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I crimini del silenzio di fronte all’ingiustizia degli oppressi

Dice il proverbio arabo: Chi tace dinanzi all’ingiustizia è un diavolo muto. Il diavolo taciturno è il peggior tipo di demone, perché il silenzio di fronte all’ingiustizia, all’abuso e all’oppressione è una partecipazione passiva che contribuisce alla continuazione della situazione, perfino alla sua giustificazione, e spesso la esacerba e peggiora. Il silenzio di fronte a situazioni ingiuste spinge gli oppressori a persistere, li incoraggia a mantenere le loro posizioni sbagliate e in molti casi li spinge a giustificare a sé stessi quelle posizioni vergognose, fino a considerare le loro ingiustizie motivo di orgoglio e di vanto.

Mentre, dire la verità, costi quel che costi e qualunque siano i risultati, è una delle caratteristiche delle persone nobili, giuste e dotate di principi, morali e valoriali, ed è l’unica via di chi sceglie la strada della fede, dell’umanità, dell’integrità e della rettitudine morale.

Infatti, esistono diversi tipi di persone: il primo tipo è quello di coloro che dicono la verità per vantarsi e per sentirsi migliori degli altri e, così facendo, esprimono solo la loro arroganza e la nauseante sensazione di essere migliori degli altri e di avere il diritto di condannarli e giudicarli. Qui Gesù Cristo gli dice: ‘Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi’ (Mc 4, 24). Cristo mette in guardia contro questo tipo di persone che condannano gli altri che si vantano e si arrampicano sulle spalle degli altri con il pretesto di ‘dire la verità’, non ‘per amore della verità’.

Il secondo tipo è quello di coloro che tacciono di fronte all’ingiustizia degli altri e li giustificano dicendo che non vogliono condannare nessuno, dimostrando così la loro paura e codardia. Nascondono la testa nella sabbia come se nulla fosse successo. Questo tipo di persone spesso tacciono quando si tratta di dire la verità davanti ai potenti e alle persone influenti per paura della loro vendetta e per ottenere il loro compiacimento e approvazione e per evitare la loro malvagità.

Queste persone spesso si comportano come Ponzio Pilato, che si lava le mani di fronte all’ingiustizia dell’Innocente, credendo così di essersi esonerato dalla responsabilità nonostante abbia detto: ‘Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’ (Gv 19,10). Questo tipo di ipocrisia è il tipo più spregevole di evasione dalle responsabilità, è di facciata, di giustificazione e persino di vanto che arriva sino a sfruttare i versetti della Bibbia per giustificare un silenzio vergognoso ed evitare di prendere posizione o dire la verità.

Il terzo tipo è di quelli che restano in silenzio fino a quando la tempesta non è passata e appena raggiungono la certezza dei risultati gridano come se fossero i più valorosi dei cavalieri. E’ un tipo di essere umano caratterizzato da opportunismo, meschinità spirituale e umana. Scelgono di tacere finché non sono certi dei risultati e appena appare la ‘visione’ il troviamo tra i primi a congratularsi con il vincitore e consolare il perdente. Commerciano anche nel dolore, versano lacrime di finzione e simulano di essere compassionevoli e generosi, ma in realtà pensano solo a sé stessi e ai loro guadagni, esprimendo così la bassezza e la fragilità dei loro principi e della loro vita morale.

Il quarto tipo è di quelli che credono di adottare la moderazione come approccio e si vantano di parlare diplomaticamente per non ferire nessuno, ma in realtà sono come camaleonti che cambiano colore a seconda delle circostanze cosicché nessuno possa scoprire il loro vero colore. Agiscano con tatto ed educazione per sostenere il loro cambio di posizione secondo le circostanze, dimenticando che Gesù Cristo ci insegna: ‘Siano le vostre parole sì, sì, no, no. E tutto il resto viene dal male’ (Mt 5:37). Il tatto è necessario quando si tratta di cortesia umana, non quando si tratta di dire la verità contro l’ingiustizia e a favore degli oppressori e di rendere giustizia agli oppressi.

Il quinto tipo è di coloro che dicono la verità basandosi sulla convinzione della necessità di essere coraggiosi e di non tradire i propri principi e valori, costi quel che costi. Questo tipo di esseri umani sono come le perle preziose: non mutano colore, non cambiano le loro parole secondo la grandezza di chi hanno davanti, ma secondo l’autenticità della loro fede, della loro storia, della loro alta morale.

