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Beato Giuseppe Puglisi Sacerdote e martire
Giuseppe Puglisi nasce a Palermo, nel quartiere Brancaccio, il 15 settembre 1937, figlio di Carmelo Puglisi, calzolaio, e di Giuseppa Fana, sarta. Entrato nel seminario diocesano di Palermo nel 1953, viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Riceve quindi i primi incarichi come vicario parrocchiale e vicerettore del seminario minore. Si occupa anche dell’insegnamento della Religione nelle scuole. Comincia a sorgere in lui una vera preoccupazione per le condizioni di vita degli abitanti nei quartieri più emarginati del capoluogo siciliano.
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Paolo Borsellino è un Martire della giustizia, annoverato tra i testimoni
Pur essendo cattolica, ho una passione per i gialli, i thriller, le storie di avvocati e di mafia. Mi piacciono anche i racconti riguardo la guerra mondiale, i campi di sterminio ecc. In queste opere, soprattutto le ultime, vedi comunque trionfare il bene e conosci molte storie vere interessanti. Persone buone che hanno patito, ma hanno anche vinto. Chiaro, preferisco quelle dove i protagonisti buoni sopravvivono ma, a volte, la morte è la fuga dal male che, senza di essa, vincerebbe.
A Roma un popolo contro le mafie
“Nata nella società civile, cresciuta grazie ai valori di cui è portatrice, la ‘Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie’ è ricorrenza significativa per la comunità nazionale. Un giorno che sottolinea l’impegno per liberare le popolazioni e i territori dalle mafie, per vincere l’indifferenza e la rassegnazione che giovano sempre ai gruppi criminali. Quando difendiamo la dignità di essere cittadini liberi, quando ci ribelliamo alle violenze e alle ingiustizie, quando davanti ai soprusi non ci voltiamo dall’altra parte, contribuiamo alla lotta contro le mafie…
Le Istituzioni sono chiamate a fare il loro dovere per contrastare, su ogni piano, le organizzazioni del crimine e l’azione dei cittadini e delle forze sociali è coessenziale per costruire e diffondere la cultura della legalità e della libertà. Le mafie sono una pesante zavorra per l’Italia, insinuate come sono in ogni attività illegale dei traffici criminali. La Giornata ci rammenta che la lotta alle mafie è compito e dovere di tutti coloro che amano la Repubblica e intendono renderne migliore il futuro”.
Con questo messaggio del presidente della Repubblica italiana la XXIX Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, organizzata ieri a Roma da Libera con la partecipazione di 100.000 persone per chiedere verità e giustizia con uno striscione, ‘Roma città libera’, che ha scandito il ricordo di tutte le vittime innocenti di mafia, come ha sottolineato don Luigi Ciotti: “Vogliamo un’Italia libera dalle mafie, dalla corruzione e dell’ingiustizia. Libera di parlare di pace, di curare chi sta male e di accogliere chi arriva da lontano. Un paese libero e cittadini liberi perché responsabili”.
Nel suo intervento don Ciotti ha messo in guardia il Parlamento dalla modifica di due leggi, l’autonomia differenziata e la legge 185: “L’autonomia non può essere differenziata perché i diritti sono un bene comune… E’ un guaio la modifica della legge 185, una legge con norme stringenti per il mercato delle armi. Ci sono momenti in cui parlare diventa un obbligo morale e una responsabilità civile, è in gioco la pace”.
Ha concluso con un appello sul valore della memoria: “Fare memoria vuol dire impegnarsi non una giornata, ma ricordare i nomi di tutti quanti, con la stessa dignità e con la stessa forza. Dobbiamo raccogliere e custodire le memorie di queste nomi, di questi volti e sentirli qui dentro, sentire rinascere quelle memorie finite nell’oblio e trasformarle in pungolo, responsabilità. E’ importante impegnarsi tutti i giorni. Bisogna fare un lavoro nelle scuole, nelle università e nei territori. Non dobbiamo dimenticarci che le mafie sono forti, anche più di prima. Sparano di meno ma ci sono”.
