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Dall’Italia oltre € 8.000.000.000 di risparmi inviati dai migranti

Nel 2023 i migranti hanno inviato dall’Italia ai propri Paesi di residenza € 8.178.000.000, in leggero calo (-0,4%) rispetto all’anno precedente, confermando il Bangladesh primo Paese di destinazione e la Lombardia prima Regione di invio, da quanto si legge nell’aggiornamento statistico sulle rimesse pubblicato ieri dalla Banca d’Italia.

Però nel quarto trimestre dello scorso anno le rimesse inviate all’estero dagli stranieri residenti in Italia sono diminuite del 2,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Comunque nello scorso anno la contrazione è stata marginale, pari allo 0,4%; sono diminuiti soprattutto i flussi verso i paesi dell’Africa sub-sahariana (-7,8%) e dell’Unione europea (-4,7%), in larga parte compensati dall’aumento dei flussi verso l’America centro-meridionale (+4,9%) ed, in minor misura, verso i paesi dell’Asia e del Nord Africa – Vicino Oriente (+0,9% e +0,8%, rispettivamente).

I primi tre paesi beneficiari delle rimesse dall’Italia nel 2023 si sono riconfermati Bangladesh, Pakistan e Filippine, che hanno ricevuto rispettivamente il 14,3%, l’8,3% ed il 7,3% del flusso totale.

Inoltre le maggiori regioni italiane, ad eccezione della Toscana, hanno registrato una crescita sostanzialmente nulla o negativa delle rimesse verso l’estero rispetto al 2022. Quasi la metà delle rimesse è provenuta dalle tre regioni più importanti in termini di flussi: Lombardia (22,6%), Lazio (14,8%) ed Emilia-Romagna (10,4%). Le maggiori variazioni positive si sono registrate nelle province di Milano e Napoli verso Sri-Lanka e Georgia, mentre quelle più negative nelle province di Napoli e Roma verso il Bangladesh.

In dettaglio nello scorso anno il Bangladesh si conferma al primo posto tra i paesi ricettori del flusso di rimesse inviato dall’Italia avendo ricevuto oltre € 1.100.000.000. Al secondo posto si colloca il Pakistan, interessato da rimesse per € 680.500.000 ed in terza posizione le Filippine con quasi € 600.000.000. Poi il Marocco con € 562.400.000 ricevuti (€ 4.000.000 in meno rispetto al 2022) ed in quinta posizione la Georgia con € 457.700.000, che incrementa rispetto all’anno precedente di quasi € 60.000.000.

Di contro continua a diminuire il denaro verso la Romania, che nel 2023 ha ricevuto € 449.000.000. Il fenomeno riguarda altri Paesi dell’Est Europa come la Bulgaria che lo scorso anno ha ricevuto € 24.000.000 contro € 26.000.000 nel 2022 ed € 29.500.000 nel 2021.

Papa Francesco: non sentirsi ‘scarto’

Papa Francesco

Papa Francesco ha inviato un messaggio ad un gruppo di migranti riuniti a Lajas Blancas, a Panama, ricordando che anche lui è stato un migrante: “Sono anche figlio di migranti partiti alla ricerca di un futuro migliore. C’erano momenti in cui rimanevano senza nulla, addirittura affamati; con le mani vuote, ma il cuore pieno di speranza”.

Questa speranza è testimonianza da vescovi e agenti pastorali, che partecipano all’incontro a Panama: “Ringrazio i miei fratelli vescovi e agenti pastorali che mi rappresentano davanti a voi. Sono il volto di una Chiesa madre che cammina con i suoi figli, nei quali scopre il volto di Cristo e, come Veronica, con affetto, offre sollievo e speranza nella via crucis della migrazione. Grazie per il tuo impegno con i nostri fratelli e sorelle migranti che rappresentano la carne sofferente di Cristo, quando sono costretti ad abbandonare la propria terra, ad affrontare i rischi e le tribolazioni di un cammino duro, senza trovare altra via d’uscita”.

Infine, rivolgendosi ai migranti, li invita a non considerarsi ‘scarto’: “Fratelli e sorelle migranti, non dimenticate mai la vostra dignità umana. Non aver paura di guardare negli occhi gli altri perché non sei uno scarto, ma fai parte anche tu della famiglia umana e della famiglia dei figli di Dio. E grazie per esserci”.

