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La diocesi di Bolzano e Bressanone festeggia 60 anni di vita
Il 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.
Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ricorda in una lettera mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:
“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.
Nel messaggio mons. Muser invita a non perdere le radici della fede, pur essendo sempre in cammino: “Credere in Dio non inizia mai nello spazio vuoto e non parte mai da zero. Siamo dentro una storia, una storia di benedizione con tutti i suoi fallimenti, le sue crisi e le sue notti, ma anche con la promessa di vita e di salvezza. La fede comprende radici comuni, una comunità viva nel presente e la trasmissione di questa fede alle generazioni future. Penso in particolare ai bambini e ai giovani, che hanno bisogno della fede, dell’esempio e dei racconti di fede degli adulti”.
Quindi la fede è necessaria per offrire un ragionamento il più possibilmente obiettivo: “Questa fede ci protegge dal trionfalismo e dai punti ciechi e acritici, ma anche da giudizi ingiusti e ostentati sulla storia. Questa fede ci dà il coraggio di non giustificare, sorvolare o minimizzare tutto ciò che è accaduto nella storia, ma anche di essere abbastanza umili da non contrapporre con orgoglio e presunzione il presente al passato”.
Ed ha rivolto un ringraziamento ai predecessori: “Con gratitudine ricordo i miei predecessori che hanno contribuito a plasmare il cammino della nostra diocesi di Bolzano-Bressanone: il vescovo Josef Gargitter, il vescovo Wilhelm Egger e il vescovo Karl Golser. Li nomino in rappresentanza di tutti i sacerdoti, di religiose e religiosi, di insegnanti di religione, di donne e uomini, madri e padri, bambini, giovani e anziani che in questi 60 anni hanno dato un volto al Vangelo e al cammino della nostra Chiesa locale. Sono stati tanti e a loro dobbiamo molto!”
Quindi ha ricordato che la Chiesa è immersa nella vita sociale: “Nel corso della sua storia, la Chiesa non è mai stata un’entità statica e fissa. Come la luna, ha fasi crescenti e calanti. La posizione della Chiesa nella società odierna sta conoscendo grandi sconvolgimenti. Anche la società, con la sua dimensione sociale e politica, sta vivendo grandi sfide e tensioni. Le preoccupazioni per la salvaguardia del creato e le domande pressanti sollevate dai focolai di crisi e di guerra nel mondo rendono le persone preoccupate e spesso persino scoraggiate. Alle domande aperte sul piano sociale e antropologico vengono date risposte sempre più divergenti. Forme di ecclesialità finora familiari si stanno sgretolando”.
In questi 60 anni anche la Chiesa ha cambiato ‘aspetto’ ed i credenti diminuiscono: “La domanda di Dio, del Dio biblico, del Dio di Gesù Cristo è diventata nella nostra società una priorità secondaria o di terz’ordine. Abbiamo ancora bisogno di lui, lo cerchiamo ancora, lo amiamo ancora? Non pochi ritengono che la Chiesa sia sostituibile e non necessaria. Anche le sue due grandi fonti di forza, la Parola di Dio e i sacramenti, hanno perso attrattività e consenso. Le nostre celebrazioni eucaristiche e tutte le altre forme di culto sono molto meno partecipate e apprezzate rispetto a 60 anni fa”.
Però tale situazione potrebbe tramutarsi in speranza: “Come Chiesa siamo diventati più piccoli, meno importanti e meno influenti. Speriamo che questo cambiamento sia caratterizzato dalle parole che il grande Giovanni Battista, precursore di Gesù, poteva dire di se stesso: ‘Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca’. Allora non dobbiamo avere paura. Allora sperimenteremo di nuovo il sollievo e la speranza: si tratta di Lui, non di noi”.
E questo è stato il suo ringraziamento: “Vorrei ringraziare tutti coloro che nella situazione attuale danno un volto alla nostra Chiesa locale. Sono ancora molti! La nostra Chiesa vive della loro fede, della loro speranza, del loro impegno, della loro fedeltà e della loro preghiera. Per questo non ho paura del futuro, nonostante tutto e attraverso tutto. Abbiamo Lui nella nostra barca e Lui, il Crocifisso e Risorto, di certo non la abbandona!”
Ed infine un augurio di vita santa: “La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità. Se vogliamo plasmare il futuro, dobbiamo imparare dalla storia e affrontarla senza pregiudizi…
Auguro uno sguardo fedele alla storia della nostra diocesi e uno sguardo fedele dietro questa storia. Allora potrà essere chiaro quanto il nostro Dio si metta in relazione con l’umanità, quanto voglia e abbia bisogno di noi, di quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche sulle righe storte degli uomini.
Auguro che alla nostra Chiesa locale, all’arcidiocesi di Trento e alla diocesi di Innsbruck, alle quali siamo legati da una lunga storia, non manchino mai persone pronte a scrivere e a continuare a scrivere il piano di salvezza di Dio per l’umanità”.
(Foto: diocesi di Bolzano – Bressanone)
XXI Domenica Tempo Ordinario: Signore, tu hai parole di vita eterna!
Il Vangelo descrive la reazione della folla e di alcuni discepoli di Gesù al discorso a Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani: ‘Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane avrà la vita eterna’. La folla rispose a Gesù. ‘Questo linguaggio è duro’; cioè incomprensibile, inaccettabile! Chi può intenderlo? La risposta di Gesù è assai ferma: ‘Questo vi scandalizza? Allora se vedeste il figlio dell’uomo salire là dov’era prima?’
Per la folla il linguaggio è duro sia per l’intelligenza, che non riesce a cogliere il grande mistero dell’Eucaristia; sia per la volontà del popolo che non intendeva accogliere Gesù come Figlio di Dio. Gesù non cambia anzi ribadisce: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. L’Eucaristia è il grande mistero dell’amore di Dio: un amore incommensurabile, vero, gratuito e l’uomo, dinnanzi ad esso, non può rimanere passivo; il monologo deve diventare dialogo o, come si dice: amore con amore si paga.
