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Alla prof.ssa Boni il premio ‘Vox Canonica’

La prof.ssa Geraldina Boni, Ordinario di Diritto Canonico, di Diritto Ecclesiastico e di Storia del Diritto Canonico dell’Università di Bologna, è stata insignita del premio ‘Vox Canonica’ 2024, assegnato dalla rivista online specializzata nelle scienze canonistiche. La consegna avverrà giovedì 4 aprile alle ore 15.00 all’Università degli Studi di Macerata.

La prof.ssa Geraldina Boni, presidente della Commissione per le intese con le confessioni religiose e per la libertà religiosa, ha al suo attivo più di 200 pubblicazioni, tra monografie, articoli scientifici, saggi e contributi vari. L’ultima a distanza di tempo è il manuale di storia del diritto dal titolo: Il diritto nella storia della Chiesa, edito da Morcelliana.

“Sono molto onorata e davvero commossa per l’assegnazione del premio Vox Canonica 2024, un premio ancora giovane ma già assai autorevole e prestigioso”, ha commentato la prof.ssa Boni che durante la cerimonia di consegna terrà una lectio magistralis sulle prospettive di riforma delle fonti del diritto ecclesiastico.

Oltre alla premiata interverranno il prof. Paolo Picozza già professore di diritto ecclesiastico dell’Università degli Studi di Macerata, il professor Stefano Pollastrelli, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della stessa Università, la professoressa Elena Cedrola, Direttore del Dipartimento di Economia e Diritto, il professor Giuseppe Rivetti, Presidente del Corso di Laurea in Scienze Sociali Unimc, e Rosario Vitale, Canonista e fondatore di Vox Canonica.

Appena proclamato il premio la prof.ssa Boni è stata intervistata da Maria Cives per il sito della rivista online: “Ovviamente ne sono stata davvero felice. Si tratta di un premio istituito pochi anni or sono ma già molto conosciuto e prestigioso: per questo reputo un onore esserne stata insignita. Lo considero un riconoscimento per la passione con la quale mi dedico al diritto canonico, prediligendolo nelle ricerche e nella produzione scientifica”.

Quindi ha raccontato il suo ‘amore’ per il diritto canonico: “Mi sono laureata in diritto ecclesiastico avendo come relatore il prof. Giuseppe Dalla Torre, negli anni in cui insegnava a Bologna. In verità, la mia vocazione era quella di diventare giudice. Tuttavia, devo ammettere che gli aspetti canonistici inevitabilmente implicati nello sviluppo dei temi affrontati nella tesi attrassero fortemente il mio interesse.

Appena laureata, poi, il prof. Dalla Torre mi coinvolse subito nelle attività della cattedra, quali soprattutto l’organizzazione di seminari di approfondimento per gli studenti: scoprii così un universo giuridico la cui ricchezza e straordinarietà non avevo ancora compreso appieno. Insomma, abbandonata l’aspirazione alla magistratura, mi sono impegnata totalmente nello studio del diritto canonico: e il mio impegno è stato premiato da una carriera universitaria, nella sede bolognese, rapida e soddisfacente”.

Ed infine un consiglio per chi ha desiderio di studiare questa materia: “Sinceramente gli direi che verrà a contatto con un diritto estremamente affascinante, analogo sotto vari punti di vista a quelli secolari coi quali ha intrattenuto nei secoli strettissimi rapporti, ma contrassegnato da una specificità indelebile, un’unicità incancellabile. Tale studio sarà per lui non solo avvincente e ricco di spunti di riflessione, ma lo aprirà, proprio attraverso la comparazione con i diritti secolari, ad una comprensione più piena e matura di questi.

Lo renderà un vero interprete del diritto: pertanto, anche nelle Università statali, lo studio del diritto canonico non ricopre una mera valenza culturale, ma completa in maniera incisiva la preparazione del giurista…. Insomma, sono numerose le ragioni che devono incoraggiare all’approccio e alla coltivazione del diritto della Chiesa: il quale, sono decisamente persuasa, può soprattutto agevolare il giurista nell’acquisizione di un’accentuata sensibilità verso la ricerca di soluzioni razionali e autenticamente giuste”.

(Foto: Corriere Cesenate)

Papa Benedetto XVI e Papa Francesco nel racconto di una biblista

Molto diversi tra loro per stili e modi di comunicazione eppure con numerosi punti di contatto; così li descrive la biblista Rosanna Virgili, docente di Esegesi all’Istituto Teologico Marchigiano e di Spiritualità dei Salmi al Monastero di Santa Cecilia a Roma, nel libro ‘Benedetto e Francesco. Due papi diversi, ma mai divisi’, tratteggiando le linee fondamentali dei papi Benedetto e Francesco, cercando di cogliere le peculiarità e le differenze che li caratterizzano, ma anche di riconoscere i diversi elementi di continuità e comunione da cui sono legati, come ha scritto nell’introduzione;

“La ragione di questo piccolo libro sta in un ringraziamento per gli ultimi due Papi, l’uno ora in cielo e l’altro qui. Sono rimasti insieme per dieci anni ed è stata un’esperienza inedita su cui la Chiesa deve ancora riflettere… Qualcuno ha detto che, a differenza di Giovanni Paolo II, sia Benedetto che Francesco sono stati dei Papi divisivi. Credo che la prima ragione sia da individuare nel fatto che essi vengono dopo ventisette anni di un Pontificato dai colori affatto sfumati…

Di questi due volti, in apparenza antitetici, di Giovanni Paolo II, si può dire, istintivamente, che Ratzinger assume il primo, Bergoglio il secondo. Per questo i due risultano ancora per molti, cattolici e non cattolici, divisivi. Ed in effetti lo sono stati: divisivi, non però divisi, estranei l’uno all’altro, contrapposti, se non allo sguardo dei superficiali o di chi sia tentato dalla malafede”.

