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Papa Francesco: la superbia è pericolosa

“Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo per la pace! Chiediamo al Signore il dono della pace!”: ancora una volta al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha rinnovato il suo appello per la pace, perché è un dono di Dio, con un saluto ai giovani della Caritas libanese: “Nel cammino quaresimale, il cristiano è chiamato a lottare contro la superbia con l’umiltà, vero rimedio ad ogni forma di autoesaltazione, presunzione e vanità. Il Signore benedica tutti e vi protegga da ogni male‎‎‎‏!”

Mentre nella lingua polacca ha ricordato l’anniversario dell’uccisione della famiglia Ulma, beatificata nei mesi precedenti, in occasione della piantumazione di un melo: “Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, in particolare la delegazione di Podkarpacie, venuta in occasione dell’80° anniversario dalla morte della beata famiglia Ulma. Per la ricorrenza, nei Giardini Vaticani si terrà una cerimonia per la piantumazione del melo innestato dal beato Józef Ulma”.

Comunque anche oggi il papa era raffreddato e non ha potuto leggere la catechesi, che ha trattato il vizio della superbia, continuando il percorso sui vizi e le virtù: “Gli antichi greci la definivano con un vocabolo che si potrebbe tradurre ‘eccessivo splendore’. In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità. Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo. Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori”.

La superbia è simile alla vanagloria, ma è molto più pericolosa: “Però, se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia. Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti.

Di tutti i vizi, la superbia è gran regina. Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano”.  

La superbia è l’arroganza di sentirsi come Dio: “In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio…Gli scrittori di spiritualità sono più attenti a descrivere le ricadute della superbia nella vita di tutti i giorni, a illustrare come essa rovini i rapporti umani, a evidenziare come questo male avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini”.

Il superbo è ‘altero’ ed ‘orgoglioso’: “E’ un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci. Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai. Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, od un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito”.

Anche san Pietro era superbo, ma si è ‘convertito’ di fronte alla realtà: “Nei Vangeli Gesù ha a che fare con tanta gente superba, e spesso è andato a stanare questo vizio anche in persone che lo nascondevano molto bene. Pietro sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: ‘Se anche tutti ti abbandonassero, io no!’ Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina. E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa”.

(Foto: Santa Sede)

Adesso è il tempo della cura

Oggi si svolge la III Giornata nazionale della Cura delle Persone e del Pianeta. Un giorno dedicato alla riscoperta del valore alla cura di noi e degli altri, della città e del pianeta in cui viviamo. In un tempo in cui siamo costretti a soffrire le conseguenze di decenni di incuria “dobbiamo sviluppare una mentalità e una cultura del prendersi cura capace di sconfiggere l’indifferenza, lo scarto e la rivalità che purtroppo prevalgono” (Papa Francesco).

Oggi migliaia di studenti e insegnanti, di 139 scuole di 120 città (17 regioni, 48 province), usciranno dalle loro aule per andare a conoscere e ringraziare le persone che si prendono cura di noi e degli altri nei loro luoghi di lavoro e volontariato: pronto soccorso, ospedali, case per anziani, centri specializzati di cura, mense, empori Caritas, centri di accoglienza dei migranti, centri antiviolenza e case delle donne ma anche sedi della rai, comuni, province, tribunali, librerie, canili,…

Alcuni studenti e insegnanti faranno esperienza diretta di cura degli altri o dell’ambiente (ad esempio: servire ad una mensa per i poveri e senzatetto, ripulire, riordinare e abbellire uno spazio pubblico segnato dall’incuria, dall’abbandono o dall’inverno,…). Altri ancora costruiranno la mappa della città della cura andando a scoprire e “illuminare” le persone, le pratiche e i luoghi di cura del territorio che contribuiscono al nostro ben-essere personale e collettivo.

I partecipanti alla Giornata promuoveranno la cultura della cura raccontando in tempo reale, sui social network, gli incontri, le cose viste e sentite, amplificando così le voci e le storie delle persone incontrate, le loro attività e le loro idee sulla cura #iohocura:

“La cura è un diritto umano, costituzionale e universale, che va rispettato, attuato, organizzato e finanziato. Pensiamo alla cura degli ammalati e della salute di tutte e di tutti. Pensiamo alla cura dei più piccoli e delle giovani generazioni. Pensiamo alla cura dei più fragili e vulnerabili, degli anziani e delle persone e famiglie in difficoltà economiche.

Pensiamo alla cura delle donne vittime di tante violenze e discriminazioni. Pensiamo alla cura del lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici. Pensiamo alla cura della nostra economia, delle nostre città e quartieri, dell’ambiente e dei beni comuni che non sono solo nostri. Pensiamo ai popoli in guerra, a Gaza, in Ucraina e nel resto del mondo, ai migranti, alle persone perseguitate dall’oppressione, dalla miseria e dalle catastrofi ambientali”.

