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Cei: proposte per dare speranza

Incontrando i giornalisti al termine della sessione invernale del Consiglio permanente della Cei, il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, ha ribadito che la Cei non ha ‘un progetto politico-partitico’, anche se si registra ‘un grande fermento, un desiderio di partecipazione dei cattolici, che ci dà tanta speranza’.
Per questo ha sottolineato che la partecipazione sta diventando anche «desiderio di protagonismo: non perché la politica debba essere cattolica, ma perché i cattolici, a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, pensano di poter dire qualcosa proprio a partire da questa identità e da determinati valori”. Per questo i vescovi italiani guardano “con fiducia al fatto che ci siano luoghi di confronto dove, pur nella legittima pluralità, i cattolici possano riconoscersi e dialogare. Ci sembra un fronte in movimento che ci dà tanta speranza. Vogliamo provare ad accompagnare questa voglia di partecipazione, prevedendo luoghi di confronto capaci di elaborare piattaforme comuni, proprio come è avvenuto a Trieste”.
Ecco il motivo per cui i vescovi hanno espresso gratitudine per gli spunti offerti nell’introduzione ai lavori da parte del card. Zuppi, sottolineando l’importanza dell’Anno Santo “da cogliere come opportunità per un rinnovato impegno nell’evangelizzazione ma anche per dare risposte alle questioni sociali sempre più stringenti.
Di fronte a quella che il card. Zuppi ha definito la ‘sete di spirito e di speranza nascosta nella vita delle persone’, è necessario infatti riscoprire la forza della preghiera e la bellezza della liturgia, lavorando su stili celebrativi condivisi e recuperando l’esperienza delle ‘case della preghiera’. In quest’ambito, è stato rilevato, un ruolo fondamentale possono giocarlo i laici, soprattutto i Lettori che aiutano proprio a pregare con la Parola di Dio, sulla cui formazione è opportuno puntare”.
All’interno del Consiglio permanente sono state elaborate anche alcune proposte: “In quest’ottica, sono state condivise alcune proposte per il Giubileo 2025, a partire dagli aggiornamenti sulla partecipazione degli italiani al Giubileo degli Adolescenti e a quello dei Giovani. Sono state presentate inoltre alcune iniziative promosse dalla Caritas Italiana per contribuire al riconoscimento della dignità e della libertà di ogni persona.
Tra queste, ‘Mi fido di noi’, un progetto di microcredito sociale a favore di quanti hanno difficoltà ad accedere al credito. Lanciato in occasione dell’Anno Santo, si propone di restituire speranza e dignità attraverso l’accompagnamento e il coinvolgimento della comunità ecclesiale. E’ prevista la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della Conferenza Episcopale Italiana, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini, anche attraverso attività di crowdfunding”.
Proposte a favore delle famiglie colpite da usura, supportate da Banca Etica: “L’accompagnamento delle persone e delle famiglie beneficiarie del credito, anche attraverso momenti formativi tesi a favorire una gestione consapevole e sostenibile del bilancio familiare, sarà affidato alle Caritas diocesane, in collaborazione con le Fondazioni Antiusura, che istruiranno le pratiche e ricopriranno il ruolo di enti erogatori. Il coordinamento a livello nazionale sarà svolto da CEI, mentre sarà Banca Etica a supportare le fasi operative del progetto”.
Ma anche per i percorsi riguardanti la fede: “Infine, oltre alle attività riguardanti i detenuti e le persone con disabilità, è stato illustrato ‘Cammini della fede’, che ha l’obiettivo di censire i percorsi di fede cristiana presenti sul territorio. Nel mese di marzo sarà online una WebApp che sosterrà i pellegrini con spunti di riflessione e informazioni utili sugli itinerari giubilari delle Chiese in Italia”.
Quindi è un invito a vivere la speranza con responsabilità: “La speranza, è stato evidenziato, non può più essere pensata come semplice attesa, ma va coniugata con la responsabilità, nella linea più volte indicata da papa Francesco. E’ tempo cioè di ‘organizzare la speranza’, per evitare che essa diventi un anestetico. Questo vuol dire mantenere alta l’attenzione sulle crescenti disuguaglianze, spesso dovute a un modello economico e di sviluppo iniquo, e sulla drammatica situazione delle carceri, dove l’indice di sovraffollamento e il numero preoccupante di suicidi chiedono di assicurare ‘condizioni dignitose a quanti vengono privati della libertà’”.
E’ uno stimolo ad una presenza dei cristiani nella vita politica, rivitalizzando le scuole di formazione: “Nel loro confronto, i presuli si sono soffermati sull’urgenza di ‘una rinnovata presenza dei cristiani nella vita politica del Paese e dell’Europa’, mostrando apprezzamento per i tentativi di gruppi e singoli che, specialmente a partire dalla Settimana Sociale di Trieste, hanno ripreso vigore. Si tratta di un segno che, a fronte della rarefazione della partecipazione alla vita politica e sociale, va colto, incoraggiato e accompagnato, nella consapevolezza che il Vangelo non è avulso dalla realtà, ma ha a che fare con la concretezza della vita. Per questo, secondo i vescovi, è fondamentale creare e rivitalizzare i luoghi di formazione socio-politica, aiutando a promuovere il dialogo senza cedere alle polarizzazioni e alle contrapposizioni sterili”.
Inoltre nella ‘battaglia’ contro gli abusi i vescovi hanno messo in ‘campo’ nuove alleanza per una maggiore tutela: “I Vescovi hanno rinnovato l’impegno a compiere ogni passo perché la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili porti alla promozione di ambienti sicuri. In questa prospettiva, sensibili e vicini al dolore delle vittime di ogni forma d’abuso, hanno ribadito la loro disponibilità all’ascolto, al dialogo e alla ricerca della verità e della giustizia…
Lo studio, che avrà carattere scientifico, verrà svolto da due enti di riconosciuta indipendenza e terzietà: l’Istituto degli Innocenti di Firenze e il Centro per la vittimologia e la sicurezza-Alma Mater-Bologna. Questa iniziativa va ad affiancare e integrare quanto emerge dalle rilevazioni sulle attività di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nelle diocesi italiane, giunte quest’anno alla terza edizione, che si fondano sui dati concreti forniti dai referenti dei Servizi territoriali e dai responsabili dei centri di ascolto nel loro operare quotidiano nelle diverse diocesi”.
Infine il Consiglio Permanente ha approvato il documento ‘L’insegnamento della religione cattolica: opportunità di formazione e dialogo’: “Il documento intende sottolineare e rilanciare il contributo dell’insegnamento della religione cattolica come occasione in cui si esprime il servizio della Chiesa alla comunità scolastica e l’alleanza educativa che è sottesa. Fra i temi che il testo approfondisce: l’attualità dell’insegnamento della religione cattolica, il profilo e l’impegno educativo dell’insegnante di religione, il ruolo della comunità ecclesiale”.
