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Papa Francesco chiede inclusione per i vulnerabili
“Ora non si può più tornare indietro. Gli impegni assunti con la “Carta di Solfagnano” dovranno portare i Paesi sottoscrittori a cambiare rotta, ad essere più concreti nelle politiche e ad investire sempre più risorse affinché i diritti siano realmente esigibili, per non lasciare indietro nessuno e garantire diritti e pari opportunità”: così il presidente della Federazione FISH, Vincenzo Falabella, a conclusione del G7 Inclusione e Disabilità, tenutosi in Umbria, che ha prodotto il documento conclusivo denominato ‘Carta di Solfagnano’, ed oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza la delegazione di Ministri partecipanti al G7 Inclusione e Disabilità:
“Questo incontro, in occasione del G7, è un segno concreto della volontà di costruire un mondo più giusto, un mondo più inclusivo, dove ogni persona, con le proprie capacità, possa vivere pienamente e contribuire alla crescita della società. Invece di parlare di ‘discapacità’, parliamo di capacità differenti. Ma tutti hanno capacità. Io ricordo per esempio un gruppo che è venuto qui, di una ditta, un ristorante; sia i cuochi, sia quelli che servivano la mensa, tutti erano ragazzi e ragazze con disabilità. Ma lo facevano benissimo”.
E si è soffermato sul significato della firma della ‘Carta di Solfagnano’: “In primo luogo l’inclusione delle persone con disabilità è necessario che venga riconosciuta come una priorità da tutti i Paesi. A me questa parola ‘disabilità’ non piace tanto. Mi piace l’altra: ‘abilità differenti’. Purtroppo in alcune Nazioni ancora oggi si stenta a riconoscere la pari dignità di queste persone. Rendere il mondo inclusivo significa non solo adattare le strutture, ma cambiare la mentalità, affinché le persone con disabilità siano considerate a tutti gli effetti partecipi della vita sociale”.
Lo sviluppo umano è possibile solo con l’apporto di coloro che sono ‘vulnerabili’: “Non c’è vero sviluppo umano senza l’apporto dei più vulnerabili. In tal senso, l’accessibilità universale diventa una grande finalità da perseguire, affinché ogni barriera fisica, sociale, culturale e religiosa venga rimossa, permettendo a ciascuno di mettere a frutto i propri talenti e contribuire al bene comune. E questo in tutte le fasi della sua esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia. A me fa dolore quando si vive con quella cultura dello scarto con i vecchi. I vecchi sono saggezza e si scartano come se fossero scarpe brutte”.
L’appello del papa è un invito alla collaborazione: “Garantire servizi adeguati alle persone con disabilità non è solo una questione di assistenza (quella politica dell’assistenzialismo: no, non è questo) ma di giustizia e di rispetto della loro dignità. Tutti i Paesi, pertanto, hanno il dovere di assicurare le condizioni perché ogni persona possa svilupparsi integralmente, in comunità inclusive”.
E’ stata una richiesta al rispetto della dignità della persona: “E’ dunque importante operare insieme perché sia reso possibile alle persone con disabilità di scegliere il proprio cammino di vita, liberandole dalle catene del pregiudizio. La persona umana non deve essere mai mezzo, sempre fine! Questo significa ad esempio valorizzare le capacità di ciascuno, offrendo opportunità di lavoro dignitoso. Una grave forma di discriminazione è escludere qualcuno dalla possibilità di lavorare.
Il lavoro è dignità; è l’unzione della dignità. Se tu escludi la possibilità, gli togli questo. Lo stesso si può dire per la partecipazione alla vita culturale e sportiva: questo è un’offesa alla dignità umana. Anche le nuove tecnologie possono essere strumenti potenti di inclusione e partecipazione, se rese accessibili a tutti. Esse vanno orientate al bene comune, al servizio della cultura dell’incontro e della solidarietà. La tecnologia va utilizzata con saggezza, affinché non crei ulteriori disuguaglianze, ma diventi invece un mezzo per abbatterle”.
Infine ha esortato ad ispirarsi a san Francesco d’Assisi: “San Francesco d’Assisi, testimone di un amore senza confini per i più fragili, ci ricorda che la vera ricchezza si trova nell’incontro con gli altri (questa cultura dell’incontro che va sviluppata), specialmente con coloro che una falsa cultura del benessere tende a scartare. Tra questi che sono vittima dello scarto, ci sono i nonni: i nonni, i vecchi, alla casa di riposo… Quello che noi facciamo con i vecchi, lo faranno i nostri figli con noi. Non dimentichiamolo. Insieme, possiamo costruire un mondo dove la dignità di ogni persona sia pienamente riconosciuta e rispettata”.
