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Mattarella ricorda Cassino nel nome della pace

Nell’80^ anniversario della distruzione di Cassino da parte degli alleati il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che il ‘prezzo’ più caro è quello pagato dai civili: “Nella drammatica storia della Seconda Guerra mondiale, con le sue immani sofferenze, Cassino, la città ed il suo territorio, queste popolazioni, sono tragicamente entrate nell’elenco dei martiri d’Europa, accanto ad altri centri come Coventry, come Dresda”.

Cassino è stata assediata per 129 giorni: “Gli storici ci consegnano un numero (così alto da essere terrificante) di migliaia e migliaia di vittime delle diverse armate, della popolazione civile, degli abitanti di questa città, di questo territorio, come conseguenza dei 129 giorni di combattimenti qui avvenuti. I cimiteri (e quelli di guerra, dedicati ai combattenti) fanno qui corona e ammoniscono. Una tragedia dai costi umani ripeto di dimensioni spaventose. In questa terra avvennero scontri tra i più cruenti e devastanti”.

Ecco il motivo per cui è necessario ripudiare la guerra: “E mentre un sentimento di pietà si leva verso i morti, verso le vittime civili, non può che sorgere, al contempo, un moto di ripulsa da parte di tutte le coscienze per la distruzione di un territorio e delle sue risorse, per l’annientamento delle famiglie che lo abitavano, nel perseguimento della cieca logica della guerra, quella della volontà di ridurre al nulla del nemico, senza nessun rispetto per le vittime innocenti”.

La guerra non conosce limiti: “Lutti e sofferenze pagate in larga misura dalla incolpevole popolazione civile, a partire da quel funesto bombardamento del 15 febbraio contro l’Abbazia, nella quale, con i monaci, perirono famiglie sfollate, tante persone che vi si erano rifugiate contando sull’immunità di un edificio religioso, espressione di alta cultura universalmente conosciuto.

Ma la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie. L’offensiva della coalizione contro il nazismo, che aveva occupato, ed opprimeva, l’Italia, rase totalmente al suolo la città e la storica Abbazia. Questo territorio, all’indomani degli eventi bellici, si presentò completamente distrutto: case, chiese, strade, ponti, ferrovie, scuole”.

Per questi eventi occorre rendere omaggio ad una città ‘martire’ per non perdere la memoria: “A quella comunità così duramente colpita, a quelle donne e a quegli uomini contro cui la furia bellica si manifestò in tutta la sua disumanità, la Repubblica esprime oggi affetto e rimpianto e, nel ricordo, si inchina alla loro memoria.

Rende omaggio a un eroismo silenzioso nel tempo della sofferenza, e alla loro orgogliosa volontà di far riprendere la vita in quello che era divenuto un campo di rovine. Ricordiamo come un gesto eroico quello di trovare dentro di sé le risorse per porre mano immediatamente alla ricostruzione.

Anche dell’Abbazia, faro di civiltà, avviata, questa ricostruzione dell’Abbazia, ancor prima della conclusione del conflitto. Toccò al primo Presidente del Consiglio dei ministri espresso dal Comitato di Liberazione Nazionale, Ivanoe Bonomi, porne la prima pietra già nel marzo del 1945”.

Ma, contemporaneamente, Cassino è stata protagonista anche della rinascita della democrazia: “Cassino martire. Ma Cassino anche protagonista, straordinaria testimone di questa risalita dall’abisso. Un abisso che inghiottì anche migliaia di giovani di altri Paesi che morirono combattendo contro gli oppressori dell’Italia e che ricordiamo con commozione e con riconoscenza.

La strada della libertà è stata segnata dal sacrificio e dal coraggio degli uomini che combatterono coraggiosamente (e tanti vi persero la vita) in questi territori, prendendo parte alla lotta di Liberazione, per far sì che prevalesse la pace nel Continente dilaniato da nazionalismi e da conflitti e che non avessero a soccombere le ragioni dei diritti delle persone e dei popoli”.

Quel cammino che ha portato alla democrazia ed alla pace: “Quello che l’Italia ha compiuto in Europa in questi decenni è un cammino straordinario di pace e di solidarietà, abbracciando i valori dell’unità del nostro popolo, della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale.

Valori che gli italiani vollero consacrati con la scelta della Repubblica e con la Costituzione. Insieme a una affermazione solenne, tra le altre: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.

Sono queste le poche parole dell’art.11 della nostra Costituzione che contiene le ragioni, le premesse del ruolo e delle posizioni del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo”.

Inoltre ha ricordato le parole di san Paolo VI, che definì l’abbazia ‘messaggero di pace’: “La nuova Abbazia ha la stessa vocazione ma ambisce anche a essere prova di un’accresciuta consapevolezza degli orrori della guerra e di come l’Europa debba assumersi un ruolo permanente nella costruzione di una pace fondata sulla dignità e sulla libertà. Ne siamo interpellati. Sono mesi, ormai anni, amari quelli che stiamo attraversando. Contavamo che l’Europa, fondata su una promessa di pace, non dovesse più conoscere guerre”.

Parole che richiamano alle guerre in atto in Europa ed in Medio Oriente: “Ai confini d’Europa, invece, anzi dobbiamo dire dentro il suo spazio di vita, guerre terribili stanno spargendo altro sangue e distruggendo ogni remora posta a tutela della dignità degli esseri umani. Bisogna interrompere il ciclo drammatico di terrorismo, di violenza, di sopraffazione, che si autoalimenta e che vorrebbe perpetuarsi. Questo è l’impegno della Repubblica Italiana.

