurrezione rotoli via i massi che ci opprimono l’anima. Alziamo lo sguardo a Lui, il Risorto, e camminiamo nella certezza che sul fondo oscuro delle nostre attese e delle nostre morti è già presente la vita eterna che Egli è venuto a portare”.

(Foto: Santa Sede)

Betlemme a Pasqua, senza pellegrini e senza lavoro per molti

Più di 160 giorni di guerra in Terra Santa che per i cristiani ha un ‘valore’ molto importante, come ha scritto il presidente del prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, card. Claudio Gugerotti, nella lettera dell’appello per la Colletta dei cristiani in Terra Santa:

“Il pellegrinaggio a Gerusalemme ha una storia antica quanto il cristianesimo, e non solo per i Cattolici. Questo è reso ancora oggi possibile dall’opera generosa dei Francescani della Custodia di Terra Santa e dalle Chiese Orientali ivi presenti. Essi mantengono e animano i santuari, segni della memoria dei passi e delle azioni di Gesù, testimoni materiali di un Dio che assunse la materia per salvare noi, fango animato dal soffio dello Spirito. Per la loro dedizione in quei luoghi si continua a pregare incessantemente per il mondo intero”.

Per raccontare la verità di queste parole abbiamo incontrato a Tolentino Nizar Lama, guida turistica cattolica a Betlemme, su invito di don Rino Ramaccioni, supportato dalle organizzazioni di volontariato Sermit, Sermirr, Agesci ed Azione Cattolica Italiana, che ha raccontato ai giovani la vita in Terra Santa:

“Oggi sono qui mentre il mio Paese vive in stato di guerra, sono ben consapevole che la mia nazione soffre di difficoltà e grandi problemi dal 1948, ma questa volta è la più dura e la più triste, e la più sanguinosa. La mia Patria è la terra dei profeti e una terra sacra, che ha sofferto per lungo tempo di diversi problemi, politici, sociali ed economici”.

Citando il profeta Geremia, Nizar ha ribadito di non aver perso la speranza in Dio, nonostante le difficoltà: “Nonostante tutte le difficoltà, la nostra speranza in Dio rimane ferma e forte, e la speranza prevale su tutto. In questo periodo difficile, abbiamo perso molti amici, e la maggior parte delle persone ha perso il lavoro, sono momenti difficili e preziosi, dove abbiamo perso l’amore l’uno per l’altro. Abbiamo vissuto nella paura, paura per i nostri figli e paura per il nostro futuro. Ma questa paura ha rafforzato la nostra fede e ci ha avvicinati a Dio nella preghiera”.

Ha raccontato le difficili condizioni di vita in questi ultimi anni: “Non ci siamo ancora ripresi dal Covid-19, ed all’improvviso è scoppiata questa guerra, lasciando il mio Paese vuoto senza visitatori né pellegrini, con circa 3.000.000 di persone che visitano Betlemme alla fine di ogni anno, e 17.000.000 di persone in Israele in particolare”.

Difficoltà vissute soprattutto a Betlemme: “La città della Natività ha vissuto condizioni molto difficili… La mia città, Betlemme, soffre di un grande assedio; dal 2002 è stato costruito il muro di separazione che si estende per 74 km intorno a Betlemme, e 810 km intorno alla Cisgiordania, è davvero una grande prigione a cielo aperto. All’inizio della guerra, sono stati controllati l’acqua, l’elettricità, il gas, la benzina, le strade e i trasporti. Le scuole sono rimaste chiuse, e la maggior parte dei negozi chiusi, e nonostante ciò i prezzi dei prodotti e dei beni alimentari sono aumentati notevolmente, dove la maggior parte delle persone soffre molto per trovare il pane quotidiano. Un gran numero di negozi è chiuso a causa del conflitto e della tensione di sicurezza”.

E’ stata una denuncia contro gli estremisti: “Noi, nella Terra Santa, portiamo ogni giorno la croce di Cristo, per strada, nei nostri lavori… a causa dei movimenti estremisti. Non ci sono parole sufficienti… e non ci sono parole adeguate per descrivervi quanto siano difficili e complicate le condizioni. Il ricordo della guerra rimarrà impresso nei nostri cuori e nei cuori dei nostri bambini, che avranno disperatamente bisogno di cure psicologiche quando la guerra finirà”.

