Tag Archives: guerra

Ad Haiti si rischia una guerra civile

Bande criminali che controllano il centro della capitale, Port-au-Prince, dopo aver preso d’assalto le carceri e liberato 4mila detenuti. Il primo ministro, Ariel Henry, al quale viene impedito di rientrare nel Paese dopo il viaggio in Kenya per firmare un accordo relativo ad una missione multinazionale per la sicurezza, che dovrebbe mettere a disposizione un migliaio di soldati. Haiti è allo sbando, con un primo ministro considerato illegittimo dagli oppositori, che si è dimesso, ed ancora nessuna alternativa politica concreta da poter proporre come soluzione, come ha dichiarato la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite, Ulrika Richardson, ai giornalisti in una conferenza stampa virtuale dalla capitale haitiana, Port-au-Prince: “Prosegue l’escalation di violenza ad Haiti, “con bande armate che compiono omicidi e atti di violenza sessuale”.

Attualmente sono più di 5.000.000 le persone bisognose di assistenza, poco meno della metà della popolazione totale. La maggiore criticità è quella dell’insicurezza alimentare, per cui si riscontra un aumento importante dei casi di malnutrizione soprattutto tra i bambini e le donne incinte. Gli atti di violenza a cui è sottoposta quotidianamente la popolazione sono un’altra delle questioni nodali. Nel 2023 erano state segnalate più di 8.400 persone uccise, ferite o rapite, più del doppio rispetto al 2022. Le bande continuano a combattere per il territorio e si stima che controllino fino all’80% di Port-au-Prince.

I bambini costituiscono la maggior parte della popolazione bisognosa, circa 3.000.000 e l’escalation delle violenze sta compromettendo il loro accesso all’istruzione, senza contare che molti di questi facevano affidamento al sostegno dell’alimentazione scolastica e si trovano così privati anche di questo apporto alimentare, come ha raccontato Flavia Maurello, responsabile AVSI ad Haiti: “Le principali vittime della condizione in cui versa Haiti sono i bambini e le donne incinte. Ci sono interi mesi in cui i bambini non vanno a scuola, e questo incide sullo sviluppo del Paese. Ci sono poi le donne incinte che non riescono ad accedere agli ospedali, molte di loro arrivano al nono mese di gravidanza senza aver mai incontrato un medico. La situazione sanitaria è anch’essa disastrosa. La non cura dei politici ha reso ingestibile la situazione nei quartieri in cui si lavora. Non vi è più la pulizia dei canali, vi sono cumuli di spazzatura alti come montagne, case completamente allagate, e questo ha portato al ritorno dell’epidemia di colera”.

All’Agenzia Sir mons. Max Leroy Mésidor, arcivescovo metropolita di Port-au-Prince, è molto lapidario: “L’insicurezza imperversa a Port-au-Prince da più di due anni. Ma negli ultimi mesi la situazione è peggiorata. Le bande controllano più di tre quarti del territorio della capitale. Occupano ogni giorno nuove aree sotto lo sguardo impassibile e indifferente delle autorità”. Di fronte a questo scenario, l’arcivescovo di Port-au-Prince ha descritto le difficoltà della Chiesa nell’opera di evangelizzazione: “La Chiesa condivide il destino della popolazione: è anche particolarmente esposta. Sacerdoti e religiosi sono stati rapiti e poi rilasciati per riscatto. Una religiosa italiana, suor Luisa Dell’Orto, è stata freddamente giustiziata in pieno giorno lo scorso anno”.

Anche i missionari salesiani continuano a cercare di operare nel Paese, prendendosi cura della popolazione, pur di fronte all’attuale ondata di violenza senza precedenti, come racconta ‘Misiones Salesianes’: “La situazione ad Haiti è caotica. Non ci sono parole per descriverla. Stiamo vivendo un inferno… La violenza e le bande dominano Haiti. La situazione di instabilità che vive il Paese dall’assassinio del presidente Jovenel Moïse, nel 2021, è esplosa negli ultimi giorni quando il primo ministro Ariel Henry ha annunciato il suo impegno a tenere le elezioni prima dell’agosto 2025. Da allora, l’assalto al due carceri della capitale ha liberato più di 3.000 detenuti, sparatorie e tentati assalti al Palazzo Nazionale, danni all’aeroporto e la richiesta dei capi delle bande criminali, ex alti funzionari della Polizia, al Primo Ministro, chi si trova a Porto Rico e non può tornare nel Paese, rinuncia al potere”.