Far memoria di una tragedia, una battaglia così sanguinosa, come quella di Cassino, che ha inciso nelle carni e nelle coscienze del nostro popolo e di popoli divenuti nostri fratelli, è anche un richiamo a far cessare, ovunque, il fuoco delle armi, a riaprire una speranza di pace, di ripristino del diritto violato in sede internazionale, della dignità riconosciuta a ogni comunità”.

Cassino è un invito a non perdere la memoria: “Cassino esprime un ricordo doloroso di quanto la guerra possa essere devastante e distruttiva, ma è anche un monito a non dimenticare mai le conseguenze dell’odio, del cinismo, della volontà di potenza che si manifesta a più riprese nel mondo.

Cassino città martire.  Cassino città della pace. Questo il messaggio forte, intenso, che da qui viene oggi. E’ questo il traguardo a cui ambire. E’ questa la natura dell’Europa, la sua vocazione, la sua identità. E’ questa la lezione che dobbiamo tenere viva, custodire, trasmettere sempre, costantemente”.

(Foto: Quirinale)

Save the Children: in Sudan ed a Gaza i bambini muoiono

“Quasi 230.000 bambini, donne incinte e neomamme rischiano di morire di fame nei prossimi mesi in Sudan, a meno che non vengano stanziati fondi urgenti e la comunità internazionale non si mobiliti per rispondere alla drammatica crisi che colpisce il Sudan”: è l’allarme lanciato da Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

Più di 2.900.000 bambini in Sudan sono gravemente malnutriti e altri 729.000 sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta grave, la forma più pericolosa e mortale di fame estrema, secondo i nuovi dati, diffusi dal Cluster per la Nutrizione in Sudan, una partnership che include varie organizzazioni, tra cui Save the Children, le Nazioni Unite e il Ministero Federale della Salute. Di questi bambini, più di 109.000 rischiano di avere complicazioni mediche come disidratazione, ipotermia e ipoglicemia, che richiedono cure intensive e specializzate in ospedale.

Secondo il Cluster, circa 222.000 bambini gravemente malnutriti e più di 7.000 neomamme rischiano di morire nei prossimi mesi se non si farà fronte alle loro esigenze nutrizionali e sanitarie. Si tratta di una proiezione basata sugli attuali livelli di finanziamento del programma di alimentazione d’emergenza in Sudan, che al momento copre solo il 5,5% del fabbisogno totale del Paese. L’anno scorso, invece, il programma di alimentazione d’emergenza era finanziato al 23%, una percentuale di gran lunga inferiore rispetto alle necessità, ma comunque superiore a quella attuale.

La distruzione della catena di approvvigionamento di alimenti terapeutici pronti per l’uso, fondamentali per il trattamento dei bambini gravemente malnutriti, ha ostacolato duramente la risposta degli aiuti alla crisi. In particolare, l’unico produttore di alimenti necessari per la riabilitazione di bambini e donne affetti da malnutrizione acuta grave non è più operativo dopo essere stato distrutto lo scorso anno durante i combattimenti, come ha dichiarato Arif Noor, direttore di Save the Children in Sudan:

“In Sudan la situazione nutrizionale, in particolare la possibilità per i bambini e per gli altri gruppi vulnerabili di accedere al cibo di cui hanno bisogno per crescere e sopravvivere, è una delle peggiori al mondo. Se non si è piantato l’anno scorso, non c’è cibo oggi. Non piantare oggi significa non avere cibo domani. Il ciclo della fame si aggrava sempre di più e all’orizzonte non se ne vede la fine, esiste solo miseria. A dicembre, il territorio di Al-Jazirah, un tempo granaio del Paese, è stato teatro di intensi combattimenti che hanno portato a una nuova ondata di sfollati, con oltre mezzo milione di persone costrette a fuggire dalle proprie case in cerca di sicurezza. Questo ha portato a un’interruzione senza precedenti dei sistemi alimentari”.

Intanto a Gaza i bambini che muoiono di fame e di malattie non possono aspettare il tempo necessario per costruire un porto temporaneo al largo della Striscia, o avere solo la speranza che gli aiuti lanciati dagli aerei li raggiungano: “Pur accogliendo con favore gli sforzi volti a fornire maggiori aiuti a Gaza, compreso quello italiano volto a partecipare ai corridoi marittimi, questi metodi alternativi di consegna degli aiuti rischiano di essere costosi, inefficienti e distraggono dalla soluzione principale per salvare la vita dei bambini e delle famiglie a Gaza: un cessate il fuoco immediato e definitivo, l’accesso sicuro e senza restrizioni per gli aiuti umanitari, attraverso tutti i valichi di frontiera e all’interno della Striscia”.

Finora il Ministero della Sanità di Gaza ha registrato la morte di 18 bambini e due adulti per malnutrizione e disidratazione. Secondo Save the Children con le strutture sanitarie a malapena funzionanti e una minoranza di famiglie in grado di accedere ai servizi, questi numeri sono solo la punta dell’iceberg. A febbraio l’Organizzazione ha riferito che alcune famiglie sono state costrette a cercare gli avanzi di cibo lasciati dai ratti o a mangiare foglie nel tentativo disperato di sopravvivere e la situazione si aggrava ad ogni ora che passa, come ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati: “I bambini di Gaza non possono ancora aspettare il cibo. Stanno già morendo per malnutrizione e salvare le loro vite è una questione di ore o giorni, non di settimane.