(Foto: Cei)
Azione contro la fame lancia ‘Hope4Gaza’ per inviare messaggi di speranza alle famiglie di Gaza

Azione Contro la Fame lancia la campagna globale Hope4Gaza con l’obiettivo di raccogliere e inviare messaggi di solidarietà e speranza presso la popolazione di Gaza, già supportata sul campo dall’organizzazione.
Nata dalla determinazione del team locale di Azione Contro la Fame, che non ha mai smesso di operare sul campo dall’inizio del conflitto, l’iniziativa prevede la traduzione dei messaggi in arabo, che saranno poi stampati e inseriti nelle migliaia di pacchi alimentari distribuiti dall’organizzazione nei primi mesi del 2025. Ogni messaggio rappresenta un filo di speranza che unisce persone di tutto il mondo alle famiglie in difficoltà.
L’iniziativa ‘Hope4Gaza’ ambisce a superare i confini del tradizionale aiuto umanitario, affiancando al sostegno materiale già fornito una significativa dimensione emotiva. ‘Hope4Gaza’ non consiste soltanto in aiuti alimentari: “E’ un’occasione per nutrire lo spirito e mostrare la nostra vicinanza alle famiglie di Gaza” dichiara Simone Garroni, Direttore Generale di ‘Azione Contro la Fame’.
Chiunque può partecipare inviando il proprio messaggio tramite il sito ufficiale della campagna e condividendo l’iniziativa sui social media con l’hashtag #Hope4Gaza. Ogni singolo contributo è prezioso e si intesse perfettamente con il mosaico globale di azioni di supporto già attive.
Ecco alcuni dei messaggi ricevuti:
‘Non perdete la speranza, la luce tornerà e i fiori sbocceranno nuovamente. Vi auguro serenità e felicità!’ – Claudia
‘La mia speranza è che tacciano le armi, si silenzi l’odio, che abbia voce solo la pace, la vita, la serenità. Ogni bambino ha diritto a un futuro di speranza’. – Luisa
‘Non siete soli, portiamo la vostra voce per le strade qui in Italia! Vi pensiamo e nel nostro piccolo cerchiamo di esservi vicino e far sì che non si smetta di parlare di voi! Un abbraccio!’ – Laura
‘Il mio piccolo contributo possa esservi di conforto e vi dia la forza per non abbandonare la speranza per la pace e per la condivisione fraterna di ciò che il mondo ci ha messo a disposizione’. – Mauro
‘Azione contro la Fame’ è un’organizzazione umanitaria internazionale impegnata a garantire a ogni persona il diritto a una vita libera dalla fame: “Specialisti da 45 anni, prevediamo fame e malnutrizione, ne curiamo gli effetti e ne preveniamo le cause. Siamo in prima linea in 56 paesi del mondo per salvare la vita dei bambini malnutriti e rafforzare la resilienza delle famiglie con cibo, acqua, salute e formazione.
Guidiamo con determinazione la lotta globale contro la fame, introducendo innovazioni che promuovono il progresso, lavorando in collaborazione con le comunità locali e mobilitando persone e governi per realizzare un cambiamento sostenibile. Ogni anno aiutiamo 21.000.000 di persone”.
Seconda Domenica Tempo Ordinario: la Famiglia è la vera chiesa domestica

Gesù dà il via alla vita pubblica santificando la famiglia, realtà dove l’uomo realizza pienamente se stesso, la famiglia intesa come legame intimo voluto da Dio tra un uomo e una donna; vincolo unitario ed indissolubile. Questo legame ci riporta all’alleanza sancita tra Dio e il suo popolo che si coniuga in ‘amore sponsale’: Dio ama la sua Chiesa come lo sposo è chiamato ad amare la sua sposa.
Gesù dà inizio alla sua vita pubblica partecipando ad una cena di matrimonio, dove compie il primo miracolo in favore della famiglia; conclude la vita pubblica con l’ultima cena dove istituisce il sacramento dell’Eucaristia: coincidenza assai significativa. La famiglia si costituisce con il sacramento dell’amore tra un uomo e una donna, ma al vertice di questo amore necessita la presenza di Cristo Gesù, il Figlio di Dio incarnato nel quale l’umanità è assunta dalla divinità.
E’ grande il sacramento del matrimonio: ma non c’è vera famiglia senza amore; ‘amare’, bada bene, non è solo piacere o solo eros; è necessario che nella famiglia l’amore diventi ‘donazione’ o ‘agape’: cioè ‘ti voglio bene’ (io voglio il tuo bene); questo amore, mirabile agli occhi di Dio, trova in Cristo Gesù il santificatore della famiglia.
E’ necessario invitare Cristo a nozze per costruire la famiglia (chiesa domestica) alla maniera della Chiesa di Cristo (che è la famiglia delle famiglie): solo allora si dà una base solida ed indiscussa alla famiglia. Anche Gesù nell’istituire la Chiesa cercò di darle una base solida, l’ha costruita su una pietra forte ed indiscussa: riunì attorno ad essa i Dodici, ne scelse uno: Simone, figlio di Giovanni, al quale disse: d’oggi innanzi ti chiamerai ‘pietra’, roccia, perché su questa pietra io edificherò la mia Chiesa: la Chiesa di Cristo Gesù, anche se è come una barca in un mare tempestoso, non affonderà mai perché al timone della barca c’è Pietro, elemento visibile di una realtà invisibile: lo Spirito Santo che guida la Chiesa e lo stesso Gesù sempre presente sulla barca e, pertanto, ‘le porte degli inferi non prevarranno’.
Ciò che conta è la presenza reale di Gesù nella famiglia. Il miracolo delle nozze di Cana è significativo: alla cena di nozze era presente Gesù con i Dodici e con Maria, sua madre. L’occhio vigile di Maria si accorge che il vino sta per finire ed invita Gesù ad intervenire con la sua forza divina. Maria invita poi i servi a recarsi da Gesù e questi ordina loro di riempire le anfore di acqua, poi benedice e questa diventa ottimo vino: un vino così squisito che spinse il maggiordomo a richiamare lo sposo: tutti recano a tavola il vino buono all’inizio, tu lo hai riservato solo per la fine; non sapeva, poverino, che era il vino del miracolo.
La crisi che oggi incombe sula società è crisi della famiglia, oggi si amano più i cani e i gatti che i bambini, oggi si preferisce la convivenza (amore provvisorio) al matrimonio (unione stabile per tutta la vita, oggi domina soprattutto l’eros, il piacere piuttosto che l’amore, che è sacrificio e donazione. E’ necessario ormai solo ricostruire la vera famiglia; questo è un tempo prezioso che richiede responsabilità ed amore. E’ necessario aprirsi al vero orizzonte dell’amore, alla luce della parola di Dio.