Infine ha chiesto alla politica di non distruggere ciò che era stato costruito per sconfiggere le mafie: “Alcuni provvedimenti ci pongono domande, interrogativi. Bisogna evitare di demolire dei pilastri, dei meccanismi che in questi anni hanno dimostrato di essere efficaci nel contrasto alla criminalità, alla corruzione, all’illegalità. Vedo che alcuni provvedimenti viaggiano un pochettino nella direzione opposta”.
(Foto: Libera)
Don Pino Puglisi nel racconto di mons. Corrado Lorefice
Sabato 9 dicembre il santuario della Madonna dei Rimedi a Palermo (dove il 2 luglio del 1960 il beato Giuseppe Puglisi fu ordinato presbitero della Chiesa di Palermo dal card. Ernesto Ruffini) ha ospitato la Messa cantata, eseguite dal Coro di Imperia ‘con Claudia’, nel trentennale del suo martirio, grazie al centro diocesano ‘Beato Pino Puglisi martire ucciso dalla mafia’.
Qualche mese prima, nel giorno del trentennale dell’uccisione di p. Pino Puglisi, avvenuta il 15 settembre 1993, papa Francesco aveva inviato una lettera all’arcivescovo della diocesi di Palermo, mons. Corrado Lorefice, sottolineando i tratti del’buon pastore:
“Sull’esempio di Gesù, don Pino è andato fino in fondo nell’amore. Possedeva i medesimi tratti del ‘buon pastore’ mite e umile: i suoi ragazzi, che conosceva uno ad uno, sono la testimonianza di un uomo di Dio che ha prediletto i piccoli e gli indifesi, li ha educati alla libertà, ad amare 1a vita e a rispettarla.
Sovente ha gridato con semplicità evangelica il senso del suo instancabile impegno in difesa della famiglia, dei tanti bambini destinati troppo presto a divenire adulti e condannati alla sofferenza, nonché l’urgenza di comunicare loro i valori di una esistenza più dignitosa, strappandola cosi alla schiavitù del male. Questo sacerdote non si è fermato, ha dato sé stesso per amore abbracciando la Croce sino all’effusione del sangue”.
Passo ripreso da mons. Lorefice nella lettera ai fedeli dell’arcidiocesi palermitana: “Don Pino Puglisi è per il Santo Padre l’icona del buon Pastore mite e umile. Ecco, ci dice papa Francesco, come essere pastori in Sicilia… Essere preti vuol dire per il papa fare la nostra ‘opzione preferenziale per i poveri’, essere vicini a quanti sono senza voce, senza diritti, senza speranza.
E’ dalla ‘com-passione’ pastorale di Don Pino che dobbiamo lasciarci interpellare. Come singoli ma soprattutto come comunità discepolari, come Chiesa sinodale, chiamata alla ricerca comune e al discernimento dello Spirito. Solo così, ci ricorda il papa, emergeranno ‘la bellezza e la differenza del Vangelo’…
Siamo profondamente grati al Santo Padre! Impegniamoci a mantenere nella nostra Chiesa di Palermo lo stile di Don Pino e preghiamo per il Papa, perché il Signore continui a custodire e benedire il Suo Servizio Petrino. Sappiamo quanto questa preghiera gli stia a cuore”.
Da queste lettere abbiamo preso occasione per un colloquio con mons. Corrado Lorefice, che ha raccontato don Pino Puglisi: “Don Pino Puglisi ha educato sempre i giovani al rispetto della creazione, li ha fatti crescere col senso della bellezza e della sacralità di ogni forma di vita, di fronte al quotidiano culto della morte in cui, soprattutto nel quartiere Brancaccio, erano immersi.
Don Pino ha interpretato il proprio dimorare in un luogo dominato dalla mafia, dal suo potere e dalla sua logica, come un ascolto infinito del bisogno e del grido inespresso di un popolo, in attesa di una liberazione dall’oppressione e dalla schiavitù mafiose che sfigurano il volto degli umani e riducono le persone a sudditi”.
‘Me l’aspettavo’, ha detto mentre veniva ucciso: quale volto aveva don Pino Puglisi?