A conclusione di questo G7 Helena Dalli, commissaria europea per l’uguaglianza, ha ribadito l’impegno dell’Europa: “Nell’Unione europea oltre un adulto su quattro ha una disabilità, per un totale di 100.000.000 di persone. Circa la metà sono inattive o disoccupate e circa un terzo di queste persone è a rischio povertà o esclusione. Il nostro dovere è lavorare a tutti i livelli per garantire la loro piena partecipazione alla società”.
(Foto: Santa Sede)
XXVII Domenica Tempo Ordinario: il matrimonio è progetto mirabile di Dio!
Il libro della Genesi evidenzia a chiare tinte il grande mistero di amore della creazione; vero mistero di amore perchè Dio creando ama, amando crea. Tutta la creazione è un mistero di amore; questo poi trova la sua espressione più alta nel matrimonio: l’istituto dal quale si evince l’immensa misericordia di Dio nell’avere pensato alla famiglia come vera icone dello stesso amore trinitario.
La famiglia chiude il ciclo creativo perchè in essa l’uomo sperimenta la grandezza del proprio essere, creato ad immagine di Dio, ed è chiamato ad essere collaboratore responsabile nella stessa opera creativa. Nella Genesi si legge: ‘Dio disse. non è bene che l’uomo sia solo!’ e da un osso di Adamo crea la donna; Adamo gioisce e Dio benedice la coppia: crescete, moltiplicatevi, riempite la terra; discorso allegorico ed assai significativo per indicare l’uguale dignità dell’uomo e della donna; l’unità inscindibile della famiglia costituita da uomo e donna; la missione della famiglia basata sull’amore vero: ‘l’uomo e la donna lasceranno la loro casa, diventeranno una cosa sola’.
La famiglia nasce da un osso di Adamo (una costola) ad indicare l’unità inscindibile della famiglia e l’uguale dignità dell’uomo e della donna. (La costola: un osso vicino al cuore): l’amore infatti fa dei due una cosa sola con eguale dignità: la famiglia è inscindibile perchè basata sull’amore e non sul semplice e fugace piacere: amore = ti voglio bene: (io voglio il tuo bene); amore = dare e non solo ricevere; fare felice l’altro e in questo reciproco amore si rinsalda la famiglia, elevata da Gesù a sacramento.
L’indissolubilità del matrimonio non è solo un obiettivo cristiano o l’apologia di un valore difeso ad oltranza da filosofi, pensatori, antropologi e giuristi cristiani, è richiesta dalla natura stessa della famiglia che postula la realtà fondamentale di questo valore: la donazione reciproca nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia; proprio questo costituisce il fondamento del vero amore e non la gretta ed utilitaristica mentalità edonistica che pone il piacere al di sopra dell’amore coniugale.
La famiglia nasce e si costituisce non dalla convivenza provvisoria ma dal sacramento del Matrimonio in cui gli sposi si accolgono reciprocamente promettendosi fedeltà ed amore, rispetto reciproco per tutta la vita nella buona e nella cattiva sorte. L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia; questa perciò è un valore insostituibile, conforme al disegno di Dio, creatore e padre.
Per i credenti la famiglia è la cellula di comunione a fondamento della società; vera Chiesa Domestica chiamata a rivelare al mondo l’amore misericordioso di Dio. Gesù dirà: “sposi amatevi come io ho amato la Chiesa”. La società tradizionale aiutava di più a formare e custodire la famiglia; oggi purtroppo domina una mentalità diversa, che non è proprio quella voluta da Dio ed evidenziata da Cristo Gesù; la crisi della famiglia si ripercuote determinando la crisi della società stessa, che è la comunione di tutte le famiglie. Bisogna amare la famiglia non per tradizione ma come scelta matura, consapevole e responsabile.
L’amore, oltre che sentimento, è costituito da responsabilità, costanza e sacrificio. Da qui la necessità delle virtù cristiane, della fiducia reciproca, dell’abbandono nella provvidenza e la preghiera incessante. L’amore è vita, per vivere devi amare; questa è la verità di Dio, quella verità che ci rende liberi e ci fa vivere veramente da uomini. Nella vita il solo pane non basta; si possono sopportare talvolta i morsi della fame ma non si può vivere dove manca la giustizia, che è rispetto reciproco; vero cibo preferito rimane sempre l’amore che è una fede sincera e profonda.
Chiedono allora a Gesù: E’ lecito ad un marito ripudiare la propria moglie? Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio! Gesù ribadisce l’indissolubilità del matrimonio richiamandosi al progetto originario di Dio: ‘L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto’. L’indissolubilità non è dovuto ad una legge imposta ma è una esigenza dell’amore. Gesù prende le distanze anche da Mosè ed evidenzia che al principio non fu così.
Il volere di Dio è uno solo: santificare la famiglia; i due si cercano, si trovano, si amano e diventano una cosa sola. Dio è colui che unisce; il diavolo è colui che separa. L’immagine di questo Dio trinitario, comunione-indissolubile, si realizza mirabilmente nel matrimonio comunione-indissolubile. Il segno più caro e delicato dell’amore sono i bambini, che Gesù abbraccia, accarezza dicendo : ‘Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite; a chi è come loro appartiene il regno di Dio’.
Giornata del Mare: gli operatori siano al centro della pastorale
Ogni anno nella seconda domenica di luglio si celebra la Domenica del Mare, in cui le comunità cattoliche di tutto il mondo pregano per coloro che lavorano nel settore marittimo e per chi si prende cura di loro. Per l’occasione, il Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, card. Michael Czerny, ha inviato un messaggio a tutte le persone impegnate in questo comparto e a cappellani e volontari attivi nella pastorale del mare.
Infatti la Domenica del Mare è un’occasione per richiamare l’attenzione su uno dei settori di cui poco si parla ma che è al centro della vita di ognuno: come è stato sottolineato nel messaggio, prendendo spunto dalla Prima Lettera ai Corinzi, in cui san Paolo paragona la Chiesa ad un Corpo con molte membra:
“Egli osserva che anche le membra meno visibili contribuiscono in maniera necessaria e significativa al funzionamento ed al benessere dell’insieme. I marittimi sono tra i membri meno visibili di tutta l’umanità. Eppure, è attraverso i loro sforzi invisibili che possiamo far fronte a molte delle nostre necessità. In mare, essi sperimentano la bellezza sconfinata della natura, ma attraversano anche l’oscurità fisica, spirituale e sociale”.
Dal 1920, l’Apostolato del Mare è diventata una realtà ‘istituzionalizzata’ nella Chiesa, e ogni anno si celebra la domenica del mare nella seconda domenica di luglio. L’Apostolato del Mare, conosciuto come Stella Maris, era prima inserito all’interno del Pontificio Consiglio dei Migranti, ed è stato poi assorbito dal Dicastero guidato dal Cardinale Czerny:
“Il numero totale di questi lavoratori e delle loro famiglie è di svariati milioni. La Domenica del Mare rende visibili le loro realtà quotidiane, che sono invisibili. Oggi come in passato, la navigazione marittima può comportare l’assenza da casa e dalla terraferma per mesi e persino per anni. Tanto i marittimi quanto le loro famiglie possono perdere momenti significativi della vita gli uni degli altri”.
Il prefetto del Dicastero vaticano denuncia le ingiustizie e la mancanza di dignità: “Sacrifici, questi, che il salario può giustificare, tuttavia tale beneficio può essere minacciato da ingiustizie, sfruttamento e disuguaglianza. E’ meraviglioso, perciò, quando i volontari, i cappellani ed i membri delle chiese locali portuali, che si impegnano nella pastorale marittima, difendono la dignità e i diritti dei marittimi”.
Il card. Czerny sottolinea l’importanza della pastorale marittima: “La pastorale marittima può aiutare a riportare la periferia al centro in molti modi, per esempio: incontrando la gente del mare di persona e nella preghiera; migliorando le condizioni materiali e spirituali di questi lavoratori; difendendone la dignità e i diritti; promuovendo relazioni internazionali e politiche volte a salvaguardare i diritti umani di coloro che navigano e lavorano lontano dalle famiglie e dal proprio Paese di origine”.
Inoltre ha sottolineato il compito della Chiesa: “La Chiesa è chiamata a servire ciascun membro della famiglia umana. Dal momento che i marittimi provengono da tutti i Paesi del mondo e professano tutte le religioni del mondo, includerli nella vita e nella pastorale della Chiesa favorisce la crescita nella comprensione reciproca e nella solidarietà fra tutti i popoli e le religioni”.
Per questo le parole di san Paolo è un incoraggiamento per la Chiesa: “Queste parole incoraggiano oggi la Chiesa a lavorare per una maggiore unità, non solo tra persone diverse tra di loro, ma anche tra quelle che sperimentano divisioni e tensioni reciproche. Come ci ricorda san Paolo, la Chiesa non deve rifuggire queste sfide, se vuole essere fedele alla missione affidatale dal Signore. Una maggiore unione tra i credenti contribuisce a una maggiore unità tra tutti i popoli e i Paesi”.
E’ un invito a diffondere il cristianesimo anche attraverso il mare: “Il cristianesimo si diffuse in terre lontane proprio attraverso il mare. Non c’era altra scelta. La Chiesa, oggi, può trarre ispirazione da quegli abitanti delle comunità costiere che furono i primi a sentire il messaggio nuovo di Cristo per bocca degli apostoli che viaggiavano per mare e di altri missionari. Ogni nuova imbarcazione che arrivava significava maggiori incontri e scambi, maggiore apertura alle novità e alle immense possibilità che si aprivano oltre le coste locali. La chiamata ad accogliere lo straniero può sfidarci quando preferiamo rimanere socialmente e spiritualmente isolati”.
E’ un invito alla cura del mare, affinchè tutti i lavoratori si sentano partecipi nella Chiesa: “Invitiamo tutti e ciascuno a fare la propria parte per riparare, con coraggio, la nostra Casa comune e crescere nella fraternità e nell’amicizia sociale. Riconosciamo, quindi, il contributo essenziale di coloro il cui lavoro potrebbe altrimenti rimanere invisibile. Sosteniamo il ministero di accoglienza di quanti hanno bisogno di ascolto e di un luogo a cui appartenere, un porto sicuro, una comunità che accolga tutti coloro che desiderano tornare a casa. Lasciamoci ispirare dall’esempio degli scambi reciproci nella vita dei marittimi. La gente del mare possa sentirsi parte della Chiesa ovunque vada”.
Papa Francesco: i trafficanti di droga sono assassini
“Sabato prossimo celebreremo la solennità dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di Roma. Siate sul loro esempio discepoli missionari, testimoniando ovunque la bellezza del Vangelo. Alla loro intercessione affidiamo le popolazioni che soffrono la guerra: la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, perché possano presto ritrovare la pace”: al termine dell’Udienza generale, nella giornata mondiale contro le droghe, papa Francesco ha rinnovato la preghiera per la pace nei Paesi in guerra, ma allo stesso tempo ha chiesto attenzione a non assumere droghe: “Il periodo delle vacanze è però anche un momento in cui molti giovani si avvicinano per la prima volta alle sostanze stupefacenti: che la Giornata mondiale contro l’abuso di droga, che ricorre oggi, ricordi di prestare una particolare attenzione alla sicurezza dei bambini e dei giovani”.
Ed in questa giornata il papa ha dedicato l’intera catechesi alla Giornata Mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga, ripetendo il messaggio di san Giovanni Paolo II alla Conferenza di Vienna nel 1987: “Questo fa l’abuso di droga e l’uso di droga. Ricordiamo però, al tempo stesso, che ogni tossicodipendente ‘porta con sé una storia personale diversa, che deve essere ascoltata, compresa, amata e, per quanto possibile, guarita e purificata… Continuano ad avere, più che mai, una dignità, in quanto persone che sono figli di Dio’. Tutti hanno una dignità”.
Richiamandosi ai pensieri di papa Benedetto XVI papa Francesco ha usato volutamente la parola ‘assassini’: “Non possiamo tuttavia ignorare le intenzioni e le azioni malvagie degli spacciatori e dei trafficanti di droga. Sono degli assassini! Papa Benedetto XVI usò parole severe durante una visita a una comunità terapeutica: ‘Dico ai trafficanti di droga che riflettano sul male che stanno facendo a una moltitudine di giovani e di adulti di tutti gli strati sociali: Dio chiederà loro conto di ciò che hanno fatto. La dignità umana non può essere calpestata in questo modo’. E la droga calpesta la dignità umana”.
Ha chiesto di porre fine alla produzione di droghe: “Una riduzione della dipendenza dalle droghe non si ottiene liberalizzandone il consumo (questa è una fantasia), come è stato proposto, o già attuato, in alcuni Paesi. Si liberalizza e si consuma di più. Avendo conosciuto tante storie tragiche di tossicodipendenti e delle loro famiglie, sono convinto che è moralmente doveroso porre fine alla produzione e al traffico di queste sostanze pericolose.
Quanti trafficanti di morte ci sono (perché i trafficanti di droga sono trafficanti di morte), spinti dalla logica del potere e del denaro ad ogni costo! E questa piaga, che produce violenza e semina sofferenza e morte, esige dalla società nel suo complesso un atto di coraggio”.
Inoltre la produzione di droga sta distruggendo l’Amazzonia: “La produzione e il traffico di droga hanno un impatto distruttivo anche sulla nostra casa comune. Ad esempio, questo è diventato sempre più evidente nel bacino amazzonico”.
Quindi l’unica soluzione per combattere la droga è la prevenzione: “Un’altra via prioritaria per contrastare l’abuso e il traffico di droghe è quella della prevenzione, che si fa promuovendo maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita personale e comunitaria, accompagnando chi è in difficoltà e dando speranza nel futuro”.
Ed ha raccontato che nei suoi viaggi ha visitato molte comunità terapeutiche di ispirazione cristiana: “Nei miei viaggi in diverse diocesi e vari Paesi, ho potuto visitare diverse comunità di recupero ispirate dal Vangelo. Esse sono una testimonianza forte e piena di speranza dell’impegno di preti, consacrati e laici di mettere in pratica la parabola del Buon Samaritano. Così pure sono confortato dagli sforzi intrapresi da varie Conferenze episcopali per promuovere legislazioni e politiche giuste riguardo al trattamento delle persone dipendenti dall’uso di droghe e alla prevenzione per fermare questo flagello”.
Citando il proprio messaggio ai partecipanti al 60^ Congresso Internazionale dei Tossicologi Forensi dello scorso anno, papa Francesco ha invitato i fedeli a non essere indifferenti verso chi ha problemi con la droga: “Cari fratelli e sorelle, di fronte alla tragica situazione della tossicodipendenza di milioni di persone in tutto il mondo, di fronte allo scandalo della produzione e del traffico illecito di tali droghe, ‘non possiamo essere indifferenti. Il Signore Gesù si è fermato, si è fatto vicino, ha curato le piaghe’”.
E’ stato un chiaro invito all’azione, sottolineando che i trafficanti sono assassini ed invitando a pregare per la loro conversione: “E preghiamo per quei criminali che danno la droga ai giovani: sono criminali, sono assassini! Preghiamo per la loro conversione. In questa Giornata Mondiale contro la droga, come cristiani e comunità ecclesiali rinnoviamo il nostro impegno di preghiera e di lavoro contro la droga”.
In precedenza aveva ricevuto un gruppo di musulmani di Bologna, a cui ha sottolineato la necessità del dialogo: “In particolare, il dialogo sincero e rispettoso tra cristiani e musulmani è un dovere per noi che vogliamo obbedire alla volontà di Dio. Infatti, la volontà di un Padre è che i suoi figli si vogliano bene, si aiutino a vicenda, e che, se sorge tra loro qualche difficoltà o incomprensione, si mettano d’accordo con umiltà e pazienza”.
Però il dialogo richiede la dignità di ogni persona: “Tale dialogo richiede il riconoscimento effettivo della dignità e dei diritti di ogni persona. In cima a questi diritti c’è quello alla libertà di coscienza e di religione, che significa che ogni essere umano dev’essere pienamente libero per quanto riguarda le sue scelte religiose. Inoltre, ogni credente deve sentirsi libero di proporre (mai imporre!) la propria religione ad altre persone, credenti o no.
Ciò esclude ogni forma di proselitismo, inteso come esercitare pressioni o minacce; deve respingere ogni tipo di favori finanziari o lavorativi; non deve approfittare dell’ignoranza delle persone. Oltre a ciò, i matrimoni tra persone di religioni diverse non devono essere occasione per convertire il coniuge alla propria religione”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’intelligenza artificiale non è neutrale
“Mi rivolgo oggi a Voi, leader del Forum Intergovernativo del G7, con una riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità. ‘La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano ‘saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro’ (Es. 35,31’. La scienza e la tecnologia sono dunque prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani. Ebbene, è proprio dall’utilizzo di questo potenziale creativo che Dio ci ha donato che viene alla luce l’intelligenza artificiale”: con la citazione dell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale per la pace papa Francesco ha iniziato il discorso al G7, riunito in Puglia, sottolineando il valore della dignità umana.
Il tema centrale del discorso del papa ha riguardato, infatti, la dignità umana che si deve confrontare con l’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.
Il pensiero del papa non è un atto di condanna nei confronti dell’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.
E ne ha sottolineato i vantaggi pur richiamandone i ‘pericoli’ di creare una più larga ingiustizia: “Non possiamo, del resto, dubitare che l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali. Ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe permettere una democratizzazione dell’accesso al sapere, il progresso esponenziale della ricerca scientifica, la possibilità di delegare alle macchine i lavori usuranti; ma, al tempo stesso, essa potrebbe portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi, mettendo così in pericolo la possibilità di una cultura dell’incontro a vantaggio di una cultura dello scarto”.
Quindi il papa ha chiesto di ridare rilievo alla dignità della persona: “Oltre la complessità di legittime visioni che caratterizzano la famiglia umana, emerge un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze. Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana. Sembra che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana..
Non dobbiamo dimenticare infatti che nessuna innovazione è neutrale. La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata”.
Ed ha rimesso al centro la necessità dell’azione politica: “Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi.
Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di ‘paradigma tecnocratico’. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: è necessario un lavoro dignitoso
Ieri papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla consultazione ‘’La cura è lavoro, il lavoro è cura’, organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale per un lavoro dignitoso declinato secondo cinque ambiti: industrie estrattive, sicurezza alimentare, migrazione, giustizia sociale, giusta transizione:
“Negli ultimi sei anni avete portato avanti riflessioni, dialoghi e ricerche, proponendo modelli d’azione innovativi per un lavoro equo, giusto, dignitoso per tutte le persone del mondo… Nei prossimi giorni il vostro raduno sarà incentrato sul tema ‘La cura è lavoro, il lavoro è cura’. Per costruire una comunità trasformativa globale…
E’ necessario, infatti, mettere in comune tutte le nostre risorse personali e istituzionali, per avviare una lettura adeguata del contesto sociale in cui ci muoviamo, cercando di cogliere le potenzialità e, al contempo, di riconoscere in anticipo quei mali sistemici che possono diventare delle piaghe sociali”.
Ed ha ricordato brevemente le cinque tematiche, iniziando dal lavoro dignitoso: “Come ho ricordato anche nell’enciclica ‘Laudato sì’, le esportazioni di alcune materie prime al solo scopo di soddisfare i mercati del Nord industrializzato, non sono state esenti da conseguenze anche gravi, tra cui l’inquinamento da mercurio o da diossido di zolfo nelle miniere.
E’ fondamentale che le condizioni del lavoro siano connesse con gli impatti ambientali, prestando molta attenzione ai possibili effetti in termini di salute fisica e mentale delle persone coinvolte, nonché di sicurezza”.
Un altro tema è connesso con la sicurezza alimentare: “. Il Rapporto globale sulle crisi alimentari, pubblicato di recente, ha rilevato che, nel 2023, più di 280.000.000 persone in 59 Paesi e in diversi territori hanno sofferto livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, che richiedono un intervento assistenziale urgente; senza dimenticare che in zone come Gaza e il Sudan, devastate dalla guerra, si trova il maggior numero di persone che stanno affrontando la carestia.
I disastri naturali e le condizioni meteorologiche estreme, ora intensificate dal cambiamento climatico, oltre agli shock economici, sono altri importanti fattori che determinano l’insicurezza alimentare, legati a loro volta ad alcune vulnerabilità strutturali quali la povertà, l’elevata dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari e le infrastrutture precarie”.
Il papa ha sottolineato che un lavoro dignitoso attenua l’emigrazione: “Per molte ragioni, sono tante le persone che emigrano in cerca di lavoro, mentre altre sono costrette a farlo per fuggire dai loro Paesi di provenienza, spesso dilaniati dalla violenza e dalla povertà. Queste persone, anche a causa di pregiudizi e di una informazione imprecisa o ideologica, sono spesso viste come un problema e un aggravio per i costi di una Nazione, mentre essi in realtà, lavorando, contribuiscono allo sviluppo economico e sociale del Paese che li accoglie e di quello da cui provengono”.
Al lavoro il papa ha collegato anche la natalità: “La denatalità è un problema, e la migrazione viene ad aiutare la crisi che provoca la denatalità. Questo è un problema molto grave. Tuttavia, molti migranti e lavoratori vulnerabili non sono ancora pienamente integrati nella pienezza dei diritti, sono cittadini ‘di seconda’, restando esclusi dall’accesso ai servizi sanitari, alle cure, all’assistenza, ai piani di protezione finanziaria e ai servizi psicosociali”.
Inoltre il lavoro non può essere disgiunto dalla giustizia sociale: “Questa espressione, ‘giustizia sociale’, che è arrivata con le Encicliche sociali dei Papi, è una parola che non è accettata dall’economia liberale, dall’economia di punta. La giustizia sociale. In effetti, un rischio che corriamo nelle nostre attuali società è quello di accettare passivamente quanto accade attorno a noi, con una certa indifferenza oppure perché non siamo nelle condizioni di inquadrare problematiche spesso complesse e di trovare ad esse risposte adeguate. Ma ciò significa lasciar crescere le disuguaglianze sociali e le ingiustizie anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori”.
L’ultimo aspetto toccato dal papa riguarda il rapporto tra lavoro ed ambiente: “Tenendo conto dell’interdipendenza tra lavoro e ambiente, si tratta di ripensare i tipi di lavoro che conviene promuovere in ordine alla cura della casa comune, specialmente sulla base delle fonti di energia che essi richiedono.
Carissimi fratelli e sorelle, questi cinque aspetti rappresentano delle sfide importanti. Vi ringrazio perché le accogliete e le affrontate con passione e competenza. Il mondo ha bisogno di un rinnovato impegno, di un nuovo patto sociale che ci leghi insieme (generazioni più anziane e generazioni più giovani) per la cura del creato e per la solidarietà e la protezione reciproca all’interno della comunità umana”.
(Foto: Santa Sede)
1^ Maggio: il lavoro per la democrazia
In occasione della festa dei lavoratori, la Cei ha pubblicato un messaggio incentrato sulla partecipazione democratica, ‘Il lavoro per la partecipazione e la democrazia’, traendo spunto dal passo evangelico dell’apostolo Giovanni, ‘Il Padre mio opera sempre e anch’io opero’, in cui è evidenziata una linea continua tra il Padre ed il Figlio nelle opere, come è sottolineato nell’enciclica ‘Centesimus Annus’:
“Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un ‘fare qualcosa’, ma è sempre agire ‘con’ e ‘per’ gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità”.
In tal senso il lavoro è una ‘res pubblica’, come sottolinea il titolo della 50^ Settimana Sociale dei cattolici: “In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la ‘cosa pubblica’ è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico. E’ particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sul tema ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. Senza l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia”.
E’ un invito ad investire nel lavoro con politiche mirate ed innovative: “Occorre aprirsi a politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a loro, con dei ‘pensatori’ che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di includere davvero tutti. Investire in progettualità, in formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. E’ necessario inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione ineludibile”.
E’ un invito a dare a tutti un lavoro ‘dignitoso’: “Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione.
Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda esclusivamente dai pur necessari sussidi statali”.
Ed anche la Chiesa è chiamata a dare il suo contributo: “…ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione. In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese”.
Per questo l’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, ha fatto una riflessione sul difficile ‘mestiere’ di imprenditori, che non può essere disgiunto da quello dei lavoratori: “Il destino dei lavoratori e delle loro famiglie in questa stagione così delicata dipende anche dal successo degli imprenditori: per questo la Chiesa sostiene con gratitudine ed anche prega per tutti coloro che abbracciano l’attività di impresa investendo risorse e spendendo la propria intelligenza, il proprio coraggio e la fantasia”.
E’ uno sguardo sulla situazione torinese: “L’avventura delle imprese, anche quella delle industrie multinazionali con sede a Torino, è anche l’avventura di un territorio, che offre alle aziende la risorsa più importante: i lavoratori. Oggi va detto con forza che i lavoratori non sono separabili dagli interessi delle aziende: sono gli uomini e le donne che, con il loro impegno, con la loro vita, con la vita delle loro famiglie, rendono possibile la ricchezza e l’esistenza stessa delle aziende”.
Quindi c’è un nesso indissolubile tra imprenditore e lavoratore: “Desidero esprimere grande riconoscenza agli imprenditori che combattono per mantenere vive le proprie aziende. Faccio anche osservare che il complesso dei lavoratori di un territorio rappresenta il mercato cui le aziende rivolgono i loro prodotti e servizi: se questo mercato mantiene la sua capacità di spesa e consumo, saranno le aziende stesse a beneficiarne”.
Quella di mons. Repole è una precisa ‘condanna’ per chi ‘gioca’ con i lavoratori: “Ciò che non dovrebbe mai accadere, agli operai e agli impiegati, è perdere il lavoro in aziende che godono di buona salute e stanno producendo ricchezza e profitto, eppure non si accontentano: queste aziende, spinte sovente da logiche esasperate di ricerca di sempre maggiori guadagni, tagliano i posti di lavoro o li trasferiscono altrove”.
Non si può abbandonare un territorio solo per il profitto: “Se la scelta di abbandonare il nostro territorio può essere compresa quando è necessaria per la sopravvivenza dell’azienda, non mi pare possa essere accettabile quando risponde alla logica di moltiplicare in modo esasperato i profitti: credo che esistano limiti all’accumulo della ricchezza, oltre i quali non è legittimo sacrificare la vita delle persone”.
Ma questa visione sul profitto è miope: “Dietro alle dinamiche estreme dei mercati mi sembra di leggere una visione povera della persona umana, sacrificata alla logica del denaro. E’ una visione che non colmerà mai il nostro cuore, neppure quello di chi muove le leve economiche e un giorno si domanderà l’uso che ne ha fatto. Tutti, ciascuno di noi nel suo ruolo, ci domanderemo un giorno se abbiamo portato frutti buoni”.