Haiti è in attesa del dispiegamento di una missione internazionale di sostegno alla sicurezza guidata dal Kenya e approvata dalle Nazioni Unite lo scorso ottobre. Nel frattempo, Haiti sopravvive nel mezzo del collasso istituzionale, dell’incapacità della polizia e dell’esercito di far fronte alle bande criminali e con una popolazione che non ha abbastanza da mangiare: “Noi salesiani, per il momento, stiamo bene, ma non possiamo svolgere alcuna attività dal 29 febbraio, quando è iniziata questa situazione… Le bande stanno saccheggiando le stazioni di polizia e tutto ciò che incontrano, gli esercizi commerciali, i negozi… vogliono impossessarsi del Palazzo Nazionale, dell’aeroporto”.

I missionari salesiani operano ad Haiti dal 1935: “Le nostre opere educative si estendono in 8 città del Paese, da Cap-Haitien nel nord, attraverso la capitale ed a Les Cayes nel sud e servono più di 22.000 minori e giovani ogni anno nelle scuole, nei centri di formazione professionale, nei centri giovanili e di affidamento le case”.

Ed il futuro di Haiti è complesso. Perché si rischia una guerra civile: “Viviamo nella paura ogni giorno perché non sappiamo cosa potrebbe accadere un minuto dopo. Questa è la nostra vita negli ultimi giorni, per questo chiediamo preghiere e che non ci dimentichiate”.

Papa Francesco: la santità non è un’eccezione

“E, per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra. Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte: lui pregava con questo. Tanti giovani, tanti giovani vanno a morire! Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta”:

anche oggi, al termine dell’udienza generale papa Francesco ha continuato a ripetere che la guerra è sempre una ‘pazzia’ contro i suoi detrattori, desiderosi di guerre ed uccisioni, con la stessa aggressione che a suo tempo mostrarono per papa Benedetto XVI e papa Giovanni Paolo II.

Ed in piazza san Pietro, continuando il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, ha incentrato la sua riflessione sul tema ‘L’agire virtuoso’, che è stata letta da don Pierluigi Giroli, a causa del raffreddore, parlando dell’azione virtuosa:

“Dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico, che sta in opposizione all’esperienza del male. Il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo.

Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti. La riflessione intorno a questa nostra meravigliosa possibilità forma un capitolo classico della filosofia morale: il capitolo delle virtù”.

Dopo un breve excursus linguistico sulla parola ‘virtù’ papa Francesco ha affermato che la santità non è un’eccezione: “Saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie.

I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo. Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia!”

E’ stato un invito a riscoprire questa azione virtuosa: “Ecco perché il capitolo sull’agire virtuoso, in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti. In un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre”.

La definizione di virtù è data dal n^ 1803 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: ‘La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene’. Non è dunque un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica. La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel ‘libro di Dio’, ma la virtù è un’altra cosa”.

Quindi la virtù è correlata alla libertà: “E’ un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore. La virtù è un habitus della libertà. Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta. Se la virtù è un dono così bello, subito nasce una domanda: come è possibile acquisirla? La risposta a questa domanda non è semplice, è complessa”.

Per il cristiano si acquisisce con l’aiuto della grazia di Dio: “Per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa. Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo. Sempre la grazia precede il nostro impegno morale”.

La catechesi del papa è stato un invito a non dimenticare la saggezza dei ‘padri’, invitando all’apertura mentale: “Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza.

L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano. Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: la guerra è pazzia che arricchisce

Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha risposto alle domande di alcuni giornalisti a proposito dell’anticipazione dell’intervista alla Radio Televisione Svizzera (RSI), che sarà trasmessa mercoledì 20 marzo, spiegando che l’auspicio di papa Francesco per l’Ucraina, da sempre definito ‘martoriato’, è tutto racchiuso nelle parole già espresse all’Angelus dello scorso 25 febbraio, in cui ribadiva il suo ‘vivissimo affetto’:

“Il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista, parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il papa ha affermato chiaramente: il negoziato non è mai una resa”.

Nell’intervista il giornalista Lorenzo Buccella ha domandato a papa Francesco il suo pensiero sulla possibilità di una resa da parte degli ucraini: “In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?”