L’uomo è chiamato a dare una risposta; è necessario operare una scelta: o accettare la proposta divina o andare via. Il Vangelo evidenzia che molti andarono via, Gesù non si scompone anzi dice ai dodici: se volete, potete andare via anche voi. Nella vita ogni uomo , ricco o povero, ignorante o dotto, è chiamato nella vita a fare la sua scelta nel nome di Dio; come Cristo Gesù ha amato la Chiesa dando la vita per essa, così nella famiglia lo sposa per la sposa e viceversa; sono scelte fondamentali.
La vita non è e non può essere uno scherzo; è quanto di bello, di nobile Dio ha realizzato prima con la creazione, poi con la redenzione operata da Gesù, che è morto in croce per salvarci, ed ha istituito l’Eucaristia come cibo e nutrimento dell’anima per la vita eterna.
Accettare la proposta di Gesù è entusiasmante per chi ha fede. Gesù conosce bene l’esigenza del cuore umano, la debolezza dell’uomo e perciò il bisogno di una scelta generosa, di un ‘sì’ che coinvolga il credere e l’operare, l’intelligenza e la volontà. Da qui le parole di Gesù agli apostoli: scegliete! Volete restare e rimanere con me o andarvene? I dodici rimasero e Pietro, a nome di tutti, disse. ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’.
Anche se il discorso di Gesù appare duro, non ammette eccezioni, gli Apostoli hanno operato la propria scelta. Il tema della scelta oggi interpella ciascuno di noi: essere cristiani comporta il diritto di invocare Dio ‘Padre nostro’; se Dio è padre, è necessario per noi vivere da figli, da fratelli tra di noi: non c’è alternativa. Non si può piegare un ginocchio davanti a Dio e l’altro davanti a Satana, al denaro, al gretto egoismo, al mero piacere per il piacere.
A Cafarnao i Discepoli scelsero Cristo ; noi, comunità cristiana, davanti all’Eucaristia dobbiamo operare la nostra scelta e rimanere fedeli alla scelta operata. Nella nostra scelta non può coesistere il doppio giuoco: nessuno può servire due padroni; con Dio non c’è compromesso, né doppio giuoco; Dio è Padre, che ti ama, e amore con amore si ripaga. Dio un giorno ci dirà: rendi conto della tua vita: cosa hai fatto della tua intelligenza? Della tua volontà? Dei carismi ricevuti e dei talenti a te affidati?
Come verdi il processo ci sarà e sarà inevitabile. Non importa quello che dice la gente, o l’amico, o l’ammiratore; Gesù non giudica per sentito dire ma sarà la mia, la tua coscienza a dover rispondere. Amico che ascolti o leggi, è necessario essere uomini ricolmi di fede e di umiltà, come Maria, e con l’apostolo Pietro dire: ‘Signore, tu solo hai parole di vita eterna! Ma tu, Signore, sostieni sempre la mia fede’.
XX Domenica Tempo Ordinario: tutti invitati al grande banchetto della vita!
Il tema della Liturgia è chiaro sin dalla prima lettura: ‘La Sapienza ha imbandito la tavola: venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato’. Il tema del banchetto è presente attraverso i suoi elementi costitutivi: il pane e il vino; mangiare e bere. Il sacramento dell’Eucaristia si rifà sempre alla cena pasquale degli ebrei durante la quale Gesù istituì l’Eucaristia utilizzando i mezzi a disposizioni: pane e vino ed ordinò ai suoi Apostoli. ‘Fate questo in memoria di me’. Nella Messa celebrata sono riunite due mense: quella della Parola e quella del Pene e Vino.
La lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica. Cristo Gesù si dà a noi in due modi; ascoltando la sua Parola ‘non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’: le folle che andavano dietro a Gesù per ascoltarlo dimenticavano persino di andare a casa per mangiare. Nell’ultima cena poi Gesù istituisce l’Eucaristia: segno visibile di nutrimento per l’anima: prendete e mangiate, questo è il mio corpo.
A questo banchetto siamo invitati tutti, senza alcuna discriminazione, è un banchetto in cui regna solo l’amore, la fratellanza, l’accoglienza: è l’immagine del regno di Dio creato per la salvezza di tutti. La Messa è il convito della salvezza a cui tutti siamo invitati. Partecipare a questo banchetto non è opzionale ma indispensabile per la salvezza eterna. Chi si astiene dal partecipare volontariamente e senza motivo agisce in disaccordo con la parola e la volontà di Cristo.
Dalla parola di Dio e dall’Eucaristia il credete riceve nutrimento e vita. L’Eucaristia, come vedi, è un mistero che noi accettiamo con gratitudine e gioia come un miracolo d’amore, come dono incomparabile e prezioso. Un dono concreto e fisico da fare ripugnanza a quanti ascoltano e non hanno fede e, perciò, replicano. ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’ Chi ha fede in Dio, accetta il suo messaggio di amore: ‘Io sono il pane vivo disceso dal cielo’, mangiando il quale si ha la vita eterna; è il nutrimento dell’anima che vuole vivere secondo Dio.
Gesù spiega inoltre che questo pane è la sua carne offerta in sacrificio di redenzione; è il frutto dell’amore di Dio verso l’uomo per il quale Gesù muore in croce offrendo la sua vita in riscatto per tutti. Un dono visibile: il suo corpo sacrificato; il corpo di Gesù, che riceviamo nella Eucaristia, è l’espressone chiara della sua personalità, della sua relazione con gli altri. Cristo infatti si è manifestato agli uomini nella carne e il popolo ha riconosciuto Gesù nel suo corpo e da questo si sono sentiti accolti, ascoltati, perdonati.