“Anche nei Vangeli si dice che Gesù, nei confronti dei Giudei che lo osteggiavano, indurì il suo volto e si diresse verso Gerusalemme,in quanto è consapevole che in quella città i profeti vanno a morire, per cui è chiaro che nel volto di don Puglisi abbiamo la consapevolezza di un uomo che è lucido ed ha deciso di mettere in gioco la propria vita. E’ riduttiva l’immagine di don Puglisi come sacerdote antimafia, perché la sua vita rispecchia pienamente il Vangelo.
Lui era consapevole che l’avrebbero ucciso e si poteva tirare indietro. Don Puglisi rimane nel quartiere Brancaccio solo tre anni e non si capirebbe la sua persona senza cogliere tutto l’arco della sua vita, iniziando da Godrano nel 1970 con i giovani, che li porta a studiare a Palermo, perché capisce che per sconfiggere la mafia occorre la cultura.
Don Puglisi è il sacerdote che, grazie al Concilio Vaticano II, scopre che la storia è l’altro luogo dove i cristiani devono sapere cogliere l’istanza della presenza di Dio e quello che Dio chiede. Don Pino pensa il suo ministero, collocandolo dentro il contesto sociale in cui vive. Per lui il Vangelo non è solo una dottrina, ma è una visione della storia. Alla mancanza dava sempre una risposta concreta”.
Per quale motivo organizzò la marcia antimafia a Brancaccio, pochi mesi prima di essere ucciso?
“L’istanza evangelica non lo distoglie dall’istanza umana; anzi lo rimanda dentro con la stessa intensità di decidere della propria vita, perché possa servire affinchè altri abbiano vita. Don Puglisi ha assimilato l’essenza evangelica ed, arrivando a Brancaccio, si accorge della situazione esistente con occhio capace di leggere il territorio, avendo una visione di una comunità cristiana incarnata nel territorio.
Don Puglisi è una vocazione adulta per il suo tempo, in quanto è entrato in seminario a 16 anni (quando l’età di ingresso era ad 11 anni), ed aveva già quel ‘taglio’ educativo. E’ stato un educatore ispirato dal Vangelo ed ha avuto una visione del mondo matura. Il Vangelo, per lui, deve incarnarsi nella realtà in cui si vive; quindi comunità capaci di testimoniare il Vangelo. Ha avuto la visione di una Chiesa che attinge al Vangelo, che è una bella notizia che arriva a tutti”.
Come ha’interpretato il Vangelo?
“Don Pino ha sentito il suo stare dalla parte del popolo, il suo lavoro inesausto per sottrarre i bambini ed i ragazzi alla mentalità della mafia (appoggiato da tante donne e tanti uomini, laici e religiosi, attratti dall’esempio di colui che tutti chiamavano affettuosamente ‘3P’), come una risposta al Vangelo delle Beatitudini, come un ascolto di quella parola scandalosa pronunciata dal suo Maestro e Signore: Beati i poveri”.
Come raccontare don Puglisi ai giovani?
“Don Puglisi ha raccontato un Vangelo che abbraccia la vita e raggiunge la carne umana. Don Pino non ha mai saputo che stava facendo qualcosa di particolare e non ha mai pensato di essere un eroe. Una persona che sa incidere nella vita degli altri non solo non lo ostenta, ma lo fa nella normalità: un vero martire non sa che sta facendo qualcosa di straordinario. Quando sono arrivato come vescovo ho detto che questa è la città che mi interpella, perché ha conosciuto tanti santi e ci sono martiri della giustizia e della fede.
Don Puglisi era autentico. Una nota essenziale di don Pino: è stato un uomo di una grande intelligenza e colto. Nella sua casa popolare aveva più di 5.000 libri antropologici e biblici, perché sentiva l’esigenza di formare i giovani. Nella proposta evangelica partiva dal senso della vita. Voleva educare i giovani ad un senso profondo della vita. Da qui arrivava a raccontare ai giovani le Beatitudini ed il Padre Nostro: in questi brani c’è la forza ‘rivoluzionaria’ del Vangelo.