Il matrimonio è un dono: la donazione di sé all’altro, la gioia del dare e del fare felice. Il termine ‘coniuge’, cum iugo, due persone poste sotto lo stesso giogo, che si aiutano a vicenda e nell’aiuto realizzano se stesse, anche in chiave carismatica. per il bene della famiglia e della stessa società. Chi dà la forza e l’aiuto è sempre lo Spirito Santo: è il vino di cui si parla nel Vangelo, elemento essenziale ed insostituibile nella vita della famiglia.
Se il vino diminuisce o minaccia di finire: il vino della gioia, dell’amore, della donazione reciproca, alzate gli occhi al cielo, invocate Maria, madre del Cristo e madre della Chiesa: Maria collaborerà perché l’acqua diventi ottimo vino, Maria non abbandona i figli che si rivolgono a lei. Da soli si rimane vittima dell’egoismo, dell’orgoglio, della perfidia e della solitudine; con Cristo Gesù risplende la vera luce , si diradano le tenebre, torna a risplendere la gioia dell’amore vero e della vita. L’Eucaristia aiuta sempre gli sposi a rinnovare la loro alleanza di amore.
L’associazione Non si tocca la Famiglia celebra il decimo anniversario

Dopo un decennio di battaglie a difesa della famiglia, della vita e della libertà di educazione, questa associazione prolife ha voluto organizzare un evento sul tema ‘Dieci anni di passione’, che si svolgerà oggi e domani a Pomezia (Roma).
“Dopo questo arco temporale, ci prepariamo ad un momento formativo da vivere con tutti coloro che hanno seguito le nostre tracce, spesso lasciate su sentieri tortuosi e ripidi in cui abbiamo tentato di gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo, per tutelare la famiglia, la vita e la libertà di educazione”, ha spiegato Giusy D’Amico, docente e presidente di ‘Non si tocca la Famiglia’. “Ora è il momento di fermarci e fare il punto insieme, ricalcolare il percorso e proseguire il cammino più motivati di prima, sapendo che molti sono stati i traguardi raggiunti e che ancora di più sono le sfide che ci attendono”.
Questo evento vedrà la partecipazione di numerosi esponenti politici e religiosi, docenti, medici, esperti e genitori. Dopo i saluti istituzionali del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e dell’europarlamentare Antonella Sberna, interverranno Chiara Iannarelli, consigliere della Regione Lazio, don Gabriele Mangiarotti, sacerdote della diocesi di San Marino-Montefeltre e redattore responsabile del sito ‘Cultura Cattolica’, e noti esponenti prolife come Mario Adinolfi, presidente del Popolo della Famiglia, e Massimo Gandolfini, presidente dell’associazione Family Day.
Il programma – che sarà aperto dagli interventi di Giusy D’Amico e Nicola Di Matteo, presidente e vicepresidente di Non si tocca la Famiglia – prevede alcune sessioni sui temi ‘Dialoghi in famiglia’, ‘Scuola e educazione’ ed ‘Officina del fare e del pensare’. Prevista anche una sessione sul ‘Manifesto europeo per proteggere i ragazzi dall’ideologia transgender’, che vedrà collegamenti in diretta streaming da Italia, San Marino, Francia, Belgio, Polonia, Ungheria, Spagna, Gran Bretagna, Messico, Stati Uniti e Russia. A conclusione dell’evento, è prevista la votazione per l’elezione delle nuove cariche direttive dell’associazione. Ulteriori informazioni su www.nonsitoccalafamiglia.org.
Papa Francesco chiede di ricordare la data del proprio battesimo

“Questa mattina ho avuto la gioia di battezzare alcuni neonati, figli di dipendenti della Santa Sede e della Guardia Svizzera. Preghiamo per loro, per le loro famiglie. E vorrei chiedere al Signore, per tutte le giovani coppie, che abbiano la gioia di accogliere il dono dei figli e di portarli al Battesimo”: al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato ai fedeli radunati in piazza San Pietro di aver battezzato 21 neonati nella Cappella Sistina.
E’stato un invito a riflettere sul battesimo: “La festa del Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo, ci fa pensare a tante cose, anche al nostro Battesimo. Gesù si unisce al suo popolo, che va a ricevere il battesimo per il perdono dei peccati. Mi piace ricordare le parole di un inno della liturgia di oggi: Gesù va a farsi battezzare da Giovanni ‘con l’anima nuda e i piedi nudi’.
E quando Gesù riceve il battesimo si manifesta lo Spirito e avviene l’Epifania di Dio, che rivela il suo volto nel Figlio e fa sentire la sua voce che dice: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’. Il volto e la voce”.
E’ stato un invito a contemplare il volto ed ad ascoltare la voce di Dio: “Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci fa contemplare il volto e la voce di Dio, che si manifestano nell’umanità di Gesù. E allora chiediamoci: ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? Siamo capaci di riconoscere il suo volto in Gesù e nei fratelli? E siamo abituati ad ascoltare la sua voce?”
In conclusione ha invitato a ricordare la data del proprio battesimo: “Vi faccio una domanda: ognuno di noi ricorda la data del suo Battesimo? Questo è molto importante! Pensa: in quale giorno io sono stato battezzato o battezzata? E se non lo ricordiamo, arrivando a casa, chiediamo ai genitori, ai padrini la data del Battesimo. E festeggiamo la data come un nuovo compleanno: quella della nascita nello Spirito di Dio. Non dimenticatevi! Questo è un lavoro da fare a casa: la data del mio Battesimo”.
Mentre nella celebrazione eucaristica ha pregato i genitori di sostenere nel cammino della fede questi 21 bambini neo battezzati: “È importante che i bambini si sentano bene. Se hanno fame, allattateli, che non piangano. Se hanno troppo caldo, cambiateli… Ma che si sentano a loro agio, perché oggi comandano loro e noi dobbiamo servirli col Sacramento, con le preghiere. Adesso incominciamo questa cerimonia tutti insieme. Oggi, ognuno di voi, genitori, e la Chiesa stessa date il dono più grande, più grande: il dono della fede ai bambini.
Andiamo avanti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Continuiamo questa cerimonia del Battesimo dei vostri figli. Chiediamo al Signore che loro crescano nella fede una vera umanità, nella gioia della famiglia. E adesso continuiamo”.
Inoltre, in occasione del VI centenario dell’arrivo del Popolo Gitano in Spagna (gennaio 1425-2025), ha inviato un messaggio indirizzato a ‘queridos primos y primas, tíos y tías, querido Pueblo Gitano de España’: “Nel 2025 commemoriamo i 600 anni della vostra presenza in Spagna. Vorrei cogliere questa occasione per dimostrarvi il mio affetto, riconoscere i vostri valori e incoraggiarvi ad affrontare il futuro con speranza”.
