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Il martirio di Don Giuseppe Diana, una storia da non dimenticare

“Desidero, dunque, rivolgere un pensiero paterno all’intera Comunità diocesana e specialmente ai fedeli della Parrocchia di Casal di Principe che, nel fare memoria di don Peppe, come affettuosamente veniva chiamato, vuole vivere la sua stessa speranza di camminare insieme incarnando la profezia cristiana, che ci invita a costruire un mondo libero dal giogo del male e da ogni tipo di prepotenza malavitosa. La mia riconoscenza va anche a coloro che continuano l’opera pastorale che don Diana ha avviato come assistente spirituale di associazioni e di gruppi di fedeli, in particolare di giovani e di realtà legate agli scout”: con queste parole papa Francesco ha ricordato il trentesimo anniversario di don Giuseppe Diana, richiamando l’omelia del sacerdote pronunciata nel Natale del 1991, ‘Per amore del mio popolo’.

Parole che richiamano altre parole: ‘Il 19 marzo è morto un prete, ma è nato un popolo’, quelle di  mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, nei funerali di don Peppe Diana, assassinato dalla criminalità organizzata nel 1994. Infatti quel giorno nacque un popolo che si identifica nella lotta alla criminalità organizzata, alle ingiustizie, alle disparità, in nome di quel sacerdote che non aveva avuto paura di fronteggiare i ‘cattivi’, come ha detto il coordinatore del Comitato ‘Don Peppe Diana’, Salvatore Cuoci.

Don Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio del 1958. Il papà, Gennaro e la mamma Iolanda di Tella, vivono lavorando la terra. Giuseppe è il primo di tre figli. Gli altri due sono Emilio e Marisa. Giuseppe entra nel seminario vescovile di Aversa nell’ottobre del 1968, appena compiuto i dieci anni di età,  dove consegue la licenza media e quella classica liceale. La famiglia faceva enormi sacrifici per farlo studiare. Il padre doveva pagare una retta. Ma ai genitori interessava innanzitutto toglierlo dalla strada. Casal di Principe era un paese difficile.  Tornava a casa solo a Pasqua e a Natale.

Conseguì la licenza liceale con ottimi voti. Tanto che vinse anche una borsa di studio. Il Vescovo dell’epoca, mons. Antonio Cece, diceva che Giuseppe non era un prete come gli altri e  che doveva fare carriera, doveva andare a Roma. Fu ordinato sacerdote il 14 marzo del 1982. Don Diana, da giovane prete, aveva un rapporto speciale con i ragazzi.

Anche perché nel frattempo era diventato uno scout. Era il responsabile diocesano dell’Agesci, gli scout cattolici, ed era anche cappellano dell’Unitalsi. Accompagnava i malati nei viaggi a Lourdes, perché era anche assistente nazionale del settore Foulard Blanc. Il 19 settembre del 1989 è nominato parroco della parrocchia di San Nicola a Casal di Principe.

Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le ore 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico nella sua chiesa della parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa. Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia.  Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.

A 30 dalla morte abbiamo chiesto a Salvatore Cuoci di spiegarci il significato di ricordare un uomo che ha lottato per il Vangelo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce della Chiesa: così inizia la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ‘Gaudium et Spes’, il documento conciliare promulgato da san Paolo VI nel 1965 che riflette, tra l’altro, sull’urgenza del tempo di manifestare un impegno comune per la pace e la giustizia.

Quella stessa pace e giustizia per cui si è battuto don Peppe Diana, accogliendo gli immigrati nella sua parrocchia, donando ai ragazzi del quartiere un orizzonte più vivibile, contrastando la camorra ed i soprusi di cui si nutriva, spezzando il cerchio dell’indifferenza e le catene che tenevano imprigionato un popolo. Perché la Chiesa non è cosa altra rispetto al territorio, ma lo vive fino in fondo, con le medesime urgenze e le stesse attese della gente. E per questo suo impegno di incarnare il Vangelo, don Peppe è stato ucciso dalla camorra. Farne memoria, significa rinnovare il suo impegno dentro un percorso di libertà”.

Per quale motivo non ha taciuto?

Nel documento ‘Per amore del mio popolo’, don Peppe scrive che ‘Dio ci chiama ad essere profeti. Il nostro impegno di denuncia non può venir meno. Il profeta fa da sentinella, vede l’ingiustizia e la denuncia’. Don Peppe ha incarnato fino in fondo il messaggio di Isaia, non nascondendosi dietro la tunica né voltandosi dall’altra parte di fronte allo strapotere dei camorristi, ma affrontando con le armi del Vangelo, con la forza della parola, il male che circondava il territorio, cercando nell’annuncio le parole da gridare dai tetti, nella testimonianza e nell’agire coraggioso, il senso pieno della vita. Non poteva tacere don Peppe, ha scelto di non farlo, per amore del suo popolo, solo per amore”.

Quale era il suo rapporto con i giovani?

“Don Peppe amava i giovani, erano il suo nutrimento, la sua gioia ed anche il suo tormento perché non ne riusciva a salvare abbastanza. La  parrocchia era piena di ragazzi, giovani che hanno imparato a saper stare con altri giovani, che hanno imparato, in quegli anni complicati, le prime regole di convivenza, a stare fuori casa ai primi campi scuola, che hanno imparato a camminare da soli. Li amava don Peppe i giovani, e li rimproverava anche, con il suo carattere forte, diretto, schietto, salvo poi prenderli per mano e con una carezza, continuare a camminare insieme”.

Quanti frutti sono nati dall’uccisione di don Peppe Diana?

“Quando i camorristi uccisero don Diana, lo fecero con l’intento di uccidere anche la speranza perché questi territori dovevano restare imprigionati dalla criminalità, condannati a restare terre di camorra e di malaffare. Invece quella morte, quel sangue versato ha cominciato a produrre frutti, cambiamenti, resistenze, lotte di libertà.

Ci siamo ripresi dapprima i terreni confiscati ai mafiosi, li abbiamo messi a coltura e abbiamo prodotto frutti buoni e giusti; dalla pasta al vino, dall’olio ai sottaceti, dalla cioccolata ai succhi di frutta, dalla passata di pomodoro fino al pacco alla camorra, un contenitore non solo di prodotti della terra, ma ricco di storie, di narrazioni sociali, di cambiamenti, di sogni, giunti perfino al Parlamento Europeo.

Poi ci siamo ripresi anche le loro case e ne abbiamo fatto centri di aggregazione, luoghi di incontro e di accoglienza, punti di lettura, di presentazione di libri e film, sedi di dibattiti, seminari, teatro, laboratori, mostre. E’ il segno concreto e tangibile che  ‘si può fare’ che è possibile sperare che un giorno possiamo essere tutti liberi dalla camorra”. 

A 30 anni dalla sua uccisione quale è l’eredità di don Diana?

“Don Diana ci lascia un patrimonio di impegno e di verità, uno sguardo fiero, autentico, rivolto al futuro che viene e al presente che viviamo. Ci lascia la voglia di esserci, il grido di libertà e la risalita sui tetti per annunciare parole di vita. Don Peppe ci lascia tutto se  stesso, la sua vita per riscattare le nostre imprigionate dalle mafie e dalle camorre”. 

A quale punto si trova la causa di beatificazione di don Diana?

“Siamo tra i promotori dell’inizio del percorso di beatificazione di Don Peppe. Otto anni fa abbiamo presentato una lettera accolta dal vescovo, con cui si diede il via ad una raccolta di testimonianze, scritti, documenti. E’ una strada che tutto sommato appare già tracciata. A noi interessa il riconoscimento della storia di un sacerdote che viene ucciso da camorristi, il riconoscimento di un martirio accertato. Ma guai a pensare a don Peppe su un piedistallo! Noi vogliamo don Peppe che continui a stimolarci, che continui a prenderci per mano per spronarci. Un ‘don Peppe’ vivo!”

Cosa è il Festival dell’impegno civile?

“Il Festival dell’Impegno civile, promosso dal Comitato ‘Don Peppe Diana’ e da ‘Libera’ Caserta, è una manifestazione unica in Italia che promuove il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata lungo il solco di una economia sociale come antidoto dell’economia criminale. E’ un festival itinerante che fa tappa in diversi beni confiscati o beni comuni per sensibilizzarne il riutilizzo sociale attraverso concerti, dibattiti, seminari, film e che vede la partecipazione delle comunità locali, delle associazioni e di tanti artisti che animano le serate. Ha ricevuto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica”.

Per quale ragione nasce il Comitato don Peppe Diana?

“L’associazione di promozione sociale ‘Comitato don Peppe Diana’ è nata ufficialmente il 25 aprile 2006, come frutto di un percorso di diversi anni, che ha coinvolto persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo. Il comitato ‘Don Peppe Diana’ fu costituito da sette organizzazioni attive nel sociale, che avevano degli obiettivi comuni: la costruzione della memoria di don Giuseppe Diana, contestualizzando la sua vita di persona comune in una realtà problematica; la realizzazione di azioni educative e didattiche sui temi dell’impegno civile e sociale per una cittadinanza attiva; la promozione nelle nuove generazioni della speranza, dell’impegno e dell’assunzione di responsabilità per continuare a costruire comunità alternative alla camorra”.

(Tratto da Aci Stampa)

A Roma la XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie

La Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie giunge alla XXIX edizione: un periodo lungo che ha reso protagonista una vasta rete di associazioni, scuole, realtà sociali, enti locali, in un percorso di continuo cambiamento dei nostri territori, nel segno del noi, nel segno di Libera. La Giornata è riconosciuta ufficialmente dallo Stato, attraverso la legge n. 20 dell’8 marzo 2017:

“Il 21 marzo è Memoria, memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone, rese vittime dalla violenza mafiosa, che rappresentano storie, scelte e impegno. Lo stesso impegno che viene portato avanti dalle centinaia di familiari che camminano con Libera e che ne costituiscono il nucleo più profondo ed essenziale, nella continua ricerca di verità e giustizia”.

Inoltre Libera ha spiegato la scelta della capitale: “Consci della forza criminali e forti della ricchezza di questi percorsi di alternativa, saremo a Roma per riaccendere i riflettori sulla presenza della criminalità organizzata nella Capitale e nel Lazio e per combattere la pericolosa e sempre più dilagante normalizzazione dei fenomeni mafiosi e corruttivi. Cammineremo, come ogni anno, al fianco dei familiari delle vittime innocenti, per sostenere le loro istanze di giustizia e verità, per rinnovare la memoria collettiva e manifestare insieme a loro il nostro impegno per il bene comune”.

‘Roma città libera’ è uno slogan che evoca il capolavoro del neorealismo ‘Roma città aperta’: “un’opera d’arte che parla di resistenza e della lotta per la libertà. Ad ottant’anni dalla liberazione dell’occupazione  nazi-fascista, oggi Roma deve nuovamente aprirsi e liberarsi. I ‘cento passi’ verso e dopo il 21 marzo, avranno lo scopo di raggiungere i centri e le periferie in cui la criminalità assume forme differenziate, per ribadire che Roma può e deve essere una città LIBERA, capitale di un’Italia che deve essere liberata da mafie e corruzione”.

Ma non è la prima volta che si svolge una manifestazione di Libera a Roma: “Dobbiamo rimettere al centro il sacrificio delle vittime innocenti e di quanti oggi subiscono la violenza mafiosa e non hanno ancora trovato la forza di ribellarsi. Per loro e per costruire un futuro libero, saremo con la nostra presenza in piazza il 21 marzo a Roma.

A Roma, dove alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si è svolta nel 1996 la prima edizione della Giornata, in piazza del Campidoglio. Qui fu letto il primo elenco delle vittime innocenti, sapientemente redatto grazie alla tenacia e alla pazienza di Saveria Antiochia.

Roma ha accolto la giornata nel 2005, quando un’importante manifestazione portò migliaia di persone allo stadio Flaminio. E poi nel 2014, quando il 20 marzo i familiari furono accolti da papa Francesco, prima della manifestazione nazionale svolta a Latina. E infine nel 2021, durante le restrizioni pandemiche, quando l’Auditorium Parco della Musica è stato teatro di una manifestazione ristretta ma densa di emozioni”.

Inoltre Libera sottolinea il grande numero di beni e aziende sequestrate e confiscate: “Grazie all’attività investigativa degli ultimi anni, Il Lazio è la terza regione per gli immobili in gestione dopo Sicilia e Campania con 2.711 beni. Rispetto alle aziende sequestrate, secondo un recente rapporto di Infocamere il Lazio è in seconda posizione dopo la Campania con 2100, rappresentando il 16% del totale delle aziende sequestrate in Italia. Di queste aziende la gran parte sono chiuse perché in realtà ‘aziende finte’ utilizzate soltanto come strumento di riciclaggio.

Attualmente gestite dall’Amministrazione Giudiziarie sono 462 le aziende a Roma che sono attive sul mercato, circa il 14% delle aziende sequestrate operative in Italia. Altro dato significativo sono le 381 aziende confiscate a Roma gestite dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati che si aggiungono alle 226 aziende confiscate sempre a Roma e vendute dall’ANBSC”.

Altro dato sottolineato riguarda il reato contro l’ambiente: “Roma è al primo posto nella classifica delle province italiane, stilata nel Rapporto Ecomafia di Legambiente, per reati contro l’ambiente accertati da forze dell’ordine e Capitanerie di porto: nel 2022, ultimo dato disponibile, sono stati 1.315.

Nel ciclo illegale dei rifiuti è seconda solo alla provincia di Napoli (con 288 illeciti penali) ed è al primo posto per quanto riguarda i reati contro la fauna e gli animali, ben 589. Una pressione, quella della criminalità ambientale, che investe tutto il Lazio, al quarto posto con 2.642 reati, dopo Campania, Puglia, Sicilia e prima della Calabria”.

Infine Libera ha scelto Roma per un importante progetto: “A Roma sta per aprire il primo percorso espositivo multimediale su mafie, antimafia e corruzione, all’interno di un bene confiscato. ExtraLibera prende vita negli spazi dell’ex Cinema Bologna, poi diventato sala bingo, e si propone di portare al centro la conoscenza dei traffici criminali attraverso il racconto delle storie delle vittime innocenti delle mafie.

Uno spazio immersivo, che coinvolge il visitatore in un viaggio tra sapere, consapevolezza e azione. Nello stesso immobile, un archivio storico sui fenomeni criminali (cartaceo e digitale) è pronto ad accogliere i ricercatori che vogliano approfondire queste tematiche e gli studiosi che vogliano conferire materiale da consultare. Uno spazio che si propone di essere un epicentro del percorso che ci condurrà alla XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”.

(Foto: Libera)

Associazione.’ Bambino Gesù’ del Cairo: Il Giorno della Memoria inno alla dignità umana

Il giorno della memoria rischia di essere contaminato ed inficiato da erronee interpretazioni da parte di coloro che ritengono che la Palestina sia vittima della violenza di Israele, dimenticando che, a sua volta, Israele è vittima del fondamentalismo e che entrambi i popoli sono vittime dello stessa ingiustizia che vuole renderli popoli avversari.  Non si può offuscare il ricordo dell’olocausto subito dagli ebrei, sterminati dai nazisti, ponendo in luce che la Palestina attualmente sia vittima dello stesso odio da parte di Israele.

Il ricordo dell’olocausto deve essere scevro da confronti assurdi con i fatti bellici che coinvolgono, nel contempo, Israele e la Palestina, entrambe vittime del fondamentalismo più bieco. L’olocausto è stato il più tragico evento dell’umanità che ha visto lo sterminio di uomini, donne e bambini innocenti, colpevoli solo di essere ebrei.

La storia testimonia tale barbarie, non molto lontana, in quanto perpetrata nel secolo scorso, conclusosi solo pochi decenni orsono. Spiace osservare il tentativo di umiliare, ancora una volta, il popolo ebreo. Basta leggere i libri di storia per comprendere la realtà dei fatti. Quanta confusione si sta creando con l’intento di dar corso ad un nuovo olocausto nei confronti del popolo ebreo.

Forse con l’intento di sterminare il popolo ebreo definitivamente? Ci chiediamo cosa si nasconda dietro l’offuscamento della verità relativamente al conflitto che attualmente vede coinvolti due popoli vicini, la Palestina e Israele. E’ con un profondo senso di smarrimento che oggi affrontiamo il tragico evento della shoah, dello sterminio del popolo ebreo, proprio in quanto constatiamo amaramente che la lezione che tale dramma ha lasciato all’umanità sembra minacciata da una grave menzogna che vuole deturpare la realtà storica di un fatto che crea sgomento al solo ricordo.

Forse stiamo assistendo ad una nuova ondata di razzismo e di nazismo? Nell’epoca storica attuale, così confusa dall’imperante superficialità, che confonde il bene con il male, il valore dell’essere umano rischia di essere sommerso dalla menzogna, dalla negazione della verità, dal torpore della coscienza umana? Sicuramente no, in quanto le donne e gli uomini di buona volontà sapranno contrapporsi, con la forza della loro fede nel valore della dignità umana, a quelle minoranze che fomentano ancora la violenza più spietata.

Certamente sapremo inneggiare al valore della democrazia ogni giorno, dimostrando a chi dipinge provocatoriamente svastiche sui muri  che non ha compreso cosa significhi il valore della vita degli altri e neanche della propria vita, in quanto pervaso dal sentimento dell’odio che offusca la mente.

Sapremo diffondere la pedagogia dell’Amore, della Fraternità, della Pace, in tutti i modi, in tutti i luoghi, in ogni scuola, in ogni Chiesa. E, soprattutto, sapremo essere testimonianza, nel quotidiano, di amore verso l’altro, di rispetto e di tolleranza.

Riteniamo che questa sia l’unica via per scongiurare il razzismo e la morte della coscienza dell’essere umano. Sapremo dimostrare quotidianamente all’essere umano che è un Uomo e non un mostro. Il ritorno del mito del superuomo sembra volersi affermare. Con la violenza si vuole dimostrare il proprio  desiderio di potenza, che nessuno deve porre in discussione, pena la morte.

E’ il mito del superuomo che alcuni  nutrono nel proprio animo a determinare quei  gesti efferati di violenza e quell’ intolleranza che genera le guerre fratricide. Tale mito è alimentato dall’essere la società civile una società che pone al centro il denaro, il possesso e che aspira a tacitare i valori umani, unici valori che consentono ad ognuno di essere capace di autocoscienza rispetto agli effetti delle proprie azioni, se esse sono lesive o benevoli nei confronti degli altri. E’ forse tardi per riprendere in mano le sorti morali dell’essere umano?

No, certamente! Lo dimostrano tanti giovani che manifestano per un mondo migliore, i quali certamente, ogni giorno, sono testimoni autentici del ‘Giorno della Memoria’.

Desidero sottolineare l’importanza dell’impegno a cui esorta il Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, firmato nel 2019, a Abu Dhabi, da papa Francesco che rappresenta la Chiesa Cattolica e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb che rappresenta i musulmani sunniti d’Oriente e di Occidente.

Il suddetto Documento è foriero del dialogo interreligioso, che si prefigge la finalità autentica di essere una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, fondata sulla profonda comprensione della verità suprema che tutti gli esseri umani sono fratelli e che, per tale ragione, devono attingere ai valori del dialogo e della tolleranza, dai quali si genera la pace e, nel contempo, l’emancipazione umana a livello universale, al di là delle barriere religiose, delle barriere ideologiche e delle atroci barriere del razzismo.

Non vi è dubbio che, aderendo ai principi del Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, si  potrà realizzare la Pace e quel  benessere materiale che tutti ingloba in quanto sorretto dal piano spirituale della vita, che conduce certamente oltre il razzismo e l’odio, che ancora affliggono amaramente l’umanità, lasciandola nell’ arretratezza e nella miseria morale, che è la più atroce forma di povertà, come il razzismo contro gli Ebrei ha dimostrato, che noi non solo condanniamo, ma, ogni giorno, combattiamo diffondendo la pedagogia dell’Amore.

Dal Memoriale della Shoah un monito per ricordare

‘Il Memoriale della Shoah’; ‘Il Giardino dei Giusti’; ‘Il Seme’, comunità per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati, sono le tre sedi dell’iniziativa ‘L’arcivescovo ti invita’, con la quale l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha proposto agli adolescenti tre occasioni per ‘uscire’ dall’ambito parrocchiale e visitare, in sua compagnia, luoghi emblematici del capoluogo lombardo.

27 gennaio: per non dimenticare la memoria

“Sabato prossimo, 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo e la condanna di quell’orribile sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi, avvenuto nella prima metà del secolo scorso, aiuti tutti a non dimenticare che le logiche dell’odio e della violenza non si possono mai giustificare, perché negano la nostra stessa umanità”: al termine dell’udienza generale di mercoledì scorso papa Francesco ha ricordato che oggi si commemora la Giornata della memoria, invitando a non dimenticare ed a non giustificare la violenza contro l’umanità.

Le ceneri possono essere conservate ma non disperse

Nei giorni scorsi il Dicastero della Dottrina della Fede ha pubblicato la risposta a due quesiti presentati dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, riguardanti la conservazione delle ceneri dei defunti, sottoposti a cremazione, che aveva chiesto alcune precisazioni sulla conservazione o dispersione delle ceneri;

Nella commemorazione dei defunti papa Francesco chiede la pace

Questa mattina papa Francesco ha celebrato una messa per la memoria dei defunti nel ‘War Cemetery’ di Roma, ricordando che tale giorno rimanda alla memoria di chi ci ha preceduto:

Tommaso d’Aquino, la sua intensità eucaristica raccontata dal vescovo di Latina

Nel 2024 ricorrono 750 anni dalla morte, mentre nel 2025 800 anni dalla nascita; e quest’anno 700 anni della canonizzazione: san Tommaso d’Aquino è un teologo e studioso, che a distanza di secoli ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo. Per questo papa Francesco, nello scorso luglio, aveva inviato una lettera ai vescovi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, mons. Mariano Crociata, di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, mons. Gerardo Antonazzo, e di Frosinone-Veroli- Ferentino, mons. Ambrogio Spreafico, in occasione del VII Centenario della canonizzazione di san Tommaso:

A Cuneo le Acli si interrogano sull’intelligenza artificiale nella vita quotidiana

A Cuneo, fino a domenica 24 settembre, si svolgerà il 55° Incontro nazionale di Studi delle Acli: quattro giorni di incontri e dibattiti per capire come adattarsi al mondo che cambia, mantenendo saldo il valore e la dignità della persona sul tema ‘Nuove tecnologie ed intelligenza artificiale: esperienze del limite e desiderio di infinito’, dedicato a leggere ed interpretare la complessità della vita ed i suoi cambiamenti al tempo dell’intelligenza artificiale: spiritualità, etica, arte, lavoro, educazione, fragilità e salute, beni comuni ed esperienze del territorio saranno i temi presentati, affrontati e approfonditi anche in forma laboratoriale per una esperienza maggiormente partecipata.

Da Lisbona una Chiesa aperta a tutti

“Ed i giovani sono una sorpresa, i giovani sono giovani, fanno delle ragazzate, la vita è così, ma cercano di guardare avanti e loro sono il futuro. La questione è di accompagnarli, e il problema è saper accompagnarli, e che non si stacchino dalle radici. Per questo io insisto tanto sul dialogo vecchi-giovani, i nonni con i nipoti. Questo dialogo è importante, più importante del dialogo genitori-figli. Con i nonni, questo si deve fare, perché lì si prendono le radici. Poi i giovani sono religiosi, cercano una fede non ostica, non artificiale, non legalista, un incontro con Gesù Cristo. E questo non è facile. E’ un’esperienza”.

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