A lei chiediamo di spiegarci quali sono le diversità tra papa Francesco e papa Benedetto XVI: “Con un titolo, direi che l’uno è teologo e l’altro pastore. La prima caratteristica di papa Ratzinger non poteva non essere che quella di un papa teologo e nessuno potrebbe davvero mettere in dubbio l’immensità della sua cultura, in questo campo, unita alla sistematicità del suo pensiero e alle rare doti di chiarezza ed efficacia nell’esercizio della docenza.

Grande ricercatore della Verità e dottore della dottrina della Chiesa, i temi del suo pontificato sono, innanzitutto, teologici. Papa Francesco usa, invece, sin dal primo momento della sua elezione (il famoso: ‘buonasera’) un linguaggio popolare, sapienziale di rara efficacia comunicativa. Non rinuncia a questo modo di esprimersi neppure quando stila i suoi scritti dogmatici come le esortazioni apostoliche e le encicliche mostrando un primario interesse pastorale nel suo magistero”.

Per quale motivo sono stati messi in contrapposizione?

“Credo proprio per questa diversità di linguaggio. In secondo luogo credo che il fatto che in maniera del tutto inusuale nella storia della Chiesa Cattolica un papa si fosse dimesso e continuasse, pertanto, a vivere accanto al nuovo, ha creato un certo disorientamento tra gente abituata a pensare al papa come vicario di Cristo e, quindi, come una persona unica che poteva avere solo un successore ma non un ‘doppio’.

Non è stato facile capire la differenza tra papa regnante e papa emerito e l’enorme distanza culturale tra i due, l’uno europeo e tedesco, l’altro latinoamericano, l’uno ‘dottore’ della Chiesa, occupato in questioni dottrinali (era stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede per decenni), l’altro gesuita, pastore e vescovo di una megalopoli sudamericana dove le differenze e le ingiustizie sociali ed economiche sono foriere di una povertà estremamente diffusa e scandalosa”.

Quali sono stati i punti ‘teologici’ di contatto tra i due papi?

“Tutti quelli posti dal Concilio Vaticano II. Chi avesse visto in papa Benedetto XVI un papa pre-conciliare od, addirittura, tridentino, dovrebbe convincersi di aver davvero travisato la sua storia e il suo pensiero. Capita, infatti, che spesso si memorizzino cose mai sentite o che si esprimano giudizi in modo distratto. Quanto a papa Francesco già con l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ mostra di porsi nell’orizzonte di un’evangelizzazione aperta al mondo e missionaria tipica del Concilio. La fedeltà alla Chiesa, il ‘sensus ecclesiae’, l’attenzione e la cura per l’unità della stessa appartengono in maniera speciale ad ambedue i papi”.

Come hanno affrontato la piaga degli abusi nella Chiesa?

“Il papa Ratzinger ha iniziato ancora prima della sua elezione a pontefice ad affrontare la piaga della pedofilia; famosa è la sua frase sul Vaticano: ‘c’è molta sporcizia’, forse alludendo anche all’omosessualità. Una volta papa ha condannato la pedofilia anche in grandi occasioni pubbliche come nella GMG di Sydney o nella visita di tributo al ‘Ground Zero’ di New York.

Papa Francesco, in alcuni documenti e discorsi, ha visto e denunciato una connessione tra pedofilia e clericalismo, invitando tutta la chiesa a combattere contro questa duplice piaga. Papa Francesco ha fatto gesti concreti contro l’insabbiamento degli abusi e gesti simbolici come quello di riunire a Roma abusatori e vittime, ha riunito una intera Conferenza episcopale (quella cilena) particolarmente toccata dagli abusi per discutere di questa terribile piaga”.  

Quale ruolo della donna nella Chiesa nella visione dei due papi?

“Chi ha posto molta attenzione alla donna nella Chiesa è stato Francesco che, già nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’, ha parlato della necessità di aprire spazi alle donne nei luoghi dove si prendono le decisioni, vale a dire nei ruoli di governo. Ruoli che, poi, egli stesso ha dato a diverse donne che nelle istituzioni del Vaticano rivestono oggi anche dei ruoli apicali. Su invito del mondo religioso femminile papa Francesco ha poi dato vita a una Commissione che studia la possibilità di conferire il diaconato alle donne.

Di grande rilievo è ancora l’istituzione di ministeri laicali come quello del catechista aperto anche alle donne e dell’accolitato e il lettorato. Un vero grande passo a favore delle donne è stato fatto, infine, con la loro partecipazione al Sinodo dove le donne hanno potuto prendere tutte la parola. Riuniti attorno ai tavoli rotondi, nel numero dei dodici, in nessuno di essi mancava la presenza femminile. Quanto al Papa Ratzinger è importante ricordare la sua prossimità a papa Giovanni Paolo II, quando scriveva la lettera apostolica ‘Mulieris Dignitatem’”.    

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco alla città di Rosario: creare comunità

Papa Francesco guarda

Davanti alle violenze oggi papa Francesco ha inviato un videomessaggio ad abitanti e istituzioni di Rosario, teatro da settimane di omicidi e altri crimini dei narcotrafficanti, chiedendo di rafforzare la comunità con un versetto del vangelo di Matteo, ‘Beati coloro che lavorano per la pace’: “E’ una delle beatitudini. E in un momento di crisi, come quello vissuto dalla Città di Rosario, comprendiamo la necessità che la presenza delle forze di sicurezza porti tranquillità alla comunità. Sappiamo però che nel cammino verso la pace occorre seguire risposte complesse e organiche, con la collaborazione di tutte le istituzioni che compongono la vita di una società. E’ necessario rafforzare la comunità”.

Il papa ha sollecitato gli abitanti della città argentina ad attivare strumenti per ‘riabilitare’ la politica: “Ogni Popolo ha dentro di sé gli strumenti per superare ciò che minaccia la sua stessa integrità, contro la vita dei suoi figli più deboli. Contro voi che attaccate è necessario rafforzare la comunità. Nessuno di buona volontà può sentirsi escluso o essere escluso dal grande compito di fare di Rosario un luogo dove tutti possano sperimentarsi fratelli. Senza la complicità di un settore del potere politico, di polizia, giudiziario, economico e finanziario non sarebbe possibile arrivare alla situazione in cui si trova la città di Rosario”.

La politica perciò si riabilita attraverso il dialogo: “E’ necessario ‘riabilitare la politica, che è «una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune’. Tutti i settori politici sono chiamati a percorrere la grande strada del consenso e del dialogo per generare leggi e politiche pubbliche che accompagnino un processo di ripresa del tessuto sociale. L’avvicendamento del management deve sostenere la continuità dei processi di cambiamento”.

Ed affrontando il grave problema della droga ha chiamato in causa il silenzio delle Istituzioni: “E’ necessario lavorare non solo sull’offerta, ma anche sulla domanda di droga, attraverso politiche di prevenzione e di assistenza. Il silenzio dello Stato su questo argomento non fa altro che naturalizzare e facilitare la promozione del loro consumo e della loro commercializzazione.

 In un contesto come questo, è necessario che il sistema democratico garantisca l’istituzionalità della giustizia, in modo tale che possa essere indipendente, per indagare sulle reti di corruzione e riciclaggio di denaro che facilitano l’avanzata del narcotraffico. Ogni membro della magistratura è responsabile della salvaguardia della propria integrità, che inizia con la rettitudine del proprio cuore”.

Dopo aver ringraziato chi si impegna nel garantire la giustizia il papa ha affrontato il tema economico: “Sfortunatamente, non esiste una cattiva economia senza la complicità di una parte del settore privato. Il settore imprenditoriale ha davanti a sé un grande compito, non solo nel prevenire complicità negli affari con le organizzazioni mafiose, ma anche nell’impegno sociale. Ci sono grandi esempi nella vita della comunità imprenditoriale argentina, tra cui Enrique Shaw. Nessuno si salva da solo, anche nei quartieri privati ​​si può incontrare l’insicurezza e la minaccia del consumo per i propri figli”.

Per questo la città argentina ha una grande ricchezza, che deve valorizzare: “Rosario ha una grande ricchezza di istituzioni al servizio degli altri. E’ una ricchezza quella che possiedi. Tutti possiamo collaborare e far parte di spazi sportivi, educativi e comunitari. La paura isola sempre, la paura paralizza. Non aver paura di impegnarti con gli altri per essere una risposta pacifica e stimolante”.

Ed in questa comunità la Chiesa si fa prossima: “La parrocchia è la Chiesa che si fa prossimo, è la comunità dove ognuno può sperimentarsi amato. Per molti bambini, adolescenti e giovani vulnerabili sarà forse l’unica esperienza familiare che avranno l’opportunità di conoscere. In questi tempi, l’amore e la carità saranno l’annuncio più esplicito del Vangelo per una società che si sente minacciata”.

Inoltre secondo quanto riferisce Vatican News le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo sono redatte da papa Francesco con il tema ‘In preghiera con Gesù sulla via della Croce’: “Un titolo che fa capire il carattere profondamente ‘meditativo’ di questi testi che, come sottolinea la Sala Stampa vaticana, saranno dunque ‘un atto di meditazione e spiritualità, con Gesù al centro. Lui che fa il cammino della Croce e ci si mette in cammino con Lui’.

Inoltre per quanto riguarda la presenza del papa alla Via Crucis, considerando le condizioni di salute del Pontefice e l’abbassamento delle temperature a Roma, non giunge dalla Sala Stampa vaticana alcuna conferma né smentita: rimane quanto già annunciato in precedenza e cioè che il Papa sarà venerdì sera al Palatino.