Nel messaggio ha ricordato la loro storia, fatta di emarginazione: “Sono consapevole che la vostra storia è stata segnata da incomprensioni, rifiuti ed emarginazione. Ma anche nei momenti più difficili hai scoperto la vicinanza di Dio. Dio, infatti, percorre la storia insieme all’umanità e si è fatto nomade insieme al popolo zingaro. Anche Gesù nacque a Betlemme sotto il segno della persecuzione e dell’itineranza”.
Ma ha ricordato anche i ‘passi’ verso l’integrazione: “E’ anche giusto riconoscere gli sforzi compiuti negli ultimi decenni dal popolo zingaro, dalla Chiesa e dall’intera società spagnola, per intraprendere un nuovo cammino di inclusione che rispetti la vostra identità. Questo cammino ha prodotto molti frutti, ma bisogna continuare a lavorare, perché ci sono ancora pregiudizi da superare e situazioni dolorose da affrontare: famiglie in difficoltà che non sanno come aiutare i figli in difficoltà, giovani che hanno difficoltà a studiare, giovani persone che non riescono a trovare un lavoro dignitoso, donne che subiscono discriminazioni in famiglia e nella società”.
Inoltre ha ricordato il messaggio di papa san Paolo VI, pronunciato nel 1965, in cui affermò che essi sono nel ‘cuore’ della Chiesa: “Sono figli della Chiesa, di questa Chiesa nella quale tante persone, zingari e non zingari, si sono impegnate con responsabilità e amore per lo sviluppo integrale del popolo zingaro; di questa Chiesa che desidera continuare a spalancare le sue porte, perché tutti possiamo sentirci a casa; una Chiesa nella quale potete crescere nella fede cristiana senza rinunciare ai valori migliori della vostra cultura”.
E’ un invito a percorrere la strada di alcuni beati gitani: “Guardiamo avanti con speranza, seguendo le orme della beata Emilia Fernández Rodríguez, la cestista, e di Ceferino Giménez Malla, lo zio Pelé. Pur non volendolo, furono e continuano a essere maestri di fede e di vita per zingari e non zingari, come tante persone umili che aprono con fiducia la loro piccolezza alla grandezza di Dio”.
Questi beati ricordano l’importanza della preghiera: “Svelando i misteri del Rosario, entrambi i beati ci ricordano l’importanza della preghiera, dell’incontro con Dio, fonte di gioia, fraternità, speranza e carità. Entrambi hanno rischiato e perso la vita per amore di Dio e per cercare il bene degli altri: lo zio Pelé per aver difeso un prete ingiustamente detenuto, la cestaia per aver protetto i suoi catechisti. Entrambi furono missionari umili e coraggiosi”.
(Foto: Santa Sede)
Ludovica Teresa Maria Clotilde di Savoia: una donna innamorata della famiglia

Ludovica Teresa Maria Clotilde di Savoia nacque a Torino il 2 marzo 1843. Era la figlia primogenita di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena. Chechina, come veniva chiamata in famiglia, era docile e tranquilla, ma determinata. Ricevette un’ educazione fortemente cattolica che la portò ad amare la preghiera. A 10 anni scrisse nel suo diario: “Mi impegno a una piccola mortificazione: fare con aria amabile le cose che mi spiacciono e a serbare sempre per i poveri una parte dei miei piaceri”. Nonostante dovette affrontare quattro lutti importanti in un solo anno, non perse la fede.
Nel gennaio del 1855 morì la nonna paterna (Maria Teresa d’ Asburgo – Toscana) e, qualche giorno dopo, la sua stessa madre. A febbraio morì lo zio Ferdinando ( duca di Genova) mentre, a maggio, il fratellino Vittorio Emanuele, il quale era ancora in fasce. A 12 anni fece gli onori di casa in occasione della vita della zarina Aleksandra Fëdorovna, moglie dello zar Nicola I. Cavour propose un’alleanza coi francesi per cui la principessa avrebbe dovuto sposare Napoleone Giuseppe Carlo, noto anche come Gerolamo o Clom, figlio di Gerolamo Buonaparte, il quale era il fratellino di Napoleone Buonaparte. All’epoca Maria Clotilde aveva 15 anni e lui 21 di più.
Egli era un festaiolo che trascorreva il suo tempo tra i piaceri della vita di corte e della camera da letto. Era noto, inoltre, che provasse una certa avversione per la chiesa. Vittorio Emanuele decise di far scegliere a lei che, consapevole del valore politico che il matrimonio aveva per il futuro della nazione, dopo un mese di riflessioni acconsentì. Al riguardo, disse sempre: “L’ho sposato perché l’ho voluto io”. I due si sposarono nella cappella reale della Sacra Sindone nel 1859. Nonostante non fosse ben vista dalla corte, non si lamentò mai, dimostrandosi una vera regina. Noncurante delle difficoltà all’interno del matrimonio, Maria Clotilde continuò ad occuparsi di opere benefiche. Nel 1860 il suocero si ammalò.
Maria Clotilde, a lui molto affezionata, lo vegliò personalmente e gli fece ricevere l’estrema unzione prima del trapasso. Questo non fu gradito dal consorte, il quale si arrabbiò molto. Nel 1861, Maria Clotilde e il marito partirono per le Americhe. Durante questo viaggio, la donna rimase incinta e, nel 1862 nacque Vittorio Napoleone. L’anno dopo nacque Napoleone Luigi mentre, nel 1866, vene alla luce Maria Letizia. Quando cadde il secondo impero napoleonico, Maria Clotilde, allora 27enne, rimase nella città in rivolta contro il parere dei famigliari.
Scrisse, infatti al padre: “L’assicuro che non è il momento per me di partire. La mia partenza farebbe il più pessimo e deplorevole effetto. Non ho la minima paura: non capisco nemmeno di cosa debba aver paura. E perché? Il mio dovere è il rimanere qui tanto che lo potrò, dovessi io restarci e morirci: non si può sfuggire davanti al pericolo. Quando mi sono maritata, quantunque giovane, sapevo cosa facevo, e se l’ho fatto è perché l’ho voluto. Il bene di mio marito, dei miei ragazzi, del mio paese è che io rimanga qui.
L’onore persino del mio nome; l’onor suo, caro Papà, se così posso esprimermi, l’onore della mia Patria nativa. Lei non partirebbe, i fratelli non partirebbero. Non sono una Principessa di casa Savoia per niente! Si ricorda cosa si dice dei Principi che lasciano il loro Paese? Partire, quando il Paese è in pericolo, è il disonore e l’onta per sempre”.
