Tag Archives: pace

La Fiaccola della Pace e del Perdono accesa a Enna, città gemellata 2024

“In questo tempo in cui sembriamo abituarci alle guerre, smarrendo la speranza nel buio della violenza, la luce della Fiaccola di Santa Rita ci desta per ricordarci che oggi la pace ha tanti nomi, quelli di chi non accetta di vivere nell’odio, e nel quotidiano fa sì che essa sia la norma e non l’eccezione. Che da Enna questo fuoco sacro raggiunga nella preghiera ogni popolo in conflitto, a partire da Ucraina e Terra Santa, per smuovere le coscienze di chi può porre subito fine alle ostilità e per riscaldare i cuori di quanti ne sono vittime”.

Così suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia commenta dall’Umbria l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono, simbolo dei festeggiamenti di maggio della patrona dei casi impossibili, avvenuta questa sera a Enna, nel Duomo Maria Santissima della Visitazione, gremito di fedeli. La città siciliana è stata scelta per il Gemellaggio di Fede e Pace, che ogni anno Cascia stringe con una località, per amplificare il messaggio e i valori della santa, attuali, universali e preziosi.

La Fiaccola, che la notte del 21 maggio tornerà a Cascia per dare vita alla Festa di Santa Rita, ha suggellato l’unione con Enna, dove la delegazione casciana è in visita. Ieri è rientrata dopo la Messa, celebrata da don Davide Travagli, parroco di Cascia, in rappresentanza dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, nella Chiesa di Sant’Anna. Inoltre è stata consegnata la Reliquia ex ossibus di Santa Rita, portata, a nome del Monastero, dall’oblata Alessandra Paoloni, anche segretaria generale della Pia Unione Primaria Santa Rita, realtà molto attiva a Enna nel rendere concreti i valori ritiani.

“La Fiaccola ci dice che Santa Rita opera per la riconciliazione in tante comunità, che accolgono ogni anno la sua luce e nel cuore il suo esempio, per essere con lei e con Dio impronte di pace”: lo ha evidenziato il Rettore della Basilica di Santa Rita da Cascia, p. Mario De Santis, ad Enna per la famiglia agostiniana.

Insieme anche Padre Giustino Casciano, Priore Provinciale degli Agostiniani d’Italia, che ha sottolineato: “In questo mondo lacerato dalle guerre, Santa Rita è un punto di riferimento, perché la sua capacità di perdono e di pace è una grande luce per tutta la società. Ringraziamo i rappresentanti religiosi e le autorità civili di Enna che hanno accolto Rita come messaggera di pace, dialogo e perdono”.

“Attraverso il gemellaggio con Enna – ha detto il sindaco di Cascia Mario De Carolis, in Sicilia con l’amministrazione, il Comitato Cascia per Santa Rita e alcuni cittadini – viene rinnovato un messaggio molto importante e purtroppo attuale, che porta in sé l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono. Un messaggio che dal 1958 si ripete in tante parti del mondo, fino ad arrivare a Enna, dove c’è forte devozione verso Santa Rita, anche grazie al legame con la Pia Unione”.

A presiedere la celebrazione dell’accensione della Fiaccola, mons. Antonino Rivoli, vicario generale della diocesi di Piazza Armerina: “Nella Parola del Signore, che stasera abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni, il popolo è diviso nel giudizio su Gesù. Oggi, che le fratture sono mondiali, Cristo ci chiama a scegliere da che parte stare. E, questa sera, insieme, abbiamo levato sulla Terra e al Cielo la nostra risposta: siamo col Signore per la pace, guidati da Santa Rita da Cascia. Una scelta da confermare e onorare ogni giorno”.

Ad accendere la Fiaccola, il sindaco di Enna, Maurizio Dipietro, che ha dichiarato: “La scelta del gemellaggio con il nostro Comune si basa sulla fortissima devozione della città di Enna a Santa Rita. Facciamo voti affinché la luce e il calore della Fiaccola della Pace e del Perdono, che celebra questo legame ed è simbolo della vittoria sulle tenebre che Santa Rita è capace di portare in ogni cuore, raggiungano anche l’Ucraina e la Palestina e siano foriere di dialogo, speranza e pace per queste terre martoriate dalla guerra e per tutto il mondo”.