La Giornata della Cura delle persone e del pianeta è parte integrante del Programma Nazionale di educazione civica ‘Trasformiamo il futuro. Per la pace-Con la cura 2023-2024’ che si propone di educare le giovani generazioni alla cura come strumento concreto di pace e di trasformazione del futuro. Questo percorso didattico è a sua volta parte del Decennio della Cura (2020-2030) promosso dalla Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace. Papa Francesco incontrerà gli alunni, i docenti e i dirigenti scolastici coinvolti in questo percorso venerdì 19 aprile 2024 nell’Aula Paolo VI della Città del Vaticano. A questo straordinario evento parteciperanno anche gli amministratori locali, i rettori e i docenti universitari firmatari del ‘Patto di Assisi’.

Per promuovere l’educazione alla cura, la Rete nazionale delle scuole di pace ha ideato e messo a disposizione delle scuole il ‘Quaderno degli esercizi di cura’, un originale strumento didattico di educazione civica con cui sviluppare tutti gli elementi essenziali della cura: l’attenzione, il rispetto, la responsabilità, la presenza, l’ascolto, la comprensione, l’empatia, l’uso delle parole, il dono, la generosità e il coraggio.

La Giornata della Cura è promossa dalla Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, Rete Nazionale delle Scuole di Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani e Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova, Provincia di Perugia, Comune di Roma, Perugia, Padova, Parma, Acireale (CT), Bertinoro (FC), Bra (CN), Castel Bolognese (RA), Castellana Grotte (BA), Cavriago (RE), Ceriale (SV), Cerveteri (RM), Cervia (RA), Dolo (VE), Dubino (SO), Fogliano Redipuglia (GO), Locate di Triulzi (MI), Masi Torello (FE), Montefranco (TR), Narni (TR), Palanzano (PR), Radicondoli (SI), Rocca Canterano (RM), Roncadelle (BS), Sagrado (GO), San Miniato (PI), San Vittore Olona (MI), Spoleto (PG), Tivoli (RM), Vibonati (SA), Coordinamento Provinciale Bergamasco enti locali per la pace in collaborazione con Equal Care Day 2024.

La Giornata della Cura delle persone e del pianeta è promossa in occasione dell’Equal Care Day, una iniziativa avviata nel 2016 da una rete tedesca di persone e associazioni che vuole promuovere la rivalutazione e un’equa ripartizione dei lavori di cura nella nostra società.

La cura è il modo più concreto ed efficace con cui ognuno di noi può affrontare i problemi, trasformare il futuro e costruire la pace: “Sempre più spesso siamo costretti a fare i conti con problemi più grandi di noi, che corrono più veloci di noi. Pensiamo alle catastrofi climatiche, alla guerra in Europa, in Palestina, Israele e in troppe altre parti del mondo, all’esplosione del costo della vita, alle migrazioni,… : problemi enormi che, quando non ci sconvolgono direttamente la vita, aumentano la tristezza, l’inquietudine e l’ansia.

Non sono problemi privati. Eppure continuiamo a cercare impossibili risposte individuali. Sono problemi complessi che richiedono evidentemente la collaborazione di tanti. Eppure spesso continuiamo a ricercare solo il nostro personale tornaconto. Nel mondo dell’individualismo in cui siamo ancora immersi, in nome di una nostra presunta sovranità e indipendenza, ci è stato detto che ognuno doveva pensare per sé e competere senza sosta contro tutti. Ma, mentre molte crisi globali ci presentano il conto, ci scopriamo tragicamente soli, impreparati e abbandonati.

Se questi sono i risultati dell’incuria, dobbiamo prendere atto che è tempo di cambiare, che adesso è il tempo della cura: il tempo dell’attenzione sensibile, della vicinanza, dell’ascolto reciproco, del dialogo autentico, dell’assunzione di responsabilità, dell’empatia, della condivisione, della solidarietà.

Nell’ora della crisi, la cura è la risposta più efficace. La cura reciproca è il modo più concreto che abbiamo per fronteggiare i problemi, ridurre le violenze e le sofferenze e cambiare le cose, qui e ora, senza aspettare che lo facciano altri, senza aspettare domani. Per questo la dobbiamo riscoprire, studiare e imparare, organizzare e promuovere.

La cura è la miglior fabbrica di benessere su cui investire tutti insieme. Lenisce il dolore, allevia la solitudine, previene la violenza, vince la disperazione e crea amicizia. Costa fatica, ma costruisce pace e distribuisce felicità.

La cura è essenziale per la vita e la felicità. Dove non c’è cura c’è dolore, malessere, solitudine, esclusione sociale, disperazione, malattie, degrado, abbandono, disinteresse, violenza, violazione dei diritti umani, ingiustizia. La cura è fatta di tante belle cose. La cura è fatta di attenzione, rispetto, responsabilità, presenza, ascolto, comprensione, empatia, parole, tempo, dono, generosità, coraggio. La cura è essenziale per vivere insieme. La cura è il contrario dell’indifferenza e della cultura dello scarto”.