La negazione dell’assistenza umanitaria è una grave violazione contro i bambini ed è contraria al diritto internazionale umanitario. Da mesi chiediamo un accesso sicuro e libero in tutta Gaza.  Esiste già un sistema collaudato per coordinare efficacemente gli aiuti, ma i camion di cibo e medicinali che potrebbero salvare vite umane aspettano ai valichi, mentre i bambini muoiono di fame a pochi chilometri di distanza. I lanci aerei di beni, senza alcun coordinamento sul campo per chi li raggiunge, e i corridoi marittimi, come quello annunciato ieri, non sono soluzioni per mantenere in vita i bambini.

Né sono sostitutivi di un’assistenza umanitaria senza ostacoli attraverso le rotte terrestri stabilite. Il governo di Israele e i membri della comunità internazionale devono facilitare l’ingresso immediato di beni di prima necessità e commerciali, attraverso tutti i valichi di frontiera disponibili e in tutta la Striscia di Gaza. Per i bambini di Gaza ogni minuto è importante. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco definitivo ora e, nel frattempo, è necessario garantire l’accesso umanitario immediato e senza ostacoli attraverso tutte le vie disponibili”.

Save the Children chiede un cessate il fuoco immediato e definitivo per salvare e proteggere la vita dei minori a Gaza, un’effettiva attuazione delle misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia e ha invitato il governo israeliano a consentire il flusso illimitato di aiuti e la ripresa dell’ingresso di beni commerciali a Gaza per evitare che i bambini muoiano di fame e di malattie.

L’Organizzazione chiede inoltre a tutti i governi donatori e al resto della comunità internazionale di riprendere e aumentare il più rapidamente possibile i finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA), da cui dipende la risposta degli aiuti a Gaza.

Il messaggio della Chiesa per il Ramadan: fermare la guerra

In occasione del mese del Ramadan e per la festa di ‘Id al-Fitr 1445 H. / 2024 A.D., il dicastero per il Dialogo Interreligioso ha inviato ai Musulmani del mondo intero un messaggio augurale a firma del prefetto del dicastero, card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, M.C.C.J, e del segretario del medesimo Dicastero, e da mons. Indunil Kodithuwakku Janakaratne Kankanamalage: ‘Cristiani e musulmani: estinguere il fuoco della guerra e accendere la candela della pace’, in cui si mette in evidenza che tale messaggio è “un mezzo importante per rafforzare e costruire buone relazioni tra cristiani e musulmani, grazie alla sua diffusione attraverso i media tradizionali e moderni, in particolare i social media. Per questo motivo sarebbe utile far conoscere meglio questo Messaggio ad entrambe le comunità”.

Il tema scelto è dovuto al momento particolare, pieno di conflitti, dovuto alla produzione e commercio delle armi: “Papa Francesco ha recentemente osservato che questo aumento delle ostilità sta di fatto trasformando ‘una terza guerra mondiale combattuta a pezzi’ in ‘un vero conflitto globale’.

Le cause di questi conflitti sono molteplici, alcune di lunga data, altre più recenti. Insieme al perenne desiderio umano di dominio, alle ambizioni geopolitiche e agli interessi economici, una delle cause principali è sicuramente la continua produzione e il commercio di armi. Anche se una parte della nostra famiglia umana soffre gravemente gli effetti devastanti dell’uso di queste armi in guerra, altri si rallegrano cinicamente del grande profitto economico derivante da questo commercio immorale. Papa Francesco ha descritto questo come intingere un boccone di pane nel sangue del nostro fratello”.

Il messaggio è un invito alle religioni a promuovere la pace: “Allo stesso tempo, possiamo essere grati di possedere anche immense risorse umane e religiose per promuovere la pace. Il desiderio di pace e di sicurezza è profondamente radicato nell’animo di ogni persona di buona volontà, poiché nessuno può non vedere gli effetti tragici della guerra nella perdita di vite umane, nel bilancio di gravi ferite e nella moltitudine di orfani e vedove”.

Inoltre è un invito perentorio a condannare la guerra, che non è mai ‘santa’, mentre la vita è ‘santa’: “Di conseguenza, la condanna e il rifiuto della guerra dovrebbero essere inequivocabili: ogni guerra è fratricida, inutile, insensata e oscura. In guerra perdono tutti…

Tutte le religioni, ciascuna a modo suo, considerano la vita umana sacra e quindi degna di rispetto e protezione. Fortunatamente, gli Stati che consentono e praticano la pena capitale diventano ogni anno sempre meno. Un risvegliato senso del rispetto per questa fondamentale dignità del dono della vita contribuirà alla convinzione che la guerra deve essere rifiutata e la pace custodita”.

In effetti, conclude il messaggio, le religioni riconoscono il ruolo della coscienza, che forma alla pace: “Formare le coscienze al rispetto del valore assoluto della vita di ogni persona e del suo diritto all’integrità fisica, alla sicurezza e ad una vita dignitosa contribuirà parimenti alla condanna e al rifiuto della guerra, di ogni guerra e di tutte le guerre.

Guardiamo all’Onnipotente come al Dio della pace, fonte della pace, che ama in modo speciale tutti coloro che dedicano la propria vita al servizio della pace. Come tante cose, la pace è un dono divino ma, allo stesso tempo, il frutto degli sforzi umani, soprattutto nel preparare le condizioni necessarie alla sua instaurazione e conservazione.

Dopo 13 anni la Siria ancora in guerra

Il 15 marzo la guerra in Siria è entrata nel suo 14° anno, come ha scritto in una nota la Caritas italiana: “Il conflitto, scoppiato nel marzo 2011 ha gettato oltre 16.700.000 persone in stato di bisogno, il numero più alto di sempre dall’inizio della guerra. 7.500.000 sono minori; 7.200.000 gli sfollati interni, sui quali si è abbattuto anche il violento terremoto del 6 febbraio 2023. Tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2023 sono 454 i civili uccisi, di cui 115 sono bambini. Una guerra che, ‘nel silenzio’ dei mezzi di comunicazione, continua a uccidere”.

La Caritas in Siria opera a favore delle comunità colpite fin dall’inizio del conflitto, con aiuti d’urgenza, riabilitazione socio-economica, ricostruzione. Un impegno costante che riguarda anche la riconciliazione di un popolo che non smette di chiedere pace.

Il comunicato termina con le parole del vescovo mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei Latini in Siria, in visita a Caritas Italiana a fine gennaio: “Sono passati già 13 anni di guerra e speriamo che un giorno arriveremo ad una pace vera, che permetta ai nostri ammalati di andare a curarsi, ai nostri bambini di andare a studiare e coltivare il loro futuro, e le persone a tornare a reincontrarsi dopo 10-11 anni di lontananza”.

Inoltre secondo un’indagine dell’Unicef sulle famiglie condotta nel nord della Siria, il 34% delle bambine e il 31% dei bambini hanno riportato uno stress psicosociale. Allo stesso modo, le valutazioni condotte nelle aree colpite dal terremoto hanno riportato una percentuale ancora più alta di bambini che mostrano un grave stress psicologico comportamentale (83% degli intervistati), come ha dichiarato la direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adele Khodr:

“La triste realtà è che oggi e nei prossimi giorni molti bambini in Siria compiranno 13 anni e diventeranno adolescenti, sapendo che la loro intera infanzia è stata segnata da conflitti, sfollamenti e privazioni.

In definitiva, i bambini hanno bisogno di una possibilità. Hanno bisogno di una soluzione pacifica a lungo termine alla crisi, ma non possiamo semplicemente aspettare che ciò accada. Nel frattempo, è fondamentale garantire che i bambini e le famiglie non solo abbiano accesso ai servizi di base, ma anche che siano dotati delle competenze necessarie per costruire il proprio futuro”.

Inoltre l’Unicef ha ricordato che più di 13.000.000 di siriani (circa la metà della popolazione prima del conflitto) sono sfollati all’interno o all’esterno della Siria e non possono tornare alle loro case e più di due terzi della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, in quanto i finanziamenti umanitari sono scesi ai minimi storici, sia all’interno della Siria stessa che per i siriani nei Paesi limitrofi; mentre quasi la metà dei 5.500.000 bambini in età scolare, circa 2.400.000 bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni, non vanno a scuola:

“Una generazione di bambini in Siria ha già pagato un prezzo insopportabile per questo conflitto. Il sostegno continuativo della comunità internazionale è fondamentale per ripristinare i sistemi di fornitura dei servizi sociali di base, come l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici, la salute, la nutrizione, la protezione dell’infanzia e quella sociale, assicurando che nessun bambino in Siria venga lasciato indietro”. Nel 2024, l’UNICEF ha bisogno di € 401.700.000 per fornire un’ancora di salvezza essenziale a 8.500.000 persone, tra cui 5.400.000 bambini.

Anche l’ong ‘Un ponte per…’ ha denunciato che in Siria, donne e bambine pagano il prezzo più alto della guerra: “Sono le prime a perdere l’opportunità di studiare, ad essere esposte a violenze, ad essere discriminate. E le ultime ad essere supportate. Nel Nord Est Siria dopo 13 anni di conflitto ancora 2.000.000 persone sono in stato di necessità.

L’emergenza colpisce le donne e le bambine in maniera diversa e contribuisce ad aumentare violenza di genere, disuguaglianze economiche, matrimoni infantili e lavoro minorile. Difendere i diritti di donne e bambine in Siria è fondamentale per garantire protezione e partecipazione attiva nella vita pubblica del loro paese, come ha raccontato Nada, la madre di Mariam (8 anni), Bissan (11 anni) e Ghazal (13 anni): “Hanno vissuto cose che nemmeno noi adulti avremmo potuto gestire. Quando siamo arrivati a Raqqa non giocavano con i loro compagni di scuola, non avevano nemmeno amici, non si fidavano di nessuno. Erano cupe e timide. Oggi sorridono e riescono a stringere relazioni con i loro coetanei”.

Per questo grazie alla campagna ‘Libere di rompere’ di ‘Un Ponte per…’ 304 donne e ragazze e 283 bambine/i sono state coinvolte in attività psico-sociali negli ‘Spazi Sicuri’ garantendo loro l’opportunità di socializzazione in uno spazio protetto; 16 donne e 24 bambine/i sopravvissuti/e a violenze e abusi hanno ricevuto un’assistenza psicologica e sociale gratuita e continua; 150 donne e bambine/i hanno usufruito del servizio di trasporto sicuro e gratuito per raggiugere gli Spazi Sicuri e riuscire ad avere accesso ai servizi a loro dedicati; 1350 bambini/e e 1000 donne e ragazze sfollate provenienti da Aleppo, Raqqah, Idlib e Jarablous, hanno ricevuto servizi sanitari primari gratuiti e salute materna e infantile presso il Centro Sanitario di base di Membij, l’unica struttura di assistenza primaria operativa esistente nell’area di 70 km.

I vescovi lombardi invitano a guardare l’Europa

A Caravaggio il 13 e 14 marzo i Vescovi della Lombardia si sono incontrati per la loro sessione di lavori in previsione del prossimo Consiglio permanente della Cei. Con loro hanno partecipato a una sessione di lavoro anche i 34 Incaricati regionali e Assistenti dei vari settori della pastorale della regione. Si sono condivisi i risultati della recente Visita ad Limina e la gioiosa esperienza dell’incontro con papa Francesco, che ha stimolato a una pastorale capace di dire il volto bello di una Chiesa che accoglie tutti. Infine, in previsione dei prossimi appuntamenti elettorali, i Vescovi vogliono condividere con tutti le seguenti loro riflessioni per guardare insieme al bene comune delle nostre città e dell’Europa.

Il primo invito è quello ad un’assunzione di responsabilità: “L’assunzione di responsabilità da parte dei cristiani e delle persone serie, capaci, oneste in politica è particolarmente urgente in questo tempo. L’interessamento e l’impegno diretto in politica è una doverosa espressione della cura per il bene comune. L’indifferenza che induce all’astensionismo, il giudizio sommario che scredita uomini e donne impegnati in politica sono atteggiamenti che devono essere estranei alla comunità cristiana”.

I vescovi lombardi hanno invitato con chiarezza ad una scelta contro la guerra: “Sono chiamati a farsi avanti uomini e donne che siano voce coraggiosa e sapiente, profetica e realistica per dire: no alla guerra assurda e disastrosa, noi cerchiamo la pace giusta e possibile; no alla follia delle armi che guadagna nel distruggere, noi chiediamo che ci siano risorse per costruire e curare; no alla diseguaglianza scandalosa che con sperperi irresponsabili rovina i popoli, ignora i poveri e distrugge il pianeta, noi siamo assetati di giustizia e dedicati alla solidarietà;

no all’ambigua tolleranza che apre le porte al denaro sporco che si moltiplica sfruttando le debolezze umane, incrementando dipendenze, approfittando del sovraindebitamento, noi pratichiamo e insegniamo la legalità; no alla cultura individualistica e libertaria che legittima l’aborto come diritto e non rispetta la vita di persone fragili, noi chiediamo che la legge difenda i più deboli; no a una gestione delle risorse della comunità che trascuri i bisogni primari della casa, del lavoro, della formazione, noi proponiamo alleanze per condizioni di vita dignitose per tutti”.

Il secondo invito riguarda la responsabilità verso l’Europa: “Le elezioni europee ed amministrative sono un esercizio doveroso di democrazia e di responsabilità civile che coinvolge tutti i cittadini e sollecita anche il manifestarsi di disponibilità al servizio delle istituzioni. La comunità ecclesiale guarda con stima a coloro che, anche sacrificando tempo ed energie personali e familiari, scelgono di dedicarsi al bene comune”.

Ed anche i cristiani impegnati in politica devono trovare un contesto nella Chiesa: “I cristiani che ricoprono responsabilità in ambito politico e amministrativo devono trovare nella comunità cristiana il contesto propizio per alimentare la loro fede nell’ascolto della Parola di Dio, per motivare il loro servizio al bene comune, per trovare negli insegnamenti della Chiesa e nel confronto fraterno il contesto propizio per un saggio discernimento.

Compito dei pastori è formare le coscienze, motivare l’impegno, incoraggiare le responsabilità, astenersi dal prendere posizioni nel confronto tra i partiti e le persone che si presentano per raccogliere il consenso dell’elettorato”.

Nell’ultimo punto anche i vescovi lombardi ribadiscono che le parrocchie non possono essere coinvolte nella campagna elettorale: “Le strutture delle parrocchie e degli altri soggetti ecclesiali non possono essere utilizzate per la campagna elettorale. La comunità cristiana, associazioni e movimenti devono sentirsi incoraggiati a promuovere di propria iniziativa opportuni confronti su temi sociali e iniziative di formazione per suggerire criteri di discernimento in ogni ambito della vita, anche in quello politico e amministrativo.

Si deve valutare l’opportunità che i candidati nelle elezioni amministrative e politiche sospendano incarichi pastorali per evitare di essere motivo di divisione nelle comunità cristiane e per favorire la libertà di tutti sia nel proporsi sia nel votare”.

Nella conclusione i vescovi lombardi chiedono di scegliere la pace: “Verranno giorni di pace? Sarà possibile una società più giusta? Sapremo costruire una città, un paese, un’Europa dove sia desiderabile abitare insieme? Noi che andiamo a votare diciamo alla gente di oggi e alle generazioni future: sì, sarà possibile, perché ciascuno di noi, secondo le sue responsabilità, competenze e ruoli mette mano adesso all’impresa di aggiustare il mondo!”

Ad Haiti si rischia una guerra civile

Bande criminali che controllano il centro della capitale, Port-au-Prince, dopo aver preso d’assalto le carceri e liberato 4mila detenuti. Il primo ministro, Ariel Henry, al quale viene impedito di rientrare nel Paese dopo il viaggio in Kenya per firmare un accordo relativo ad una missione multinazionale per la sicurezza, che dovrebbe mettere a disposizione un migliaio di soldati. Haiti è allo sbando, con un primo ministro considerato illegittimo dagli oppositori, che si è dimesso, ed ancora nessuna alternativa politica concreta da poter proporre come soluzione, come ha dichiarato la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite, Ulrika Richardson, ai giornalisti in una conferenza stampa virtuale dalla capitale haitiana, Port-au-Prince: “Prosegue l’escalation di violenza ad Haiti, “con bande armate che compiono omicidi e atti di violenza sessuale”.

Attualmente sono più di 5.000.000 le persone bisognose di assistenza, poco meno della metà della popolazione totale. La maggiore criticità è quella dell’insicurezza alimentare, per cui si riscontra un aumento importante dei casi di malnutrizione soprattutto tra i bambini e le donne incinte. Gli atti di violenza a cui è sottoposta quotidianamente la popolazione sono un’altra delle questioni nodali. Nel 2023 erano state segnalate più di 8.400 persone uccise, ferite o rapite, più del doppio rispetto al 2022. Le bande continuano a combattere per il territorio e si stima che controllino fino all’80% di Port-au-Prince.

I bambini costituiscono la maggior parte della popolazione bisognosa, circa 3.000.000 e l’escalation delle violenze sta compromettendo il loro accesso all’istruzione, senza contare che molti di questi facevano affidamento al sostegno dell’alimentazione scolastica e si trovano così privati anche di questo apporto alimentare, come ha raccontato Flavia Maurello, responsabile AVSI ad Haiti: “Le principali vittime della condizione in cui versa Haiti sono i bambini e le donne incinte. Ci sono interi mesi in cui i bambini non vanno a scuola, e questo incide sullo sviluppo del Paese. Ci sono poi le donne incinte che non riescono ad accedere agli ospedali, molte di loro arrivano al nono mese di gravidanza senza aver mai incontrato un medico. La situazione sanitaria è anch’essa disastrosa. La non cura dei politici ha reso ingestibile la situazione nei quartieri in cui si lavora. Non vi è più la pulizia dei canali, vi sono cumuli di spazzatura alti come montagne, case completamente allagate, e questo ha portato al ritorno dell’epidemia di colera”.

All’Agenzia Sir mons. Max Leroy Mésidor, arcivescovo metropolita di Port-au-Prince, è molto lapidario: “L’insicurezza imperversa a Port-au-Prince da più di due anni. Ma negli ultimi mesi la situazione è peggiorata. Le bande controllano più di tre quarti del territorio della capitale. Occupano ogni giorno nuove aree sotto lo sguardo impassibile e indifferente delle autorità”. Di fronte a questo scenario, l’arcivescovo di Port-au-Prince ha descritto le difficoltà della Chiesa nell’opera di evangelizzazione: “La Chiesa condivide il destino della popolazione: è anche particolarmente esposta. Sacerdoti e religiosi sono stati rapiti e poi rilasciati per riscatto. Una religiosa italiana, suor Luisa Dell’Orto, è stata freddamente giustiziata in pieno giorno lo scorso anno”.

Anche i missionari salesiani continuano a cercare di operare nel Paese, prendendosi cura della popolazione, pur di fronte all’attuale ondata di violenza senza precedenti, come racconta ‘Misiones Salesianes’: “La situazione ad Haiti è caotica. Non ci sono parole per descriverla. Stiamo vivendo un inferno… La violenza e le bande dominano Haiti. La situazione di instabilità che vive il Paese dall’assassinio del presidente Jovenel Moïse, nel 2021, è esplosa negli ultimi giorni quando il primo ministro Ariel Henry ha annunciato il suo impegno a tenere le elezioni prima dell’agosto 2025. Da allora, l’assalto al due carceri della capitale ha liberato più di 3.000 detenuti, sparatorie e tentati assalti al Palazzo Nazionale, danni all’aeroporto e la richiesta dei capi delle bande criminali, ex alti funzionari della Polizia, al Primo Ministro, chi si trova a Porto Rico e non può tornare nel Paese, rinuncia al potere”.

Haiti è in attesa del dispiegamento di una missione internazionale di sostegno alla sicurezza guidata dal Kenya e approvata dalle Nazioni Unite lo scorso ottobre. Nel frattempo, Haiti sopravvive nel mezzo del collasso istituzionale, dell’incapacità della polizia e dell’esercito di far fronte alle bande criminali e con una popolazione che non ha abbastanza da mangiare: “Noi salesiani, per il momento, stiamo bene, ma non possiamo svolgere alcuna attività dal 29 febbraio, quando è iniziata questa situazione… Le bande stanno saccheggiando le stazioni di polizia e tutto ciò che incontrano, gli esercizi commerciali, i negozi… vogliono impossessarsi del Palazzo Nazionale, dell’aeroporto”.

I missionari salesiani operano ad Haiti dal 1935: “Le nostre opere educative si estendono in 8 città del Paese, da Cap-Haitien nel nord, attraverso la capitale ed a Les Cayes nel sud e servono più di 22.000 minori e giovani ogni anno nelle scuole, nei centri di formazione professionale, nei centri giovanili e di affidamento le case”.

Ed il futuro di Haiti è complesso. Perché si rischia una guerra civile: “Viviamo nella paura ogni giorno perché non sappiamo cosa potrebbe accadere un minuto dopo. Questa è la nostra vita negli ultimi giorni, per questo chiediamo preghiere e che non ci dimentichiate”.

Papa Francesco: la santità non è un’eccezione

“E, per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra. Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte: lui pregava con questo. Tanti giovani, tanti giovani vanno a morire! Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta”:

anche oggi, al termine dell’udienza generale papa Francesco ha continuato a ripetere che la guerra è sempre una ‘pazzia’ contro i suoi detrattori, desiderosi di guerre ed uccisioni, con la stessa aggressione che a suo tempo mostrarono per papa Benedetto XVI e papa Giovanni Paolo II.

Ed in piazza san Pietro, continuando il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, ha incentrato la sua riflessione sul tema ‘L’agire virtuoso’, che è stata letta da don Pierluigi Giroli, a causa del raffreddore, parlando dell’azione virtuosa:

“Dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico, che sta in opposizione all’esperienza del male. Il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo.

Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti. La riflessione intorno a questa nostra meravigliosa possibilità forma un capitolo classico della filosofia morale: il capitolo delle virtù”.

Dopo un breve excursus linguistico sulla parola ‘virtù’ papa Francesco ha affermato che la santità non è un’eccezione: “Saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie.

I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo. Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia!”

E’ stato un invito a riscoprire questa azione virtuosa: “Ecco perché il capitolo sull’agire virtuoso, in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti. In un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre”.

La definizione di virtù è data dal n^ 1803 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: ‘La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene’. Non è dunque un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica. La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel ‘libro di Dio’, ma la virtù è un’altra cosa”.

Quindi la virtù è correlata alla libertà: “E’ un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore. La virtù è un habitus della libertà. Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta. Se la virtù è un dono così bello, subito nasce una domanda: come è possibile acquisirla? La risposta a questa domanda non è semplice, è complessa”.

Per il cristiano si acquisisce con l’aiuto della grazia di Dio: “Per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa. Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo. Sempre la grazia precede il nostro impegno morale”.

La catechesi del papa è stato un invito a non dimenticare la saggezza dei ‘padri’, invitando all’apertura mentale: “Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza.

L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano. Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: la guerra è pazzia che arricchisce

Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha risposto alle domande di alcuni giornalisti a proposito dell’anticipazione dell’intervista alla Radio Televisione Svizzera (RSI), che sarà trasmessa mercoledì 20 marzo, spiegando che l’auspicio di papa Francesco per l’Ucraina, da sempre definito ‘martoriato’, è tutto racchiuso nelle parole già espresse all’Angelus dello scorso 25 febbraio, in cui ribadiva il suo ‘vivissimo affetto’:

“Il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista, parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il papa ha affermato chiaramente: il negoziato non è mai una resa”.

Nell’intervista il giornalista Lorenzo Buccella ha domandato a papa Francesco il suo pensiero sulla possibilità di una resa da parte degli ucraini: “In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?”

Il papa ha risposto che la negoziazione può essere una risposta ‘coraggiosa’:”E’ un’interpretazione. Ma credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa.

Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio con la guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, per esempio … Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio”.

E tutti hanno iniziato a gridare allo scandalo per il semplice fatto che il papa ha indicato una possibile via per la pace, che è il negoziato, ricordando che Stalin ha massacrato gli ucraini : “Il negoziato non è mai una resa. E’ il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto…”.

Però in questa intervista il papa ha fatto appello agli ucraini, in quanto è molto chiaro che l’invasore è la Russia; e la mediazione era stata usata dal papa in una domanda riguardante il conflitto in Medio Oriente, invitando a guardare avanti, perché le guerre precedenti ‘tutte finiscono con l’accordo’: “Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza.

Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. I responsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la ‘guerra-guerrigliera’, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. E’ una brutta cosa”.

E’ un messaggio chiaro, quello lanciato dal papa, ‘la guerra è una pazzia’, che nessuno vuole comprendere, perché con la guerra ci si arricchisce: “C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra?

Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi”.

Ed ha paragonato la guerra alle tenebra: “Una guerra è tenebrosa, sempre, oscura. Il potere dell’oscuro. Quando si parla di bianco si parla di innocenza, di bontà e di tante cose belle. Ma quando si parla dell’oscuro, si parla del potere delle tenebre, di cose che non capiamo, di cose ingiuste. La Bibbia parla di questo. Le tenebre hanno un potere forte di distruggere. E’ un modo letterario di dirlo, ma quando una persona uccide, pensiamo a Caino, ad esempio, è una persona tenebrosa”.

Inoltre ha chiamato ‘ipocriti’chi prima promuove la guerra eppoi mandano gli aiuti umanitari: “Interventi umanitari? Sì alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa. E non è facile”.

Ecco tutto quello che ha detto il papa chiaramente sulla guerra e la frase ‘bandiera bianca’ è inserita nell’articolo 32 della Quarta Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso (1907):

“E’ considerato parlamentare l’individuo autorizzato da uno dei belligeranti a entrare in trattative con l’altro e che si presenti con bandiera bianca. Egli ha diritto all’inviolabilità, e così pure il trombettiere o tamburino, il portabandiera e l’interprete che l’accompagnassero”.

I salesiani raccontano l’emergenza a Goma

“Pochi giorni fa si sono intensificati gli scontri tra l’esercito regolare ed i ribelli dell’M23 nel territorio di Masisi verso Mushaki, Karuba, villaggi sovrastati da alte montagne; altri villaggi, Shasha, Kirotshe, Kihindo, hanno vissuto la stessa situazione. Da mercoledì 7 febbraio 2024 moltissime famiglie si sono trasferite in massa a Minova e a Sake. Ma gli scontri si sono avvicinati, le bombe cadono sulla città, si sente il crepitio di proiettili”: così hanno denunciato le Missioni Don Bosco la situazione umanitaria, che rischia di peggiorare.

I Salesiani, presenti in forza nella regione, continuano a fare il possibile per aiutare i bisognosi, muovendosi su tutti i fronti possibili con Missioni Don Bosco Onlus: “Sake si trova a 27 chilometri dalla città di Goma, nel territorio di Masisi. I leader tradizionali e gli abitanti di questa entità sono profondamente colpiti dalla situazione: più di 3.000 nuclei familiari hanno già abbandonato le loro case e il loro lavoro. Girovagano senza meta, non hanno né acqua né cibo. A causa delle cattive condizioni igieniche, il colera colpisce alcune persone ed è un rischio per tutti”.

Nel racconto i Salesiani hanno evidenziato il caos che si sta creando: “E’ sempre più difficile tenere il conto delle migliaia di persone che continuano a scappare in cerca di un posto sicuro lontano dagli scontri, è la seconda volta che gli sfollati provenienti da Shasha, Kirotshe, Kichonga, Ngungu, Karuba e altre località del territorio di Masisi si aggiungono alle migliaia di altri sfollati che si trovano nei campi della città di Goma. I campi sembrano non avere più spazio sufficiente.

Centinaia di bambini, anziani e giovani si ritrovano in condizioni inaccettabili ai lati della strada alla ricerca di famiglie ospitanti e altri prendono di mira i campi dove hanno la possibilità di essere accolti. I campi di Bushagala, Bulengo e Rusayo sono i più vicini, a seconda delle affinità altri preferiscono viaggiare molto per raggiungere le proprie famiglie in altri campi più lontani da Sake, questi sono i campi di Don Bosco Ngangi e quello di Kanyaruchinya.

Questa situazione si sta delineando proprio nel momento in cui i soldati che sono al fronte stanno lanciano bombe verso Goma, una è caduta sull’aeroporto, un’altra sulla scuola di Nengapeta mentre fortunatamente gli studenti erano già tornati a casa. Altre due sono cascate a pochi metri dall’Università di Goma e al nuovo mercato chiamato ‘Kisoko’ a Mugunga, ai margini dell’Ecole du Cinquantenaire, un’importante scuola tecnica di Goma. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso preoccupazione per l’escalation di violenza”.

Il salesiano Pascal Bauma ha testimoniato che sulla strada Sake-Goma ci sono sfollati già da diversi mesi: “Vivevano in quattro siti: Mama Zaina, Mayutsa, Kizimbo e Tshabiringa. Oggi, l’arrivo di nuovi sfollati dai villaggi di Shasha, Kirotshe, Mwambaliro, Buhunga e zone circostanti ha complicato la situazione della sicurezza: tutti sono in stato di vulnerabilità e costretti a fuggire di nuovo.

Molti si sono diretti verso Mugunga, a ovest di Goma. Lungo la strada si vedono bambini, giovani e anziani, seduti, stanchi, non sanno dove andare. Si tratta di un secondo esodo per le stesse persone. A Goma trovano altre migliaia di sfollati che sono scappati da Rutchuru e dalle località del Nord”.

Così i salesiani sono al fianco degli sfollati e continuano a distribuire aiuti di prima necessità, il campo sfollati di Don Bosco-Ngangi attualmente conta più di 3.500 famiglie, quello di Don Bosco Shasha ne ha circa 1.000 famiglie:

“Ai bambini più piccoli viene distribuita una pappa una volta al giorno, oltre al pasto che viene distribuito a tutti, sembra poco, ma significa tantissimo soprattutto per coloro che soffrono di malnutrizione. E’ necessario razionare cibo e acqua per poter aiutare tutti, nonostante sia impossibile prevedere quante altre persone possano raggiungere i campi nei prossimi giorni o mesi”.

Il direttore della comunità salesiana di Shasha, don Kizito Tembo, alcuni giorni fa ha inviato un messaggio ai suoi confratelli: “La situazione si sta infuocando, in breve tempo abbiamo sentito volare proiettili provenienti da tutte le direzioni e il panico ha attanagliato il villaggio. Per evitare di cadere in un’imboscata, ho chiesto a tutti di restare dove erano. E poiché l’assalto è stato improvviso, non siamo riusciti ad evacuare nessuno.

Nella comunità ci siamo chiusi in casa con 6 uomini, 8 donne e 18 bambini. Ci affidiamo alla misericordia divina, abbandonandoci nelle mani della Madonna. Il giorno dopo abbiamo appena trascorso una domenica più o meno tranquilla, a volte disturbata alcuni spari e qualche bomba che proveniva dalle montagne del Kiluku. Vi chiediamo di continuare a pregare per noi, perché ritorni completamente la calma e le persone ritornino alle loro varie attività”.

(Foto: Missioni Don Bosco)

ISMU: stranieri in leggero aumento e nascite in diminuzione

Nei giorni scorsi è stato presentato il XXIX rapporto dell’ISMU sulla migrazione, stimando che al 1° gennaio 2023 gli stranieri presenti in Italia sono circa 5.775.000, 55.000 in meno rispetto alla stessa data del 2022; però il bilancio demografico mostra una significativa crescita della popolazione straniera residente in Italia (+110.000 unità). Diminuisce, invece, la componente irregolare, che si attesta sulle 458.000 unità, contro le 506.000 dell’anno precedente, dovuta all’avanzamento delle regolarizzazioni attuate nel 2022 a completamento delle procedure di ‘emersione 2020’, come la riduzione dei ‘regolari non residenti’, sceso da 293.000 a 176.000.

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