Solo quando venne proclamata la repubblica, ella lasciò Parigi. Prima però, assistette alla messa quotidiana e visitò, come da consuetudine, i malati. Nel 1878 tornò in Italia con la sua unica figlia in occasione della morte del proprio padre. Restò lì dedicandosi alle attività benefiche. Il 25 giugno del 1911 morì e venne sepolta nella basilica di Superga. Nel 1936 fu indetta una causa di beatificazione nei suoi confronti, la quale è ancora in corso. Nel 1942, papa Pio XII la proclamò Serva di Dio.
Paola Veglio: un’imprenditoria etica per cambiare il mondo

Ideato dalle monache del Monastero Santa Rita da Cascia per promuovere un’imprenditoria ispirata al Vangelo ed un’economia solidale, il premio ‘Madre Maria Teresa Fasce’, quest’anno, è stato consegnato a Paola Veglio, donna, ingegnere, imprenditrice ed AD di ‘Brovind’, eccellenza del Made in Italy nell’automazione industriale, con questa motivazione: ‘A Paola Veglio, donna, ingegnere e imprenditrice, per aver saputo far crescere la sua azienda mantenendo l’attenzione verso le persone e per aver guardato al territorio con progetti e azioni capaci di migliorare la qualità della vita della comunità’.
Per questo la Madre Priora del monastero santa Rita da Cascia, suor Maria Rosa Bernardinis, ha spiegato il motivo dell’istituzione del premio, dedicata a madre Fasce: “Il premio Madre Fasce è dedicato alle donne che scelgono di essere protagoniste della necessaria rivoluzione solidale dell’economia facendo impresa non solo per il profitto, ma per generare impatto sociale e umano. In società segnate da crisi, conflitti e disuguaglianze, il modello di imprenditoria ispirato al Vangelo che la Fasce ci insegna è più attuale che mai e richiama all’etica e alla sostenibilità.
Lei è stata una vera ‘imprenditrice di Dio’, che nel 1900 ha costruito a Cascia, e da qui diffuso, un’impresa del bene, fondata sulla carità e sui valori cristiani incarnati da Santa Rita. In questo tempo sempre più lacerato dalle guerre, aprire il cuore agli altri in ogni ambito, sociale, economico e politico, mettendo le persone prima di ogni interesse personale e al centro di ogni azione, vuol dire promuovere anche la pace”.
Ricevendo il premio l’imprenditrice Paola Veglio ha espresso la propria gratitudine: “Ricevere un premio è sempre una grande soddisfazione, perché ci si rende conto di aver fatto qualcosa di buono. Ricevere questo premio ha un valore per me enorme, perché, dopo aver letto la sua biografia, ho trovato in Madre Maria Teresa Fasce un mondo magnifico, fatto di testardaggine, dove si va contro tutto e tutti per assecondare il bisogno spasmodico di aiutare il prossimo. In Lei ho avuto la conferma che cerco da una vita. Cambiare il mondo è possibile, se solo lo vogliamo”.
Per quale motivo ricevere il premio Madre Fasce è un onore?
Ricevere un premio è sempre un grande onore, perché significa che qualcuno ha notato il tuo impegno e lo ha apprezzato. Il premio Madre Fasce ha un valore per me immenso. La sua vita, il suo carattere, i suoi insegnamenti sono una fonte di ispirazione enorme. Più leggo della sua vita e più vedo punti d’intersezione con la mia filosofia di vita e di lavoro. Oltre al premio che mi è stato consegnato, ho ricevuto anche un altro bellissimo regalo: conoscere le monache, semplicemente eccezionali e rivoluzionarie nel loro pensiero e modo di fare. Quando le conosci vedi la Luce, ti riempiono l’anima. In un mondo grigio, troppo spesso fatto di persone cattive e invidiose, in cui si guarda solo a sé stessi, quella Luce è davvero un faro nella nebbia, che ti guida e ti rigenera.
‘In società segnate da crisi, guerre e disuguaglianze, il modello di imprenditoria che la Fasce ci insegna e che Paola Veglio incarna è più attuale che mai e richiama all’etica e alla sostenibilità’, aveva sottolineato la priora, suor Bernardinis. E’ possibile fare imprenditoria eticamente?
“Si può fare, è un modo di vedere la vita un po’ diverso da quello che ti impone oggi il mondo dei social e del ‘gregge’. Ho sempre pensato che in azienda, oltre al profitto, occorre creare valore. E, l’unico modo per farlo, è mettere le persone al primo posto e cercare di mettersi a loro disposizione, creando non solo posti di lavoro, ma ambienti in cui possano vivere bene. Sembra banale, ma non lo è affatto. L’azienda deve funzionare e guadagnare, altrimenti tanti discorsi virtuosi muoiono. Ma da lì in poi, sta all’imprenditore fare la differenza, oltrepassare gli stereotipi e donarsi ai propri valori e al prossimo”.
In quale modo è possibile cambiare il mondo?
“Basta volerlo più di ogni altra cosa. La mia vita è stata un percorso in cui tante volte sono andata in crisi perché ‘non potevo salvare tutti’. Ma sono arrivata a capire che, se aiutiamo chi abbiamo a fianco, ascoltandolo e provando a risolvere dei problemi, anziché creandone di nuovi, stiamo nel nostro piccolo salvando il mondo. Iniziamo dal sorridere al prossimo, poi da cosa nasce cosa e ci troveremo a costruire progetti che, a volte, coinvolgono intere comunità. Se solo si imparasse a sorridere, molte guerre, piccole o grandi, sparirebbero. Se anziché voler sopraffare, si iniziasse ad ascoltare, quanti dissidi già faremmo sparire? Un sorriso, un banale sorriso, può già salvare parte del mondo”.
Perché vuole ‘salvare’ i borghi?
“Perché sono preziosi, e lo saranno sempre di più, lontani anni luce dalla frenesia e dal nervosismo delle città. Ci sono paradisi incontaminati, ricchi di storia, di paesaggi da riscoprire e di cui prendersi cura. Se non facciamo qualcosa, i borghi spariranno per lo spopolamento e perderemo tesori inestimabili, in cui i nostri vecchi invece credevano. Noi abbiamo la possibilità di scegliere, e io ho scelto di viverli e rispettarli”.
E’ possibile coniugare il lavoro con la famiglia?
“Se si guarda la mia storia personale, mi viene spontaneo dire di no. Ma bisogna arrivare a non dover più scegliere tra uno o l’altro. Non esistono scelte giuste o sbagliate, sono semplicemente scelte. Dico sempre che ognuno, per giudicare, dovrebbe trovarsi nella stessa situazione, nello stesso momento della vita ed indossare le stesse scarpe. Ma poter scegliere è la più alta forma di libertà e parità. Ognuno dovrebbe poter sceglier nella vita il proprio destino, lontano dai pregiudizi e da quello che vogliono gli altri”.
Chi è per lei Madre Fasce?