(Foto: Perlapace)

Papa Francesco prega per gli Armeni

Sempre oggi, prima dell’Udienza Generale, papa Francesco ha ricevuto i membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni presso la tomba degli apostoli Pietro e Paolo a conclusione della ricorrenza del Dottor della Chiesa, san Gregorio di Narek, incentrando il discorso, letto da mons. Filippo Ciampanelli, sull’accompagnamento del popolo di Dio da parte dei vescovi:

“Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore. Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo”.

E’ stato un invito rivolto al Sinodo di scegliere con cura i sacerdoti per accompagnare il popolo nel cammino verso Dio: “Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani. Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno ‘il fiuto degli affari’ od a quelli che ‘hanno sempre la valigia in mano’, lasciando il popolo orfano”.

Ed ha sottolineato che un’eparchia non è luogo di ‘passaggio’ verso cariche più prestigiose, chiamandolo ‘adulterio pastorale’: “Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più ‘prestigiosa’ dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia (permettetemi l’espressione) di commettere un ‘adulterio pastorale’. Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge”.

Quindi, come affermava san Gregorio di Narek, i fedeli devono sentire la vicinanza del proprio vescovo: “In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi. So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dove è difficile che siano visitati”.

Però, anche se dispersi nel mondo, papa Francesco ha sollecitato a mostrare una Chiesa piena di amore, invocando una collaborazione con la Chiesa armena: “Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale. E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica”.

E’ stato un chiaro invito a pregare per discernere il Vangelo: “Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore…

I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico.

Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.

E’ stato un invito a curare la ‘pastorale vocazionale’: “I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico. Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.

Ed ha concluso con un pensiero a coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, sottolineando che gli Armeni sono stati sempre cacciati dai territori: “Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze.

La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, ‘primizia’ delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: Basta! Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia”.

(Foto: Santa Sede)

Papa: la grazia di Dio libera dai vizi dell’invidia e della vanagloria

“Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle”.

Con questo appello papa Francesco, non perfettamente ristabilitosi nella salute, ha ricordato il 25^ anniversario della convenzione per l’abolizione delle mine antiuomo, firmato ad Ottawa da 164 Stati, che proibiva in tutto il mondo uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose, ricordando i popoli che soffrono a causa della guerra:

“Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate”.

Mentre la catechesi sui vizi è stata letta, a causa delle sue ancora non stabili condizioni di salute, da mons. Filippo Ciampanelli, con una riflessione sul tema ‘invidia e la vanagloria’, descritti come ‘vizi più antichi’, iniziando dall’invidia di Caino nei confronti del fratello Abele:

“Se leggiamo la Sacra Scrittura, essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia”.

Il papa ha sottolineato che l’invidia conduce all’odio: “Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello”.

Il vizio dell’invidia nasce da una nostra falsa concezione di Dio, che può essere modificato dall’amore ‘fraterno’: “Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua ‘matematica’, diversa dalla nostra.

Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: ‘Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?’ Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi… Ecco il rimedio all’invidia!”

L’altro vizio, collegato all’invidia, è la vanagloria: “Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un ‘io’ ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui”.

Il vanaglorioso vuole essere sempre al centro dell’attenzione: “I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”.

Questo succede anche ai sacerdoti, come ha sottolineato Evagrio Pontico: “Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere”.

Per liberarsi dai due vizi occorre ‘abbandonarsi’ alla grazia di Dio: “Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di san Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Da quel giorno Paolo fu liberato”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco si è recato all’ospedale ‘Isola Tiberina Gemelli Isola’ per alcuni accertamenti diagnostici, eseguiti i quali è rientrato in Vaticano, come ha riferito la Sala Stampa vaticana.

(Foto: Santa Sede)

Il prof. Palini: mons. Angelelli è martire della fede

“Scrivere un libro su Enrique Angelelli è proprio come spedire una lettera rimasta per molto tempo dimenticata da qualche parte, farla pervenire a coloro che testardamente continuano a credere al sogno di Isaia di un mondo in cui il diritto e la giustizia abbiano stabile dimora. Ed in effetti il sacrificio di questo vescovo argentino è ben presto caduto nel dimenticatoio. Nessun libro in italiano su di lui. Solo testi in spagnolo, pubblicati in Argentina. Eppure, come ci ha ricordato l’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, la sua testimonianza, il suo impegno per la giustizia e per la pace, la sua fede, sono di assoluto spessore e la sua figura si può porre sullo stesso piano di quelle degli altri grandi vescovi latinoamericani, da Hélder Câmara a Oscar Romero, da Juan Gerardi a Pedro Casaldáliga, da Leonidas Proaño ad Antonio Fragoso, e così via”.

In Ucraina dopo due anni di guerra

“Esortiamo la comunità internazionale, i leader religiosi e politici dei vari Paesi di continuare nel loro impegno per proteggere l’Ucraina dall’aggressione russa, per assistere coloro che stanno soffrendo per le conseguenze di questa guerra. Questo include il ritorno in Ucraina dei bambini, dei civili e dei prigionieri di guerra ucraini deportati illegalmente dalla Russia. Infine, esortiamo a continuare l’impegno per promuovere la vittoria e l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Ucraina”.

Questo ha chiesto il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose in occasione del secondo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio di due anni fa, che ha provocato molte morti: “La guerra di aggressione che la Russia conduce contro l’Ucraina dal 2014, violando le norme e regolamenti internazionali, ha causato enormi sofferenze al popolo ucraino…

Questa guerra ha provocato la morte di centinaia di migliaia di persone e brutali violazioni dei diritti umani e delle libertà civili nei territori temporaneamente occupati, inclusi la sistematica violazione della libertà religiosa e la distruzione di città e infrastrutture civili. Tale guerra, ha generato la più grande crisi migratoria in Europa dall’epoca della Seconda Guerra mondiale”.

Infatti secondo un rapporto dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, a due anni dall’inizio del conflitto oltre 185.000 persone hanno fatto richiesta di protezione temporanea e circa 4.400 di protezione internazionale in Italia con un tasso di riconoscimento sulle richieste di protezione internazionale esaminate che sfiora il 90%, di cui oltre l’87% dei rifugiati in Italia sono donne e minori. Dalla ricerca emerge che quasi tre su quattro adulti profilati avevano una formazione universitaria e più della metà erano alla ricerca di un impiego in Italia. Nel 39% dei nuclei familiari era presente una persona con vulnerabilità. Inoltre i bambini ucraini non accompagnati registrati al 31 dicembre dello scorso anno sono oltre 4.000.

Ed anche l’ong ‘WeWorld’ ha raccontato attraverso la voce delle rifugiate ucraine questi due anni, sottolineando che in Ucraina la situazione umanitaria rimane grave ed i bisogni della popolazione sono ancora tanti, in quanto: l’accesso ad acqua pulita e potabile e a cure mediche è limitato in alcune zone e mancano vestiti caldi per fronteggiare le rigide temperature dell’inverno.

Per tante bambine, bambini e adolescenti non ci sono più spazi sicuri dove poter studiare e socializzare, come ha spiegato Nataliia Kavetska, che per 8 mesi ha lavorato come mediatrice linguistico-culturale negli ‘Spazi Donna WeWorld’ ed ora di nuovo in Ucraina:

“Se scatta l’allarme dobbiamo correre nei rifugi ed è capitato diverse volte di doverci fermare a lungo e che mio figlio studiasse insieme ad altri bambini in cantina. Nell’aria si sente il pericolo, anche solo durante una passeggiata vediamo le macerie dei palazzi. Eppure ho deciso di tornare in Ucraina, a Kyiv, perché volevo fare qualcosa per il mio Paese anche se la vita quotidiana è molto diversa da prima a causa dei continui bombardamenti”.

Ed ha raccontato la vita in Ucraina: “Proviamo a vivere al meglio, qualcuno prova a sopravvivere perché c’è anche la crisi economica: io spero di avere un futuro in Ucraina ma al momento non riesco a immaginarmelo. Da quando è iniziata la guerra e da quando sono tornata però ho iniziato ad apprezzare le cose importanti: cos’è l’amicizia, la vicinanza, il sostegno. Apprezzo meglio la vita. Ci sono tanti momenti difficili perché la vita quotidiana è molto faticosa ma nel mio cuore c’è speranza”.

Mentre Guido Manneschi, responsabile Paese in Ucraina per WeWorld, dove in due anni di intervento ha raggiunto 230.000 persone, di cui il 74% sono donne, bambine e bambini, ha detto di non vedere la conclusione del conflitto: “A due anni dall’inizio della guerra la popolazione ucraina continua a vivere l’impatto di un conflitto che, ancora, non vede una possibile fine…

Due anni che avranno ripercussioni sul futuro di un’intera generazione, con bambine e bambini che vivono una quotidianità precaria senza continuità a scuola con la paura dei bombardamenti, uomini che avranno bisogno di aiuto per superare lo stress post traumatico, donne che hanno il peso della cura e della ricostruzione sulle proprie spalle. Il popolo ucraino sta vivendo una crisi collettiva che deve essere fermata, il rischio è che il Paese non riesca più a rialzarsi”.

La Ong precisa che 14.600.000 persone, il 40% dell’intera popolazione, ha bisogno di aiuti umanitari, ma i finanziamenti coprono solo il 13% dei bisogni (Unhcr); 3.300.000 vivono vicino al fronte di guerra, dove arrivano pochi aiuti perché l’accesso umanitario è difficile e non garantito. In due anni 6.000.000 persone sono fuggite all’estero e 4.000.000 sono sfollate all’interno dell’Ucraina.