Mons. Martinelli invita gli arabi a vivere la propria vocazione

Nello scorso settembre il vicario apostolico per l’Arabia Meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), mons. Paolo Martinelli, ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, che prende spunto dal passo evangelico di san Giovanni, ‘Vieni e vedi (Giovanni 1:39), la vita è una vocazione’, indirizzata ai fedeli con l’invito a riflettere sul tema della propria vita come vocazione, richiamando l’attenzione sugli aspetti fondamentali della vita cristiana:

“Nel primo capitolo, dopo il maestoso prologo, che descrive il mistero di Dio e l’incarnazione del Figlio che ci rivela la vita divina (Gv 1,1-18), troviamo una storia molto semplice che ci ricorda l’essenza del cristianesimo. All’inizio del cristianesimo c’è la grazia dell’incontro. Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui; lo riconosce: è l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo. Due suoi discepoli, probabilmente Andrea e Giovanni, lo stesso autore del Vangelo, cominciano a seguirlo. Ad un certo punto, Gesù si accorge di essere seguito; si volta e chiede: Che cosa cerchi?”

Perché la vita è una vocazione?

La vita è vocazione perché’ siamo ‘chiamati’ alla vita. Nessuno si può dare la vita da solo. Esistiamo perchè siamo voluti ed amati da Dio personalmente. Ricordare che la vita è vocazione è necessario per avere consapevolezza del valore della propria vita e del proprio compito nel mondo. Inoltre, la vita è vocazione perchè in ogni istante siamo in rapporto con Dio attraverso quello che accade ogni giorno. Dio si è fatto carne in Gesù Cristo. Per questo Dio ci raggiunge sempre attraverso una ‘carne’, un incontro, un evento in cui ci chiama ad accogliere la sua parola, a seguirlo e a metterci a servizio del Regno”.

Quale è l’aspetto fondamentale della vita cristiana?

“L’essenza del Cristianesimo non è innanzitutto una nuova morale o una nuova teoria, ma un incontro con la persona di Gesù che può cambiare radicalmente la nostra esistenza aprendo un nuovo orizzonte esistenziale (come hanno ribadito papa Benedetto XVI e papa Francesco). L’aspetto fondamentale della vita cristiana è la sequela di Cristo, che si realizza nel vivere la vita della Chiesa e testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”.

Nella lettera pastorale si narra la storia della Chiesa nella penisola arabica: ‘Questa città fu sede di una delle più grandi comunità cristiane dei primi secoli. Najrān si trovava nell’antico Yemen, attualmente si trova in Arabia Saudita. Ricordando la loro testimonianza, ci rendiamo conto che, fin dall’antichità, i cristiani hanno abitato la terra in cui ora viviamo. E noi facciamo parte di questa bellissima storia, la storia della Chiesa nella penisola arabica’. In quale modo è avvenuto l’incontro con il cristianesimo nella penisola arabica?

“Il cristianesimo in Arabia ha una storia complessa. La documentazione non è facile. Già gli Atti degli Apostoli ci ricordano che san Paolo si recò in Arabia. I santi martiri Arethas e compagni ci testimoniano una presenza molto significativa del cristianesimo in epoca preislamica. Recenti scoperte archeologiche testimoniano una presenza di monasteri cristiani che hanno continuato a sussistere anche nei primi tempi dopo la nascita dell’Islam, mostrando la possibilità di una serena convivenza. In epoca più recente, a partire dal XIX secolo inizia a strutturarsi il vicariato Apostolico nella regione araba. Negli ultimi decenni la presenza cristiana in Arabia è molto aumentata grazie alle massicce migrazioni. Oggi si contano circa 3.000.000 di cattolici presenti nella penisola araba”.

“Quest’anno celebriamo il giubileo, insieme al Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale, commemorando il 1500° anniversario del martirio di sant’Areta e dei suoi compagni a Najrān”: cosa significa celebrare il giubileo del martirio di sant’Areta?

Ricordare i martiri è ringraziare Dio per la loro fedeltà a Cristo e al Vangelo ed è richiamo alla testimonianza che spetta a tutti noi, innanzitutto con la nostra vita: mostrare Cristo attraverso la vita buona che nasce dalla fede. Inoltre, ricordare sant’Arethas e compagni martiri ricorda a tutti i cristiani che vivono nel Golfo, che anche se come migranti si proviene da tante parti del mondo e da Chiese diverse, qui si diventa parte di una lunga storia, di una Chiesa che affonda le sue radici nei cristiani che hanno santificato questa terra con il dono della propria vita”.