Ecco il motivo per cui non sempre era capito nella Chiesa palermitana. Ho lavorato con lui nella pastorale vocazionale per tre anni e mi ricordo il giorno in cui diede le dimissioni e diceva che la realtà di Brancaccio gli avrebbe richiesto un impegno totale. Questo è stato don Pino Puglisi: era una forza al servizio dei giovani. La sua era una proposta di libertà. Ecco il motivo per cui la mafia lo ha ucciso. Però la morte di don Puglisi è stata feconda”.
(Foto: Arcidiocesi di Palermo)
A Roma la XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie
La Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie giunge alla XXIX edizione: un periodo lungo che ha reso protagonista una vasta rete di associazioni, scuole, realtà sociali, enti locali, in un percorso di continuo cambiamento dei nostri territori, nel segno del noi, nel segno di Libera. La Giornata è riconosciuta ufficialmente dallo Stato, attraverso la legge n. 20 dell’8 marzo 2017:
“Il 21 marzo è Memoria, memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone, rese vittime dalla violenza mafiosa, che rappresentano storie, scelte e impegno. Lo stesso impegno che viene portato avanti dalle centinaia di familiari che camminano con Libera e che ne costituiscono il nucleo più profondo ed essenziale, nella continua ricerca di verità e giustizia”.
Inoltre Libera ha spiegato la scelta della capitale: “Consci della forza criminali e forti della ricchezza di questi percorsi di alternativa, saremo a Roma per riaccendere i riflettori sulla presenza della criminalità organizzata nella Capitale e nel Lazio e per combattere la pericolosa e sempre più dilagante normalizzazione dei fenomeni mafiosi e corruttivi. Cammineremo, come ogni anno, al fianco dei familiari delle vittime innocenti, per sostenere le loro istanze di giustizia e verità, per rinnovare la memoria collettiva e manifestare insieme a loro il nostro impegno per il bene comune”.
‘Roma città libera’ è uno slogan che evoca il capolavoro del neorealismo ‘Roma città aperta’: “un’opera d’arte che parla di resistenza e della lotta per la libertà. Ad ottant’anni dalla liberazione dell’occupazione nazi-fascista, oggi Roma deve nuovamente aprirsi e liberarsi. I ‘cento passi’ verso e dopo il 21 marzo, avranno lo scopo di raggiungere i centri e le periferie in cui la criminalità assume forme differenziate, per ribadire che Roma può e deve essere una città LIBERA, capitale di un’Italia che deve essere liberata da mafie e corruzione”.
Ma non è la prima volta che si svolge una manifestazione di Libera a Roma: “Dobbiamo rimettere al centro il sacrificio delle vittime innocenti e di quanti oggi subiscono la violenza mafiosa e non hanno ancora trovato la forza di ribellarsi. Per loro e per costruire un futuro libero, saremo con la nostra presenza in piazza il 21 marzo a Roma.
A Roma, dove alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si è svolta nel 1996 la prima edizione della Giornata, in piazza del Campidoglio. Qui fu letto il primo elenco delle vittime innocenti, sapientemente redatto grazie alla tenacia e alla pazienza di Saveria Antiochia.
Roma ha accolto la giornata nel 2005, quando un’importante manifestazione portò migliaia di persone allo stadio Flaminio. E poi nel 2014, quando il 20 marzo i familiari furono accolti da papa Francesco, prima della manifestazione nazionale svolta a Latina. E infine nel 2021, durante le restrizioni pandemiche, quando l’Auditorium Parco della Musica è stato teatro di una manifestazione ristretta ma densa di emozioni”.
Inoltre Libera sottolinea il grande numero di beni e aziende sequestrate e confiscate: “Grazie all’attività investigativa degli ultimi anni, Il Lazio è la terza regione per gli immobili in gestione dopo Sicilia e Campania con 2.711 beni. Rispetto alle aziende sequestrate, secondo un recente rapporto di Infocamere il Lazio è in seconda posizione dopo la Campania con 2100, rappresentando il 16% del totale delle aziende sequestrate in Italia. Di queste aziende la gran parte sono chiuse perché in realtà ‘aziende finte’ utilizzate soltanto come strumento di riciclaggio.