Infine ha ringraziato le organizzazioni di volontariato per il supporto economico ai cattolici di Terra Santa: “La mia presenza qui oggi con voi è per ringraziarvi. Voglio ringraziare ognuno di voi, perché vi interessate a noi e al nostro futuro; grazie per tutto il supporto che ci avete dato, morale e materiale; grazie per le vostre preghiere per noi, e vi chiedo di continuare a pregare affinché questa guerra finisca e la pace torni nella terra della pace. In qualità di rappresentante della voce cristiana a Betlemme, vi ringrazio per tutto il supporto ricevuto, ma abbiamo bisogno di sostenibilità per aiutare le famiglie colpite dalla guerra, che hanno perso il loro lavoro”.

Al termine dell’incontro ho potuto chiedere di raccontare come si vive in Terra Santa: “In Terra Santa si vive una situazione molto difficile, perché dal 7 ottobre le famiglie hanno perso il loro lavoro ed a Betlemme non riescono a trovare il pane quotidiano, in quanto la città è turistica, ospitando ogni anno 3.000.000 di turisti. Con la guerra non ci sono più turisti e quindi non c’è più lavoro”.

La Pasqua si avvicina: quale è il sentimento dei cattolici?

“Questa Pasqua è completamente diversa dagli anni precedenti, perché siamo costretti a stare a casa forzatamente dalla guerra. Non possiamo andare a Gerusalemme, che dista quindici minuti di autobus da Betlemme. A Gerusalemme nel santo Sepolcro c’è tutta la storia di Gesù. In questa Pasqua sarà molto difficile per noi raggiungere Gerusalemme”.

Cosa dicono i tuoi figli?

“Ho tre figli. La loro situazione è molto difficile, perché sono bloccati a casa dal 7 ottobre; non vanno a scuola ed io con mia moglie facciamo lezioni a casa. Non possono uscire neanche a giocare in un giardino, perché c’è pericolo di essere uccisi”.   

Chi desidera sostenere i cristiani a Betlemme queste sono le coordinate del Ser.Mi.T.: Intesa Sanpaolo – IT09D036969200100000006377; Poste Italiane – IT66N0760113400000014616627.

(Tratto da Aci Stampa)

La Pasqua, una scuola per vivere il lutto nella speranza

“La morte ci fa paura. La morte è un orrore. Sembra divorare tutto, sembra togliere senso ad ogni cosa. Lo so, non è l’incipit più bello del mondo, ma bisognava mettere subito in chiaro che questo testo non vuol essere sdolcinato. Non edulcora la realtà. Non offre consolazioni più simili all’ovatta che ottura che ad una vera medicina che cura. Per guarire da un brutto male, bisogna guardarlo in faccia e riuscire a vederlo come tale, così da intervenire in modo efficace. E la morte è un male. Forse proprio l’emblema del male presente nella vita umana. Uno dei problemi della nostra società è che considera la morte un tabù: se non se ne parla, allora non ci tocca… ma non è così”.

Questo è l’inizio dell’introduzione del libro di Cecilia Galatolo, ‘Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere’, pensato per coloro che si trovano nell’angoscia per la perdita di una persona cara. La morte si presenta alle donne e agli uomini di ogni tempo come un orrore, perché sembra divorare tutto, sembra togliere senso ad ogni cosa:

“E’ normale piangere. Anzi, non solo è normale, ma anche necessario per elaborare quanto successo. Pensiamo che perfino Gesù ha voluto vivere il dolore del lutto, quando è andato a trovare Marta e Maria, che avevano appena sepolto il loro caro fratello Lazzaro, amico di Gesù. Gesù stesso piange, in quella occasione.

Proprio così: si commuove, prova angoscia, tristezza. Non vuole restare immune agli effetti della morte sulla sua parte umana. Poi, però, essendo Uomo e Dio al tempo stesso, redime quel dolore: ‘Tuo fratello risorgerà’, dice all’amica Marta”.