Gesù con il suo corpo rivela la sua divinità e la sua umanità. ‘Sono il pane vivo disceso dal cielo: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue vera bevanda’. Questa parola è dura, dissero alcuni e se ne andarono; Gesù, rivolto ai suoi discepoli, disse: se volete, potete andare via anche voi, ma l’apostolo Pietro rispose: ‘Signore, tu hai parole di vita eterna’.
Tutto ciò che si dice della personalità di Gesù nel Vangelo è presente nell’Eucaristia: è lo stesso Gesù che attraverso l’Eucaristia nutre quanti credono in Lui. Per chi non crede nessuna prova è sufficiente; per chi crede l’Eucaristia è la vita di Cristo in noi e riceverla significa condurre uno stile di vita contrassegnata dalla sua presenza. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno.
Da non dimenticare che Gesù nell’ultima cena, prima di celebrare l’Eucaristia, lava i piedi agli Apostoli; bisogna essere puliti, prima di ricevere questo pane, sia nel corpo che nell’anima. Per questo la Liturgia inizia sempre chiedendo perdono a Dio dei peccati.
‘Sono speciale’: nuovo brano della pop rock band Kantiere Kairòs con l’etichetta discografica La Gloria
“La canzone parla del sentirsi amati da Dio. Per Dio ciascuno di noi è speciale, al punto che per Lui è valsa la pena morire per ciascuno di noi in croce. Che ci vuole bene oltre ogni misura, che ci ama personalmente di un amore particolare in una relazione specifica», spiega il gruppo cosentino di musica cristiana”.
Gabriele Di Nardo (batterista), Davide Capitano (basso), Giuseppe Di Nardo (chitarre) e Antonello Armieri (voce e chitarra acustica) hanno iniziato a lanciare i loro #SONOSPECIALE PER LUI… sui profili della band, raccontando in che modo e quando si sono sentiti amati da Dio in maniera speciale.
“Prendere consapevolezza della propria normalità rende felici e fa stare bene. Quando guardo la mia storia da un’altra prospettiva mi rendo conto che forse non è tutto sbagliato. Guardo indietro e vedo le rovine di una vita disordinata, per meglio dire ‘sfiduciata’, dalle nostre parti diremmo un ‘Kantiere sempre aperto’, scrive Gabriele.
Ma basta cambiare prospettiva: un altro punto di vista mi fa cogliere dettagli che fra quelle rovine non vedevo. Oggi Qualcuno mi ha detto che sono ‘il migliore del mondo’ ed è in quell’istante che ho capito che stavo guardando nella direzione sbagliata. La mia vita ‘banalmente normale’ per qualcuno è davvero importante. Vorrei che anche tu provassi solo per un istante a guardare con occhi diversi la tua vita per scoprire quanto importante tu sia per gli altri”.
Riflette Davide: “C’è stato un momento della mia vita in cui mi sentivo invincibile e pieno di forza, ma non mi rendevo conto della pochezza delle mie azioni. Ho preso consapevolezza della mia ‘povertà’ quando un giorno mi sono trovato davanti a Gesù Eucarestia, travolto da un abbraccio di emozioni indescrivibili. A 36 anni, dopo più di 10 passati a lodarLo, mi sento speciale, particolarmente in questi giorni, perché sono stato testimone del miracolo della vita con l’arrivo di mia figlia Chiara”.
Incalza Jo: “A quasi 50 anni, rifletto sui passaggi decisivi della mia vita, belli e dolorosi. Ogni esperienza, apparentemente scollegata dalle altre, è in realtà un tassello di un mosaico più grande. Mi rendo conto che c’è una mano amorevole che guida quest’opera, portandomi a vivere con serenità e fiducia, sicuro che tutto concorra al mio bene. Comprendo così che anche il dolore ha un senso: Dio può anche deludere le nostre aspettative, succede! Ma, per dirla con le parole di Epicoco, lo fa solo per realizzare i nostri sogni! Lui ci conosce più di noi stessi e sa di cosa abbiamo veramente bisogno! Questo mi fa sentire speciale!”
“Per gran parte della mia esistenza mi sono sentito nel posto sbagliato, inadeguato, in ritardo rispetto a ciò che avrei potuto ottenere, fuori posto. Cercavo conferme ed approvazioni in situazioni, luoghi e persone che non potevano dissetare quella sete di vita che solo Dio può dare, testimonia Antonello. Ho capito di essere speciale e che Dio mi ama a prescindere dai miei difetti e limiti, in seguito ad una profonda e sincera confessione a Medjugorje, dopo la quale mi sono sentito finalmente libero, accolto, amato e non giudicato.
Ho preso coscienza che il primo passo per tutte le guarigioni è sapermi voluto da Dio, desiderato da Lui. Certo, ho dovuto sperimentare la fiducia in Lui, perché i Suoi piani non erano i miei, e c’ho messo anni, diversi anni a mollare la presa. Ma Lui era lì, sempre, paziente e fedele. Voleva donarmi molto più di quello che Gli chiedevo. Oggi, se chiudo gli occhi, sento nel cuore la Sua voce che dice: Sei speciale, perché sono morto per te!”
Si può inserire la propria testimonianza, raccontando in quale momento della propria vita ci si è sentiti amati da Dio in modo speciale, con un post sui propri canali usando l’hashtag #sonospeciale e il tag del profilo del Kantiere Kairòs. Il brano ‘Sono speciale’ è disponibile su tutte le piattaforme on line da ieri 10 agosto.
XIX Domenica Tempo Ordinario: Io sono il pane vivo disceso dal cielo
Il brano del Vangelo focalizza tre temi, al centro c’è l’azione salvifica di Cristo Gesù; nessuno si può salvare se non per mezzo di Cristo; la nostra fede in Lui è un dono speciale di Dio all’uomo che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza. Dio non dimentica mai l’uomo e si rivolge a lui donando Gesù, vero uomo e vero Dio. Accettare Cristo, dono di Dio, significa avere la vita eterna: ‘a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio’.