“Ognuno di noi è unico e irripetibile, e ognuno di noi è al mondo perché ha una missione speciale da compiere. Per questo è importante discernere insieme la vostra vocazione. Come diceva questo grande giovane, il beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali perché ciascuno di noi è stato voluto e progettato da Dio per cose grandi”. Per quale motivo, nella lettera, ha proposto ai giovani arabi il beato Carlo Acutis?

“L’ho proposto a tutti i giovani del vicariato, di qualsiasi provenienza. La figura di Carlo Acutis mi sembra in grado di parlare al cuore dei giovani. Soprattutto il suo richiamo ad essere originali e non fotocopie impressiona sempre la gioventù che è in ricerca di modelli autentici da seguire. Colpisce molto anche il suo straordinario amore per l’Eucaristia (‘la mia autostrada per il cielo’) e la sua capacità di utilizzare le nuove tecnologie e i new media per diffondere il vangelo, senza rimanerne intrappolato”.

Allora cosa significa essere Chiesa di migranti?

“La nostra Chiesa è composta da persone che provengono da paesi diversi e da tradizioni spirituali differenti, con riti diversi. Contiamo circa cento nazionalità tra i nostri fedeli. Le nostre assemblee liturgiche hanno questo carattere interculturale che le caratterizza in modo unico. Questa è una straordinaria occasione per mostrare come il battesimo ci renda membri di una unica Chiesa pur essendo cosi diversi. I nostri fedeli sono chiamati non solo a mantenere le proprie tradizioni ma anche a condividerle e a conoscere quelle degli altri. Questo permette un arricchimento vicendevole.

Inoltre, essere chiese di migranti vuol dire essere consapevoli della transitorietà della propria condizione di vita. Qui nessuno diventa cittadino. La gente è qui per lavorare. Al termine ritorna nei propri Paesi di origine. Come Chiesa impariamo attraverso questa condizione particolare ad essere pellegrini, ad abitare il tempo e la terra con impegno e dedizione, sapendo che siamo destinati ad una pienezza che va oltre il tempo presente. Siamo destinati alla vita eterna in Cristo”.

Sono trascorsi 5 anni dalla firma del documento di Abu Dhabi: quali effetti può avere sul dialogo tra le fedi la crisi mediorientale?

“Il conflitto attualmente in atto in Medio Oriente ha aspetti e proporzioni sicuramente inediti rispetto al passato; si vede dalle difficoltà riscontrate nei tentativi di trovare una via di uscita. In questo senso penso che il contributo fondamentale della ‘Abrahamic family house’ sia il fatto stesso di esistere. E’ un invito costante a non darsi per vinti, a non rassegnarsi alla guerra. Questo centro rappresenta una realtà di convivenza che può ispirare e rilanciare cammini di pace”.

Papa Francesco: la santità non è un’eccezione

“E, per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra. Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte: lui pregava con questo. Tanti giovani, tanti giovani vanno a morire! Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta”:

anche oggi, al termine dell’udienza generale papa Francesco ha continuato a ripetere che la guerra è sempre una ‘pazzia’ contro i suoi detrattori, desiderosi di guerre ed uccisioni, con la stessa aggressione che a suo tempo mostrarono per papa Benedetto XVI e papa Giovanni Paolo II.

Ed in piazza san Pietro, continuando il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, ha incentrato la sua riflessione sul tema ‘L’agire virtuoso’, che è stata letta da don Pierluigi Giroli, a causa del raffreddore, parlando dell’azione virtuosa:

“Dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico, che sta in opposizione all’esperienza del male. Il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo.

Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti. La riflessione intorno a questa nostra meravigliosa possibilità forma un capitolo classico della filosofia morale: il capitolo delle virtù”.

Dopo un breve excursus linguistico sulla parola ‘virtù’ papa Francesco ha affermato che la santità non è un’eccezione: “Saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie.

I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo. Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia!”

E’ stato un invito a riscoprire questa azione virtuosa: “Ecco perché il capitolo sull’agire virtuoso, in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti. In un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre”.

La definizione di virtù è data dal n^ 1803 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: ‘La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene’. Non è dunque un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica. La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel ‘libro di Dio’, ma la virtù è un’altra cosa”.

Quindi la virtù è correlata alla libertà: “E’ un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore. La virtù è un habitus della libertà. Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta. Se la virtù è un dono così bello, subito nasce una domanda: come è possibile acquisirla? La risposta a questa domanda non è semplice, è complessa”.