Papa Francesco: la prudenza orienta la vita

“A san Giuseppe raccomandiamo anche le popolazioni della martoriata Ucraina e della Terra Santa (la Palestina, Israele), che tanto soffrono l’orrore della guerra. E non dimentichiamo mai: la guerra sempre è una sconfitta. Non si può andare avanti in guerra. Dobbiamo fare tutti gli sforzi per trattare, per negoziare, per finire la guerra”: con perentorietà al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha lanciato un appello per la pace, mettendo sotto la sua protezione il mondo:

“Abbiamo celebrato ieri la solennità di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Vorrei insieme a voi affidare al suo patrocinio la Chiesa e il mondo intero, soprattutto tutti i papà che in lui hanno un modello singolare da imitare”.

Mentre ai polacchi, che domenica prossima celebrano la Giornata della vita, il papa ha ricordato il suo valore: “Ogni anno il 24 marzo celebrate in Polonia la Giornata Nazionale della Vita. Pensando alla vostra patria, vorrei riferirvi il mio sogno, che ho espresso qualche anno fa scrivendo sull’Europa. Che la Polonia sia una terra che tuteli la vita in ogni suo istante, da quando sorge nel grembo materno fino alla sua fine naturale. Non dimenticate che nessuno è padrone della vita, né propria né di quella degli altri”.

Mentre, continuando il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, il papa ha incentrato la riflessione sul tema della virtù della prudenza, la cui lettura è stata ancora affidata a p. Pierluigi Giroli a causa del raffreddore che lo affligge: “Essa, insieme a giustizia, fortezza e temperanza forma le virtù cosiddette cardinali, che non sono prerogativa esclusiva dei cristiani, ma appartengono al patrimonio della sapienza antica, in particolare dei filosofi greci. Perciò uno dei temi più interessanti nell’opera di incontro e di inculturazione fu proprio quello delle virtù”.

La prudenza è parte di un organico delle virtù, che consentono l’orientamento dell’uomo nella vita: Negli scritti medievali, la presentazione delle virtù non è una semplice elencazione di qualità positive dell’anima. Riprendendo gli autori classici alla luce della rivelazione cristiana, i teologi hanno immaginato il settenario delle virtù (le tre teologali e le quattro cardinali) come una sorta di organismo vivente, dove ogni virtù ha uno spazio armonico da occupare. Ci sono virtù essenziali e virtù accessorie, come pilastri, colonne e capitelli. Ecco, forse niente quanto l’architettura di una cattedrale medievale può restituire l’idea dell’armonia che c’è nell’uomo e della sua continua tensione verso il bene”.

Però la prudenza non si addice ad una persona remissiva: “Dunque, partiamo dalla prudenza. Essa non è la virtù della persona timorosa, sempre titubante circa l’azione da intraprendere. No, questa è un’interpretazione sbagliata. Non è nemmeno solo la cautela. Accordare un primato alla prudenza significa che l’azione dell’uomo è nelle mani della sua intelligenza e libertà. La persona prudente è creativa: ragiona, valuta, cerca di comprendere la complessità del reale e non si lascia travolgere dalle emozioni, dalla pigrizia, dalle pressioni dalle illusioni”.

Ecco il motivo per cui il papa consiglia la riflessione sulla prudenza: “San Tommaso, sulla scia di Aristotele, la chiamava ‘recta ratio agibilium’. E’ la capacità di governare le azioni per indirizzarle verso il bene; per questo motivo essa è soprannominata il ‘cocchiere delle virtù’. Prudente è colui o colei che è capace di scegliere: finché resta nei libri, la vita è sempre facile, ma in mezzo ai venti e alle onde del quotidiano è tutt’altra cosa, spesso siamo incerti e non sappiamo da che parte andare”.

Per questo il prudente si fa consigliare, in quanto sa di sbagliare: “Chi è prudente non sceglie a caso: anzitutto sa che cosa vuole, quindi pondera le situazioni, si fa consigliare e, con visione ampia e libertà interiore, sceglie quale sentiero imboccare. Non è detto che non possa sbagliare, in fondo restiamo sempre umani, ma almeno eviterà grosse sbandate”.

Chi fa uso della prudenza sa ‘armonizzare’ diversi punti di vista: “Purtroppo, in ogni ambiente c’è chi tende a liquidare i problemi con battute superficiali o a sollevare sempre polemiche. La prudenza invece è la qualità di chi è chiamato a governare: sa che amministrare è difficile, che i punti di vista sono tanti e bisogna cercare di armonizzarli, che si deve fare non il bene di qualcuno ma di tutti”.

Il prudente non è in cerca dell’ottimo, ma del bene: “Il troppo zelo, infatti, in qualche situazione può combinare disastri: può rovinare una costruzione che avrebbe richiesto gradualità; può generare conflitti e incomprensioni; può addirittura scatenare la violenza”.

Quindi il prudente è anche previdente: “La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero. E la persona prudente è anche previdente. Una volta decisa la meta a cui tendere, bisogna procurarsi tutti i mezzi per raggiungerla”.

Concludendo la catechesi il papa ha indicato tre passi evangelici, in cui si mette in luce la virtù della prudenza, capace di coniugare ‘semplicità e scaltrezza’: “Ad esempio: è prudente chi costruisce la sua casa sulla roccia e imprudente chi la costruisce sulla sabbia. Sagge sono le damigelle che portano con sé l’olio per le loro lampade e stolte quelle che non lo fanno. La vita cristiana è un connubio di semplicità e di scaltrezza. Preparando i suoi discepoli per la missione, Gesù raccomanda: ‘Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’. Come dire che Dio non ci vuole solo santi, ci vuole santi intelligenti, perché senza la prudenza è un attimo sbagliare strada!”

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco invita a leggere il tempo favorevole

Questa mattina papa Francesco ha ricevuto al Palazzo Apostolico i partecipanti alla plenaria del Dicastero per l’Evangelizzazione – Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo ed ha soffermato il discorso, letto da mons. Ciampanelli, sulla ‘spiritualità della misericordia’, come contenuto fondamentale nell’opera di evangelizzazione con un particolare pensiero alle Chiese locali:

“Il primo pensiero va alla condizione in cui versano diverse Chiese locali dove il secolarismo dei decenni passati ha creato enormi difficoltà: dalla perdita del senso di appartenenza alla comunità cristiana, all’indifferenza per quanto concerne la fede e i suoi contenuti. Sono problemi seri, con cui tanti fratelli ogni giorno devono confrontarsi, ma non bisogna perdersi d’animo”.

Nonostante il secolarismo, il papa ha invitato a ‘leggere’ bene questo tempo ‘favorevole’: “Il secolarismo è stato studiato e si sono scritte valanghe di pagine in proposito. Conosciamo gli effetti negativi che ha prodotto, ma questo è il tempo favorevole per comprendere quale risposta efficace siamo chiamati a dare alle giovani generazioni perché possano recuperare il senso della vita”.

Il centro della riflessione papale è la libertà: “Il richiamo all’autonomia della persona, avanzato come una delle pretese del secolarismo, non può essere teorizzato come indipendenza da Dio, perché è proprio Dio che garantisce la libertà all’agire personale.

E riguardo alla nuova cultura digitale, che presenta tanti aspetti interessanti per il progresso dell’umanità (pensiamo alla medicina e alla salvaguardia del creato), essa porta con sé anche una visione dell’uomo che appare problematica se riferita all’esigenza di verità che alberga in ogni persona, unita all’esigenza di libertà nei rapporti interpersonali e sociali”.

Quindi occorre recuperare la trasmissione della fede: “A tale scopo è urgente recuperare un’efficace relazione con le famiglie e con i centri di formazione. La fede nel Signore risorto, che è il cuore dell’evangelizzazione, per essere trasmessa richiede un’esperienza significativa vissuta in famiglia e nella comunità cristiana come incontro con Gesù Cristo che cambia la vita. Senza questo incontro, reale ed esistenziale, si sarà sempre sottoposti alla tentazione di fare della fede una teoria e non una testimonianza di vita”.

In questa trasmissione di fede fondamentale è la catechesi attraverso il nuovo Direttorio, elaborato nel 2020: “Esso è uno strumento valido e può essere efficace, non solo per il rinnovamento della metodologia catechistica, ma direi soprattutto per il coinvolgimento della comunità cristiana nel suo insieme. In questa missione, un ruolo specifico è affidato a coloro che hanno ricevuto e riceveranno il ministero di Catechista, per essere rafforzati nel loro impegno al servizio dell’evangelizzazione”.

E’ stato un invito ai vescovi per accompagnare sempre più al ministero di catechista: “Auspico che i Vescovi sappiano alimentare e accompagnare le vocazioni a tale ministero, soprattutto tra i giovani, per consentire che sia ridotto il divario tra le generazioni e la trasmissione della fede non appaia come un compito affidato solo alle persone anziane.

In questo senso, vi incoraggio a trovare le forme perché il Catechismo della Chiesa Cattolica possa continuare ad essere conosciuto, studiato, valorizzato, così che se ne traggano le risposte alle nuove esigenze che si manifestano con il passare dei decenni”.

Inoltre nell’evangelizzazione è necessaria la ‘spiritualità della misericordia’: “La misericordia di Dio non viene mai meno e noi siamo chiamati a testimoniarla e a farla, per così dire, circolare nelle vene del corpo della Chiesa. Dio è misericordia: questo messaggio perenne è stato rilanciato con forza e modalità rinnovate da san Giovanni Paolo II per la Chiesa e l’umanità all’inizio del terzo millennio. La pastorale dei Santuari, che è una vostra competenza, richiede di essere impregnata di misericordia, perché quanti giungono in quei luoghi vi possano trovare delle oasi di pace e serenità”.

Fondamentali sono i ‘Missionari della misericordia’ per il sacramento della Riconciliazione: “Ministri di Dio che non solo attende ma va incontro, va in cerca, perché è Padre misericordioso, non padrone, è buon Pastore, non mercenario, ed è pieno di gioia quando può accogliere una persona che ritorna, oppure la ritrova mentre va errando nei suoi labirinti.

Quando l’evangelizzazione è compiuta con l’unzione e lo stile della misericordia trova maggior ascolto, e il cuore si apre con più disponibilità alla conversione. Si è toccati, infatti, in ciò di cui sentiamo di avere più bisogno, cioè l’amore puro, gratuito, che è sorgente di vita nuova”.

Eppoi ha chiesto di prepararsi al Giubileo, che invita a vivere la speranza: “Tra qualche settimana renderò pubblica la Lettera Apostolica per la sua indizione ufficiale: auspico che quelle pagine possano aiutare molti a riflettere e soprattutto a vivere concretamente la speranza.

Questa virtù teologale è stata vista poeticamente come la ‘sorella più piccola’ in mezzo alle altre due, fede e carità, ma senza la quale queste due non vanno avanti, non esprimono al meglio sé stesse. Il popolo santo di Dio ne ha tanto bisogno!”

Però nel frattempo ha invitato a non dimenticare la speranza attraverso l’intensificazione della preghiera: “E non dimentichiamo che questo anno che precede il Giubileo è dedicato alla preghiera. Abbiamo bisogno di riscoprire la preghiera come esperienza di stare alla presenza del Signore, di sentirci compresi, accolti e amati da Lui.

Come ci ha insegnato Gesù, non si tratta di moltiplicare le nostre parole quanto, piuttosto, di dare spazio al silenzio per ascoltare la sua Parola e accoglierla nella nostra vita. Incominciamo noi, fratelli e sorelle, a pregare di più, a pregare meglio, alla scuola di Maria e dei santi e delle sante”.

(Foto: Santa Sede)

La Chiesa è sinodale e missionaria

Ieri sono stati pubblicati due documenti della Segreteria Generale del Sinodo: ‘Come essere Chiesa sinodale in missione? Cinque prospettive da approfondire teologicamente in vista della Seconda Sessione’; ‘Gruppi di studio su questioni emerse nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi da approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia romana’, presentati dal card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo; dal card. Jean-Claude Hollerich, Arcivescovo di Luxembourg e relatore generale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi; da mons. Filippo Iannone, Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi; da mons. Piero Coda, Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale, da p. Giacomo Costa, Consultore della Segreteria Generale del Sinodo, e da suor Simona Brambilla, Segretaria del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha puntualizzato:

“La Relazione di Sintesi (RdS) pubblicata lo scorso ottobre a conclusione della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità porta il titolo: ‘Una Chiesa sinodale in missione’. La domanda guida che ci accompagna nei lavori verso la II sessione dell’ottobre 2024 è: ‘Come essere Chiesa sinodale in missione?’… Tra i membri del Sinodo ci sono sia il Prefetto sia il Segretario del Dicastero. Per entrambi, l’esperienza di immersione nella dinamica sinodale è stata coinvolgente e stimolante. Ci siamo accorti, con stupore e commozione, di trovarci a vivere un momento forte dello Spirito che segna una svolta.

L’Aula Paolo VI in Vaticano come un grande cenacolo. I tavoli rotondi disposti attorno alla Parola e all’icona della Madre, la Salus populi romani che, come a Cana, vigila con premura e discrezione sullo svolgersi del banchetto, custodendo la comunione, la gioia, la festa. Sedute alla mensa della Parola, che risuona nella Scrittura e nella voce dell’altro, oltre 400 persone provenienti dai cinque continenti e dalle più diverse esperienze di Chiesa (cardinali, vescovi, preti, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche) uniti da ciò che li rende profondamente fratelli e sorelle, al di là di ogni ruolo, titolo, funzione, servizio, responsabilità: il Battesimo, l’immersione in Cristo, la vocazione cristiana!”

Nel primo documento riguardante la missione della Chiesa si sottolinea che il Sinodo ha evidenziato la natura missionaria della Chiesa: “Il processo sinodale ci ha resi sempre più consapevoli della nostra missione. Nella Prima Sessione assembleare, questa consapevolezza ha progressivamente ‘preso carne’, orientando il cammino in vista della Seconda Sessione (ottobre 2024)…

L’obiettivo è identificare le vie da percorrere e gli strumenti da adottare nei diversi contesti e nelle diverse circostanze, così da valorizzare l’originalità di ogni battezzato e di ogni Chiesa nell’unica missione di annunciare il Signore risorto e il suo Vangelo al mondo di oggi. Non si tratta dunque di limitarsi al piano dei miglioramenti tecnici o procedurali che rendano più efficienti le strutture della Chiesa, ma di lavorare sulle forme concrete dell’impegno missionario a cui siamo chiamati, nel dinamismo tra unità e diversità proprio di una Chiesa sinodale”.

E muta il luogo della missione secondo i ‘segni dei tempi’: “Viviamo in un tempo nel quale il rapporto delle persone e delle comunità con la dimensione dello spazio sta mutando profondamente. La mobilità umana, la presenza in uno stesso contesto di culture ed esperienze religiose diverse, la pervasività dell’ambiente digitale (l’infosfera) possono essere considerati ‘segni dei tempi’ che occorre discernere.

In un mondo segnato da violenza e frammentazione, appare sempre più urgente una testimonianza dell’unità dell’umanità, della sua comune origine e del suo comune destino, in una solidarietà coordinata e fraterna verso la giustizia sociale, la pace, la riconciliazione e la cura della casa comune, superando quindi il potenziale divisivo di alcuni modi errati di intendere il riferimento a un luogo, ai suoi abitanti e alla sua cultura”.

Nel secondo documento è stato dato risalto alle relazioni tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina: “L’Assemblea sinodale ha evidenziato la necessità di una maggiore conoscenza reciproca e di un dialogo tra i membri delle Chiese orientali cattoliche e della Chiesa latina. In un contesto di crescente migrazione, che ha visto lo sviluppo di comunità cristiane orientali in diaspora, le comunità di tradizioni orientali e latina coesistono oggi nella maggior parte del mondo…

Sulla scia di quanto proposto dalla RdS, si dà vita a un Gruppo di studio formato da teologi e canonisti orientali e latini, coordinato dalla Segreteria Generale del Sinodo e dal Dicastero per le Chiese orientali, che, dopo il necessario approfondimento, possa formulare indicazioni: relative alla partecipazione alle Conferenze Episcopali dei Vescovi orientali al di fuori del territorio canonico; relative a linee guida per le Diocesi latine sul cui territorio vivano presbiteri e fedeli orientali, in modo da aiutarli ‘a preservare la loro identità e a coltivare il loro patrimonio specifico’, e con lo scopo di ‘trovare modalità che rendano visibile e sperimentabile una effettiva unità nella diversità’”.

Poi si è evidenziata la necessità dell’ascolto del ‘grido’ dei poveri: “Il cap. 16 della RdS esprime la consapevolezza che ‘ascolto è il termine che meglio esprime l’esperienza più intensa che ha caratterizzato i primi due anni del percorso sinodale e anche i lavori dell’Assemblea’, ed afferma che ‘una Chiesa sinodale non può rinunciare a essere una Chiesa che ascolta, e questo impegno deve tradursi in azioni concrete’…Mettersi in ascolto consente alla comunità cristiana di ‘assumere l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle persone che incontrava’”.

Fondamentale è anche l’ambiente digitale, indicando i giovani più adatti a questa nuova missione: “Il cap. 17 della RdS costituisce l’orizzonte al cui interno cogliere l’importanza per la Chiesa di portare avanti la missione di annuncio del Vangelo anche nell’ambiente digitale, che coinvolge ogni aspetto della vita umana e va quindi riconosciuto come una cultura e non solo come un’area di attività. Tuttavia la Chiesa stenta a riconoscere l’azione nell’ambiente digitale come una dimensione cruciale della propria testimonianza nella cultura contemporanea.

Pur riguardando tutti, l’azione nel mondo digitale è contrassegnata da un’attenzione particolare al mondo giovanile: molti giovani ‘hanno abbandonato gli spazi fisici della Chiesa in cui cerchiamo di invitarli a favore degli spazi online’… al tempo stesso, i giovani, e tra di loro i seminaristi, i giovani preti e i giovani consacrati e consacrate, che spesso ne hanno una esperienza diretta, sono i più adatti per aiutare la Chiesa a portare avanti la missione nell’ambiente digitale”.

(Foto: Santa Sede)

Comunione e Liberazione ricorda don Luigi Giussani: il cristianesimo è avvenimento

Don Giussani

In occasione del 19° anniversario della salita al Cielo del Servo di Dio don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) e del 42° del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione (11 febbraio 1982), oltre che per la ricorrenza dei 70 anni dalla nascita del movimento di CL, nei mesi di febbraio e marzo in Italia e nel mondo si sono celebrate le messe con la seguente intenzione:

“Grati per il dono del carisma donato dallo Spirito Santo a don Giussani, desideriamo servire con tutte le nostre energie la Chiesa e i suoi pastori, certi che solo nella sequela quotidiana a Cristo e al Suo Vicario è possibile vivere la vera unità tra noi e servire il bene degli uomini del nostro tempo. Maria Regina della pace guidi il cammino di tutto il movimento e interceda per la pace nel mondo”.

Ed il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, ha ricordato il compito affidato da don Lugi Giussani al Movimento: “Consapevoli del compito che ci è affidato per contribuire alla costruzione della Chiesa e per l’annuncio al mondo della speranza che Cristo è per la vita di ogni uomo, desideriamo far memoria di don Giussani, e della storia generata dalla sua amicizia con coloro che l’hanno seguito, tenendo lo sguardo fisso sulle parole che papa Francesco mi ha rivolto nella lettera inviata al movimento in occasione di queste ricorrenze:

‘Ho particolarmente a cuore di raccomandare a Lei e a tutti gli aderenti di avere cura dell’unità tra voi: essa sola, infatti, nella sequela ai pastori della Chiesa potrà essere nel tempo custode della fecondità del carisma che lo Spirito Santo ha donato a don Giussani: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri’”.

A Milano mons. Mario Delpini ha ricordato la sua fedeltà alla Chiesa: “Nella storia abita la promessa perché Dio è fedele e la gratitudine e ammirazione per don Giussani ci ha radunati per riconoscere i segni della fedeltà di Dio nella fecondità meravigliosa del carisma che Dio ha affidato a don Giussani.

Nella storia abita la promessa e le vicende di tanti uomini e donne di Dio incoraggia la nostra fiducia: Dio è fedele! Noi crediamo in Dio! E camminiamo nella fede chiedendo il dono della pazienza di coloro che ancora non vedono e chiedendo la santità di una appartenenza senza pentimenti, di una gratitudine senza pretese, di un discernimento semplice per riconoscere l’opera che oggi Dio compie per noi”.