Il libro è una raccolta di testimonianze di persone che hanno confidato in Gesù mentre affrontavano lutti gravi e laceranti.  C’è la storia di una donna che perde la figlia diciottenne in un incidente stradale; quella di una mamma che partorisce una bambina destinata a morire poche ore dopo; c’è la storia di un’orfana, cresciuta senza una mamma e di un ragazzo capace di consolare i suoi genitori al punto da prepararli alla sua partenza per il cielo:

“Questo testo non è un manuale sull’elaborazione del lutto, non è un trattato di psicologia né di teologia. Intende solo raccontare storie vere, che possano portare un messaggio di speranza, mostrando che per tanti la morte non ha avuto l’ultima parola.

La morte è illogica: siamo fatti per vivere! La morte toglie il respiro. A chi se ne va, ma anche a chi resta. Ci separa dagli affetti e sembra porre una distanza invalicabile tra noi e i nostri cari. Il lutto, allora, si presenta come un passaggio intenso e doloroso, come un macigno che ha bisogno di essere maneggiato, ma forse non sappiamo da che parte iniziare. E allora sprofondiamo in un abisso. Smettiamo di vedere la luce”.

Come si vive il lutto insieme a Dio?

“Non ho ricette, non ho risposte preconfezionate. Ogni vissuto, ogni storia, ha le sue dinamiche e non credo ci sia una formula che vale per tutti. Inoltre, Dio ci ama ciascuno in modo unico e singolare; quindi, comunica con ognuno nella maniera in cui possiamo accoglierlo. Mi sento di dire, però, che Gesù ha redento il lutto: lo ha vissuto anche lui (ricordate quando ha perso l’amico Lazzaro? Gesù pianse. Ha voluto provare quello che proviamo noi, davanti alla morte, per non lasciarci soli nemmeno in quel dolore. Poi, però, ci ha aperto gli occhi su qualcosa di inedito: la resurrezione. Infatti, ha riportato in vita il suo amico).

Nel mio libro riporto delle storie di persone che, come ho potuto vedere io stessa, hanno lasciato che Gesù abitasse il loro dolore per la perdita di una persona cara. E sono accaduti miracoli. Il miracolo che accumuna tutti è che con Gesù si ha una consolazione impensabile, grande, profonda. E’ una consolazione che non esiste, se la cerchiamo solo in questo mondo”.

Perché la morte fa paura?

“Si ha sempre paura di ciò che è ignoto. Da sempre ce lo insegnano i filosofi: ciò che non si conosce fa paura. E nessuno di noi, se è in vita, sa cosa ‘significa’ morire. A poco serve che Epicuro ci dica di ‘stare tranquilli’, perché ‘quando c’è lei (la morte) non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c’è lei’. La morte fa paura anche perché è associata al dolore.

Ci fa paura lasciare delle persone che ci amano nel pianto. E poi, spesso, temiamo la morte delle persone care, soprattutto se sono dei pilastri nella nostra vita. La morte crea un distacco e può essere molto, molto doloroso. Le testimonianze che riporto nel libro non negano questa parte: la morte fa paura, la morte fa male. Però, con Gesù si apre una strada nuova”.

Come si può ritrovare la ‘pace’?

“Un punto in comune in tutte le testimonianze che ho raccolto è questo: il dolore va attraversato. Tutto e fino in fondo. Piangere, ad esempio, ci fa bene. E’ importante, poi, parlare con persone fidate di quello che proviamo. Un altro spunto: scrivere (lettere, pensieri, stati d’animo). E, soprattutto, dialogare con Dio che è il Dio del Cielo e della Terra e ora tiene noi su una mano, la persona cara che ci manca sull’altra. Lui è il punto di contatto.

Nei lutti che ho vissuto io stessa (ho perso mia madre quasi sei anni fa e ho subito degli aborti spontanei, dei quali l’ultimo mi ha causato davvero un dolore assordante), la forza più grande l’ho ricevuta dall’Eucaristia. Lì si apre un piccolo squarcio di Paradiso. Se la prendi con fede, davvero già metti un po’ il naso nell’eternità, inizi a gustare la pace vera di quel luogo che è la ‘casa di Dio’.

Ad ogni Eucaristia sperimenti che le tue lacrime sono accolte e asciugate, che Dio è davvero in te per ‘servirti’, per sanare le tue ferite, per addolcire le tue angosce”.

Allora come ‘vincere’ la disperazione per la perdita di un caro?