Per il cristiano si acquisisce con l’aiuto della grazia di Dio: “Per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa. Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo. Sempre la grazia precede il nostro impegno morale”.

La catechesi del papa è stato un invito a non dimenticare la saggezza dei ‘padri’, invitando all’apertura mentale: “Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza.

L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano. Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi”.

(Foto: Santa Sede)

Per la Giornata Internazionale della donna i nominativi del  Riconoscimento Internazionale Santa Rita

Nel giorno della Giornata internazionale della donna suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, ha espresso, con un parallelo alle donne che ogni anno sono protagoniste della festa del 22 maggio, modelli universali dei valori ritiani, attuali e preziosi, la necessità di una ‘intelligenza materna’:

“In questo 8 marzo, tra bilanci di morte e un clima di grande sfiducia, celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza. Da donna e per l’umanità, oggi che si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, invito tutti a riscoprire e allenare una ‘intelligenza materna’, più tipica ma non esclusiva delle donne. Quella che chiama ogni essere umano al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita, per costruire una fiducia ritrovata, nel domani e nella vita stessa, di cui c’è estremo bisogno.

Lo sanno bene le donne che ogni giorno sono terreni fertili e custodi di vita e futuro. Come Cristina Fazzi, che da medico nello Zambia cura i bambini che sono gli ultimi della società, Virginia Campanile, che ha perso suo figlio ma è mamma per tanti genitori e ragazzi in difficoltà, e Anna Jabbour, profuga siriana che per sua figlia ha attraversato la guerra divenendo testimone di pace. Sono le donne che premieremo a maggio alla Festa di Santa Rita: tre donne diverse ma unite, come tante nel mondo, dalla scelta di essere strumenti di vita oggi, come Rita ieri”.

‘Donne di Rita’, così sono chiamate le donne scelte per il prestigioso Riconoscimento Internazionale Santa Rita, che dal 1988 premia donne che come Rita da Cascia sanno incarnare i valori su cui si fonda il nostro presente, che è il domani del mondo. Ecco le tre donne che, il 20 maggio alle 10.00 nella Sala della Pace del Santuario di Santa Rita a Cascia condivideranno le loro testimonianze. E, il 21 maggio alle 17.30 nella Basilica, riceveranno il Riconoscimento:

•          Cristina Fazzi, medico di Enna (Sicilia), che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per il rispetto, la giustizia e l’amore con cui nei suoi 24 anni di servizio, professionale e umano, nello Zambia, in Africa, ha protetto la vita e costruito il futuro di tante persone nelle aree di estrema povertà, con un’attenzione speciale ai bambini e ai giovani, in una società dove sono ultimi tra gli ultimi, spesso abusati e maltrattati: ha creato il primo centro di salute mentale del Paese per i minori e progetti formativi, per generare opportunità di cambiamento e realizzazione;

•          Virginia Campanile, che vive a Otranto (Lecce) e riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 perché dal dolore indescrivibile per la perdita del figlio Daniele e dalla libertà e pace acquisite grazie al perdono offerto a chi ne ha causato la morte in un incidente stradale, ha fatto nascere un ‘investimento d’amore’ che condivide con gli altri: ascoltando e aiutando tanti genitori toccati dal lutto a ritornare a vivere e impegnandosi coi giovani per tutelarli nella fragilità sociale e psicologica, accompagnandoli a riscoprire la bellezza della vita;

•          Anna Jabbour, che è nata ad Aleppo (Siria) ma oggi vive a Roma, che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per la testimonianza di pace, fratellanza e fede che incarna con la sua storia, da profuga di guerra a mamma di speranza e coraggio per sua figlia e allo stesso tempo per tutti coloro che incontra, non avendo mai perduto il forte desiderio di sognare e impegnarsi per un futuro di umanità e unione che possa cancellare ogni odio e sofferenza.

Papa Francesco: la superbia è pericolosa

“Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo per la pace! Chiediamo al Signore il dono della pace!”: ancora una volta al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha rinnovato il suo appello per la pace, perché è un dono di Dio, con un saluto ai giovani della Caritas libanese: “Nel cammino quaresimale, il cristiano è chiamato a lottare contro la superbia con l’umiltà, vero rimedio ad ogni forma di autoesaltazione, presunzione e vanità. Il Signore benedica tutti e vi protegga da ogni male‎‎‎‏!”

Mentre nella lingua polacca ha ricordato l’anniversario dell’uccisione della famiglia Ulma, beatificata nei mesi precedenti, in occasione della piantumazione di un melo: “Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, in particolare la delegazione di Podkarpacie, venuta in occasione dell’80° anniversario dalla morte della beata famiglia Ulma. Per la ricorrenza, nei Giardini Vaticani si terrà una cerimonia per la piantumazione del melo innestato dal beato Józef Ulma”.

Comunque anche oggi il papa era raffreddato e non ha potuto leggere la catechesi, che ha trattato il vizio della superbia, continuando il percorso sui vizi e le virtù: “Gli antichi greci la definivano con un vocabolo che si potrebbe tradurre ‘eccessivo splendore’. In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità. Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo. Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori”.

La superbia è simile alla vanagloria, ma è molto più pericolosa: “Però, se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia. Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti.

Di tutti i vizi, la superbia è gran regina. Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano”.  

La superbia è l’arroganza di sentirsi come Dio: “In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio…Gli scrittori di spiritualità sono più attenti a descrivere le ricadute della superbia nella vita di tutti i giorni, a illustrare come essa rovini i rapporti umani, a evidenziare come questo male avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini”.

Il superbo è ‘altero’ ed ‘orgoglioso’: “E’ un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci. Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai. Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, od un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito”.

Anche san Pietro era superbo, ma si è ‘convertito’ di fronte alla realtà: “Nei Vangeli Gesù ha a che fare con tanta gente superba, e spesso è andato a stanare questo vizio anche in persone che lo nascondevano molto bene. Pietro sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: ‘Se anche tutti ti abbandonassero, io no!’ Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina. E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa”.

(Foto: Santa Sede)

Adesso è il tempo della cura

Oggi si svolge la III Giornata nazionale della Cura delle Persone e del Pianeta. Un giorno dedicato alla riscoperta del valore alla cura di noi e degli altri, della città e del pianeta in cui viviamo. In un tempo in cui siamo costretti a soffrire le conseguenze di decenni di incuria “dobbiamo sviluppare una mentalità e una cultura del prendersi cura capace di sconfiggere l’indifferenza, lo scarto e la rivalità che purtroppo prevalgono” (Papa Francesco).

Oggi migliaia di studenti e insegnanti, di 139 scuole di 120 città (17 regioni, 48 province), usciranno dalle loro aule per andare a conoscere e ringraziare le persone che si prendono cura di noi e degli altri nei loro luoghi di lavoro e volontariato: pronto soccorso, ospedali, case per anziani, centri specializzati di cura, mense, empori Caritas, centri di accoglienza dei migranti, centri antiviolenza e case delle donne ma anche sedi della rai, comuni, province, tribunali, librerie, canili,…

Alcuni studenti e insegnanti faranno esperienza diretta di cura degli altri o dell’ambiente (ad esempio: servire ad una mensa per i poveri e senzatetto, ripulire, riordinare e abbellire uno spazio pubblico segnato dall’incuria, dall’abbandono o dall’inverno,…). Altri ancora costruiranno la mappa della città della cura andando a scoprire e “illuminare” le persone, le pratiche e i luoghi di cura del territorio che contribuiscono al nostro ben-essere personale e collettivo.

I partecipanti alla Giornata promuoveranno la cultura della cura raccontando in tempo reale, sui social network, gli incontri, le cose viste e sentite, amplificando così le voci e le storie delle persone incontrate, le loro attività e le loro idee sulla cura #iohocura:

“La cura è un diritto umano, costituzionale e universale, che va rispettato, attuato, organizzato e finanziato. Pensiamo alla cura degli ammalati e della salute di tutte e di tutti. Pensiamo alla cura dei più piccoli e delle giovani generazioni. Pensiamo alla cura dei più fragili e vulnerabili, degli anziani e delle persone e famiglie in difficoltà economiche.

Pensiamo alla cura delle donne vittime di tante violenze e discriminazioni. Pensiamo alla cura del lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici. Pensiamo alla cura della nostra economia, delle nostre città e quartieri, dell’ambiente e dei beni comuni che non sono solo nostri. Pensiamo ai popoli in guerra, a Gaza, in Ucraina e nel resto del mondo, ai migranti, alle persone perseguitate dall’oppressione, dalla miseria e dalle catastrofi ambientali”.