Attualmente gestite dall’Amministrazione Giudiziarie sono 462 le aziende a Roma che sono attive sul mercato, circa il 14% delle aziende sequestrate operative in Italia. Altro dato significativo sono le 381 aziende confiscate a Roma gestite dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati che si aggiungono alle 226 aziende confiscate sempre a Roma e vendute dall’ANBSC”.
Altro dato sottolineato riguarda il reato contro l’ambiente: “Roma è al primo posto nella classifica delle province italiane, stilata nel Rapporto Ecomafia di Legambiente, per reati contro l’ambiente accertati da forze dell’ordine e Capitanerie di porto: nel 2022, ultimo dato disponibile, sono stati 1.315.
Nel ciclo illegale dei rifiuti è seconda solo alla provincia di Napoli (con 288 illeciti penali) ed è al primo posto per quanto riguarda i reati contro la fauna e gli animali, ben 589. Una pressione, quella della criminalità ambientale, che investe tutto il Lazio, al quarto posto con 2.642 reati, dopo Campania, Puglia, Sicilia e prima della Calabria”.
Infine Libera ha scelto Roma per un importante progetto: “A Roma sta per aprire il primo percorso espositivo multimediale su mafie, antimafia e corruzione, all’interno di un bene confiscato. ExtraLibera prende vita negli spazi dell’ex Cinema Bologna, poi diventato sala bingo, e si propone di portare al centro la conoscenza dei traffici criminali attraverso il racconto delle storie delle vittime innocenti delle mafie.
Uno spazio immersivo, che coinvolge il visitatore in un viaggio tra sapere, consapevolezza e azione. Nello stesso immobile, un archivio storico sui fenomeni criminali (cartaceo e digitale) è pronto ad accogliere i ricercatori che vogliano approfondire queste tematiche e gli studiosi che vogliano conferire materiale da consultare. Uno spazio che si propone di essere un epicentro del percorso che ci condurrà alla XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”.
(Foto: Libera)
Chiesa sotto attacco delle associazioni malavitose
“Ma chi minaccia, in Italia, i preti, oggi? Chi vorrebbe tappare loro la bocca? Il Vangelo viene predicato da duemila anni. Anche don Abbondio, bene o male, recitava il breviario e celebrava la Messa. Non è questo a far paura ai malavitosi. I guai per lui sarebbero iniziati da una eventuale disobbedienza a don Rodrigo. Quell’uomo è potente. Comanda. Ha potere di vita e di morte.
Alle sue dipendenze ha dei farabutti pronti a menar le mani. I ‘bravi’ non sono per niente bravi, al contrario, sono cattivi e stupidi. Ieri come oggi. Senza scendere nella descrizione dettagliata di che cosa sia la ‘ndrangheta calabrese o la camorra napoletana, ci basta ricordare che sono associazioni di uomini e donne che hanno deciso di vivere succhiando il sangue altrui”.
Così si è espresso don Maurizio Patriciello dalle colonne di Avvenire per condannare gli ‘attacchi’ delle organizzazioni malavitose a molti sacerdoti, perché stanno denunciando le illegalità, come era successo qualche mese fa a don Antonio Coluccia nel quartiere ‘Tor Bella Monaca’ a Roma, perché contrastava il fenomeno della droga, ribadendo la presenza della Chiesa nei quartieri ‘emarginati’, come aveva detto all’Agenzia Sir: “La presenza della Chiesa anche nelle piazze dello spaccio è importante perché così può esprimere e difendere la sua cultura per la vita. La nostra vita ha un valore immenso, per questo chiediamo ai giovani di non ‘affogarsi’ nell’alcol e nelle droghe. La droga non ha mai reso felice nessuno. La droga è l’eucarestia di Satana”.