“Una donna eccezionale e visionaria. Un’eroina dei nostri tempi, che ha saputo conciliare una vita monastica di clausura ad una serie di progetti importantissimi, che hanno portato il monastero di santa Rita da Cascia a essere il luogo di pellegrinaggio come lo conosciamo oggi. Aveva una visione imprenditoriale incredibile e, con la sua testardaggine e volontà, ha fatto sì che i suoi progetti si realizzassero, illuminati dalla luce della Fede”.
(Tratto da Aci Stampa)
Aperte le Porte Sante nelle diocesi: vivere il Giubileo da figli di Dio

Al termine della recita del l’Angelus papa Francesco ha preso lo spunto dal Vangelo odierno per raccontare le esperienze familiari, invitando al reciproco ascolto: “Oggi festeggiamo la Santa Famiglia di Nazaret. Il Vangelo racconta di quando Gesù dodicenne, al termine del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, fu smarrito da Maria e Giuseppe, che lo ritrovarono dopo nel Tempio a discutere con i dottori”.
Infatti è quotidiana vita familiare il confronto tra genitori e figli, che può essere superato attraverso il dialogo: “E’ una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo. Fermiamoci a guardare questa famiglia. Sapete perché la Famiglia di Nazaret è un modello? Perché è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice”.
E la Madre di Dio non ‘rimprovera’ Gesù, anche se mostra la propria preoccupazione: “E’ bello quando una madre non inizia con il rimprovero, ma con una domanda. Maria non accusa e non giudica, ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe ‘non compresero ciò che aveva detto loro’, a dimostrazione che nella famiglia è più importante ascoltare che capire. Ascoltare è dare importanza all’altro, riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente. I figli hanno bisogno di questo. Pensate bene, voi genitori, ascoltate i figli hanno bisogno!”
Per questo il papa ha ‘sollecitato’ il dialogo in famiglia allo stesso modo della Santa famiglia: “Parlare, ascoltarsi, questo è il dialogo che fa bene e che fa crescere! La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe è santa. Eppure abbiamo visto che anche i genitori di Gesù non sempre capivano. Possiamo riflettere su questo, e non meravigliamoci se qualche volta in famiglia ci succede di non capirci… Quello che oggi possiamo imparare dalla Santa Famiglia è l’ascolto reciproco”.
Ma oggi in tutte le diocesi del mondo sono state aperte le ‘porte sante’ giubilari; a Roma la Porta Santa di San Giovanni in Laterano è stata aperta dal vicario generale della diocesi, card. Baldassarre Reina: “Con grande gioia abbiamo vissuto il gesto dell’apertura della Porta Santa nella nostra Cattedrale; con esso abbiamo voluto rinnovare la professione di fede in Cristo, Porta della nostra salvezza, confermando il nostro impegno a essere per ogni fratello e sorella segno concreto di speranza, aprendo la porta del nostro cuore attraverso sentimenti di misericordia, bontà e giustizia”.
Nella domenica dedicata alla Santa Famiglia il vicario generale ha rivolto un invito ad essere una ‘comunità domestica specchio della comunione trinitaria’: “L’invito che si leva da questa celebrazione è quello di riconoscerci come famiglia di Dio, chiamata a crescere nell’unità e nella carità reciproca e di sostenere con la preghiera tutte le famiglie, in particolare quelle provate da difficoltà e sofferenze. Il gesto simbolico di alcune famiglie che hanno varcato la Porta Santa accanto ai concelebranti rappresenta un’eloquente testimonianza di questa missione, che avvertiamo particolarmente urgente nel nostro tempo”.
Ed ha sottolineato l’importanza di essere ‘figli di Dio’: “Essere figli di Dio è una realtà fondativa che ci introduce in una relazione viva e trasformante con il Padre. La fede si configura come un’esperienza profonda di relazione, che ci inserisce nella dinamica della figliolanza divina. Questa verità esige una continua riscoperta, un ritorno incessante alla sorgente dell’amore paterno di Dio, che illumina il senso autentico del nostro essere e del nostro agire. In questa luce, la parabola del Padre misericordioso si offre come uno specchio nel quale siamo invitati a riconoscerci”.
Questo è il significato di essere ‘pellegrini di speranza’: “Vogliamo diventare pellegrini di speranza, di questa speranza, di un amore che non si stanca, di una salvezza ritrovata, di una famiglia ricostituita. Da quelle braccia aperte impariamo a essere chiesa, a divenirne il sacramento, famiglia del Dio che libera la nostra libertà verso il bene. Non esitiamo a varcare la Porta che conduce al cuore di Dio, immagine viva delle sue braccia spalancate per accoglierci. Entriamo con fiducia, gustiamo e contempliamo quanto è buono il Signore; e una volta sperimentata la gioia di questa appartenenza filiale, diventiamo instancabili seminatori di speranza e costruttori di fraternità”.
Quindi la Porta Santa è un invito a vivere da ‘figli di Dio’, che accoglie tutti: “E’ un invito a rispondere alla grazia di Dio con un cuore aperto, lasciandoci riconciliare dal suo abbraccio che ci restituisce dignità e ci rende capaci di costruire relazioni di fraternità autentica…
Pensiamo ai malati, ai carcerati, a chi è segnato dal dolore, dalla solitudine, dalla povertà o dal fallimento; a chi si è lasciato cadere le braccia per sconforto o mancanza di senso; a chi ha smesso di cercare le braccia del Padre perché chiuso in se stesso o nella sicurezza delle cose del mondo. In questo mondo lacerato da guerre, discordie e disuguaglianze tendiamo le braccia a tutti; facciamo in modo che attraverso le nostre braccia spalancate arrivi un riflesso dell’amore di Dio”.
Anche a Milano mons. Mario Delpini ha aperto la porta santa, riprendendo un versetto del vangelo dell’apostolo Giovanni con l’invito ai fedeli di riflettere sulla promessa della luce che splende nelle tenebre: “Il Giubileo è l’anno di grazia per dire che le tenebre possono essere vinte, che i peccati possono essere perdonati”.
Con un chiaro riferimento ai tanti conflitti in corso nel mondo, mons. Delpini ha riflettuto sul valore della sapienza: “La sapienza visita la terra, cioè il Verbo di Dio si è fatto carne e ha offerto la sua gioia. La sapienza che giocava al cospetto dell’Altissimo è la rivelazione della gioia nel far risplendere la gloria di Dio che riempie la terra. Il Verbo di Dio rivela il senso di tutte le cose, perché tutto è stato fatto in lui e rivela che ogni libertà è destinata alla gloria, cioè all’amore che rende capaci di amare.
Perché non ti lasci convincere dalla promessa della gioia? L’anno del Giubileo può essere, infatti l’anno della gioia, nella contemplazione del mistero di Dio rivelato da Gesù, nello stupore per le grandi opere che il Signore ha compiuto, nel cantico che magnifica il Signore”.