Il papa ha risposto che la negoziazione può essere una risposta ‘coraggiosa’:”E’ un’interpretazione. Ma credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa.

Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio con la guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, per esempio … Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio”.

E tutti hanno iniziato a gridare allo scandalo per il semplice fatto che il papa ha indicato una possibile via per la pace, che è il negoziato, ricordando che Stalin ha massacrato gli ucraini : “Il negoziato non è mai una resa. E’ il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto…”.

Però in questa intervista il papa ha fatto appello agli ucraini, in quanto è molto chiaro che l’invasore è la Russia; e la mediazione era stata usata dal papa in una domanda riguardante il conflitto in Medio Oriente, invitando a guardare avanti, perché le guerre precedenti ‘tutte finiscono con l’accordo’: “Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza.

Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. I responsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la ‘guerra-guerrigliera’, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. E’ una brutta cosa”.

E’ un messaggio chiaro, quello lanciato dal papa, ‘la guerra è una pazzia’, che nessuno vuole comprendere, perché con la guerra ci si arricchisce: “C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra?

Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi”.

Ed ha paragonato la guerra alle tenebra: “Una guerra è tenebrosa, sempre, oscura. Il potere dell’oscuro. Quando si parla di bianco si parla di innocenza, di bontà e di tante cose belle. Ma quando si parla dell’oscuro, si parla del potere delle tenebre, di cose che non capiamo, di cose ingiuste. La Bibbia parla di questo. Le tenebre hanno un potere forte di distruggere. E’ un modo letterario di dirlo, ma quando una persona uccide, pensiamo a Caino, ad esempio, è una persona tenebrosa”.

Inoltre ha chiamato ‘ipocriti’chi prima promuove la guerra eppoi mandano gli aiuti umanitari: “Interventi umanitari? Sì alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa. E non è facile”.

Ecco tutto quello che ha detto il papa chiaramente sulla guerra e la frase ‘bandiera bianca’ è inserita nell’articolo 32 della Quarta Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso (1907):

“E’ considerato parlamentare l’individuo autorizzato da uno dei belligeranti a entrare in trattative con l’altro e che si presenti con bandiera bianca. Egli ha diritto all’inviolabilità, e così pure il trombettiere o tamburino, il portabandiera e l’interprete che l’accompagnassero”.

I salesiani raccontano l’emergenza a Goma

“Pochi giorni fa si sono intensificati gli scontri tra l’esercito regolare ed i ribelli dell’M23 nel territorio di Masisi verso Mushaki, Karuba, villaggi sovrastati da alte montagne; altri villaggi, Shasha, Kirotshe, Kihindo, hanno vissuto la stessa situazione. Da mercoledì 7 febbraio 2024 moltissime famiglie si sono trasferite in massa a Minova e a Sake. Ma gli scontri si sono avvicinati, le bombe cadono sulla città, si sente il crepitio di proiettili”: così hanno denunciato le Missioni Don Bosco la situazione umanitaria, che rischia di peggiorare.

I Salesiani, presenti in forza nella regione, continuano a fare il possibile per aiutare i bisognosi, muovendosi su tutti i fronti possibili con Missioni Don Bosco Onlus: “Sake si trova a 27 chilometri dalla città di Goma, nel territorio di Masisi. I leader tradizionali e gli abitanti di questa entità sono profondamente colpiti dalla situazione: più di 3.000 nuclei familiari hanno già abbandonato le loro case e il loro lavoro. Girovagano senza meta, non hanno né acqua né cibo. A causa delle cattive condizioni igieniche, il colera colpisce alcune persone ed è un rischio per tutti”.

Nel racconto i Salesiani hanno evidenziato il caos che si sta creando: “E’ sempre più difficile tenere il conto delle migliaia di persone che continuano a scappare in cerca di un posto sicuro lontano dagli scontri, è la seconda volta che gli sfollati provenienti da Shasha, Kirotshe, Kichonga, Ngungu, Karuba e altre località del territorio di Masisi si aggiungono alle migliaia di altri sfollati che si trovano nei campi della città di Goma. I campi sembrano non avere più spazio sufficiente.