Mosè aveva impetrato la manna dal cielo con la preghiera; Elia nel deserto fu sfamato da Dio con la focaccia inviata con un angelo; Gesù non è venuto per portarci un dono dal cielo ma Egli stesso è il vero dono del Padre: dono riservato a quanti, innestati a Cristo Gesù con il battesimo, vivono la grazia di Dio con fede e amore. Avere fede in Lui, accoglierlo è l’unica cosa necessaria; è l’unica via da percorrere. Nel viaggio della vita Gesù ci offre se stesso, dono del Padre; vero pane del viaggio per arrivare alla grande meta.
‘Io sono i pane vivo disceso dal cielo’ è la grande rivelazione che Gesù offre alla sua Chiesa; Gesù ci invita a bandire dalla vita tutto ciò che viola la carità (odio, egoismo, sopraffazione) e ci indica la via da seguire: essere disponibili ed aiutare il prossimo per riscattarsi da tutte le ingiustizie sofferte. Ci sentiamo deboli? Alimentiamo allora la nostra anima con Gesù che è ‘il pane vivo disceso dal cielo’.
Gli ebrei avevano mangiato i cinque pani moltiplicati , erano rimasti affascinati e volevano farlo re; Gesù li smonta e li spinge in altra direzione: procuratevi il cibo che dura per la vita eterna; poi continua: ‘Io sono il pane della vita’ dono di Dio all’uomo. Gesù vuole che tale verità venga da tutti conosciuta perché a tutti sia offerta la salvezza. La salvezza infatti è la risultante di due componenti: una divina, l’altra umana; Gesù è il dono del Padre, ma è altresì necessario l’assenso dell’uomo, l’accoglimento libero e responsabile di questo dono mirabile.
Credere in Cristo non è un fatto teorico, una adesione concettuale, ma significa accettare Cristo con fede e amore. L’adesione a Gesù non si ferma ad una fede astratta o all’amore teorico ma giunge ala comunione perfetta con il sacramento dell’Eucaristia. Questa è il cibo per l’uomo in pellegrinaggio verso la casa del Padre, cibo prefigurato dalla manna del deserto .
‘Io sono il pane della vita’: queste parole di Gesù risvegliano in noi stupore e gioia per il dono dell’Eucaristia; nel Vangelo la gente rimane scandalizzata, si strappa le vesti dicendo: questo Gesù noi lo conosciamo, è il figlio di Maria, del fabbro Giuseppe, come può dire: sono ill pane disceso dal cielo? Ed io e tu, amico che ascolti, ci scandalizziamo? Gesù è sempre quell’uomo dinanzi al quale ‘i ciechi vedono, i muti parlano, i morti risuscitano’, Egli è veramente il Figlio di Dio che ci ha salvati; colui che ha aperto per noi le porte del regno dei cieli: nell’Eucaristia ci è dato il pegno della gloria futura.
Nel sacrificio eucaristico, nella celebrazione della Messa si perpetua in forma incruenta il sacrificio di Gesù in croce per la salvezza di tutti gli uomini. Il grande sant’Agostino, filosofo e teologo, evidenzia anche l’aspetto sociale dell’Eucaristia: come diversi chicchi di grano formano l’unico pane, come diversi acini di uva danno vita all’unico vino che, consacrati sono l’Eucaristia, così è necessario uscire dalla propria individualità per riscoprirsi fratelli e sorelle alimentati dallo stesso pane celeste. Gesù è veramente il pane della vita; la Madonna, la Vergine Maria nel cui seno il Verbo si fece carne, ci aiuti a crescere e a nutrire sempre la nostra anima di questo pane vivo disceso del cielo.
XVIII Domenica Tempo Ordinario: Gesù Eucaristia: il vero pane che dà la vita eterna
Dopo l’evento della moltiplicazione dei pani operata da Gesù, la folla avrebbe voluto proclamarlo re, ma Gesù si sottrasse. Ritrovatosi in seguito tra la folla, Gesù invita ed esorta la folla a “procurarsi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna e che l Figlio dell’uomo darà”. L’opposizione è chiara tra il cibo che perisce e quello che dura per la vita eterna. Il popolo ebreo per 40 anni nel deserto era stato alimentato con la manna che cadeva dal cielo; ora Gesù davanti alla folla affamata provvide con la moltiplicazione dei pani.
Ma sia la manna del deserto sia il pane moltiplicato era un cibo che nutriva solo il corpo; Gesù ora guida il popolo a comprendere che l’uomo nella sua integralità non ha bisogno solo del cibo materiale, che lo mangi e poi torni ad avere fame, ma necessita di un cibo che nutre lo spirito. Nutrimento essenziale dello spirito è la “fede”: credere in Dio ed amarlo è il fine supremo della fede; la fede non è frutto della fatica dell’uomo, ma è opera divina perché è grazia di Dio.
L’uomo spesso si sofferma alle cose materiali: al cibo che nutre il corpo, alla manna o al pane che si acquista con il lavoro. Gesù invece va oltre ed invita: “datevi da fare non per il cibo he non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna; Il cibo che Gesù è venuto a portarci. La fede, il credere in Gesù, figlio di Dio; nutrire lo spirito, l’anima con l’Eucaristia, che è Gesù, pane vivo disceso dal cielo, il cibo che sazia veramente il nostro spirito ed apre alla vita eterna.
I Maestri ebrei insegnavano che il Messia avrebbe, come Mosè, dato al nuovo popolo la manna miracolosa (Michea 7, 15); la manna, evidenzia Gesù, non era il vero pane celeste; è Gesù che dà il suo corpo e il suo sangue come vero cibo dell’anima: chi mangia questo pane avrà la vita eterna: ‘Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame; chi crede in me non avrà più sete’. E’ necessario nutrire il corpo, ma è più urgente nutrire l’anima destinata alla vita eterna. La fede in Gesù è vera luce; è un fidarsi di Dio e della sua parola che trascende la regione umana.
Questa fede troviamo in Maria che, all’annuncio dell’Angelo, davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo eterno risponde: ‘Eccomi, sono la serva del Signore; sia fatto di me secondo la tua parola’. Fede grande quella di Maria, fede sofferta che la rende beata. Il cristiano è chiamato ad abbandonarsi in Dio come il bimbo tra le braccia della mamma, sicuro di trovare in lei il vero difensore. La fede è sempre l’incontro tra Dio e l’uomo; con essa Dio realizza il piano di salvezza.
La fede è vero dono di Dio a cui deve rispondere la decisione dell’uomo. Allora si è vincitori. Il Vangelo evidenzia l’episodio dei quella donna, non ebrea, che invoca la grazia per la figlia; Gesù risponde: non è bene che il pane dei figli venga buttato ai cani; ma quella donna, dalla fede vera e profonda, non si arrende e risponde: hai ragione, Signore, ma i cagnolini hanno diritto alle briciole che cadono dalla mensa. Gesù conclude: vai donna, tua figlia è salva perché grande è la tua fede. La fede è guardare Cristo, attaccarsi a Lui, conformarsi alla sua vita, al suo messaggio di salvezza.
La fede in Cristo esige una conversione profonda e definitiva che dà origine ad una particolare sensibilità e ad un giudizio nuovo ; la fede procura all’anima una manna nuova, straordinaria perché apre i nostri occhi al dono dell’Eucaristia: ‘Venite a me, dice Gesù, siete stanchi, affaticati, oppressi, io vi ristorerò, prendete e mangiate: questo è il mio corpo, questo è il calice della nuova alleanza tra Dio e l’uomo’.
Nell’Eucaristia scopriamo il pane che alimenta concretamente il nostro passaggio dell’uomo vecchio all’uomo nuovo creato nella giustizia e nella santità. E’ necessario perciò chiedersi: perché si cerca Dio? La risposta valida è una sola. Per instaurare una storia di amore con Gesù non a nostro uso e consumo, per risolvere i nostri problemi ma per la gloria di Dio che è nostro creatore e padre. La Madonna, la Vergine Santissima nostra madre, ci aiuti a rispondere con amore all’amore di Dio.
Papa Francesco ai ministranti: Gesù è ‘con te’
“Piazza San Pietro è sempre bella, ma con voi è ancora più bella! Vielen Dank di essere venuti a Roma; forse per qualcuno di voi è la prima volta. Willkommen! Mi colpisce il tema del vostro pellegrinaggio: ‘Con te’. ‘Mit dir’. ‘With you’. ‘Avec toi’. Sapete perché mi colpisce? Perché dice tutto in due parole. E’ bellissimo, e lascia spazio alla ricerca, a trovare i significati possibili”: con tali parole ieri pomeriggio papa Francesco ha ricevuto in udienza in piazza San Pietro, i partecipanti al XIII Pellegrinaggio dell’Associazione Internazionale dei Ministranti fino al 3 agosto, sul tema: ‘Con te’.
Sono giovani di almeno 88 diocesi in rappresentanza di circa 20 nazionalità, tra cui: Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina e Ungheria. Dopo un momento di preghiera, il papa ha espresso alcune impressioni sul titolo:
“Con te. E’ un’espressione che racchiude il mistero della nostra vita, il mistero dell’amore. Quando un essere umano viene concepito nel grembo, la mamma gli dice o le dice: ‘Non temere, io sono con te’. Ma misteriosamente anche la mamma sente che quella piccola creatura le dice, alla mamma: ‘Sono con te’. E questo, in modo diverso, vale anche per il papà! Pensando a voi, e adesso guardandovi, questo ‘con te’ si riempie di nuovi significati! Vorrei dirvi quelli che ho trovato più belli e importanti”.
Il titolo del convegno è un chiaro rimando alla celebrazione eucaristica, dove Gesù si manifesta: “La vostra esperienza di servizio nella Liturgia mi fa pensare che il primo soggetto, il protagonista di questo ‘con te’ è Dio. Gesù ha detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’. E questo si realizza al massimo nella Messa, nell’Eucaristia: lì il ‘con te’ diventa presenza reale, presenza concreta di Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo”.
Tale ‘esperienza’ comunionale permette di fare esperienza di Gesù: “Il sacerdote vede accadere ogni giorno questo mistero tra le sue mani; e anche voi lo vedete, quando servite all’altare. E quando riceviamo la santa Comunione, possiamo sperimentare che Gesù è ‘con noi’ spiritualmente e fisicamente. Lui ti dice: ‘Io sono con te’, ma non a parole, lo dice in quel gesto, in quell’atto d’amore che è l’Eucaristia. E anche tu, nella Comunione, puoi dire al Signore Gesù: ‘Io sono con te’, non a parole, ma col tuo cuore e col tuo corpo, col tuo amore. Proprio grazie al fatto che Lui è con noi, anche noi possiamo essere veramente con Lui”.
In questo modo si realizza anche uno ‘scambio’ con il mondo: “Se tu ministrante custodisci nel tuo cuore e nella tua carne, come Maria, il mistero di Dio che è con te, allora diventi capace di essere con gli altri in modo nuovo. Anche tu (grazie a Gesù, sempre e solo grazie a Lui) anche tu puoi dire al prossimo ‘sono con te’, ma non a parole, ma nei fatti, con i gesti, con il cuore, con la vicinanza concreta (non dimenticate la vicinanza concreta) piangere con chi piange, gioire con chi gioisce, senza giudizi, senza pregiudizi, senza chiusure, senza esclusioni. Anche con te, che non mi sei simpatico; con te, che sei diverso da me; con te, che sei straniero; con te, da cui non mi sento capito; con te, che non vieni mai in chiesa; con te, che dici di non credere in Dio”.