E’ accaduto recentemente a don Felice Palamara, parroco di Pannaconi, frazione di Cessaniti in provincia di Vibo Valentia che già era stato vittima di danneggiamenti alla sua auto e di lettere con pesanti minacce, che coinvolgevano anche il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, mons. Attilio Nostro, durante la messa vespertina di sabato scorso si è accorto che al momento della comunione nelle ampolle dell’acqua e del vino era stata versata della candeggina.
La celebrazione eucaristica è stata interrotta ed il fatto immediatamente denunciato ai carabinieri, ingrossando il fascicolo delle minacce e intimidazioni che hanno colpito i sacerdoti di Cassaniti, paese particolarmente caldo, commissariato per le dimissioni nell’agosto 2023 del sindaco dopo che dall’operazione ‘Maestrale Carthago’ erano emersi possibili condizionamenti mafiosi sull’amministrazione.
Dopo questi eventi il vescovo di Tropea-Mileto-Nicotera, mons. Attilio Nostro, ha chiesto ai fedeli di non lasciarsi scoraggiare dalle intimidazioni: “Mi appello nuovamente alle comunità cristiane perché non si lascino scoraggiare da questo linguaggio di violenza. Non dobbiamo cedere a questa logica, facendoci tentare dallo sconforto e dalla rabbia.
La diocesi sta vivendo un momento di sofferenza a causa di atti intimidatori che nulla hanno a che fare con la normale vita cristiana delle parrocchie. Non possiamo accettare questo linguaggio, non dobbiamo rispondere all’odio con odio, sapendo che non è possibile dialogare davvero con chi si rifiuta di farlo”.
Infine il presule miletese ha ringraziato le forze dell’ordine: “Ringrazio di cuore le forze dell’ordine per la professionalità con la quale ci stanno aiutando e sostenendo in questo momento umanamente difficile, e anch’io continuerò a garantire ai miei sacerdoti la mia costante presenza perché possano svolgere il proprio prezioso servizio in favore del Popolo di Dio”.
Anche un altro parroco della diocesi, don Francesco Pontoriero, aveva ricevuto esplicite minacce di morte. I due sacerdoti sono finiti nel mirino della ‘ndrangheta per il loro impegno costante per la legalità contro le mafie.
Ma non solo in Calabria, perché sempre nello scorso fine settimana a Sant’Andrea del Pizzone, frazione del comune di Francolise (Caserta) l’auto di don Marcos Aparecido de Gòes, parroco di san Germano Vescovo, è stata bruciata mentre era parcheggiata vicino alla parrocchia.
L’arcivescovo di Capua, mons. Pietro Lagnese, ha espresso solidarietà a don Marcos “per il vile attentato che ha subito, in cui gli è stata incendiata l’auto. La Chiesa di Capua è fiduciosa nell’operato delle forze dell’ordine e sostiene il suo sacerdote in attesa dell’accertamento della verità, confermando la stima per la sua azione pastorale”.
(Foto: vibonesiamo.it)
Dall’Ecuador i racconti dei cooperanti
Allarme in tutta l’America Latina per la situazione in Ecuador, dove martedì 9 gennaio il presidente Daniel Noboa, ha dichiarato l’esistenza di un ‘conflitto armato interno’, ordinando all’esercito di smantellare 22 gruppi criminali organizzati transnazionali, definiti organizzazioni terroristici non-statali, dopo che un gruppo armato ha occupato per alcune ore il canale pubblico TC Televisión a Guayaquil, mentre si verificavano disordini in sei carceri e altri atti violenti a Quito e in diverse città.
Papa Francesco incontra donne uscite da contesti mafiosi
Palermo ha ricordato il beato Pino Puglisi
Una fiaccolata lungo le vie del quartiere Brancaccio per fare memoria del sacrificio e del martirio di don Pino Puglisi e per continuare a seminare speranza: l’itinerario, nella sera di giovedì 14 settembre, si è snodato dalla piazzetta Padre Pino Puglisi (nel luogo dove il parroco di Brancaccio trovò la morte per mano mafiosa) sino a via Fichi d’India, lì dove sorgerà il nuovo complesso parrocchiale, guidata dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice: