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Papa Benedetto XVI e Papa Francesco nel racconto di una biblista
Molto diversi tra loro per stili e modi di comunicazione eppure con numerosi punti di contatto; così li descrive la biblista Rosanna Virgili, docente di Esegesi all’Istituto Teologico Marchigiano e di Spiritualità dei Salmi al Monastero di Santa Cecilia a Roma, nel libro ‘Benedetto e Francesco. Due papi diversi, ma mai divisi’, tratteggiando le linee fondamentali dei papi Benedetto e Francesco, cercando di cogliere le peculiarità e le differenze che li caratterizzano, ma anche di riconoscere i diversi elementi di continuità e comunione da cui sono legati, come ha scritto nell’introduzione;
“La ragione di questo piccolo libro sta in un ringraziamento per gli ultimi due Papi, l’uno ora in cielo e l’altro qui. Sono rimasti insieme per dieci anni ed è stata un’esperienza inedita su cui la Chiesa deve ancora riflettere… Qualcuno ha detto che, a differenza di Giovanni Paolo II, sia Benedetto che Francesco sono stati dei Papi divisivi. Credo che la prima ragione sia da individuare nel fatto che essi vengono dopo ventisette anni di un Pontificato dai colori affatto sfumati…
Di questi due volti, in apparenza antitetici, di Giovanni Paolo II, si può dire, istintivamente, che Ratzinger assume il primo, Bergoglio il secondo. Per questo i due risultano ancora per molti, cattolici e non cattolici, divisivi. Ed in effetti lo sono stati: divisivi, non però divisi, estranei l’uno all’altro, contrapposti, se non allo sguardo dei superficiali o di chi sia tentato dalla malafede”.
A lei chiediamo di spiegarci quali sono le diversità tra papa Francesco e papa Benedetto XVI: “Con un titolo, direi che l’uno è teologo e l’altro pastore. La prima caratteristica di papa Ratzinger non poteva non essere che quella di un papa teologo e nessuno potrebbe davvero mettere in dubbio l’immensità della sua cultura, in questo campo, unita alla sistematicità del suo pensiero e alle rare doti di chiarezza ed efficacia nell’esercizio della docenza.
Grande ricercatore della Verità e dottore della dottrina della Chiesa, i temi del suo pontificato sono, innanzitutto, teologici. Papa Francesco usa, invece, sin dal primo momento della sua elezione (il famoso: ‘buonasera’) un linguaggio popolare, sapienziale di rara efficacia comunicativa. Non rinuncia a questo modo di esprimersi neppure quando stila i suoi scritti dogmatici come le esortazioni apostoliche e le encicliche mostrando un primario interesse pastorale nel suo magistero”.
Per quale motivo sono stati messi in contrapposizione?
“Credo proprio per questa diversità di linguaggio. In secondo luogo credo che il fatto che in maniera del tutto inusuale nella storia della Chiesa Cattolica un papa si fosse dimesso e continuasse, pertanto, a vivere accanto al nuovo, ha creato un certo disorientamento tra gente abituata a pensare al papa come vicario di Cristo e, quindi, come una persona unica che poteva avere solo un successore ma non un ‘doppio’.
Non è stato facile capire la differenza tra papa regnante e papa emerito e l’enorme distanza culturale tra i due, l’uno europeo e tedesco, l’altro latinoamericano, l’uno ‘dottore’ della Chiesa, occupato in questioni dottrinali (era stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede per decenni), l’altro gesuita, pastore e vescovo di una megalopoli sudamericana dove le differenze e le ingiustizie sociali ed economiche sono foriere di una povertà estremamente diffusa e scandalosa”.
Quali sono stati i punti ‘teologici’ di contatto tra i due papi?
“Tutti quelli posti dal Concilio Vaticano II. Chi avesse visto in papa Benedetto XVI un papa pre-conciliare od, addirittura, tridentino, dovrebbe convincersi di aver davvero travisato la sua storia e il suo pensiero. Capita, infatti, che spesso si memorizzino cose mai sentite o che si esprimano giudizi in modo distratto. Quanto a papa Francesco già con l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ mostra di porsi nell’orizzonte di un’evangelizzazione aperta al mondo e missionaria tipica del Concilio. La fedeltà alla Chiesa, il ‘sensus ecclesiae’, l’attenzione e la cura per l’unità della stessa appartengono in maniera speciale ad ambedue i papi”.
Come hanno affrontato la piaga degli abusi nella Chiesa?
“Il papa Ratzinger ha iniziato ancora prima della sua elezione a pontefice ad affrontare la piaga della pedofilia; famosa è la sua frase sul Vaticano: ‘c’è molta sporcizia’, forse alludendo anche all’omosessualità. Una volta papa ha condannato la pedofilia anche in grandi occasioni pubbliche come nella GMG di Sydney o nella visita di tributo al ‘Ground Zero’ di New York.
Papa Francesco, in alcuni documenti e discorsi, ha visto e denunciato una connessione tra pedofilia e clericalismo, invitando tutta la chiesa a combattere contro questa duplice piaga. Papa Francesco ha fatto gesti concreti contro l’insabbiamento degli abusi e gesti simbolici come quello di riunire a Roma abusatori e vittime, ha riunito una intera Conferenza episcopale (quella cilena) particolarmente toccata dagli abusi per discutere di questa terribile piaga”.
Quale ruolo della donna nella Chiesa nella visione dei due papi?
“Chi ha posto molta attenzione alla donna nella Chiesa è stato Francesco che, già nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’, ha parlato della necessità di aprire spazi alle donne nei luoghi dove si prendono le decisioni, vale a dire nei ruoli di governo. Ruoli che, poi, egli stesso ha dato a diverse donne che nelle istituzioni del Vaticano rivestono oggi anche dei ruoli apicali. Su invito del mondo religioso femminile papa Francesco ha poi dato vita a una Commissione che studia la possibilità di conferire il diaconato alle donne.
Di grande rilievo è ancora l’istituzione di ministeri laicali come quello del catechista aperto anche alle donne e dell’accolitato e il lettorato. Un vero grande passo a favore delle donne è stato fatto, infine, con la loro partecipazione al Sinodo dove le donne hanno potuto prendere tutte la parola. Riuniti attorno ai tavoli rotondi, nel numero dei dodici, in nessuno di essi mancava la presenza femminile. Quanto al Papa Ratzinger è importante ricordare la sua prossimità a papa Giovanni Paolo II, quando scriveva la lettera apostolica ‘Mulieris Dignitatem’”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco alla comunità nigeriana di Roma: la fede è ricchezza nella diversità
All’indomani della celebrazione della Domenica delle Palme, oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza la comunità cattolica nigeriana di Roma, che ha compiuto 25 anni di presenza a Roma, che coincide con la solennità dell’Annunciazione:
“La data odierna, 25 marzo, coincide con una ricorrenza liturgica molto importante, cioè la Solennità dell’Annunciazione; quest’anno, però, a causa della Settimana Santa, l’Annunciazione viene spostata in un altro giorno. Queste due realtà, la prima che ci ricorda l’Incarnazione del Signore e l’altra che ci introduce nei misteri pasquali della salvezza, ci mostrano che il Verbo, che si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi, ha vissuto, è morto ed è risorto per realizzare la riconciliazione e la pace tra Dio e l’umanità. Egli ci ha donato la sua vita!”
Durante l’udienza il papa ha sottolineato tre parole, di cui la prima esprime la sua gratitudine: “Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto e continuate a fare testimoniando il gioioso messaggio del Vangelo. Mi unisco a voi anche nel ringraziare Dio Onnipotente per i numerosi giovani nigeriani che hanno ascoltato la chiamata del Signore al sacerdozio e alla vita consacrata e hanno risposto con generosità, umiltà e perseveranza.
Ce ne sono alcuni qui tra di voi, giovani sacerdoti e giovani suore. A ciascun seguace di Gesù, infatti, secondo la sua particolare vocazione, è affidata la responsabilità di servire Dio e il prossimo nell’amore, rendendo Cristo presente nella vita dei fratelli. Possiate essere sempre discepoli missionari, grati che il Signore vi abbia scelti per seguirlo e vi abbia inviato a proclamare con zelo la nostra fede e a contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e umano”.
La seconda parola ha riguardato la ‘diversità’, che produce ricchezza culturale: “Su questo, vorrei dire che la diversità di etnie, tradizioni culturali e lingue nella vostra Nazione non costituisce un problema, ma è un dono che arricchisce il tessuto della Chiesa come quello dell’intera società, e consente di promuovere i valori della comprensione reciproca e della convivenza”.
Una ricchezza culturale che è accogliente: “Spero che la vostra comunità qui a Roma, nell’accogliere e accompagnare i fedeli nigeriani e gli altri credenti, assomigli sempre a una grande famiglia inclusiva, dove tutti possano mettere a frutto i propri talenti diversi, che sono frutti dello Spirito Santo, per sostenervi e rafforzarvi a vicenda nei momenti di gioia e di dolore, di successo e di difficoltà. In questo modo, sarete in grado di seminare i semi dell’amicizia sociale e della concordia per le generazioni presenti e future”.
E’ stato un invito ad evitare il pericolo della chiusura: “E state attenti a un pericolo, il pericolo della chiusura: non essere universali ma chiudersi in un isolamento, mi permetto la parola, tribale. No. Le vostre radici si chiudono, si isolano in questo atteggiamento tribale e non universale, non comunitario. Comunità sì, tribù no. Questo è molto importante. E vale per tutti noi, per tutti, ognuno secondo la sua posizione. L’universalità è non chiudersi nella propria cultura. E’ vero, la propria cultura è un dono, ma non per chiuderlo: per darlo, per offrirlo. Universale, universalità”.
Ed infine la necessità del dialogo: “Purtroppo, molte regioni del mondo stanno attraversando conflitti e sofferenze e anche la Nigeria sta vivendo un periodo di difficoltà. Nell’assicurarvi la mia preghiera per la sicurezza, l’unità e il progresso spirituale ed economico della vostra Nazione, invito tutti a favorire il dialogo e ad ascoltarsi a vicenda con cuore aperto, senza escludere nessuno a livello politico, sociale e religioso”.
Il dialogo nasce se si conosce la propria identità: “Integrare, dialogare, universalizzare, sempre a partire dalla propria identità. Allo stesso tempo, vi incoraggio ad essere annunciatori della grande misericordia del Signore, operando per la riconciliazione tra tutti i vostri fratelli e sorelle, contribuendo ad alleviare il peso dei poveri e dei più bisognosi e facendo vostro lo stile di Dio. E qual è lo stile di Dio? Vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimenticatevi questo. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. In questo modo tutti i nigeriani potranno continuare a camminare insieme nella solidarietà fraterna e nell’armonia”.
Inoltre il papa ha inviato ai giovani ha inviato un messaggio nel quinto anniversario dell’esortazione apostolica post-sinodale ‘Christus vivit’, ricordando i 40 anni del primo raduno dei giovani in piazza san Pietro: “Il prossimo 14 aprile ricorderemo i 40 anni dal primo grande raduno dei giovani che, nel contesto dell’Anno Santo della Redenzione, fu il germoglio delle future Giornate Mondiali della Gioventù.
Alla fine di quell’anno giubilare, nel 1984, san Giovanni Paolo II consegnò la Croce ai giovani con la missione di portarla in tutto il mondo come segno e ricordo che solo in Gesù morto e risorto c’è salvezza e redenzione… E voi Gesù contemplatelo così: vivo e traboccante di gioia, vincitore della morte, amico che vi ama e vuole vivere in voi”.
Per il papa tale esortazione è stata frutto di una Chiesa sinodale: “L’Esortazione ‘Christus vivit’ è frutto di una Chiesa che vuole camminare insieme e che perciò si mette in ascolto, in dialogo e in costante discernimento della volontà del Signore. Per questo, più di cinque anni fa, in vista del Sinodo sui giovani, a tanti di voi, di varie parti del mondo, è stato chiesto di condividere le proprie attese e i propri desideri…. E’ stato un vero ‘esperimento sinodale’, che ha portato molti frutti e che ha preparato la strada anche per un nuovo Sinodo, quello che stiamo vivendo adesso, in questi anni, proprio sulla sinodalità”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la diversità è una ricchezza per la pace
Pur se ancora afono, papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all’incontro promosso dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali sul tema ‘Indigenous Peoples Knowledge and the Sciences. Combining knowledge and science on vulnerabilities and solutions for resilience’ con particolare attenzione alle popolazioni indigene dell’America Latina, lanciando la proposta del dialogo con le conoscenze dei popoli indigeni come una via per una risoluzione non violenta dei conflitti, ma anche come contrasto alle nuove forme di schiavitù e alla povertà:
“Ricordo che anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (la FAO), tre anni fa, ha organizzato giornate di studio sui sistemi alimentari indigeni. Ne è nata una Piattaforma che riunisce scienziati indigeni e non indigeni, studiosi ed esperti, per stabilire un dialogo volto a garantire la salvaguardia dei sistemi alimentari delle popolazioni originarie.
Anche in continuità con quell’esperienza, accolgo con apprezzamento la vostra iniziativa che porta avanti tale ricerca. Direi anzitutto che questa è un’opportunità per crescere nell’ascolto reciproco: ascoltare le popolazioni indigene, per imparare dalla loro sapienza e dal loro stile di vita, e nello stesso tempo ascoltare gli scienziati, per imparare dai loro studi”.
E’ un’occasione per riconoscere che le ‘diversità’ sono una ricchezza: “Inoltre, questo seminario di studio lancia un messaggio ai governi e alle organizzazioni internazionali, perché riconoscano e rispettino la ricchezza della diversità all’interno della grande famiglia umana. Nel tessuto dell’umanità ci sono culture, tradizioni, spiritualità, lingue differenti che hanno bisogno di essere protette, perché la loro perdita costituirebbe per tutti noi un impoverimento della conoscenza, dell’identità, della memoria.
Per questo è necessario che i progetti di ricerca scientifica, e dunque gli investimenti, siano orientati sempre più decisamente alla promozione della fratellanza umana, della giustizia e della pace, così che le risorse possano essere destinate in modo coordinato a rispondere alle sfide urgenti che interessano la casa comune e la famiglia dei popoli”.
Però occorre una visione ‘alternativa’: “Ci rendiamo conto che, per realizzare tale obiettivo, si richiede una conversione, una visione alternativa a quella che oggi spinge il mondo sulla via di una crescente conflittualità. Incontri come il vostro vanno in questa direzione: infatti, il dialogo aperto tra i saperi originari e le scienze, tra le comunità di saggezza nativa e quelle scientifiche può contribuire ad affrontare in modo nuovo, più integrale e anche più efficace questioni cruciali come, ad esempio, quelle dell’acqua, del cambiamento climatico, della fame, della biodiversità. Questioni che, come ben sappiamo, sono tutte tra loro connesse”.
Questa visione di fraternità, proposta dal papa, è un antidoto alla guerra: “Grazie a Dio non mancano segnali positivi in tal senso, come l’inclusione da parte delle Nazioni Unite dei saperi indigeni quale componente centrale del Decennio Internazionale delle Scienze per lo Sviluppo Sostenibile. Un segno da promuovere e da sostenere, unendo insieme le forze.