“Prima di tutto credo si debba pensare che la persona cara merita il nostro ricordo, le nostre attenzioni e premure, ma non ha bisogno della nostra disperazione in eterno. A volte, se ci si concentra su delle cose belle, se si torna a sorridere, ci si può sentire quasi in colpa, come se smettere di provare un dolore atroce significhi smettere di volere bene alla persona che ci ha lasciati. Il lutto ha e deve necessariamente avere un suo tempo di elaborazione, ma tornare a stare bene deve essere una priorità, nel lungo termine.

Le persone del mio libro hanno attraversato il dolore, un dolore che, in parte, nel cuore, resta. A volte la malinconia e la nostalgia tornano, però hanno saputo trovare delle motivazioni per vivere ancora e per vivere bene. Non aspettano con ansia solo il momento di raggiungere la persona cara. Hanno trovato stimoli e obiettivi per il loro tempo qui, anche se hanno perso un figlio o è mancato molto prematuramente un coniuge.

La disperazione può esserci. Il lutto può essere una prova grandissima. Se però ci si accorge che non si sta riuscendo ad elaborarlo è molto utile riconoscerlo e chiedere aiuto. Lasciarsi aiutare, anche da uno terapeuta, può essere una forma di coraggio. Ricordiamo che Dio, a volte, si serve proprio dei fratelli e delle sorelle per aiutarci”.

In quale modo la Pasqua aiuta a vivere il passaggio dalla morte alla vita?

“E’ Gesù che ci mostra per la prima volta nella storia qualcosa che nessuno aveva mai visto. Dicono: ‘Se qualcuno tornasse indietro a dirmi che esiste la vita dopo la morte, allora ci crederei’. Ecco, noi cristiani, quel qualcuno, lo abbiamo. C’è chi è tornato indietro. C’è, per noi, chi ci dice ‘Guardate: dopo essere stato martoriato, offeso, ucciso, eccomi qui… sono vivo!’ Gesù ha vinto.

A volte non ci rendiamo conto, noi cristiani, che siamo testimoni della potenza della Resurrezione. Non ci rendiamo conto che abbiamo un messaggio incredibile. Siamo più che giustificati a passare dal terrore per il male del mondo alla speranza nella vita eterna. Perché è una speranza concreta. Gesù è tornato proprio per dirci: ‘Guardate, dopo tutto quello che mi hanno fatto, quanta vita c’è ancora’.

Gli apostoli hanno smesso di avere paura, in quel momento. Erano fuori di sé dalla gioia. Hanno capito che la morte, davanti a Dio, è davvero un nulla. Un momento, un passaggio, appunto. La vita non finisce mai, se ci stringiamo a Colui che ne è eterno dispensatore. Non è lo stesso vivere già con questa certezza nel cuore oppure no. Io ho ricevuto questa grazia (anche se spesso vacillo, come tutti!) e a tutti coloro che ci leggono vorrei augurare di trovare questa fede, di custodirla, di ritrovarla se assopita, di chiederla e ottenerla dal Risorto”. 

Per concludere: cosa significa risorgere?

“Gesù ci dice che non dobbiamo temere la morte del corpo. Non è facile, ce lo siamo detti, ma c’è una morte peggiore, quella dello spirito, del cuore. Risorgere è lasciare che tutta la nostra vita, già da ora, sia presa e trasformata dalla luce di Cristo. Perché non meditare su questo e non lasciare che la luce passi, proprio in questa Pasqua?”

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco: con la compunzione si dilata il cuore

In mattinata papa Francesco ha iniziato le celebrazioni del Triduo pasquale, che apre alla Pasqua, presiedendo nella Basilica di san Pietro la Messa Crismale del Giovedì Santo in cui si procede alla benedizione dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma e si rinnovano le promesse sacerdotali con un’omelia sulla frase evangelica ‘Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui’:

“Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza. Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi ‘si riempirono di sdegno’, uscirono e lo cacciarono fuori della città. I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola. Così persero l’occasione della vita”.

Una scena simile si verificò nella sera dell’ultima cena: “Ma nella sera di oggi, Giovedì santo, avviene un incrocio di sguardi alternativo. Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro. Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola ‘smascherante’ che il Signore gli aveva rivolto: ‘Tre volte mi rinnegherai’. Così ‘perse di vista’ Gesù e lo rinnegò al canto del gallo.