Per questo anche la Caritas italiana Caritas Italiana ha partecipato all’intervento della rete Caritas internazionale a favore di Caritas Ucraina e Caritas-Spes con servizi di accoglienza e di protezione, assistenza medica, kit igienici e alimentari, contributi in denaro.

Degli € 24.325.914,15 raccolti (al 31 dicembre 2023), tra cui € 1.000.000 da parte della CEI (fondi 8xmille), due terzi sono già stati spesi (€ 15.690.744,38); mentre il rimanente è destinato a progetti da realizzarsi nell’anno in corso e nei prossimi anni: tra i contributi spesi € 4.926.879,91 sono stati stanziati a progetti di sostegno in Ucraina e Paesi limitrofi ed € 10.763.864,47 a progetti di accoglienza in Italia:

“Dallo scoppio del conflitto molte diocesi italiane si sono impegnate per garantire un’accoglienza adeguata alle persone in fuga. Tante le attività organizzate a livello locale: accoglienza, raccolta beni di prima necessità, assistenza sanitaria, accompagnamento psicologico. Le strutture maggiormente utilizzate: appartamenti, parrocchie, famiglie, istituti religiosi, centri di accoglienza.

Migliaia le persone accolte dalla rete ecclesiale italiana, attraverso il progetto ‘Apri Ucraina’ promosso da Caritas Italiana. Il progetto ha coinvolto cento diocesi e ha permesso di accogliere oltre seimila persone. Da segnalare anche le vacanze solidali che hanno permesso a quasi 650 bambini ucraini (e ai loro accompagnatori) di trascorrere alcune settimane serene in Italia”.

Inoltre dall’occupazione della Crimea nel 2014, Amnesty International ha documentato numerose atrocità, tra cui attacchi mirati contro civili e infrastrutture civili, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, torture, privazioni illegittime della libertà, trasferimenti forzati di civili e l’uso della violenza sui prigionieri di guerra, secondo quanto ha affermato Denis Krivosheev, vicedirettore per l’Europa orientale e l’Asia centrale di Amnesty International:

“Mentre la guerra è ancora in corso, è necessario conservare per quanto possibile le prove di ogni singola atrocità. I responsabili dei crimini di diritto internazionale devono essere chiamati a risponderne, indipendentemente da quanto tempo ci vorrà. Questi crimini non cadono in prescrizione”.

Per questo Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore che rappresenta oltre 100 reti nazionali di Terzo settore, ha aderito alla Giornata di mobilitazione di sabato 24 febbraio nelle città italiane, indetta dalla Rete Italiana Pace e Disarmo per chiedere di fermare la follia criminale di tutte le guerre:

“A due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina lo scenario internazionale è sempre più grave, con la drammatica intensificazione del conflitto israelo-palestinese a seguito dell’attacco disumano di Hamas e della sproporzionata risposta militare da parte di Israele.

Assistiamo alla dimostrazione della fragilità degli equilibri internazionali, mentre la via della diplomazia e della soluzione pacifica dei conflitti diventa sempre più difficile da percorrere. In questo quadro è lo stesso principio di autodeterminazione dei popoli a perdere riconoscimento, se non addirittura ad essere negato”.

Quindi la proposta del Forum Terzo Settore ha proposto la promozione della cooperazione: “Mai come ora è imperativo promuovere la cooperazione tra Paesi, schierarsi per la pace e per un modello di sviluppo fondato sulla tutela dei diritti della persona e la giustizia sociale.

Ci uniamo alle tante voci che stanno denunciando in questi mesi il massacro di innocenti e la pericolosissima corsa al riarmo degli Stati. Ci appelliamo inoltre ai Governi, italiano ed europei innanzitutto, affinchè ascoltino le organizzazioni della società civile, che stanno indicando la strada della pace da seguire”.

Mentre la Comunità di Sant’Egidio ha diffuso una nota in cui ripercorre la straordinaria catena di solidarietà messa in atto dalle sue comunità che in questi due anni ha raggiunto circa 330.000 persone: “Tutto ciò è reso possibile da una catena di solidarietà che parte dall’Italia e da altri paesi europei e che non può interrompersi finché dura il conflitto”.

Nel centro di coordinamento delle iniziative umanitarie di Sant’Egidio, realizzato a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, sono giunti finora dall’Italia e da diversi Paesi europei 127 carichi di aiuti umanitari, pari a 2.000 tonnellate, per un valore complessivo di oltre € 23.000.000.

Da Leopoli la Comunità di Sant’Egidio ha spedito farmaci, anche salvavita, a 209 strutture sanitarie, 90 amministrazioni locali, 54 istituti per bambini, anziani e disabili e numerosi centri di accoglienza per profughi anche nelle aree più remote del Paese. La stima delle persone che hanno usufruito di questi aiuti sanitari è di circa 2.000.000.