(Foto: Santa Sede)
XVII Domenica del Tempo Ordinario: Gesù ha compassione della folla e moltiplica i pani
L’uomo ama la moltiplicazione che conferisce vanto e potere; Gesù nel Vangelo mostra di apprezzare la divisione con gli altri, che evidenzia amore e solidarietà. I verbi usati da Gesù nell’evento sono spezzare, dare, distribuire; mai Gesù usa il verbo moltiplicare; la Liturgia odierna si concentra ed invita a meditare il mistero profondo racchiuso nell’evento, che offre due piste di letture: una evidenzia ed approfondisce la dottrina sociale della Chiesa, la seconda ha una valenza prettamente eucaristica. L’evento è come una medaglia a due facce.
Dio conosce bene l’uomo e le sue necessità di pane e di cibo; l’ha creato a sua immagine e nella preghiera ci invita a rivolgerci a Dio dicendo ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’, ma l’umo ha anche un’anima che si nutre: da qui Gesù promette un cibo adeguato: il suo corpo e la sua anima, l’Eucaristia. Il dialogo tra Gesù e Filippo è singolare: la gente aveva dimenticato di tornare a casa e Filippo chiede a Gesù: ‘Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?’
Un dialogo semplice quanto affettuoso sino a quando interviene Andrea che evidenzia la presenza di un ragazzo con cinque pani ed alcuni pesci. Una presenza risolutiva; Gesù fa mettere tutti a sedere e poi opera il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Gesù chiede sempre la collaborazione dell’uomo in favore dell’uomo; Gesù chiede il coinvolgimento diretto: donare anche se i mezzi di cui si dispone sono modesti; è con questo ‘quasi niente’ che Gesù darà da mangiare alla folla. Dio ha creato tutto per tutti e laddove c’è piena determinazione di solidarietà, di condivisione, dell’apporto umano sincero e profondo, Gesù non nega mai il suo intervento, quell’intervento divino che ci fa obbligo di amare non a parole ma in chiave di vera concretezza. Ciò che Cristo Gesù chiede è sempre disponibilità, collaborazione, solidarietà: se tu puoi e vuoi dare l’uno, Gesù ti darà ‘cento’.
L’evento induce la folla a riflettere e si pone subito la domanda: chi è costui? È un uomo, un grande maestro, il grande profeta atteso? E’ forse il Messia predetto da secoli? Gesù non ha agito certo per farsi pubblicità e, avendo visto che volevano rapirlo per proclamarlo re, si ritirò subito, solo , sulla montagna. Egli non è venuto per avere poteri politici ma per servire ; non è venuto per comandare ma per insegnare ad amare; rifiuterà la sovranità temporale anche davanti a Pilato: ‘Il mio regno non è di questo mondo’. La sua missione è salvare l’uomo e aprire le porte del regno dei cieli.
La moltiplicazione dei pani offre anche la pista eucaristica: Gesù sa bene che l’uomo è corpo e spirito: se il corpo necessita del pane quotidiano, non meno necessario è il cibo dell’anima: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo’; egli si nutre anche della parola di Dio, per la quale il popolo, la folla aveva dimenticato di tornare a casa per mangiare. Gesù, anche se sollecito ai bisogni materiali dell’uomo, guarda l’uomo integrale e, mentre offre il pane terreno, prepara la folla a ricevere l’altro pane, quello spirituale, l’Eucaristia; dirà espressamente: vi ho dato il pane che oggi lo mangi e poi torni ad aver fame; vi darò un altro pane e chi lo mangia avrà la vita eterna.
Il pane promesso è sacramento per l’uomo in viaggio (homo viator) perché possa raggiungere la meta del suo pellegrinaggio terreno: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’. L’Eucaristia è il pane che nutre l’anima; quel pane che ci sostiene nel cammino verso il cielo. Questo pane è anche simbolo dell’amore, della solidarietà, della condivisione. La Vergine Maria, che ha detto il suo ‘sì’ al Signore, ci aiuti ad aprire il cuore agli altri.
Da Venezia mons. Moraglia invita a vivere la Chiesa
“Una festa liturgica deve aiutare la comunità ecclesiale ad essere se stessa, a valorizzare le molteplici vocazioni che la costituiscono e il rapporto con Dio nell’atto dell’adorazione e della carità vissuta. Sono ancora presenti, in noi, le parole e la testimonianza di papa Francesco che abbiamo accolto il 28 aprile scorso in visita a Venezia”: così il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia ha iniziato l’omelia per la festa del Redentore, in cui si ricorda la fine dell’epidemia di peste che colpì la città lagunare tra il 1575 e il 1577.
Ed a distanza di quasi 450 anni il patriarca ha invitato a ‘ripensare il nostro modo d’essere cristiani’: “La festa del Redentore ci conduce al cuore della fede cristiana: noi siamo dei salvati, dei perdonati, dei riconciliati. Il Redentore indica come Gesù si china su di noi, sulle nostre ferite e quelle delle nostre comunità.
Dobbiamo cogliere tale opportunità. Talvolta guardiamo la Chiesa, la persona di Gesù e i sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) considerandoli come realtà giustapposte fra loro, quasi ‘cose’ che ci stanno dinanzi. Invece siamo chiamati a cogliere, in una fede viva, la rivelazione cristiana nella storia, cogliendo il suo punto di riferimento che è Gesù Cristo, verso il quale tutta la storia è protesa”.
Gesù invita a ripensare la Chiesa: “La celebrazione liturgica ci fa vivere la Chiesa come ‘noi’ e non come singoli ‘io’ giustapposti. Questo ‘noi’ ha il suo fondamento nel Signore Gesù che è il centro della nostra salvezza. Noi entriamo nella salvezza tramite i sacramenti della Chiesa, la Chiesa è il sacramento di Cristo e Cristo, nello Spirito Santo, è il sacramento del Padre. Il nostro incontro con Cristo (il Redentore che perdona e chiede alla Chiesa d’esser portatrice di perdono e riconciliazione) avviene nella Parola e nei sacramenti; la Chiesa è proprio tale relazione vivente con Cristo”.
E Gesù scende in ‘noi’ nell’Eucarestia:”Ma come si fa accessibile a noi l’ ‘io’ di Cristo nel quale, finalmente, si risponde positivamente al progetto di Dio? Come possiamo farne parte? Entrando nella Chiesa, la compagnia di Cristo morto e risorto.
L’Eucaristia non è solo celebrazione, non è solo banchetto; è amore totale consegnato alla Chiesa. ‘Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta’: c’è un legame intrinseco con la Chiesa, la comunità che è il corpo di Cristo, un amore sponsale che rimane per sempre. Ecco perché il matrimonio è indissolubile: è dono della persona per sempre, come l’amore di Cristo per la Chiesa”.
Attraverso l’Eucarestia si diventa ‘noi’: “Tale amore, donato nel sacramento dell’Eucaristia, costruisce la Chiesa, ossia l’umanità salvata, e così il titolo ‘Redentore’ non è qualcosa di astratto ma richiama la misericordia, la vicinanza, il dono concreto di Gesù che cambia il nostro modo di pensare, parlare, agire, essere. E’ proprio attraverso l’Eucaristia che diventiamo Chiesa e quindi possiamo celebrare l’Eucaristia…
Sì, Cristo viene prima della Chiesa, viene prima di noi, viene prima della nostra celebrazione che è resa possibile solo da Lui, il solo capace di renderci Chiesa perché è il nostro Redentore”.
E tale festa è manifestazione di una Chiesa in ‘costruzione’: “La festa del Redentore, inoltre, ci ricorda che siamo una Chiesa in costruzione, la comunità del Risorto, da Lui edificata e che cerca di fare sua la redenzione vivendo il sacramento dell’Eucaristia…
Non è possibile imporsi o appropriarsi teologicamente o liturgicamente dell’Eucaristia da parte di una comunità o di una parte d’essa; l’Eucaristia plasma la comunità e non viceversa. Una comunità si lascia plasmare dall’Eucaristia quando, nella grazia, si rende disponibile ad una vera vita eucaristica. Ma la carità cristiana rischia, a sua volta, di ridursi al puro umano o al sociale, trasformando la Chiesa in attività in occasione di Gesù Cristo”.
E’l’Eucarestia che trasforma il cristiano in redento: “Noi siamo e rimaniamo sempre dei redenti. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano; si tratta di riconoscersi peccatori e di non giudicare la parola di Dio. Sì, è l’Eucaristia che ci rende Chiesa e noi entriamo nel sì del Verbo nel momento dell’incarnazione e durante la sua vita pubblica. Le nostre rinunce battesimali inscrivono in noi il sì di Gesù che vince Satana e le sue tentazioni”.
Infine, citando l’omelia di papa Francesco, che ha concluso a Trieste la Settimana Sociale, mons. Moraglia ha invitato a guardare il Redentore: “Guardiamo al Redentore con sguardo di fede, a partire da una più concreta appartenenza alla Chiesa e passando attraverso l’Eucaristia che non è, in primis, rito o celebrazione ma lo stesso Mistero di Cristo, accessibile alle nostre comunità e a ciascuno di noi e che ci trasforma in Lui”.
Mentre alcuni giorni prima della festa il patriarca aveva rivolto una preghiera al Redentore, benedicendo il ponte: “O Santissimo Redentore, abbiamo appena attraversato il ponte votivo per rinnovare la promessa dei nostri padri che, oltre 450 anni fa, dinanzi ad un grave pericolo e consapevoli della loro debolezza di fronte al male (la peste), hanno guardato a Te.
Anche noi oggi sentiamo il bisogno di rivolgerci a Te, nostro Redentore, con la forza della preghiera. Il nostro pellegrinare verso questo Santuario, così caro per noi veneziani, si è fatto carico di pensieri e preoccupazioni che affliggono il nostro cuore e toccano la vita del nostro Paese, dell’Europa, del mondo intero”.
E dal ponte del Redentore ha elevato una preghiera di pace: “A Te, Santissimo Redentore, vogliamo affidare oggi non solo la nostra città (desiderosa di pace e da sempre luogo d’incontro) ma anche la nostra Europa affinché esprima ancora e di nuovo quella cultura e quella spiritualità che le sue radici cristiane le hanno dato e che l’hanno resa un continente capace di creare ponti tra persone e popoli differenti, relazioni buone e vere, in grado (come la storia insegna) di creare legami stabilendo unità e concordia che oggi paiono smarrite…
Tutto questo è opera Tua, nostro Santissimo Redentore, e questa nostra festa sia un guardare tutti insieme e di nuovo a Te per ritornare all’Unico che dona vita e salvezza, all’Unico che è Amore e Verità. Santissimo Redentore, vieni e illumina, vieni e custodisci, vieni e sostieni, vieni e conforta, vieni e infondi coraggio e sapienza, vieni e benedici tutti noi, Tu che sei l’unica speranza e salvezza”.
(Foto: Patriarcato di Venezia)
I vescovi europei tracciano le linee di una Chiesa missionaria
L’Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, dal titolo ‘Pellegrini di speranza. Per una Chiesa Sinodale e missionaria’, si è svolta a Belgrado dal 24 al 27 giugno su invito di mons. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e vice presidente del CCEE. In questa assemblea è stato eletto il nuovo segretario generale del CCEE il Rev. Antonio Ammirati, finora vice segretario generale e portavoce del CCEE, che prende il posto del Rev. Martin Michaliček, segretario generale dal 2018. A don Martin, i vescovi hanno espresso la gratitudine per la disponibilità e per il lavoro fatto in questi anni a servizio delle Chiese che sono in Europa.