Ugualmente nella lettera inviata ai partecipanti alla VI Semana Social Brasileira papa Francesco ha chiesto di camminare verso una ‘Chiesa in uscita’: “Fin dalla sua prima edizione, nel 1991, la Semana Social Brasileira si è presentata come un cammino verso una ‘Chiesa in uscita’, impegnata ad abbattere i muri del rifiuto e dell’indifferenza, accompagnando i più poveri e i più privati dei loro diritti fondamentali nella loro lotta per la terra, casa e lavoro”.

E’ un invito a ripensare ad una nuova economia, come aveva sottolineato durante l’incontro mondiale dei movimenti popolari: “Inoltre, propone una nuova economia più solidale e la rivitalizzazione dei valori democratici che aiutano a costruire una società in cui vi sia una vera partecipazione popolare ai processi decisionali della nazione. Vi ringrazio di cuore per questo impegno e anche per promuovere, insieme ai giovani del Brasile, l’Economia di Chiara e Francesco”.

In conclusione ha auspicato “frutti abbondanti a favore di una società più giusta in cui si viva la fraternità universale e l’amicizia sociale. In questo senso, cerchiamo di vedere in coloro che sono costretti a vivere nella miseria dalle ingiustizie sociali il volto di Gesù che ci esorta a non rimanere indifferenti, perché, come lui stesso ha detto: ogni volta che lo fate a uno dei miei fratelli più piccoli, lo fate a me!”

Mons. Martinelli invita gli arabi a vivere la propria vocazione

Nello scorso settembre il vicario apostolico per l’Arabia Meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), mons. Paolo Martinelli, ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, che prende spunto dal passo evangelico di san Giovanni, ‘Vieni e vedi (Giovanni 1:39), la vita è una vocazione’, indirizzata ai fedeli con l’invito a riflettere sul tema della propria vita come vocazione, richiamando l’attenzione sugli aspetti fondamentali della vita cristiana:

“Nel primo capitolo, dopo il maestoso prologo, che descrive il mistero di Dio e l’incarnazione del Figlio che ci rivela la vita divina (Gv 1,1-18), troviamo una storia molto semplice che ci ricorda l’essenza del cristianesimo. All’inizio del cristianesimo c’è la grazia dell’incontro. Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui; lo riconosce: è l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo. Due suoi discepoli, probabilmente Andrea e Giovanni, lo stesso autore del Vangelo, cominciano a seguirlo. Ad un certo punto, Gesù si accorge di essere seguito; si volta e chiede: Che cosa cerchi?”

Perché la vita è una vocazione?

La vita è vocazione perché’ siamo ‘chiamati’ alla vita. Nessuno si può dare la vita da solo. Esistiamo perchè siamo voluti ed amati da Dio personalmente. Ricordare che la vita è vocazione è necessario per avere consapevolezza del valore della propria vita e del proprio compito nel mondo. Inoltre, la vita è vocazione perchè in ogni istante siamo in rapporto con Dio attraverso quello che accade ogni giorno. Dio si è fatto carne in Gesù Cristo. Per questo Dio ci raggiunge sempre attraverso una ‘carne’, un incontro, un evento in cui ci chiama ad accogliere la sua parola, a seguirlo e a metterci a servizio del Regno”.

Quale è l’aspetto fondamentale della vita cristiana?

“L’essenza del Cristianesimo non è innanzitutto una nuova morale o una nuova teoria, ma un incontro con la persona di Gesù che può cambiare radicalmente la nostra esistenza aprendo un nuovo orizzonte esistenziale (come hanno ribadito papa Benedetto XVI e papa Francesco). L’aspetto fondamentale della vita cristiana è la sequela di Cristo, che si realizza nel vivere la vita della Chiesa e testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”.

Nella lettera pastorale si narra la storia della Chiesa nella penisola arabica: ‘Questa città fu sede di una delle più grandi comunità cristiane dei primi secoli. Najrān si trovava nell’antico Yemen, attualmente si trova in Arabia Saudita. Ricordando la loro testimonianza, ci rendiamo conto che, fin dall’antichità, i cristiani hanno abitato la terra in cui ora viviamo. E noi facciamo parte di questa bellissima storia, la storia della Chiesa nella penisola arabica’. In quale modo è avvenuto l’incontro con il cristianesimo nella penisola arabica?