Ed oggi la Comunità di Sant’Egidio tiene una Liturgia per la Pace alle ore 19.30, nella chiesa di San Bernardino (via Lanzone 13, Milano; M2 Sant’Ambrogio), a cui partecipano profughi accolti a Milano.

Nel febbraio 2014 la Russia ha inviato le proprie truppe ad occupare la Crimea. Non ha mai ammesso che, nello stesso anno, erano entrate anche nell’Ucraina orientale. Le prove pubblicate da Amnesty International nel 2014, che includono l’analisi di immagini satellitari e testimonianze oculari, hanno confermato quanto avvenuto, rendendo evidente che siamo effettivamente di fronte a un conflitto armato internazionale della durata di un decennio.

Quarto Anno Rondine: prorogato il bando fino al 15 aprile

Grazie alle tantissime manifestazioni di interesse e richieste ricevute nelle ultime settimane da tutta Italia per conoscere meglio il Quarto Anno e partecipare all’ottava edizione, abbiamo deciso di prorogare la scadenza del bando al 15 aprile 2024 per permettere a tutti e tutte di scoprire i dettagli di questa unica e innovativa offerta formativa.

Il programma si rivolge agli studenti e alle studentesse dei Licei classico, scientifico e delle scienze umane di tutta Italia. Un’occasione irripetibile per ogni ragazzo o ragazza che sogni di allargare i propri orizzonti, che desideri mettersi alla prova come persona oltre che come studente, che voglia scommettere sulla didattica delle relazioni e iniziare a costruire da oggi il proprio futuro.

Per accedere alla selezione per l’a.s. 2024/25 e ai contributi a sostegno degli studenti è possibile inviare la propria candidatura online entro il 15 aprile 2024 dal sito https://quartoanno.rondine.org/partecipa-al-bando/. Per informazioni scrivere a segreteria@quartoanno.rondine.org.

Una proposta formativa internazionale e interculturale unica che combina l’esperienza consolidata in oltre 25 anni di formazione di Rondine con il mondo della scuola italiana, attraverso il Metodo Rondine, accreditato come un modello di riferimento per la didattica innovativa. Recentemente il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha sottoscritto un nuovo protocollo per impegnarsi nella sua diffusione nella scuola riconoscendolo un valido strumento per promuovere ‘i valori del dialogo, dell’inclusione, della convivenza pacifica, della cittadinanza attiva e digitale e agevolare la lotta al bullismo e alla violenza nelle scuole’.

Imparare a gestire il conflitto e crescere nella relazione. Il Quarto Anno Rondine è ideato per sostenere le ragazze e i ragazzi nello sviluppo delle proprie risorse interiori e ‘attrezzarli’ ad affrontare i conflitti che pervadono la nostra società. Una pratica quotidiana alla relazione che passa attraverso la didattica che forma giovani capaci di elaborare e gestire le proprie emozioni imparando a trasformare il conflitto in una risorsa che permette di crescere attraverso la diversità evitando che possa degenerare in violenza.

Luigi Paolo Favini, studente del QAR di Padova, ha sentito parlare di Rondine da un ragazzo più grande, del suo stesso liceo. Lui aveva in testa di fare il quarto anno all’estero ma non aveva le idee chiare: “Non avevo capito bene cosa fosse Rondine. Ho capito solo quando l’ho toccata e l’ho respirata, per le selezioni. Ci ho trovato tantissime cose che stavo cercando, ad esempio una relazione vera con i compagni e con i professori.

Su Rondine si può leggere tanto, ma c’è tanto di più oltre alle parole: il di più siamo noi, tutti noi che la abitiamo. Sono le persone che fanno Rondine. Il Quarto Anno Rondine si fonda proprio sulle relazioni tra le persone. Ma anche la relazione con noi stessi è centrale. Con questa esperienza abbiamo modo di scoprire di più di noi e dell’altro”.

La didattica innovativa del percorso formativo che rimette al centro la relazione educativa tra docente, studente e gruppo classe e coniuga l’avanguardia tecnologica, tramite l’uso del digitale a supporto del percorso formativo, con il metodo didattico di Rondine, che da anni investe sulla crescita emotiva e relazionale dei giovani.

Questo approccio innovativo favorisce un’appropriazione più critica e creativa dei contenuti disciplinari, attraverso il collegamento con l’attualità, lezioni non frontali, applicativi digitali e percorsi tematici interdisciplinari collegati ai temi propri di Rondine.