Ma poi, quando ‘il Signore si voltò e fissò lo sguardo’ su di lui, questi ‘si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto… E uscito fuori, pianse amaramente’. I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli cambiò la vita”.

Rivolgendosi ai sacerdoti il papa ha sottolineato la parola ‘compunzione’: “La parola evoca il pungere: la compunzione è ‘una puntura sul cuore’, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento. Un episodio, che riguarda ancora San Pietro, ci aiuta. Egli, trafitto dallo sguardo e dalle parole di Gesù risorto, nel giorno di Pentecoste, purificato e infuocato dallo Spirito, proclamò agli abitanti di Gerusalemme: ‘Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso’…

Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo”.

Ed ha spiegato il pianto su se stessi: “Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori.

Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa (ci insegna san Paolo) è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella tristezza secondo Dio”.

La compunzione è un serio pentimento: “Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per me. E’ guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia, l’ipocrisia clericale, cari fratelli, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto, tanto…

State attenti alla ipocrisia clericale. Per poi, rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.

Inoltre la compunzione apre la solidarietà: “Un cuore docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati. Non si scandalizza. Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri”.

La compunzione è uno strumento di intercessione: “E il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, non è poesia questo, questo è sacerdozio!”

Infine la compunzione è una grazia, che deve essere chiesta con la preghiera: “Il pentimento è dono di Dio, è frutto dell’azione dello Spirito Santo. Per facilitarne la crescita, condivido due piccoli consigli. Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del futuro. Del passato, ricordando la fedeltà di Dio (Dio è fedele), facendo memoria del suo perdono, ancorandoci al suo amore; e del futuro, pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza”.

Allargando lo sguardo il cuore si dilata: “Allargare gli orizzonti, cari fratelli, allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore, stimola a rientrare in sé stessi con il Signore e a vivere la compunzione. Un secondo consiglio, che viene di conseguenza: riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata. Fratello, com’è la tua preghiera? Torniamo all’adorazione: ti sei dimenticato di adorare?, e torniamo alla preghiera del cuore”.

(Foto: Santa Sede)

L’augurio pasquale di mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo

In vista delle celebrazioni della Settimana Santa e della Pasqua il vescovo Andrea Migliavacca ha incontrato la stampa per condividere il proprio augurio alla comunità: “Vorrei estendere il mio augurio a tutta la comunità non solo alla Chiesa, ma a tutti, da chi non crede a chi non è cristiano, fino a chi arriva da Paesi lontani. Auguro che sia una Pasqua di pace; a Mosca, in Ucraina, a Gaza e nella Terra Santa, in Sud Sudan, in Siria e in tutti quei luoghi colpiti dalle ostilità e che il Papa chiama ‘terza guerra mondiale a pezzi’, dei pezzi che si stanno via via unendo, purtroppo.

Il Risorto porta questo saluto: ‘Pace a voi’. Il mio augurio poi vorrei fosse un augurio di vita, in questo contesto di inverno demografico e dove diminuiscono costantemente le nascite. Alla vita si manca oggi di rispetto su più fronti, con un Paese europeo che addirittura mette in costituzione il diritto all’aborto, ma anche nei tanti modi con cui viene negata la dignità della vita delle persone, come avviene con la non attenzione ai poveri. Che la Pasqua ci aiuti a scoprire la ricchezza e la bellezza della vita e ci faccia diventare difensori della vita.

Vorrei poi che il mio augurio pasquale fosse un augurio alla famiglia e di famiglia. Le famiglie oggi vivono situazioni di grande difficoltà, ma la famiglia è il luogo che aiuta a rendere coesa una società e ci apre al mondo del lavoro, dello studio. Essa è il fondamento sul quale la società può camminare insieme, per questo va custodita e accompagnata”.

Nel difficile contesto internazionale nel quale viviamo non possiamo lasciarci vincere dalla sfiducia. “La luce e la speranza sono uno dei frutti della Pasqua. Un dono che può essere coltivato con la preghiera che educa il cuore a diventare costruttore di pace. La speranza nasce anche dalla consapevolezza che dove ci sono guerre oggi ci sono anche costruttori di pace. Certo, serve uno sguardo realistico, ma deve essere contrastata la cultura della guerra e delle armi”.