Esprimono le loro opinioni sia davanti ai governanti sia davanti agli oppressi. Sono come il profeta Natan che si presentò davanti al re Davide, affrontandolo, dicendogli: ‘Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone ….. e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro’ (2 Sam 12, 7-9).

Questo tipo di persone sanno che dire la verità è un dovere religioso, morale e umano. Ci insegnano che dire la verità deve essere fatto con educazione, rispetto e tatto, ma resta un dovere morale e di fede, in primis, soprattutto di fronte a comportamenti sbagliati, indipendentemente dalla posizione o dal rango civile o ecclesiastico delle persone ingiuste.

Oggi abbiamo tanto bisogno di uomini di questo tipo che non temono altro che il volto di Dio e il suo giusto giudizio. Uomini che dicono: basta con il silenzio, la sottomissione e la codardia. Uomini che urlano contro le rovine delle nostre coscienze mummificate per risvegliarle dalla morte e dal marciume.

Uomini con un cuore coraggioso, una lingua parlante, una coscienza pura, una storia onorevole e cuore puro. Uomini che non calcolano le cose secondo gli standard di questo mondo e l’equilibrio tra vincitori e vinti, ma piuttosto agiscono con valore e audacia. Uomini che scuotono coscienze vergognose, lingue mute, occhi ciechi e orecchie chiuse, cuori pietrificati e menti logore. Uomini che tracciano un percorso nell’oscurità, capaci di accendere la speranza. Gesù disse: ‘Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi’ (Gv 8, 32).

Don Yoannis Lahzi Gaid spiega la guerra ‘Frutto del nostro silenzio di fronte alle ingiustizie’

E’ l’uomo del dialogo interreligioso, delegato da Papa Francesco a occuparsi di creare reti tra persone del mondo appartenenti a fedi religiose diverse. A Latina ha tenuto una conferenza sulla situazione tragica di Gaza e dello scontro tra Hamas e Israele, don Yoannis Lahzi Gaid, egiziano copto, pontino d’adozione, per sei anni segretario personale di papa Francesco, che ha l’incarico di membro dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, l’organismo che promuove i valori proposti nel ‘Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune’, firmato il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi dal Pontefice e dal grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb.

XXVI Domenica del Tempo Ordinario Due ceti sociali: Lazzaro e il ricco epulone

Una parabola dove Gesù prende l’avvio dalla profonda sperequazione sociale esistente tra chi sguazza nell’abbondanza e chi desidera briciole per mangiare. Due ceti sociali esistenti in perfetta antitesi che reclamano la presenza di una vera mediazione perché l’uomo viva da uomo a tutti i livelli.  Alcuni nella storia hanno voluto vedere in Cristo Gesù un politico dalla ricetta pronta per risolvere il problema sociale; un vero rivoluzionario per la società di ieri e di oggi: nulla di più errato.

Il papa saluta il Canada con l’invito a fare gioco di squadra

Fra poche ore papa Francesco ritornerà a Roma, dopo aver salutato le autorità. Nell’ultimo incontro, iniziato in ritardo, con i giovani e gli anziani ha ringraziato coloro che ha incontrato per la franchezza del dialogo e per l’accoglienza, dopo aver goduto dello spettacolo di canti e danze caratteristiche in una festa che coniugava bellezza ed armonia nella semplicità delle scenografie:

Il desiderio di papa Francesco di andare a Kiev

Mentre in Ucraina continuano i massacri della guerra dall’aereo di ritorno da Malta papa Francesco ha espresso ai giornalisti il suo desiderio di andare in Ucraina, perché ‘sta vincendo lo schema di guerra e non di pace’, sottolineando la crudeltà della guerra:

Il papa: il lavoro è diritto fondamentale

“Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i membri dell’Istituto secolare Orionino. La figura di san Giuseppe, umile falegname di Nazareth, ci orienti verso Cristo, sostenga coloro che operano per il bene e interceda per quanti hanno perso il lavoro o non riescono a trovarlo”: in questo modo papa Francesco ha salutato gli italiani al termine dell’udienza generale odierna nell’aula ‘Paolo VI’ al cui centro c’è stata sempre la figura di Giuseppe lavoratore.