“Il cristianesimo in Arabia ha una storia complessa. La documentazione non è facile. Già gli Atti degli Apostoli ci ricordano che san Paolo si recò in Arabia. I santi martiri Arethas e compagni ci testimoniano una presenza molto significativa del cristianesimo in epoca preislamica. Recenti scoperte archeologiche testimoniano una presenza di monasteri cristiani che hanno continuato a sussistere anche nei primi tempi dopo la nascita dell’Islam, mostrando la possibilità di una serena convivenza. In epoca più recente, a partire dal XIX secolo inizia a strutturarsi il vicariato Apostolico nella regione araba. Negli ultimi decenni la presenza cristiana in Arabia è molto aumentata grazie alle massicce migrazioni. Oggi si contano circa 3.000.000 di cattolici presenti nella penisola araba”.

“Quest’anno celebriamo il giubileo, insieme al Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale, commemorando il 1500° anniversario del martirio di sant’Areta e dei suoi compagni a Najrān”: cosa significa celebrare il giubileo del martirio di sant’Areta?

Ricordare i martiri è ringraziare Dio per la loro fedeltà a Cristo e al Vangelo ed è richiamo alla testimonianza che spetta a tutti noi, innanzitutto con la nostra vita: mostrare Cristo attraverso la vita buona che nasce dalla fede. Inoltre, ricordare sant’Arethas e compagni martiri ricorda a tutti i cristiani che vivono nel Golfo, che anche se come migranti si proviene da tante parti del mondo e da Chiese diverse, qui si diventa parte di una lunga storia, di una Chiesa che affonda le sue radici nei cristiani che hanno santificato questa terra con il dono della propria vita”.

“Ognuno di noi è unico e irripetibile, e ognuno di noi è al mondo perché ha una missione speciale da compiere. Per questo è importante discernere insieme la vostra vocazione. Come diceva questo grande giovane, il beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali perché ciascuno di noi è stato voluto e progettato da Dio per cose grandi”. Per quale motivo, nella lettera, ha proposto ai giovani arabi il beato Carlo Acutis?

“L’ho proposto a tutti i giovani del vicariato, di qualsiasi provenienza. La figura di Carlo Acutis mi sembra in grado di parlare al cuore dei giovani. Soprattutto il suo richiamo ad essere originali e non fotocopie impressiona sempre la gioventù che è in ricerca di modelli autentici da seguire. Colpisce molto anche il suo straordinario amore per l’Eucaristia (‘la mia autostrada per il cielo’) e la sua capacità di utilizzare le nuove tecnologie e i new media per diffondere il vangelo, senza rimanerne intrappolato”.

Allora cosa significa essere Chiesa di migranti?

“La nostra Chiesa è composta da persone che provengono da paesi diversi e da tradizioni spirituali differenti, con riti diversi. Contiamo circa cento nazionalità tra i nostri fedeli. Le nostre assemblee liturgiche hanno questo carattere interculturale che le caratterizza in modo unico. Questa è una straordinaria occasione per mostrare come il battesimo ci renda membri di una unica Chiesa pur essendo cosi diversi. I nostri fedeli sono chiamati non solo a mantenere le proprie tradizioni ma anche a condividerle e a conoscere quelle degli altri. Questo permette un arricchimento vicendevole.

Inoltre, essere chiese di migranti vuol dire essere consapevoli della transitorietà della propria condizione di vita. Qui nessuno diventa cittadino. La gente è qui per lavorare. Al termine ritorna nei propri Paesi di origine. Come Chiesa impariamo attraverso questa condizione particolare ad essere pellegrini, ad abitare il tempo e la terra con impegno e dedizione, sapendo che siamo destinati ad una pienezza che va oltre il tempo presente. Siamo destinati alla vita eterna in Cristo”.

Sono trascorsi 5 anni dalla firma del documento di Abu Dhabi: quali effetti può avere sul dialogo tra le fedi la crisi mediorientale?

“Il conflitto attualmente in atto in Medio Oriente ha aspetti e proporzioni sicuramente inediti rispetto al passato; si vede dalle difficoltà riscontrate nei tentativi di trovare una via di uscita. In questo senso penso che il contributo fondamentale della ‘Abrahamic family house’ sia il fatto stesso di esistere. E’ un invito costante a non darsi per vinti, a non rassegnarsi alla guerra. Questo centro rappresenta una realtà di convivenza che può ispirare e rilanciare cammini di pace”.

Cosa significa per la comunità cattolica dell’Arabia il giubileo di Sant’Areta?