La Giornata della Cura delle persone e del pianeta è parte integrante del Programma Nazionale di educazione civica ‘Trasformiamo il futuro. Per la pace-Con la cura 2023-2024’ che si propone di educare le giovani generazioni alla cura come strumento concreto di pace e di trasformazione del futuro. Questo percorso didattico è a sua volta parte del Decennio della Cura (2020-2030) promosso dalla Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace. Papa Francesco incontrerà gli alunni, i docenti e i dirigenti scolastici coinvolti in questo percorso venerdì 19 aprile 2024 nell’Aula Paolo VI della Città del Vaticano. A questo straordinario evento parteciperanno anche gli amministratori locali, i rettori e i docenti universitari firmatari del ‘Patto di Assisi’.

Per promuovere l’educazione alla cura, la Rete nazionale delle scuole di pace ha ideato e messo a disposizione delle scuole il ‘Quaderno degli esercizi di cura’, un originale strumento didattico di educazione civica con cui sviluppare tutti gli elementi essenziali della cura: l’attenzione, il rispetto, la responsabilità, la presenza, l’ascolto, la comprensione, l’empatia, l’uso delle parole, il dono, la generosità e il coraggio.

La Giornata della Cura è promossa dalla Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, Rete Nazionale delle Scuole di Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani e Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova, Provincia di Perugia, Comune di Roma, Perugia, Padova, Parma, Acireale (CT), Bertinoro (FC), Bra (CN), Castel Bolognese (RA), Castellana Grotte (BA), Cavriago (RE), Ceriale (SV), Cerveteri (RM), Cervia (RA), Dolo (VE), Dubino (SO), Fogliano Redipuglia (GO), Locate di Triulzi (MI), Masi Torello (FE), Montefranco (TR), Narni (TR), Palanzano (PR), Radicondoli (SI), Rocca Canterano (RM), Roncadelle (BS), Sagrado (GO), San Miniato (PI), San Vittore Olona (MI), Spoleto (PG), Tivoli (RM), Vibonati (SA), Coordinamento Provinciale Bergamasco enti locali per la pace in collaborazione con Equal Care Day 2024.

La Giornata della Cura delle persone e del pianeta è promossa in occasione dell’Equal Care Day, una iniziativa avviata nel 2016 da una rete tedesca di persone e associazioni che vuole promuovere la rivalutazione e un’equa ripartizione dei lavori di cura nella nostra società.

La cura è il modo più concreto ed efficace con cui ognuno di noi può affrontare i problemi, trasformare il futuro e costruire la pace: “Sempre più spesso siamo costretti a fare i conti con problemi più grandi di noi, che corrono più veloci di noi. Pensiamo alle catastrofi climatiche, alla guerra in Europa, in Palestina, Israele e in troppe altre parti del mondo, all’esplosione del costo della vita, alle migrazioni,… : problemi enormi che, quando non ci sconvolgono direttamente la vita, aumentano la tristezza, l’inquietudine e l’ansia.

Non sono problemi privati. Eppure continuiamo a cercare impossibili risposte individuali. Sono problemi complessi che richiedono evidentemente la collaborazione di tanti. Eppure spesso continuiamo a ricercare solo il nostro personale tornaconto. Nel mondo dell’individualismo in cui siamo ancora immersi, in nome di una nostra presunta sovranità e indipendenza, ci è stato detto che ognuno doveva pensare per sé e competere senza sosta contro tutti. Ma, mentre molte crisi globali ci presentano il conto, ci scopriamo tragicamente soli, impreparati e abbandonati.

Se questi sono i risultati dell’incuria, dobbiamo prendere atto che è tempo di cambiare, che adesso è il tempo della cura: il tempo dell’attenzione sensibile, della vicinanza, dell’ascolto reciproco, del dialogo autentico, dell’assunzione di responsabilità, dell’empatia, della condivisione, della solidarietà.

Nell’ora della crisi, la cura è la risposta più efficace. La cura reciproca è il modo più concreto che abbiamo per fronteggiare i problemi, ridurre le violenze e le sofferenze e cambiare le cose, qui e ora, senza aspettare che lo facciano altri, senza aspettare domani. Per questo la dobbiamo riscoprire, studiare e imparare, organizzare e promuovere.