Al card. Robert Francis Prevost, prefetto del dicastero per i vescovi, è stata affidata la relazione principale dell’Assemblea plenaria dal titolo: ‘La dimensione evangelizzatrice e missionaria della Chiesa in Europa’, in quanto il futuro della fede sta nella presenza di persone che credono nel loro cuore in Gesù Cristo incarnato. Un meraviglioso e grande segno di questa verità si realizza nel culto eucaristico: “La luce della fede risplende quando il culto eucaristico è degnamente celebrato con fede e devozione. Finché ci sarà l’Eucaristia, finché il Banchetto del Signore sarà celebrato con amore, ci sarà un futuro per la fede perché troviamo Gesù incarnato nell’Eucaristia”.
Parlando del ruolo della Chiesa, comunità di credenti che mediante il battesimo sono resi partecipi del mistero pasquale di Cristo, ha sottolineato: “Il futuro della fede non è una questione di numeri, ma di amore. Non ci saranno più cristiani in futuro o in qualsivoglia momento perché siamo riusciti a trovare la risorsa pubblicitaria o di marketing più efficace, ma perché abbiamo veramente imparato ad amare e non abbiamo avuto paura di metterlo in pratica. Per questo motivo, il nostro agire non può essere ispirato ai criteri di una campagna di proselitismo. Piuttosto, dobbiamo sempre lasciarci muovere e sospingere dalla carità”.
Nella prolusione il card. Prevost ha espresso preoccupazione per la perdita di fede in Europa: “La nostra preoccupazione per il futuro della fede in Europa è quindi la preoccupazione di essere sempre più vicini alla gente, soprattutto a coloro che rappresentano la carne sofferente di Cristo. Il mistero dell’incarnazione che rende possibile l’Eucaristia e la Chiesa, rende possibile anche l’identificazione di Cristo nei poveri. Gesù Cristo si è incarnato e questo mistero raggiunge la carne di tutti coloro che soffrono: i poveri, gli affamati, i migranti, i malati, i disoccupati, coloro che soffrono per la guerra”.
Infatti, “il problema del futuro della fede in Europa riguarda anche il modo in cui stiamo affrontando il flagello della guerra che affligge popoli fratelli dalla prospettiva della fede. La pace non è solo il risultato di un vincitore nel conflitto; molto di più, la pace è il risultato di aver accolto nel cuore colui che sa come portarla veramente. Evangelizzare quando c’è un mondo in guerra significa lavorare per la pace. Ricordiamo le parole del Signore: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Nella prolusione, mons. Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE, ha ricordato l’apertura della nuova sede del CCEE a Roma, voluta per rafforzare la collaborazione e lo scambio dei vescovi europei tra loro e con la Santa Sede e per dare un nuovo impulso pastorale e uno slancio ecumenico, in particolare nell’anno giubilare e durante il cammino sinodale. Significativo è stato l’incontro dei membri del CCEE con il Patriarca della Chiesa Ortodossa Serba, Sua Santità Porfirije.
Nel benvenuto iniziale mons. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e vice presidente del CCEE, ha descritto l’attuale contesto religioso e sociale della Serbia, con 6.300.000 abitanti dei quali 300 mila sono cattolici organizzati in una arcidiocesi, tre diocesi e un’eparchia greco-cattolica: un paese multiculturale e multietnico dove cultura del dialogo e cooperazione sono alla base della convivenza civile.
Nell’aprire i lavori, mons. Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE, ha ricordato le tante situazioni di conflitto, in modo particolare l’Ucraina, il popolo armeno e gli abitanti della Terra Santa e ha rinnovato l’appello ai ‘Responsabili delle nazioni di fermare la guerra e lavorare per una pace giusta. Non vogliamo rassegnarci alla guerra, non ci stancheremo mai di pregare per la pace’.
Ha rinnovato la gratitudine a papa Francesco per l’incontro familiare e per le sue preziose indicazioni, in occasione dell’udienza concessa alla presidenza del CCEE per fare il punto sulle attività del Consiglio e individuare le priorità per la Chiesa nel Continente:
“A Papa Francesco abbiamo presentato anche le iniziative in ambito ecumenico che, come CCEE, stiamo portando avanti: l’aggiornamento della Carta Ecumenica europea del 2001, il cui testo ci verrà presentato in questa assemblea per eventuali suggerimenti prima della firma ufficiale che prevediamo di fare nella domenica della Divina Misericordia del 2025, anno in cui la data della Pasqua coincide per tutti i cristiani; e il primo incontro con il Consiglio direttivo della Conferenza permanente delle Chiese ortodosse orientali in Europa (OCE) guidato dal suo presidente, l’arcivescovo armeno Khajag Barsamian”.
In preparazione alla seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità, mons. Grušas si è soffermato sul ruolo che gli Organismi continentali e le Conferenze Episcopali possono avere per vivere e far crescere la sinodalità e su quale sia il valore di un’assemblea continentale, invitando i vescovi “a ripensare il ruolo del CCEE e il suo impegno per l’evangelizzazione in Europa; a valutare una eventuale suddivisione in aree geografiche che accresca la collaborazione fra i vescovi della stessa regione europea così da facilitare l’ascolto delle nostre comunità e assicurare un maggior servizio al territorio”.
Infine, ha invitato tutti a prepararsi per il Giubileo ormai alle porte perché “sia un evento di grazia per le nostre comunità e i nostri Paesi e sia l’occasione per testimoniare che Cristo è l’unica speranza per l’uomo. La speranza non delude, ci ricorda il Santo Padre nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025: La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino”.
(Foto: CCEE)