Infine il Giubileo è un auspicio per la pace: “Professiamo di credere nella promessa della pace che realizza una nuova alleanza e perciò ci mettiamo incammino come pellegrini di speranza, per sanare i conflitti che ci vedono coinvolti, per un’opera di riconciliazione che offre e chiede perdono, che si propone percorsi di riparazione per rimediare al male compiuto e alle divisioni create dall’avidità, dalla prepotenza, dalla stupidità”.
A Torino il card. Roberto Repole ha sottolineato la vita familiare di Gesù: “Una bellissima occasione per continuare a scendere in profondità nel mistero del Natale. Gesù non è soltanto nato, ma ha avuto bisogno di un contesto familiare per ricevere tutto ciò che è necessario ricevere dalla consuetudine e dalla tradizione. Per ricevere quella grammatica della lingua, degli affetti, della religione che gli ha permesso di sbocciare e di vivere la sua missione. E noi ci specchiamo un po’ nella famiglia di Nazareth per cogliere come sia importante anche oggi nella crescita di qualunque fanciullo, di qualunque ragazzo, di qualunque giovane, che ci sia ancora un contesto familiare che consegna delle consuetudini e delle tradizioni, senza le quali non si può diventare adulti, autonomi, non si può sbocciare.
E per consegnare delle consuetudini e delle tradizioni, per consegnare una grammatica affinché i più giovani possano imparare a parlare in modo autonomo, ci va tutta la tenacia che occorre per vivere dei legami familiari. Un conto è innamorarsi, un altro conto è amare. Per amare e rimanere nell’amore ci va molta pazienza, ci va molta tenacia”.
Questo passo evangelico è un brano importante per vivere la speranza del giubileo: “Forse non c’era Vangelo migliore di questo per introdurci nell’Anno giubilare della speranza. La speranza non è né l’ottimismo né il pessimismo; non è né l’illusione e neppure la delusione. La speranza è ciò che scaturisce nella vita quando si abita e si sta con Cristo nelle cose del Padre.
Ed allora si percepisce che, comunque vadano le cose, sia che vadano secondo i nostri bisogni o i nostri desideri sia che vadano in maniera inversa rispetto ai nostri bisogni e ai nostri desideri, possiamo sperare. Possiamo sperare perché la nostra vita è saldamente ancorata con Cristo nelle cose del Padre, perché noi siamo con Cristo lì, collocati nelle cose del Padre, nel cuore del Padre. Ha ragione papa Francesco, indicendo questo Anno della speranza: ci ha invitati a coltivarla sapendo che niente e nessuno ci potrà mai separare dall’amore di Dio”.
(Foto: Diocesi di Roma)
La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe: vera icona della famiglia cristiana

La famiglia di Nazaret è particolare: in essa si apprende l’amore totale e puro che deve vigere tra i coniugi e tra genitori e figli. La liturgia oggi ci invita a Nazareth dove Gesù proclama il ‘Vangelo della famiglia’. Nel mistero dell’amore di Dio Gesù nasce, cresce e vive in una famiglia; nel disegno divino la famiglia è la comunità mirabile chiamata a rispecchiare la famiglia divina: la Santissima Trinità; i genitori ricevono da Dio il dono dei figli, ma non ne sono padroni; loro compito precipuo è ‘educare’, parola significativa che significa ‘tirare fuori’, fare emergere qualcosa.
Come da un blocco di marmo si tira fuori una statua, così i genitori fanno emergere la personalità del figlio, i talenti che ha ricevuto dal Signore e il progetto che Dio ha avuto nel creare quell’anima a sua immagine. I figli infatti si fanno in tre: i genitori preparano il corpo e Dio infonde l’anima spirituale, immortale. Nel progetto divino ogni uomo ha un ruolo da compiere, un progetto da realizzare.
Il Vangelo oggi presenta Gesù dodicenne: la famiglia di Nazareth è una famiglia, come le altre, dove si sperimentano prove, difficoltà, dolori. La sacra Famiglia ha sperimentato prove terribili come la strage degli innocenti, che costrinse Maria e Giuseppe a dovere emigrare in Egitto per salvaguardare la vita al bambino Gesù.
Oggi la liturgia ci invita a celebrare questa mirabile ‘icona’ in cui Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure di Maria e Giuseppe. La casetta di Nazareth è divenuta infatti una vera scuola dove si impara a meditare, ascoltare e a cogliere il significato profondo dell’incarnazione del Verbo eterno; essa ci insegna il silenzio, come affermava il pontefice Benedetto XVI: ‘atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito’.
Il Vangelo oggi ci parla del pellegrinaggio effettuato dalla sacra famiglia a Gerusalemme ed è colta in un momento particolare: non nella vecchiaia o nel giro di nozze ma assieme a Gesù, appena dodicenne, quando è ancora assai vivo il senso di responsabilità per l’educazione dei figli e per la stabilità dell’amore. Maria e Giuseppe sono uniti nell’adempiere ciascuno il proprio ruolo: sono uniti davanti a Dio; prendono parte allo svolgimento della vita sociale; badano con responsabilità alle esigenze del figlio.
Quando Gesù si smarrisce lo cercano per tre giorni e, trovatolo, Maria dolcemente richiama Gesù: ‘Figlio, perchè ci hai fatto questo? tuo padre ed io , angosciati, ti cercavamo’. E Gesù: ‘Perchè mi cercavate? non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?’ Risposta mirabile: Gesù ha un ruolo, una missione per la quale si è incarnato. Il Vangelo conclude: la sacra famiglia ritornò a Nazareth, Gesù era loro sottomesso e cresceva in età, sapienza e grazia. Nell’opera educativa condizione essenziale è l’amore reciproco dei genitori, questo infatti è il dono più grande che i genitori possono offrire ai figli.
Dice Maria: tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo; un amore congiunto con una unica finalità. Educare infatti non è comandare ma dialogo sincero nel rispetto della personalità dei figli. Educare per Dio e in nome di Dio. La famiglia rimane così la realtà fondamentale a salvaguardia di una società libera e solidale, anche se oggi essa viene sottoposta ad attacchi e sfide come la miseria, la disoccupazione, la mentalità contorta di tanti contrari al dono della vita come l’aborto, l’eutanasia e quell’individualismo esagerato che ignora o strumentalizza il debole.
La famiglia necessita di opportune iniziative sociali, religiose, ecclesiali; ha bisogno del sostegno del Signore, di Gesù grande e misericordioso. La famiglia di Nazareth rimane oggi la vera icona a cui fare riferimento. Il matrimonio è l’alleanza stabile tra l’uomo e la donna, alleanza che impegna alla reciproca fedeltà e poggia sull’affidamento a Dio. La famiglia è la roccia su cui poggia la fiducia dei figli.