Nelle scorse settimane si è aperto con una solenne celebrazione eucaristica nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali, nel Bahrein, il giubileo straordinario nei Vicariati apostolici dell’Arabia per i 1500 anni dal martirio di sant’Areta e compagni, presieduta da mons. Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia del Nord (comprendente gli Stati della Penisola arabica: Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita) preceduta dal rito dell’apertura della Porta Santa:

Carta di Roma: per i media i migranti sono ombre

“Leggevo il tweet del giornalista Pape Diaw. Diceva che dopo quaranta anni che sei italiano, è deprimente essere chiamati ancora in televisione, ad interpretare una parte, un ruolo, quello dello straniero. Non so bene come ci si senta, per due ragioni: la prima è che io non rientro nella casistica degli ‘stranieri’ e la seconda è che la televisione la frequento per lavoro, sì, ma non per interpretare ruoli…

Il dott. Mavindi racconta l’emigrazione dei giovani africani

Oggi sono 281.000.000 le persone che nel mondo vivono fuori dalla loro terra d’origine; 110.000.000 i migranti forzati, che fuggono da guerre, fame, sete, povertà, desertificazione; mentre in Italia, stando ai report ufficiali, dal 2013 sono arrivati 1.040.938 profughi e 28.000 i migranti che in questi dieci anni risultano morti annegati o dispersi nel Mar Mediterraneo.

Papa Francesco al Forum Globale sui Rifugiati: salvare le persone è una priorità

Fino a venerdì scorso si è svolto a Ginevra il ‘Forum Globale sui Rifugiati – Global Refugee Forum’ (GRF), che si tiene ogni quattro anni, ed è la più grande conferenza internazionale sulle questioni relative ai rifugiati, co-convocato da Colombia, Francia, Giappone, Giordania e Uganda, con l’obiettivo di concentrare gli sforzi di una serie di attori sulla ricerca di soluzioni alla condizione dei rifugiati e di sostenere gli obiettivi del Patto globale sui rifugiati, come affermato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2018.

Padre Mauro Armarino racconta la vita in Niger dopo il golpe

“Se scoppia la guerra, il Niger sarà distrutto. I proiettili non risparmieranno la popolazione, che sarà la più colpita. Sappiamo quando una guerra inizia, ma mai quando finisce. Guardate la Libia. Questa guerra distruggerà la coesione sociale e il Niger diventerà ingestibile, chiunque lo governi”: così dichiarava l’arcivescovo di Niamey, mons. Laurent Lompo, a pochi giorni dall’avvenuto golpe di Stato nel Niger nella scorsa estate.

Papa Francesco ai dipendenti dell’ospedale ‘Miulli’: al centro la cura della persona

Iniziando la settimana che introduce al Natale papa Francesco ha ricevuto stamattina una rappresentanza dell’Ospedale ‘Francesco Miulli’ di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, sottolineando la responsabilità nella ricerca scientifica, mettendo al centro di essa la persona:

Geopolitiche del Sahel

Come simboli del nostro pensiero, potremmo prendere tre elementi molto comuni del nostro spazio saheliano.  Polvere, vento e sabbia… Innanzitutto la polvere, che entra dappertutto e colpisce il nostro SGUARDO in modo talvolta pericoloso. E’ di questo che vorrei parlare per prima cosa, perché tutto nella nostra vita dipende dal modo con  cui guardiamo le cose…

La prima cosa da osservare, quando si studia qualsiasi argomento, è proprio il tipo di sguardo col quale osserviamo una determinata realtà… Dove e come leggiamo la realtà! Da qui guardiamo (e leggiamo) la realtà dal Sahel, uno spazio umano, geografico, politico, economico e culturale. Questo è già un aspetto interessante, ma da solo non basta, perché bisogna scegliere il luogo socio-umano da cui guardarla. Ci sono luoghi privilegiati che diventano lo specchio della società…

Uno di questi luoghi è la migrazione: i migranti rivelano molto del nostro Sahel! La seconda fase consiste, come detto prima, nella scelta del tipo di visione, della qualità della nostra sguardo… di ciò che stiamo cercando. Potremmo dire che dobbiamo scegliere il giusto tipo di occhiali con cui guardare… ed è in questo senso che dobbiamo stare attenti alla… polvere! I nostri occhi possono essere, spesso senza rendersene conto, ‘colonizzati’ dalla mentalità dominante, capitalista, neoliberista, guerrafondaia.

Una realtà in cui la ricerca del profitto, del prestigio e del potere prevalgono sulla ricerca del bene comune, cioè del bene dei poveri. E’ questo tipo di sguardo che può leggere i segni del futuro nella realtà, i segni della speranza negli occhi dei giovani e dei poveri, gli unici che vogliono scoprire un mondo diverso. Per farlo, dobbiamo spolverare i nostri occhi, perché siano liberi e aperti a cogliere il nuovo, spesso nascosto come l’acqua del sottosuolo che solo i rabdomanti sanno scoprire!

Conosciamo il vento nel Sahel: porta polvere e libera dalla polvere! Il vento è il simbolo della mobilità, dello spostamento e del cambiamento. Prima ho accennato alla migrazione e ai migranti come ‘luogo’ privilegiato per leggere ed ‘ascoltare’ la realtà. E’ un fatto sociale totale, una sorta di SPECCHIO attraverso il quale possiamo vedere noi stessi, come società, sistema economico, politico e sociale. Per secoli, il Sahel è stato una zona di transito per carovane, schiavi (purtroppo) e merci di ogni tipo: un luogo di passaggio e di transito.

In seguito, abbiamo subito una colonizzazione pesante e dolorosa, che ha contribuito a trasformare le migrazioni e spesso ha cercato di fermarle, modificarle e indirizzarle, ad esempio con il lavoro forzato. Conosciamo la figura saheliana dell’esodante…, dell’avventuriero, questi personaggi fanno parte della cultura sociale ed economica del Sahel, soprattutto in alcune stagioni dell’anno. E’ anche la mobilità della transumanza dei pastori che costituisce una delle ricchezze del Sahel.

Tuttavia, in questi diversi processi di spostamento e mobilità, abbiamo codificato e spesso “mercificato” la migrazione e i migranti. La mobilità verso la costa atlantica o verso il Nord Africa, o ancora più lontano, verso l’Europa, l’Asia o le Americhe, ha assunto una nuova dimensione per una serie di ragioni che ci portano alla geopolitica in questione. La crescente demografia, con una maggioranza di giovani, la ricchezza del sottosuolo, la riduzione delle aree di pascolo e dei punti d’acqua…

Il transito dei migranti verso il Nord e l’esternalizzazione delle frontiere europee nel Sahel hanno ridotto la libertà di mobilità dei migranti. Il resto lo sappiamo: questa parte del Sahel fa parte della frontiera meridionale dell’Occidente! Tutto questo, insieme ad altri fattori come le azioni dei Gruppi Armati Terroristi e il commercio di droga, armi e persone, ha contribuito a un notevole livello di violenza in quest’area.

I milioni di rifugiati, sfollati interni e migranti forzati ne dimostrano chiaramente gli effetti. Ma dovremmo guardare più da vicino alla forza sovversiva che si cela dietro la migrazione. Si tratta di chi, per molte ragioni, non accetta di scomparire nel silenzio dell’invisibilità della globalizzazione. Non sono d’accordo con il mondo così com’è e cercano qualcosa di diverso, che sta già avvenendo in viaggio. Ecco perché tutti i potenti guardano ai migranti con un certo sospetto!

Finalmente abbiamo la sabbia, naturalmente! A volte ce ne dimentichiamo, ma la realtà è testarda e ce lo ricorda: in fondo, noi stessi non siamo altro che sabbia, sabbia con un cuore! Da quando sono arrivato a Niamey, 12 anni fa, sono stato sedotto dalla sabbia e dalla sua umile, fedele, ineluttabile… eterna presenza! Il Sahel non è tutto sabbia, ma la sabbia è un elemento costante delle nostre strade e delle nostre vite. La sabbia si insinua, si mescola, va dappertutto ed è mobile perché si adatta alle situazioni, non si impone… Regni, presidenti, regimi militari e stai di eccezione  vanno e vengono ma la sabbia resta!

Per me, questa è la metafora più interessante per le persone, i popoli del Sahel, che stanno costruendo una nuova politica, non con la strategia ma con l’avventura quotidiana della sopravvivenza. Nel Sahel anche la geopolitica è di sabbia e chi non ne tiene in debito conto nelle sue analisi si accorgerà, col tempo e a sue spese, che tutto era già stato scritto. Il vento aveva cancellato ciò che la polvere, con ostinazione, aveva cercato di ricordare.

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