La cura è la miglior fabbrica di benessere su cui investire tutti insieme. Lenisce il dolore, allevia la solitudine, previene la violenza, vince la disperazione e crea amicizia. Costa fatica, ma costruisce pace e distribuisce felicità.

La cura è essenziale per la vita e la felicità. Dove non c’è cura c’è dolore, malessere, solitudine, esclusione sociale, disperazione, malattie, degrado, abbandono, disinteresse, violenza, violazione dei diritti umani, ingiustizia. La cura è fatta di tante belle cose. La cura è fatta di attenzione, rispetto, responsabilità, presenza, ascolto, comprensione, empatia, parole, tempo, dono, generosità, coraggio. La cura è essenziale per vivere insieme. La cura è il contrario dell’indifferenza e della cultura dello scarto”.

(Foto: Perlapace)

Papa Francesco prega per gli Armeni

Sempre oggi, prima dell’Udienza Generale, papa Francesco ha ricevuto i membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni presso la tomba degli apostoli Pietro e Paolo a conclusione della ricorrenza del Dottor della Chiesa, san Gregorio di Narek, incentrando il discorso, letto da mons. Filippo Ciampanelli, sull’accompagnamento del popolo di Dio da parte dei vescovi:

“Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore. Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo”.

E’ stato un invito rivolto al Sinodo di scegliere con cura i sacerdoti per accompagnare il popolo nel cammino verso Dio: “Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani. Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno ‘il fiuto degli affari’ od a quelli che ‘hanno sempre la valigia in mano’, lasciando il popolo orfano”.

Ed ha sottolineato che un’eparchia non è luogo di ‘passaggio’ verso cariche più prestigiose, chiamandolo ‘adulterio pastorale’: “Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più ‘prestigiosa’ dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia (permettetemi l’espressione) di commettere un ‘adulterio pastorale’. Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge”.

Quindi, come affermava san Gregorio di Narek, i fedeli devono sentire la vicinanza del proprio vescovo: “In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi. So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dove è difficile che siano visitati”.

Però, anche se dispersi nel mondo, papa Francesco ha sollecitato a mostrare una Chiesa piena di amore, invocando una collaborazione con la Chiesa armena: “Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale. E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica”.

E’ stato un chiaro invito a pregare per discernere il Vangelo: “Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore…

I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico.

Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.

E’ stato un invito a curare la ‘pastorale vocazionale’: “I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico. Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.

Ed ha concluso con un pensiero a coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, sottolineando che gli Armeni sono stati sempre cacciati dai territori: “Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze.

La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, ‘primizia’ delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: Basta! Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia”.

(Foto: Santa Sede)

Papa: la grazia di Dio libera dai vizi dell’invidia e della vanagloria

“Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle”.

Con questo appello papa Francesco, non perfettamente ristabilitosi nella salute, ha ricordato il 25^ anniversario della convenzione per l’abolizione delle mine antiuomo, firmato ad Ottawa da 164 Stati, che proibiva in tutto il mondo uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose, ricordando i popoli che soffrono a causa della guerra:

“Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate”.

Mentre la catechesi sui vizi è stata letta, a causa delle sue ancora non stabili condizioni di salute, da mons. Filippo Ciampanelli, con una riflessione sul tema ‘invidia e la vanagloria’, descritti come ‘vizi più antichi’, iniziando dall’invidia di Caino nei confronti del fratello Abele:

“Se leggiamo la Sacra Scrittura, essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia”.

Il papa ha sottolineato che l’invidia conduce all’odio: “Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello”.

Il vizio dell’invidia nasce da una nostra falsa concezione di Dio, che può essere modificato dall’amore ‘fraterno’: “Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua ‘matematica’, diversa dalla nostra.

Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: ‘Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?’ Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi… Ecco il rimedio all’invidia!”

L’altro vizio, collegato all’invidia, è la vanagloria: “Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un ‘io’ ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui”.

Il vanaglorioso vuole essere sempre al centro dell’attenzione: “I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”.

Questo succede anche ai sacerdoti, come ha sottolineato Evagrio Pontico: “Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere”.

Per liberarsi dai due vizi occorre ‘abbandonarsi’ alla grazia di Dio: “Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di san Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Da quel giorno Paolo fu liberato”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco si è recato all’ospedale ‘Isola Tiberina Gemelli Isola’ per alcuni accertamenti diagnostici, eseguiti i quali è rientrato in Vaticano, come ha riferito la Sala Stampa vaticana.

(Foto: Santa Sede)

151.11.48.50