La dimensione internazionale. Il Quarto Anno Rondine, infatti, significa trascorrere un anno di scuola nella Cittadella della Pace (Arezzo), un ambiente capace di mettere in comunicazione Paesi e culture diverse grazie all’interazione con la World House di Rondine, lo Studentato Internazionale che accoglie giovani laureati provenienti da luoghi di conflitto di tutto il mondo che hanno scelto di impegnarsi per la costruzione della pace. Un’opportunità unica in Italia per aprirsi e sviluppare un senso critico capace di abbracciare una visione globale.

Uno sguardo sul futuro. Il programma, inoltre, integra un percorso per mettere a fuoco il proprio talento, la vocazione professionale e una formazione alla progettazione sociale. Strumenti concreti per realizzare i propri sogni al servizio del bene comune.

Non solo. Il Quarto Anno Rondine non finisce a giugno: la formazione continua a distanza anche nell’anno successivo, con il supporto di docenti e mentori di diversi ambiti professionali, accompagnando i giovani nella realizzazione concreta dei propri progetti per far fiorire anche la comunità di appartenenza e il territorio attraverso la rigenerazione del Metodo Rondine. Due anni di formazione e accompagnamento alla progettazione.

Generare cambiamento. L’obiettivo è sostenere lo sviluppo del network di giovani cittadini attivi e l’attuazione dei progetti di impatto sociale elaborati dagli studenti del Quarto Anno Rondine, pensati per rispondere ai bisogni concreti di coesione sociale dei territori d’Italia grazie anche al sostegno dei partner a livello locale. Un ulteriore sviluppo dell’Associazione come incubatore delle idee e delle progettazioni dove i giovani imparano come e in che modo attivarsi all’esterno muovendosi indipendentemente ma coerentemente con la formazione ricevuta e con la mission di Rondine:

“Stiamo imparando un nuovo significato della parola conflitto. Conflitto generalmente suona come qualcosa di negativo, mentre il conflitto è una cosa naturale, è l’incontro tra due parti diverse, anche di noi stessi. Ogni giorno viviamo il conflitto solo perché incontriamo persone diverse, nuove materie, nuove esperienze. Il mio contesto di casa iniziava a starmi un po’ stretto. Mi serviva un posto dove capire meglio che cosa posso dare agli altri e che cosa posso dare a me stessa, quali sono davvero le mie abilità. Volevo mettermi in gioco”, ha raccontato Benedetta Mancini, studentessa del QAR di Cisterna latina.

Fondamentale il supporto di tutta la rete scolastica territoriale. Il Liceo Vittoria Colonna di Arezzo è titolare della sperimentazione presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito e tramite un accordo di rete stipulato tra l’associazione Rondine Cittadella della Pace e le scuole della provincia di Arezzo (Liceo F. Petrarca, Liceo F. Redi, ITIS Galilei, Convitto nazionale Vittorio Emanuele II), permette di garantire i piani ministeriali a tutti gli indirizzi liceali presenti nel Quarto Anno a Rondine.

Il progetto Quarto Anno Rondine è realizzato con il contributo di: Fondazione di Sardegna, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Deloitte, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Fondazione Andrea Biondo Istituto di Cultura, Fondazione Cassa di Risparmio di Prato, Gecofin, Fondazione Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano, Fondazione ONLUS Niccolò Galli, Banca del Valdarno Credito Cooperativo – “Borsa di studio in memoria di BANI GIOVANNI”, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione Mike Bongiorno, Fondazione Vincenzo Casillo, Associazione Patrizia Funes, 2MV, Fondo di solidarietà Quarto Anno Amici e Sostenitori e con il contributo del Consiglio Regionale della Toscana ai sensi della L.R. 10/2021.

I partner che hanno collaborato allo sviluppo del percorso formativo sono: Fondazione Finanza Etica, Istituto Jacques Maritain, Nuovo Laboratorio di Psicologia, AIESEC, FiordiRisorse, Scuola di Economia Civile, Aboca, GOEL – Gruppo cooperativo e FEduF.

In Terra Santa nessuna possibilità di pace

“Se per pace si intende un epilogo felice dovremo aspettare qualche generazione. In questo momento non c’è il contesto adatto per arrivare alla pace, perché le ferite hanno bisogno di tempo per essere curate. I cristiani però non possono perdere la speranza; quindi è importante arginare la deriva di odio, che si manifesta soprattutto nel linguaggio; e occorre lavorare per creare occasioni per ricostruire la fiducia e questo non si fa solo con le parole, ma anche con i gesti. Come Chiesa possiamo costruire occasioni di incontro e di relazione attraverso le nostre istituzioni, i nostri ospedali, le nostre chiese”.

Lo ha affermato ieri sera il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, intervenendo a Lodi al ‘Colloquio di San Bassiano’ che si tiene un mese dopo la festa patronale, come riportato da ‘Il Cittadino’, sottolineando la drammatica situazione di Gaza:

“A Gaza la situazione è drammatica: il 90% della popolazione è sfollata, e stiamo parlando di circa 1.800.000 persone. Gran parte della popolazione è ammassata nella zona di Rafah, per la strada, dove non c’è assolutamente nulla. Tutte le infrastrutture al momento sono distrutte. Per la ricostruzione ci vorranno anni, la domanda però è: nel frattempo cosa si fa?