Anche l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha affermato che il senso del lavoro è nella persona, come è ribadito dall’art. 35 della Costituzione Italiana: “Vogliamo esprimere la nostra gioia di pensare il lavoro e pregare per il lavoro, soprattutto per rieducarci a mettere al centro il valore infinito della persona. La questione del lavoro è tra le più rilevanti. Il lavoro nella sua dignità perché realizza la persona e forma la comunità e il lavoro dignitoso capace di favorire lo sviluppo umano integrale e solidale.
L’articolo 35 della Costituzione dice: ‘La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori’: questo chiede di andare all’origine del senso del lavoro per poter, poi, valutarne le conseguenze. Elevare la persona significa scoprirci all’interno di un progetto di cooperazione a un bene più grande di noi, che va “oltre”. Il lavoro genera comunità, la comunità genera lavoro. Prendersi cura del lavoro è un atto di carità politica e di democrazia, un impegno che coinvolge tutti nel costruire un futuro migliore, un impegno che abbraccia l’integralità dell’individuo e l’integrità della società”.
E nel tema della Costituzione Italiana il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, visitando il polo agroalimentare del distretto cosentino ha ribadito che la Repubblica è fondata sul lavoro di tutti, consentendo la libertà:
“Il lavoro è libertà. Anzitutto libertà dal bisogno; e strumento per esprimere sé stessi, per realizzarsi nella vita. I progressi straordinari della scienza e della tecnica per migliorare la qualità e la sostenibilità dei prodotti e dei servizi, devono essere sempre indirizzati alla tutela della dignità e dell’integrità delle persone, dei loro diritti. A partire dal diritto al lavoro. Il lavoro deve essere libero da condizionamenti, squilibri, abusi che creano emarginazione e dunque rappresentano il contrario del suo ruolo e del suo significato”.
Il fatto non sussiste: la lotta per la vita
Due episodi hanno caratterizzato le discussioni della scorsa settimana, che possono essere riassunte in una mancanza di conoscenza, o meglio non rispetto della legge da parte di chi dovrebbe farle rispettare, che riguardano la vita. Il problema è che quando in questione è la vita si cercano molti escamotages per ucciderla, semplicemente per un vezzo ideologico, anche se i fatti non sussistono.
E’ il caso dei ‘taxi del mare’: nella settimana scorsa il tribunale di Trapani ha chiuso il caso delle ong che furono accusate di essere ‘taxi del mare’, in quanto il ‘fatto non sussiste’. I membri dell’equipaggio della nave della ong ‘Jugend Rettet’ erano stati accusati insieme ad altre persone di Msf e Save the Children di aver favorito l’immigrazione clandestina.
L’inchiesta era durata 4 anni: si basava sul racconto di alcuni addetti alla sicurezza imbarcati sulla nave di Save the Children, che rivelarono ad uomini dei servizi segreti come, in almeno tre occasioni, le Ong si fossero accordate con i trafficanti di esseri umani, simulando inesistenti situazioni di emergenza e arrivando persino a restituire i barconi agli scafisti. Qualche giornale, molto falsamente, arrivò a titolare in prima pagina ‘Patto tra l’ong egli scafisti’.
La formula assolutoria ha affermato che i fatti non sono stati dimostrati, tantoché Raffaela Milano, portavoce di ‘Save The Children’, ha definito storica la sentenza: “Questa sentenza restituisce il senso di un lavoro che è stato colpito da accuse ignobili e segna un passaggio fondamentale perché ci dice che il soccorso in mare non può essere messo al secondo posto. Speriamo solo che apra una fase nuova per tutta Europa”.
Stesso tenore è stata la nota di ‘Medici senza Frontiere’: “Dopo 7 anni di false accuse, slogan infamanti ed una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, cade la maxi-inchiesta avviata dalla Procura di Trapani nell’autunno 2016, la prima della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in ‘taxi del mare’ ed ‘amici’ dei trafficanti”.
Il ‘fatto non sussiste’ ugualmente per la polemica dell’aborto e l’applicazione della legge 194/78, anche se le misure sull’aborto non hanno niente a che vedere con il pnrr, in quanto la vita non è mercimonio, ma l’emendamento che affida alle Regioni la possibilità di ‘avvalersi nei consultori di soggetti del terzo settore con qualificata esperienza nel sostegno alla maternità’, non dice nulla di nuovo rispetto alla legge, che riconosce che lo “Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio…
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
Per questo la legge prescrive da parte dello Stato il dovere di rimuovere, quando possibile, cause e circostanza che impediscono la maternità alle donne, garantendo un diritto alla vita del nascituro e un dovere dello Stato di aiutare le donne che vogliano proseguire la gravidanza: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.
Inoltre è la legge che disciplina convenzioni con il Terzo Settore: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
Tutto il resto sono parole al vento che uccidono la vita e lo Stato non può permettersi di uccidere, andando contro le leggi che emana!