Centinaia di bambini, anziani e giovani si ritrovano in condizioni inaccettabili ai lati della strada alla ricerca di famiglie ospitanti e altri prendono di mira i campi dove hanno la possibilità di essere accolti. I campi di Bushagala, Bulengo e Rusayo sono i più vicini, a seconda delle affinità altri preferiscono viaggiare molto per raggiungere le proprie famiglie in altri campi più lontani da Sake, questi sono i campi di Don Bosco Ngangi e quello di Kanyaruchinya.

Questa situazione si sta delineando proprio nel momento in cui i soldati che sono al fronte stanno lanciano bombe verso Goma, una è caduta sull’aeroporto, un’altra sulla scuola di Nengapeta mentre fortunatamente gli studenti erano già tornati a casa. Altre due sono cascate a pochi metri dall’Università di Goma e al nuovo mercato chiamato ‘Kisoko’ a Mugunga, ai margini dell’Ecole du Cinquantenaire, un’importante scuola tecnica di Goma. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso preoccupazione per l’escalation di violenza”.

Il salesiano Pascal Bauma ha testimoniato che sulla strada Sake-Goma ci sono sfollati già da diversi mesi: “Vivevano in quattro siti: Mama Zaina, Mayutsa, Kizimbo e Tshabiringa. Oggi, l’arrivo di nuovi sfollati dai villaggi di Shasha, Kirotshe, Mwambaliro, Buhunga e zone circostanti ha complicato la situazione della sicurezza: tutti sono in stato di vulnerabilità e costretti a fuggire di nuovo.

Molti si sono diretti verso Mugunga, a ovest di Goma. Lungo la strada si vedono bambini, giovani e anziani, seduti, stanchi, non sanno dove andare. Si tratta di un secondo esodo per le stesse persone. A Goma trovano altre migliaia di sfollati che sono scappati da Rutchuru e dalle località del Nord”.

Così i salesiani sono al fianco degli sfollati e continuano a distribuire aiuti di prima necessità, il campo sfollati di Don Bosco-Ngangi attualmente conta più di 3.500 famiglie, quello di Don Bosco Shasha ne ha circa 1.000 famiglie:

“Ai bambini più piccoli viene distribuita una pappa una volta al giorno, oltre al pasto che viene distribuito a tutti, sembra poco, ma significa tantissimo soprattutto per coloro che soffrono di malnutrizione. E’ necessario razionare cibo e acqua per poter aiutare tutti, nonostante sia impossibile prevedere quante altre persone possano raggiungere i campi nei prossimi giorni o mesi”.

Il direttore della comunità salesiana di Shasha, don Kizito Tembo, alcuni giorni fa ha inviato un messaggio ai suoi confratelli: “La situazione si sta infuocando, in breve tempo abbiamo sentito volare proiettili provenienti da tutte le direzioni e il panico ha attanagliato il villaggio. Per evitare di cadere in un’imboscata, ho chiesto a tutti di restare dove erano. E poiché l’assalto è stato improvviso, non siamo riusciti ad evacuare nessuno.

Nella comunità ci siamo chiusi in casa con 6 uomini, 8 donne e 18 bambini. Ci affidiamo alla misericordia divina, abbandonandoci nelle mani della Madonna. Il giorno dopo abbiamo appena trascorso una domenica più o meno tranquilla, a volte disturbata alcuni spari e qualche bomba che proveniva dalle montagne del Kiluku. Vi chiediamo di continuare a pregare per noi, perché ritorni completamente la calma e le persone ritornino alle loro varie attività”.

(Foto: Missioni Don Bosco)

ISMU: stranieri in leggero aumento e nascite in diminuzione

Nei giorni scorsi è stato presentato il XXIX rapporto dell’ISMU sulla migrazione, stimando che al 1° gennaio 2023 gli stranieri presenti in Italia sono circa 5.775.000, 55.000 in meno rispetto alla stessa data del 2022; però il bilancio demografico mostra una significativa crescita della popolazione straniera residente in Italia (+110.000 unità). Diminuisce, invece, la componente irregolare, che si attesta sulle 458.000 unità, contro le 506.000 dell’anno precedente, dovuta all’avanzamento delle regolarizzazioni attuate nel 2022 a completamento delle procedure di ‘emersione 2020’, come la riduzione dei ‘regolari non residenti’, sceso da 293.000 a 176.000.

In Ucraina dopo due anni di guerra

“Esortiamo la comunità internazionale, i leader religiosi e politici dei vari Paesi di continuare nel loro impegno per proteggere l’Ucraina dall’aggressione russa, per assistere coloro che stanno soffrendo per le conseguenze di questa guerra. Questo include il ritorno in Ucraina dei bambini, dei civili e dei prigionieri di guerra ucraini deportati illegalmente dalla Russia. Infine, esortiamo a continuare l’impegno per promuovere la vittoria e l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Ucraina”.

Questo ha chiesto il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose in occasione del secondo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio di due anni fa, che ha provocato molte morti: “La guerra di aggressione che la Russia conduce contro l’Ucraina dal 2014, violando le norme e regolamenti internazionali, ha causato enormi sofferenze al popolo ucraino…

Questa guerra ha provocato la morte di centinaia di migliaia di persone e brutali violazioni dei diritti umani e delle libertà civili nei territori temporaneamente occupati, inclusi la sistematica violazione della libertà religiosa e la distruzione di città e infrastrutture civili. Tale guerra, ha generato la più grande crisi migratoria in Europa dall’epoca della Seconda Guerra mondiale”.

Infatti secondo un rapporto dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, a due anni dall’inizio del conflitto oltre 185.000 persone hanno fatto richiesta di protezione temporanea e circa 4.400 di protezione internazionale in Italia con un tasso di riconoscimento sulle richieste di protezione internazionale esaminate che sfiora il 90%, di cui oltre l’87% dei rifugiati in Italia sono donne e minori. Dalla ricerca emerge che quasi tre su quattro adulti profilati avevano una formazione universitaria e più della metà erano alla ricerca di un impiego in Italia. Nel 39% dei nuclei familiari era presente una persona con vulnerabilità. Inoltre i bambini ucraini non accompagnati registrati al 31 dicembre dello scorso anno sono oltre 4.000.

Ed anche l’ong ‘WeWorld’ ha raccontato attraverso la voce delle rifugiate ucraine questi due anni, sottolineando che in Ucraina la situazione umanitaria rimane grave ed i bisogni della popolazione sono ancora tanti, in quanto: l’accesso ad acqua pulita e potabile e a cure mediche è limitato in alcune zone e mancano vestiti caldi per fronteggiare le rigide temperature dell’inverno.

Per tante bambine, bambini e adolescenti non ci sono più spazi sicuri dove poter studiare e socializzare, come ha spiegato Nataliia Kavetska, che per 8 mesi ha lavorato come mediatrice linguistico-culturale negli ‘Spazi Donna WeWorld’ ed ora di nuovo in Ucraina:

“Se scatta l’allarme dobbiamo correre nei rifugi ed è capitato diverse volte di doverci fermare a lungo e che mio figlio studiasse insieme ad altri bambini in cantina. Nell’aria si sente il pericolo, anche solo durante una passeggiata vediamo le macerie dei palazzi. Eppure ho deciso di tornare in Ucraina, a Kyiv, perché volevo fare qualcosa per il mio Paese anche se la vita quotidiana è molto diversa da prima a causa dei continui bombardamenti”.

Ed ha raccontato la vita in Ucraina: “Proviamo a vivere al meglio, qualcuno prova a sopravvivere perché c’è anche la crisi economica: io spero di avere un futuro in Ucraina ma al momento non riesco a immaginarmelo. Da quando è iniziata la guerra e da quando sono tornata però ho iniziato ad apprezzare le cose importanti: cos’è l’amicizia, la vicinanza, il sostegno. Apprezzo meglio la vita. Ci sono tanti momenti difficili perché la vita quotidiana è molto faticosa ma nel mio cuore c’è speranza”.

Mentre Guido Manneschi, responsabile Paese in Ucraina per WeWorld, dove in due anni di intervento ha raggiunto 230.000 persone, di cui il 74% sono donne, bambine e bambini, ha detto di non vedere la conclusione del conflitto: “A due anni dall’inizio della guerra la popolazione ucraina continua a vivere l’impatto di un conflitto che, ancora, non vede una possibile fine…

Due anni che avranno ripercussioni sul futuro di un’intera generazione, con bambine e bambini che vivono una quotidianità precaria senza continuità a scuola con la paura dei bombardamenti, uomini che avranno bisogno di aiuto per superare lo stress post traumatico, donne che hanno il peso della cura e della ricostruzione sulle proprie spalle. Il popolo ucraino sta vivendo una crisi collettiva che deve essere fermata, il rischio è che il Paese non riesca più a rialzarsi”.

La Ong precisa che 14.600.000 persone, il 40% dell’intera popolazione, ha bisogno di aiuti umanitari, ma i finanziamenti coprono solo il 13% dei bisogni (Unhcr); 3.300.000 vivono vicino al fronte di guerra, dove arrivano pochi aiuti perché l’accesso umanitario è difficile e non garantito. In due anni 6.000.000 persone sono fuggite all’estero e 4.000.000 sono sfollate all’interno dell’Ucraina.

Per questo anche la Caritas italiana Caritas Italiana ha partecipato all’intervento della rete Caritas internazionale a favore di Caritas Ucraina e Caritas-Spes con servizi di accoglienza e di protezione, assistenza medica, kit igienici e alimentari, contributi in denaro.

Degli € 24.325.914,15 raccolti (al 31 dicembre 2023), tra cui € 1.000.000 da parte della CEI (fondi 8xmille), due terzi sono già stati spesi (€ 15.690.744,38); mentre il rimanente è destinato a progetti da realizzarsi nell’anno in corso e nei prossimi anni: tra i contributi spesi € 4.926.879,91 sono stati stanziati a progetti di sostegno in Ucraina e Paesi limitrofi ed € 10.763.864,47 a progetti di accoglienza in Italia:

“Dallo scoppio del conflitto molte diocesi italiane si sono impegnate per garantire un’accoglienza adeguata alle persone in fuga. Tante le attività organizzate a livello locale: accoglienza, raccolta beni di prima necessità, assistenza sanitaria, accompagnamento psicologico. Le strutture maggiormente utilizzate: appartamenti, parrocchie, famiglie, istituti religiosi, centri di accoglienza.

Migliaia le persone accolte dalla rete ecclesiale italiana, attraverso il progetto ‘Apri Ucraina’ promosso da Caritas Italiana. Il progetto ha coinvolto cento diocesi e ha permesso di accogliere oltre seimila persone. Da segnalare anche le vacanze solidali che hanno permesso a quasi 650 bambini ucraini (e ai loro accompagnatori) di trascorrere alcune settimane serene in Italia”.

Inoltre dall’occupazione della Crimea nel 2014, Amnesty International ha documentato numerose atrocità, tra cui attacchi mirati contro civili e infrastrutture civili, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, torture, privazioni illegittime della libertà, trasferimenti forzati di civili e l’uso della violenza sui prigionieri di guerra, secondo quanto ha affermato Denis Krivosheev, vicedirettore per l’Europa orientale e l’Asia centrale di Amnesty International:

“Mentre la guerra è ancora in corso, è necessario conservare per quanto possibile le prove di ogni singola atrocità. I responsabili dei crimini di diritto internazionale devono essere chiamati a risponderne, indipendentemente da quanto tempo ci vorrà. Questi crimini non cadono in prescrizione”.

Per questo Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore che rappresenta oltre 100 reti nazionali di Terzo settore, ha aderito alla Giornata di mobilitazione di sabato 24 febbraio nelle città italiane, indetta dalla Rete Italiana Pace e Disarmo per chiedere di fermare la follia criminale di tutte le guerre:

“A due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina lo scenario internazionale è sempre più grave, con la drammatica intensificazione del conflitto israelo-palestinese a seguito dell’attacco disumano di Hamas e della sproporzionata risposta militare da parte di Israele.

Assistiamo alla dimostrazione della fragilità degli equilibri internazionali, mentre la via della diplomazia e della soluzione pacifica dei conflitti diventa sempre più difficile da percorrere. In questo quadro è lo stesso principio di autodeterminazione dei popoli a perdere riconoscimento, se non addirittura ad essere negato”.

Quindi la proposta del Forum Terzo Settore ha proposto la promozione della cooperazione: “Mai come ora è imperativo promuovere la cooperazione tra Paesi, schierarsi per la pace e per un modello di sviluppo fondato sulla tutela dei diritti della persona e la giustizia sociale.

Ci uniamo alle tante voci che stanno denunciando in questi mesi il massacro di innocenti e la pericolosissima corsa al riarmo degli Stati. Ci appelliamo inoltre ai Governi, italiano ed europei innanzitutto, affinchè ascoltino le organizzazioni della società civile, che stanno indicando la strada della pace da seguire”.

Mentre la Comunità di Sant’Egidio ha diffuso una nota in cui ripercorre la straordinaria catena di solidarietà messa in atto dalle sue comunità che in questi due anni ha raggiunto circa 330.000 persone: “Tutto ciò è reso possibile da una catena di solidarietà che parte dall’Italia e da altri paesi europei e che non può interrompersi finché dura il conflitto”.

Nel centro di coordinamento delle iniziative umanitarie di Sant’Egidio, realizzato a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, sono giunti finora dall’Italia e da diversi Paesi europei 127 carichi di aiuti umanitari, pari a 2.000 tonnellate, per un valore complessivo di oltre € 23.000.000.

Da Leopoli la Comunità di Sant’Egidio ha spedito farmaci, anche salvavita, a 209 strutture sanitarie, 90 amministrazioni locali, 54 istituti per bambini, anziani e disabili e numerosi centri di accoglienza per profughi anche nelle aree più remote del Paese. La stima delle persone che hanno usufruito di questi aiuti sanitari è di circa 2.000.000.

Ed oggi la Comunità di Sant’Egidio tiene una Liturgia per la Pace alle ore 19.30, nella chiesa di San Bernardino (via Lanzone 13, Milano; M2 Sant’Ambrogio), a cui partecipano profughi accolti a Milano.

Nel febbraio 2014 la Russia ha inviato le proprie truppe ad occupare la Crimea. Non ha mai ammesso che, nello stesso anno, erano entrate anche nell’Ucraina orientale. Le prove pubblicate da Amnesty International nel 2014, che includono l’analisi di immagini satellitari e testimonianze oculari, hanno confermato quanto avvenuto, rendendo evidente che siamo effettivamente di fronte a un conflitto armato internazionale della durata di un decennio.

La piaga dei bambini-soldato alimentata dalle guerre

“Nel 2022 quasi 8.000 minori, alcuni anche di soli cinque anni, sono stati arruolati ed utilizzati nelle guerre. Lo afferma il Segretario Generale dell’ONU in un rapporto dedicato alla situazione dell’infanzia nei conflitti. Va evidenziato che tale numero è aumentato rispetto al 2021. I piccoli vengono sottratti con la forza dalle scuole e dai propri villaggi e arruolati nelle milizie e negli eserciti regolari.

Milano: la pace è possibilità data a tutti

“Siamo convinti che si può fare qualcosa, siamo testardi e incoraggiamo tutti gli operatori pastorali e parrocchiali a tenere l’orizzonte della pace con obiettivo possibile”: con queste parole Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana, sabato 10 febbraio ha aperto il convegno Mondialità dal titolo ‘Facciamo la pace?. Da desiderio di tutti a possibilità di ciascuno’, promossa dalla Caritas ambrosiana insieme agli Uffici per la Pastorale dei Migranti e l’Ufficio per la Pastorale missionaria, alla presenza di 100 persone e 400 collegate da remoto.

Papa Francesco agli ebrei: l’antisemitismo è contro Dio

Venerdì 2 febbraio papa Francesco ha condannato con forza l’antisemitismo in una lettera indirizzata ‘ai fratelli ed alle sorelle ebrei di Israele’, inviata  alla teologa Karma Ben Johanan, tra le promotrici di un appello al pontefice sottoscritto da circa 400 tra rabbini e studiosi per il consolidamento dell’amicizia ebraico-cristiana dopo la tragedia del 7 ottobre, che ha espresso all’Osservatore Romano un sincero apprezzamento: “Siamo profondamente grati per la fiducia e lo spirito di amicizia con cui il Papa, e con lui l’intera Chiesa, ha voluto riaffermare la speciale relazione che unisce le nostre comunità, cattolica ed ebraica”.

Facciamo la pace? Da desiderio di tutti a possibilità di ciascuno a Milano

Sabato 10 febbraio, dalle ore 9.30 alle ore 13, nella sede di Caritas Ambrosiana (via San Bernardino 4, Milano) si terrà il Convegno Mondialità dal titolo ‘Facciamo la pace?  – Da desiderio di tutti a possibilità di ciascuno’, promosso da Caritas Ambrosiana insieme agli Uffici per la Pastorale migranti e per la Pastorale missionaria della Diocesi di Milano.

151.11.48.50