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Il presidente della Repubblica: ricordare le foibe per ‘produrre’ anticorpi democratici

Alla vigilia della partenza per la ‘Visita ad limina’ fino ad oggi a Roma con tutti i vescovi del Triveneto, nei giorni scorsi il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha visitato il Sacrario della Foiba di Basovizza per un momento di preghiera di suffragio nel Giorno del Ricordo, accompagnato dal presidente del Comitato per i Martiri delle Foibe e della Lega Nazionale, Paolo Sardos Albertini, e da don Sergio Frausin, delegato per la cultura e l’Università:

“Sono grato al Presidente Paolo Sardos Albertini: se fin dal mio arrivo a Trieste in forma privata ero stato al Sacrario della Foiba di Basovizza (e poi tornato altre volte) questa visita e questo momento di preghiera sono stati ancora più intensi e ricchi di pensieri ed emozioni. Mi piace ripetere che la memoria deve essere una terra feconda, e dunque bonificata dall’odio e dal risentimento, perché possa generare un futuro pieno di speranza. Una memoria che non può dimenticare l’orrore di quanto subito ma che non resta nella gabbia del passato per edificare responsabilmente un mondo di giustizia e di fraternità”.

Mentre ieri il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che la tragedia delle foibe non può essere dimenticata, né minimizzata, ma allo stesso tempo va vista storicamente nel suo tragico contesto, come ultimo esito della guerra mossa dal fascismo: “Sono passati quasi 80 anni dai terribili avvenimenti che investirono le zone del confine orientale e 20 anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, deliberata dal Parlamento a larghissima maggioranza.

Giorno dedicato alla tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. Lungo tempo è trascorso da quegli eventi ma essi sono emotivamente a noi vicini: questo consente (in una vicenda storica complessa e ancora soggetta a ricerche, dibattiti storiografici e politici) di stabilire dei punti fermi e di delineare alcune prospettive”.

Il presidente della Repubblica italiana ha invitato a non dimenticare i ‘simboli’ della storia: “In quelle martoriate ma vivacissime terre di confine, che da secoli ospitavano popoli, lingue, culture, alternando fecondi  periodi di convivenza a momenti di contrasto e di scontri, il secolo scorso ha riservato la tragica e peculiare sorte di vedere affiancati, a pochi chilometri di distanza, in una lugubre geografia dell’orrore, due simboli della catastrofe dei totalitarismi, del razzismo e del fanatismo ideologico e nazionalista: la Risiera di San Sabba, campo di concentramento e di sterminio nazista, e la Foiba di Basovizza, uno dei luoghi dove si esercitò la ferocia titina contro la comunità italiana”.

Le foibe sono un esempio di una negazione della libertà: “Quel territorio, intriso di storie e di civiltà, condivise lo stesso tragico destino di molti Paesi dell’Europa centro-orientale, che, dopo la sconfitta del nazifascismo, si videro negate le aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all’autodeterminazione a causa dell’instaurazione della dittatura comunista, imposta dall’Unione Sovietica. Milioni di persone, in qui Paesi, si videro allora espulse dalla terra che avevano abitato, costrette a mettersi in cammino alla ricerca di una nuova patria”.

Storia che fu circondata dal silenzio: “Un muro di silenzio e di oblio (un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità) si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze, le terre dove avevano vissuto, di fronte alla minaccia dell’imprigionamento se non dell’eliminazione fisica”.

Una causa da ricercare nel fascismo: “Il nostro Paese, per responsabilità del fascismo, aveva contribuito a scatenare una guerra mondiale devastante e fratricida; e fu grazie anche al contributo dei civili e dei militari alla lotta di Liberazione e all’autorevolezza della nuova dirigenza democratica, che all’Italia fu risparmiata la sorte dell’alleato tedesco, il cui territorio e la cui popolazione vennero drammaticamente divisi in due. Questo, tuttavia, non evitò che le istanze legittime di tutela della popolazione italiana residente nelle zone del confine orientale fossero osteggiate, frustrate e negate”.

Ed ha definito ‘muro di Berlino’ il confine tra Italia e l’allora Jugoslavia: “Il nostro ‘muro di Berlino’, certamente ben minore per dimensioni ma con grande intensità delle sofferenze provocate, passava per il confine orientale, per la cortina di ferro che separava in due Gorizia, allontanando e smembrando territori, famiglie, affetti, consuetudini, appartenenze. Il nuovo assetto internazionale, venutosi a creare con la divisione in blocchi ideologici contrapposti, secondo la logica di Yalta, fece sì che passassero in secondo piano le sofferenze degli italiani d’Istria, di Dalmazia e di Fiume”.

E gli italiani, abitanti quelle terre, furono costretti alla morte od all’esilio: “Furono loro a pagare il prezzo più alto delle conseguenze seguite alla guerra sciaguratamente scatenata con le condizioni del Trattato di pace che ne derivò. 

Dopo aver patito le violenze subite all’arrivo del regime di Tito, quei nostri concittadini, dopo aver abbandonato tutto, provarono sulla propria sorte la triste condizione di sentirsi esuli nella propria Patria. Fatti oggetto della diffidenza, se non dell’ostilità, di parte dei connazionali”.

Un silenzio collettivo che si è trasformato in uno ‘stravolgimento’ della verità: “Le loro sofferenze non furono, per un lungo periodo, riconosciute. Un inaccettabile stravolgimento della verità che spingeva a trasformare tutte le vittime di quelle stragi e i profughi dell’esodo forzato, in colpevoli (accusati indistintamente di complicità e connivenze con la dittatura) ed a rimuovere, fin quasi a espellerla, la drammatica vicenda di quegli italiani dal tessuto e dalla storia nazionale”.

Insomma furono perseguiti per il semplice fatto di essere italiani: “La ferocia che si scatenò contro gli italiani in quelle zone non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o sommaria giustizia contro i fascisti occupanti; il cui dominio era stato – sappiamo – intollerante e crudele per le popolazioni slave, le cui istanze autonomistiche e di tutela linguistica e culturale erano state per lunghi anni negate e represse.

Le sparizioni nelle foibe o dopo l’internamento nei campi di prigionia, le uccisioni, le torture commesse contro gli italiani in quelle zone, infatti, colpirono funzionari e militari, sacerdoti, intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla da spartire con la dittatura di Mussolini. E persino partigiani e antifascisti, la cui unica colpa era quella di essere italiani, di battersi o anche soltanto di aspirare a un futuro di democrazia e di libertà per loro e i loro figli, di ostacolare l’annessione di quei territori sotto la dittatura comunista”.

Le foibe furono un dramma per l’Italia: “Le foibe e l’esodo hanno rappresentato un trauma doloroso per la nascente Repubblica che si trovava ad affrontare l’eredità gravosa di un Paese uscito sconfitto dalla guerra. Quelle vicende costituiscono una tragedia, che non può essere dimenticata. Non si cancellano pagine di storia, tragiche e duramente sofferte. I tentativi di oblio, di negazione o di minimizzare sono un affronto alle vittime e alle loro famiglie e un danno inestimabile per la coscienza collettiva di un popolo e di una nazione”.

Per questo il ricordo deve produrre ‘anticorpi’ contro la tragedia della guerra: “Malgrado queste tragiche esperienze del passato, assistiamo con angoscia anche oggi, non lontano da noi, al risorgere di conflitti sanguinosi, in nome dell’odio, del nazionalismo esasperato, del razzismo. Dall’Ucraina al Medio Oriente ad altre zone del mondo, la convivenza, la tolleranza, la pace, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale sono messi a dura prova. I soprusi e le violazioni si moltiplicano e chiamano quanti condividono i valori di libertà e di convivenza a una nuova azione di contrasto, morale e politica, contro chi minaccia la libertà, il corretto ordine internazionale e le conquiste democratiche e sociali”.

Il ricordo è essenziale per costruire una pace duratura, anche in Europa trafitta in questo momento dalla guerra: “Le divisioni, i conflitti, i drammi del passato, la cui memoria ci ferisce tuttora con forza e sofferenza, ci ammoniscono. Onorare le vittime e promuovere la pace, il progresso, la collaborazione, l’integrazione, aiuta a impedire il ripetersi di tragici errori, causati da disumane ideologie e da esasperati nazionalismi; e a non rimanere prigionieri di inimicizie, di rancori, di dannose pretese di rivalsa.

Se non possiamo cambiare il passato, possiamo contribuire a costruire un presente e un futuro migliori. All’Europa, e al suo modello di democrazia e di sviluppo avanzati, guardano nel mondo milioni di persone. L’unità dei suoi popoli è la sua forza e la sua ricchezza. Il buon senso e l’insegnamento della storia chiedono di non disperderla ma, al contrario, di potenziarla, nell’interesse delle nazioni europee e del futuro dei nostri giovani”.

Giorno del Ricordo: il racconto della letteratura

Si è svolta venerdì 10 febbraio al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, la celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, a cui sono intervenuti il presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, prof. Giuseppe De Vergottini, lo storico prof. Giovanni Orsina, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss ‘Guido Carli’, ed il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani. La cerimonia si è conclusa con il discorso del Presidente della Repubblica, che ha sottolineato la validità della legge che istituì nel 2004 questo ‘Giorno del Ricordo’:

Il presidente Sergio Mattarella invita a non dimenticare le foibe

“Sono passati quasi vent’anni da quando il Parlamento istituì, con una significativa ampia maggioranza, il Giorno del Ricordo, dedicato al percorso di dolore inflitto agli italiani di Istria, Dalmazia, Venezia Giulia sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi nella drammatica fase storica legata alla Seconda Guerra Mondiale e agli avvenimenti a essa successivi”.

Gli italiani ricordano gli infoibati

“Il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo, di tutti coloro che al confine orientale dovettero pagare i costi umani più alti agli orrori della Seconda guerra mondiale e al suo prolungamento nella persecuzione, nel nazionalismo violento, nel totalitarismo oppressivo”.

Lo ha detto il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ricordando le vittime delle foibe e gli esuli giuliani-dalmati: è stata una delle pagine più tragiche della storia italiana, quando l’Istria e la Dalmazia tra il 1943 e il 1947 divennero teatro di stragi. Le foibe sono cavità carsiche di cui è costellato il territorio della Venezia Giulia ma a loro sono ormai associati i massacri contro le persone in fuga dai territori contesi della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, firmati dai partigiani jugoslavi di Tito.

In quelle cavità furono gettati i corpi delle vittime, rendendo spesso difficile se non impossibile il loro ritrovamento. Secondo le stime furono tra i 5.000 e i 10.000 gli italiani vittime delle foibe. Agli eccidi seguì l’esodo giuliano dalmata, l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana in Istria e nel Quarnaro, esodo che si concluse solo nel 1960: secondo le stime, sarebbero tra i 250.000 ed i 350.000 gli italiani costretti a lasciare le loro case.

Simbolo della tragedia nazionale è la foiba di Basovizza, località nel comune di Trieste, un pozzo minerario profondo oltre 200 metri e largo circa 4, che durante le fasi finali della seconda guerra mondiale divenne un luogo di esecuzioni sommarie da parte dei partigiani di Tito. Qui, in ricordo di tutte le vittime delle foibe è stato costruito un Sacrario. Il 3 novembre 1991 il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, rese omaggio alle vittime lì sepolte e mai ritrovate: mentre nel 1992 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dichiarò il pozzo monumento nazionale.

Per il presidente Mattarella è doveroso ricordare la tragedia: “E’ un impegno di civiltà conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli istriani, dei fiumani, dei dalmati e degli altri italiani che avevano radici in quelle terre, così ricche di cultura e storia e così macchiate di sangue innocente. I sopravvissuti e gli esuli, insieme alle loro famiglie, hanno tardato a veder riconosciuta la verità delle loro sofferenze. Una ferita che si è aggiunta alle altre”.

Però il presidente della Repubblica ha sottolineato le cause che ha causato tale odio: “La sciagurata guerra voluta dal fascismo e l’occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie aggravando l’orribile succedersi di crimini contro l’umanità di cui è testimone il Novecento. Crimini che le genti e le terre del confine orientale hanno vissuto con drammatica intensità, generando scie di risentimento e incomprensione che a lungo hanno segnato le relazioni tra popoli vicini”.

In conclusione ha auspicato che tale memoria possa diventare un ‘seme di pace’: “Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile. Questo è l’impegno di cui negli ultimi anni il nostro Paese si è reso protagonista insieme alla Slovenia e alla Croazia per fare delle zone di confine una terra di incontro e prosperità, di collaborazione, di speranza”.

Infine ha sottolineato con favore la scelta di capitale della cultura europea una città di confine: “La scelta di Gorizia e Nova Gorica, che saranno congiuntamente Capitale della Cultura europea 2025, dimostra quanto importante sia per l’intera Unione che la memoria delle oppressioni disumane del passato sia divenuta ora strada dell’amicizia, della comprensione, del primato della dignità delle persone, nel rispetto delle diversità e dei diritti”.

Anche il presidente nazionale dell’ANLA, Edoardo Patriarca, ha sottolineato la necessità della memoria storica: “Oggi, rileggendo le dichiarazioni dei Presidenti Napolitano e di Mattarella, dei presidenti delle Camere e di tanti leader politici, condividiamo il ‘ricordo’ di quegli eventi drammatici nonostante le contrapposizioni ideologiche di alcune minoranze che annebbiano quel passato e non aiutano la comprensione di quanto è accaduto. Piccole frange ancora tentate di utilizzare la storia di quel dramma per un uso politico becero e strumentale”.

Però la memoria deve far emergere la verità sul periodo storico: “Al contrario le commemorazioni sono celebrate per unire nel nome della dignità inviolabile della persona, vero bersaglio di tutte le persecuzioni,  e del no alle guerre come strumento di risoluzione  dei conflitti internazionali. Noi di ANLA celebriamo questa giornata con compostezza, nel ricordo delle migliaia di connazionali uccisi, torturati e violentati. Vegliando soprattutto!

Rifuggendo dalla retorica stucchevole degli italiani ‘brava gente’: furono tanti quelli che accettarono la logica predatoria di un regime disumano come quello fascista, furono tanti quelli che simpatizzarono per un regime altrettanto disumano come quello comunista-titino. E ci opponiamo a coloro che vedono la tragedia delle Foibe come un improbabile contrappeso ai lager nazisti, o chi vorrebbe derubricarla a una punizione, tutto sommato meritata, ai fascisti”.

E’ un invito a non dimenticare per le generazioni future: “Noi siamo da un’altra parte, commossi e partecipi, vicini alle famiglie toccate da questa violenza inenarrabile. E vegliamo come ‘anziani’ (in latino antenaus o antianus deriva da antea che significa ‘prima’), di quelli ‘chi ci sono da prima’. A noi antianus spetta  il compito di vegliare e fare memoria, a tenere alto lo sguardo, aiutando coloro che sono ‘giunti dopo’ (i nostri figli, i nipoti, le giovani generazioni) a non dimenticare e a vigilare”.

Ed a Trieste mons. Giampaolo Crepaldi ha pubblicato una preghiera rivolta a tre martiri cristiani, vissuti in quel tragico periodo: “don Francesco Bonifacio, italiano, Lojze Grozde, sloveno e don Miroslav Bulesić, croato, le cui immagini ho collocato nella Cappella della Madre della Riconciliazione in via Cavana. La Chiesa li ha beatificati perché con il loro sangue di martiri, il sangue del perdono e dell’amore, essi riscattarono e purificarono le nostre terre imbrattate dal sangue dell’odio.

Dal loro martirio giunge a noi la condanna ferma dell’odio etnico che non è altro che il frutto velenoso di una visione distorta della civiltà, il monito ad operare instancabilmente per la riconciliazione tra i nostri popoli italiano, sloveno e croato e alcuni attualissimi e preziosi insegnamenti cristiani.

Questi: ogni uomo e ogni donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio, esigono il massimo del rispetto; Dio è Padre e ogni uomo e ogni donna sono fratello e sorella in umanità; non si può mai usare la violenza per imporre la propria verità;

l vero martire non è quello che uccide in nome di Dio, ma quello che si lascia uccidere piuttosto che rinnegare la sua fede in Dio. Affidiamo questo Giorno del Ricordo alla Vergine Maria che invochiamo come Madre della riconciliazione”.

Foibe: dal ricordo la verità

Oggi le Istituzioni italiane hanno celebrato il ‘Giorno del Ricordo’, che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, vuole conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. La data è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.

A Basovizza un passo verso la riconciliazione

Lunedì scorso il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ed il Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, si sono incontrati a Trieste, deponendo una corona presso la foiba di Basovizza e il monumento ai Caduti sloveni.

Ricordare le Foibe

“ll ‘giorno del Ricordo’, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo. Quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole”.

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