Per questo ha concluso l’udienza generale con una preghiera a san Giuseppe, composta da san Paolo VI in occasione della festa del 1^ maggio 1969: “O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradi oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen”.

Iniziando la catechesi il papa ha spiegato il mestiere di Giuseppe, che è poi quello fatto da Gesù fino all’età di 30 anni: “Il termine greco tekton, usato per indicare il lavoro di Giuseppe, è stato tradotto in vari modi. I Padri latini della Chiesa lo hanno reso con ‘falegname’. Ma teniamo presente che nella Palestina dei tempi di Gesù il legno serviva, oltre che a fabbricare aratri e mobili vari, anche a costruire case, che avevano serramenti di legno e tetti a terrazza fatti di travi connesse tra loro con rami e terra”.

Era un lavoro duro, che non offriva molti guadagni: “Pertanto, ‘falegname’ o ‘carpentiere’ era una qualifica generica, che indicava sia gli artigiani del legno sia gli operai impegnati in attività legate all’edilizia. Un mestiere piuttosto duro, dovendo lavorare materiale pesante, come il legno, la pietra e il ferro. Dal punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o di colombi, come prescriveva la Legge per i poveri”.

Il pensiero del papa è corso subito ai lavoratori che sono sottopagati o sfruttati: “Questo dato biografico di Giuseppe e di Gesù mi fa pensare a tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro (abbiamo visto che in Italia ultimamente ce ne sono state parecchie); ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare…

Mi permetto di ripetere questo che ho detto: i lavoratori nascosti, i lavoratori che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche: pensiamo a loro. A coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero, a coloro che danno lo stipendio di contrabbando, di nascosto, senza la pensione, senza niente. E se non lavori, tu, non hai alcuna sicurezza. Il lavoro in nero oggi c’è, e tanto”.

Un pensiero allargato alle vittime del lavoro ed ai bambini, costretti a lavorare: “Pensiamo alle vittime del lavoro, degli incidenti sul lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare: questo è terribile! I bambini nell’età del gioco devono giocare, invece sono costretti a lavorare come persone adulte.

Pensiamo a quei bambini, poveretti, che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare. Tutti questi sono fratelli e sorelle nostri, che si guadagnano la vita così, con lavori che non riconoscono la loro dignità! Pensiamo a questo. E questo succede oggi, nel mondo, questo oggi succede!”

Ed ha chiesto un giusto sostentamento: “Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Tu puoi prenderlo dalla Caritas: no, questo non ti dà dignità. Quello che ti dà dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale in quel posto, in quella nazione, in quel continente. I governanti devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane, perché questo guadagno dà loro la dignità. Il lavoro è un’unzione di dignità, e questo è importante. Molti giovani, molti padri e molte madri vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta loro di vivere serenamente, vivono alla giornata”.

La mancanza del lavoro conduce anche alla volontà di uccidersi: “E tante volte la ricerca di esso diventa così drammatica da portarli fino al punto di perdere ogni speranza e desiderio di vita. In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie”.

Il lavoro è fonte essenziale non solo per il sostentamento, ma anche per esprimere la nostra personalità, in modo da compiere un cammino di santità: “Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo.

Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale… Infatti, il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale. Il lavoro è anche un modo per esprimere la nostra creatività: ognuno fa il lavoro a suo modo, con il proprio stile; lo stesso lavoro ma con stile diverso”.

Concludendo l’udienza generale il papa ha invitato fedeli e Chiesa ad interrogarsi sul contributo che si può offrire: “E’ bello pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe. Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità”.

(Foto: Santa Sede)

400 persone della Missione ‘Speranza e Carità’ in digiuno e preghiera

Oggi, venerdì 2 Aprile, per il bene di questa umanità, la Missione ‘Speranza e Carità’ invita tutta la società ad un giorno di digiuno e preghiera, come ha spiegato fratel Biagio:

Papa Francesco prega per chi soffre per una sentenza ingiusta

Nella messa odierno a Santa Marta, papa Francesco ha ricordato la persecuzione che ha subito Gesù e pregato per le persone che soffrono l’accanimento con sentenze ingiuste, con un pensiero all’assoluzione del card. George Pell:

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