In merito alle crescenti emarginazioni e povertà il vescovo Andrea Migliavacca ha sottolineato come “Il Risorto nella Pasqua visita i suoi e porta la luce e la pace. Tutti, specialmente in questo tempo, a partire dalla Chiesa, siamo invitati a visitare i volti e i luoghi della povertà, così come le tante famiglie che non arrivano a fine mese.

Lo si può fare portando un aiuto concreto, ma anche attraverso l’arte dell’incontro. Le persone infatti hanno bisogno di aiuto materiale, ma anche di umanità”. Ecco allora l’invito “a vivere e rendere vivi i quartieri, i luoghi di incontro e aggregazione”, nella consapevolezza che c’è un clima di “alleanza tra varie istituzioni civili, compresa la Diocesi e la Caritas diocesana, per contribuire a rispondere meglio alle problematiche delle nostre comunità, condividendo la lettura dei problemi e la disponibilità a unire le forze”.

La diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro si appresta a celebrare la Settimana Santa, culmine dell’anno liturgico. Sono numerose le Messe presiedute dal vescovo Andrea Migliavacca. Domenica delle Palme e della Passione del Signore, nella basilica di San Domenico in Arezzo alle ore 10.30 si svolgerà la commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme con una processione fino alla Cattedrale dove poi verrà celebrata la Messa (in diretta su Tsd nel canale 85 e in streaming all’indirizzo www.tsdtv.it/live).

Mercoledì Santo, 27 marzo, nella Pieve di Santa Maria in Arezzo, alle ore 21.00 ci sarà un concerto-meditazione realizzato dalla Cappella Musicale della Cattedrale, diretta dal maestro Cesare Ganganelli. Il momento di preghiera alternerà letture a riflessioni del vescovo Andrea Migliavacca, brani di polifonia, a cappella, o con accompagnamento organistico a cura del maestro Eugenio Maria Fagiani.

Il Giovedì Santo alle ore 10.00 il Vescovo è in Cattedrale per la Messa Crismale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 per la Messa in Coena Domini (in diretta su Tsd); alle 16 il Presule sarà invece alla Casa Circondariale di Arezzo per la Messa nella Cena del Signore celebrata insieme ai detenuti, il personale carcerario e i volontari che vi prestano servizio.

Il giorno seguente, Venerdì Santo, alle ore 9.00 in Duomo ad Arezzo, ci saranno l’ufficio delle letture e le lodi e alle ore 18.00 la celebrazione dell’azione liturgica della Passione del Signore. Alle ore 21.00 il nostro Vescovo sarà a Cortona, per la “processione dei simulacri” e la commemorazione della Passione del Signore. La partenza è prevista dalla chiesa dello Spirito Santo e dopo aver toccato diverse chiese della cittadina etrusca, si conclude in piazza della Repubblica, alla presenza delle autorità cittadine, con un intervento del Vescovo (l’evento è seguito da Radio Incontri, in FM 88.4 e 92.8 e in Dab, oppure in streaming all’indirizzo www.radioincontri.org).

Cortona ha il privilegio di custodire anche un consistente frammento della Santa Croce. La reliquia, fu donata a frate Elia dall’imperatore di Costantinopoli e da lui portata a Cortona nel 1242. La Passione di Gesù, ebbe così a Cortona una ragione in più per favorire il sorgere di Compagnie laicali a carattere penitenziale. Alcune Compagnie sono scomparse con il tempo, ma sono rimasti gli artistici simulacri che ogni anno, nei giorni del dolore e della gloria del Signore, ripercorrono le vie cittadine, ricomponendo così, per immagini, il racconto della Passione. 

Il Sabato Santo alle ore 9.00 in Cattedrale vengono celebrati ufficio delle letture e lodi, mentre la Veglia Pasquale inizierà alle ore 22.30 (trasmessa in diretta su Tsd). Nel corso della Veglia ci sarà anche il conferimento del sacramento del battesimo per un gruppo di otto adulti. Il giorno di Pasqua le celebrazioni presiedute dal vescovo Andrea sono alle 10.30 in Duomo ad Arezzo per il Pontificale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 nella Concattedrale di Sansepolcro.

Il Martedì di Pasqua il Presule presiederà alle ore 18.00 presso la Collegiata di Foiano della Chiana la Messa a processione del Cristo Risorto (evento seguito da Radio Incontri).

151.11.48.50