Per questo, nel dialogo tra saperi indigeni e scienza, dobbiamo avere ben chiaro e tenere sempre presente che tutto questo patrimonio di conoscenze va utilizzato per imparare a superare i conflitti in modo non violento e a contrastare la povertà e le nuove forme di schiavitù. Dio, Creatore e Padre di tutti gli esseri umani e di tutto ciò che esiste, ci chiama oggi a vivere e a testimoniare la nostra vocazione alla fraternità universale, alla libertà, alla giustizia, al dialogo, all’incontro reciproco, all’amore e alla pace, evitando di alimentare l’odio, i rancori, le divisioni, la violenza e la guerra”.
In questo senso papa Francesco ha ribadito che l’umanità è custode e non padrona del creato, attraverso una conversione ecologica: “Dio ci ha fatto custodi e non padroni del pianeta: siamo chiamati tutti a una conversione ecologica, impegnati a salvare la nostra casa comune e a vivere una solidarietà intergenerazionale per salvaguardare la vita delle generazioni future, invece che dissipare le risorse e aumentare le disuguaglianze, lo sfruttamento e la distruzione… La Chiesa è con voi, alleata dei popoli indigeni e del loro sapere, e alleata della scienza per far crescere nel mondo la fraternità e l’amicizia sociale”.
Mentre ieri i vescovi italiani hanno ringraziato papa Francesco per gli 11 anni di pontificato: “Riforma è la conversione missionaria cui siamo tutti chiamati. Chiesa è la comunità dei discepoli missionari che vivono il Vangelo. Beatissimo Padre, ogni anniversario è occasione preziosa per testimoniare l’affetto verso le persone care, ma anche il momento in cui esprimere la propria gratitudine per i doni ricevuti nel tempo. Nel fare memoria di quel 13 marzo 2013 rinnoviamo dunque l’impegno ad annunciare il Vangelo in questa nostra storia. Siamo convinti che questo sia il regalo più bello che possiamo donarLe: ‘Evangelii gaudium’, la gioia del Vangelo”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’ira è un vizio ‘tenebroso’
“Domani, in Italia, si celebra la Giornata Nazionale Vittime Civili di Guerra. Al ricordo orante per quanti sono deceduti nei due conflitti mondiali, associamo anche i tanti, troppi, civili, vittime inermi delle guerre che purtroppo insanguinano ancora il nostro pianeta, come accade in Medio Oriente e in Ucraina. Il loro grido di dolore possa toccare i cuori dei responsabili delle Nazioni e suscitare progetti di pace. Quando si leggono storie di questi giorni, nella guerra, c’è tanta crudeltà, tanta! Chiediamo al Signore la pace, che è sempre mite, non è crudele”.
Da Marsiglia storie di accoglienza
Dando il saluto a papa Francesco nella sessione conclusiva dei ‘Rencontres Méditeranneés’ l’arcivescovo di Marsiglia, card. Jean Marc Aveline aveva salutato papa Francesco ed il presidente della Repubblica francese, che insieme ai vescovi ed ai giovani provenienti dai Paesi del mar Mediterraneo partecipano all’incontro:
Cammino sinodale: la Chiesa diventa compagna di viaggio
‘C’è più di un modo di essere Chiesa’: così ha detto mons. Timothy John Costelloe, arcivescovo di Perth e presidente della Conferenza episcopale australiana, intervenuto alla conferenza stampa a conclusione della tappa continentale del Sinodo: “Stiamo sperimentando una profonda unità, che non è basata sull’uniformità ma ci invita ad abbandonare ogni ricerca di una rigida uniformità”.
L’invito di papa Francesco a costruire una città accogliente
“Il senso ultimo del nostro ‘viaggio’ in questo mondo è la ricerca della vera patria, il Regno di Dio inaugurato da Gesù Cristo, che troverà la sua piena realizzazione quando Lui tornerà nella gloria. Il suo Regno non è ancora compiuto, ma è già presente in coloro che hanno accolto la salvezza”: così inizia il messaggio di papa Francesco, ‘Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati’, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebra oggi.