Papa Francesco rivolge gli auguri di Natale: la salvezza è costruita da artigiani

“Sono felice che possiamo scambiarci gli auguri di Natale. Esprimo prima di tutto la mia gratitudine a ciascuno di voi per il lavoro che fate, sia a beneficio della Città del Vaticano che della Chiesa universale. Come ogni anno, siete venuti con le vostre famiglie e per questo vorrei riflettere un momento, brevemente, con voi proprio su questi due valori: lavoro e famiglia”: giornata di auguri natalizi per papa Francesco con i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e con la Curia romana.
Ai dipendenti vaticani papa Francesco incentra il messaggio augurale sulla famiglia e sul lavoro: “Quello che fate è certamente tanto. Passando per le strade e nei cortili della Città del Vaticano, nei corridoi e negli uffici dei vari Dicasteri e nei diversi luoghi di servizio, la sensazione è di trovarsi come in un grande alveare. E anche adesso c’è chi sta lavorando per rendere possibile questo incontro e non è potuto venire: diciamo loro grazie!”
E’ un lavoro ‘nascosto’ come lo è stato quello di Gesù: “Gesù stesso ce l’ha mostrata: Lui, il Figlio di Dio, che per amore nostro si è fatto umilmente apprendista falegname alla scuola di Giuseppe. A Nazaret pochi lo sapevano, quasi nessuno, ma nella bottega del carpentiere, assieme e attraverso tante altre cose, si costruiva, da artigiani, la salvezza del mondo! Avete pensato a questo: che la salvezza è stata costruita ‘da artigiani’? E lo stesso, in senso analogo, vale per voi, che col vostro lavoro quotidiano, nelle Nazaret nascoste delle vostre particolari mansioni, contribuite a portare a Cristo l’intera umanità e a diffondere in tutto il mondo il suo Regno”.
L’altro punto sottolineato è quello della famiglia, che invita ad amare, riprendendo la ‘lezione’ di san Giovanni Paolo II: “Amate la famiglia, per favore! Ed è vero: la famiglia, infatti, fondata e radicata nel matrimonio, è il luogo in cui si genera la vita (e quanto è importante, oggi, accogliere la vita!) Poi è la prima comunità in cui, fin dall’infanzia, si incontrano la fede, la Parola di Dio e i Sacramenti, in cui si impara a prendersi cura gli uni degli altri e a crescere nell’amore, a tutte le età…
Nella famiglia è stata trasmessa la fede. Vi incoraggio perciò (genitori, figli, nonni e nipoti, i nonni hanno una grande importanza vi incoraggio a restare sempre uniti, stretti tra voi e attorno al Signore: nel rispetto, nell’ascolto, nella premura reciproca”.
Eppoi un invito alla preghiera insieme: “Sempre uniti, mi raccomando, anche nella preghiera fatta insieme, perché senza preghiera non si va avanti, neanche in famiglia. Insegnate a pregare ai bambini! Ed in proposito, in questi giorni, vi suggerisco di trovare qualche momento in cui raccogliervi, assieme, attorno al Presepe, per rendere grazie a Dio dei suoi doni, per chiedergli aiuto per il futuro e per rinnovarvi a vicenda il vostro affetto davanti al Bambino Gesù”.
Mentre nell’augurio alla curia romana l’invito del papa è quello della benedizione: “Questo atteggiamento, il parlare bene e non parlare male, è un’espressione dell’umiltà, e l’umiltà è il tratto essenziale dell’Incarnazione, in particolare del mistero del Natale del Signore, che ci apprestiamo a celebrare. Una comunità ecclesiale vive in gioiosa e fraterna armonia nella misura in cui i suoi membri camminano nella via dell’umiltà, rinunciando a pensare male e parlare male degli altri”.
E lo ha fatto con un insegnamento di Doroteo di Gaza: “Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri. Doroteo è uno di questi. Nella scia di grandi Padri come Basilio ed Evagrio, egli ha edificato la Chiesa con istruzioni e lettere piene di linfa evangelica. Oggi anche noi, mettendoci alla sua scuola, possiamo imparare l’umiltà di accusare sé stessi per non dire male del prossimo”.
Infatti l’invito di Doroteo di Gaza consiste nella trasformazione del male in bene: “Accusare sé stessi è un mezzo, ma è indispensabile: è l’atteggiamento di fondo in cui può mettere radici la scelta di dire ‘no’ all’individualismo e ‘sì’ allo spirito comunitario, ecclesiale. Infatti, chi si esercita nella virtù di accusare sé stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio, il solo che crea l’unione dei cuori.
E così, se ciascuno progredisce su questa strada, può nascere e crescere una comunità in cui tutti sono custodi l’uno dell’altro e camminano insieme nell’umiltà e nella carità. Quando uno vede un difetto in una persona, può parlarne soltanto con tre persone: con Dio, con la persona stessa e, se non può con questa, con chi nella comunità può prendersene cura. E niente di più”.
E’ stato un invito ad essere ‘artigiani’ della benedizione: “Possiamo immaginare la Chiesa come un grande fiume che si dirama in mille e mille ruscelli, torrenti, rivoli (un po’ come il bacino amazzonico), per irrigare tutto il mondo con la benedizione di Dio, che scaturisce dal Mistero pasquale di Cristo”.
E’ la realizzazione del ‘disegno’ di Dio promesso ad Abramo: “Questo disegno presiede a tutta l’economia dell’alleanza di Dio con il suo popolo, che è ‘eletto’ non in senso escludente, ma al contrario nel senso che cattolicamente diremmo ‘sacramentale’: cioè facendo arrivare il dono a tutti attraverso una singolarità esemplare, meglio, testimoniale, martiriale”.
Infine ha rivolto un augurio ai ‘minutanti’, prendendo spunto da una frase di uno di loro apposto sulla porta (‘Il mio lavoro è umile, umiliato, umiliante’): “Direi che esprime lo stile tipico dell’artigianato della Curia, da intendere però in senso positivo: l’umiltà come via del bene-dire. La strada di Dio che in Gesù si abbassa e viene ad abitare la nostra condizione umana, e così ci benedice. E questo posso testimoniarlo: nell’ultima Enciclica, sul Sacro Cuore, che ha menzionato il cardinale Re, quanti hanno lavorato! Quanti! Le bozze andavano, tornavano… Tanti, tanti, con piccole cose”.
La mattinata di papa Francesco si è conclusa con l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione del re del Belgio Baldovino: “Volendo dare seguito a quanto disposto, il Dicastero ha iniziato il previsto iter costituendo in data 17 dicembre 2024 la regolare Commissione storica, composta da illustri esperti nella ricerca archivistica e nella storia del Belgio, per raccogliere e valutare la documentazione riguardante il Re Baldovino”.
(Foto: Santa Sede)