In Cisgiordania ci sono circa 3.000.000 di palestinesi in un’area che, fino a un paio di settimane fa, era ermeticamente chiusa. E per effetto di questo si sono creati grossi problemi economici perché le due fonti di reddito della popolazione palestinese qui sono i pellegrini e il pendolarismo verso Israele”.

E secondo l’ong ‘Save the Children’ dopo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito ad approvare la risoluzione per il ‘cessate il fuoco’ a Gaza, la vita di almeno 1.000.000 di bambini rimane a rischio a causa dei combattimenti, della fame e delle malattie, oltre che per il grave disagio mentale causato da mesi di guerra.

La notizia giunge mentre il bilancio delle vittime tra i bambini di Gaza supera i 12.400, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, e gli almeno 36 in Israele, secondo le Nazioni Unite, nonché dopo che il governo di Israele ha dichiarato Rafah, l’ultimo luogo che i civili ritenevano sicuro a Gaza, come prossimo obiettivo. 

Più di 1.300.000 di civili palestinesi, tra cui più di 600.000 bambini, sono ora intrappolati lì, senza un altro posto dove fuggire, dopo aver seguito gli ‘ordini di evacuazione’ emessi da Israele che li indirizzavano verso l’area, con la falsa premessa che sarebbe stata sicura:

“Siamo sconcertati nell’apprendere di questo nuovo fallimento, l’ennesimo da parte della comunità internazionale. Dopo più di quattro mesi di violenze incessanti, non abbiamo più parole per descrivere ciò che stanno passando i bambini e le famiglie di Gaza, né gli strumenti per rispondere in modo adeguato.

L’entità della morte e distruzione è enorme, mentre i carri armati sono pronti a entrare a Rafah, dove la maggior parte della popolazione di Gaza è stata costretta a fuggire a causa della fame e delle malattie, questa guerra sta per entrare nella fase più letale possibile. I bambini sono una categoria particolarmente vulnerabile, con diritti e tutele uniche e, come in ogni guerra, stanno pagando il prezzo più alto.

E l’incapacità della comunità internazionale di proteggerli, un dovere legale, sta facendo lievitare questo prezzo a una velocità e con dimensioni mai viste prima. Anche dopo quattro mesi, il più alto organo decisionale delle Nazioni Unite per la pace e la sicurezza internazionale non è stato in grado di farlo. 

I bambini vengono delusi dagli adulti che dovrebbero proteggerli. E’ giunto il momento che questi adulti si assumano le loro responsabilità e i loro obblighi legali nei confronti dei bambini, coinvolti in un conflitto in cui non hanno avuto alcun ruolo e che vogliono solo poter vivere”.

Inoltre Inger Ashing, direttrice di Save the Children International, ha riferito che a Gaza si sta assistendo ad una catastrofe: “Quanto accaduto in questi mesi è stato catastrofico, ma qualsiasi estensione delle operazioni militari da parte di Israele a Rafah sarebbe probabilmente fatale per i bambini e le loro famiglie. Oltre la metà della popolazione di Gaza, compresi più di 610.000 bambini, sono stipati in un frammento di terra che non può accoglierli né sostenere la loro sopravvivenza.

Nell’area sovraffollata non c’è nessun posto dove ripararsi dalle bombe, e nessun altro posto dove le famiglie possano fuggire. In concreto, i bambini sono in trappola. Nel caso di un’escalation a Rafah, ci sarà inevitabilmente un aumento significativo delle gravi violazioni contro i bambini, che sono già state commesse a un ritmo senza precedenti.

I responsabili devono essere chiamati a risponderne. Tutte le parti in conflitto, comprese le Forze di Difesa israeliane, le Brigate Qassam (Hamas) e la Jihad islamica, devono essere aggiunte alla lista degli autori di gravi violazioni contro i bambini nei conflitti armati e impegnarsi a compiere azioni immediate per garantire la protezione dei bambini. La responsabilità è essenziale per riconoscere i gravi danni procurati ai bambini, per spezzare i cicli di violenza e prevenire ulteriori violazioni e per ricostruire società pacifiche basate sullo stato di diritto”.

La piaga dei bambini-soldato alimentata dalle guerre

“Nel 2022 quasi 8.000 minori, alcuni anche di soli cinque anni, sono stati arruolati ed utilizzati nelle guerre. Lo afferma il Segretario Generale dell’ONU in un rapporto dedicato alla situazione dell’infanzia nei conflitti. Va evidenziato che tale numero è aumentato rispetto al 2021. I piccoli vengono sottratti con la forza dalle scuole e dai propri villaggi e arruolati nelle milizie e negli eserciti regolari.

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