Nel 1992 don Luigi Giussani ha parlato del cristianesimo come avvenimento, partendo da una frase del poeta Rilke: “Il cristianesimo è un avvenimento, nel senso che innanzitutto non è una predicazione morale. Essendo un avvenimento che implica Dio, una mossa del Mistero nella vita dell’uomo, nella storia dell’uomo, credo che la premessa più importante sia il tipo di attenzione o la tensione di tenerezza che l’uomo ha verso se stesso.

Se un uomo non ha attenzione e tenerezza verso se stesso, una tenerezza come la madre l’ha col suo bambino, è in una posizione, dico, necessariamente ostile all’avvenimento cristiano. C’è una frase di Rainer Maria Rilke da cui parto spesso per una meditazione su di me stesso: ‘E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile’ (‘Seconda Elegia’ in Elegie duinesi).

Io non ho mai trovato una sintesi di quello che l’uomo esistenzialmente sente di se stesso, se si pensa con attenzione, per un minimo di attenzione che porta a se stesso, paragonabile a questa frase di Rilke”.

L’avvenimento consiste che Dio si è fatto uomo: “La mossa di Dio è consistita nel fatto che il mistero di Dio si è configurato come un uomo reale, ha preso la realtà d’un uomo vero, un uomo cioè che viene concepito nell’utero di una donna e da questo piccolo e quasi invisibile grumo si sviluppa come infante, come bambino, come fanciullo, come adolescente, come giovane, fino ad essere, a diventare centro di attenzione nella vita sociale del popolo ebraico, fino a trascinare dietro a sé le folle, e fino ad avere le folle, per l’atteggiamento di chi ha il potere in mano, contro di sé, fino ad essere crocifisso, ucciso, e fino a risorgere, risorgere dalla morte. Un fatto, perciò, è la mossa di Dio, un fatto integralmente umano…

Ecco, il fatto cristiano è come un bambino che nasca in una famiglia; infatti è nato anche come un bambino: l’avvenimento cristiano è Dio che entra nella vita dell’uomo e nella storia dell’uomo come entra nella storia dell’uomo e nella vita della sua famiglia e nella storia dell’umanità un bambino che nasce da una donna”.

Per questo il cristianesimo è la storia degli uomini, perché è concretezza: “Ecco, il cristianesimo è la storia degli uomini che, in qualche modo venendo a contatto con questo avvenimento, con l’avvenimento di Cristo, con questo fatto storico, gli sono andati dietro, ognuno così come poteva, ognuno così come può…

Se io penso che il Signore è più concreto di mia mamma, è più mio di mia madre o di mio papà, se si pensa a questo, allora il desiderio di moltiplicare la memoria non solo è lecito, ma è inevitabile, e farlo diventa non solo possibile, ma reale. Così che uno può commettere un errore coscientemente, e poi subito ricordarsi di quella Presenza. E questo moltiplicarsi del ricordo abbrevia sempre di più il tempo della smemoratezza e il tempo del tradimento”.

Il card. Zuppi ricorda don Nicolini e don Giussani

‘Il prete degli ultimi’ e ‘l’apostolo delle carceri’: questi sono stati alcuni aggettivi per ricordare don Giovanni Nicolini, il sacerdote mantovano morto nei giorni scorsi a Bologna: monaco della comunità delle famiglie della Visitazione, don Giovanni Nicolini era stato ordinato sacerdote nel 1972. Quando approda a Bologna nel 1967 entra in contatto con don Giuseppe Dossetti e va a fare il parroco in provincia, a Sammartini di Crevalcore, per poi dirigere la Caritas locale.

Nell’omelia delle esequie funebri l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, ha sottolineato che il sacerdote bolognese si è sempre nutrito nella preghiera: “Con Giovanni, accompagnato fino alla fine dalla preghiera e dalla lettura della Parola, direi notte e giorno, si è nutrito, lui, di questo pane che gli ha conquistato il cuore e che con tanta sapienza umana e spirituale offriva a chiunque.

Lo faceva sempre in modo personale, senza supponenza, tanto che ogni incontro, anche il più ordinario, acquisiva un valore particolare, un significato nel senso stretto del termine, un tratto personale, diretto, del quale credo che qui, oggi, in tanti ringraziamo per qualche parola che ha toccato il cuore, per un sorriso, per un consiglio, per un po’ di luce e conforto.

Giovanni era grande nello spiegare le Scritture e le faceva calare nella vita, regalava un Vangelo vivo, esigente e umanissimo, tanto che tutti si sentivano descritti, illuminati, perdonati, amati del Signore del Vangelo spiegato da lui. E una Parola vissuta e annunziata così diventa quasi naturalmente comunione tra chi ascolta e condivisione con tutti, particolarmente con i poveri”.

Da questo nutrimento della preghiera don Nicolini aveva aperto la sua casa all’accoglienza di tutti: “Tutti si sentivano a casa con lui, accolti e attesi e molti sono stati attirati da lui proprio per questo spiegare le Scritture e per la relazione che aveva con chi ascoltava e con i poveri.

Negli ultimi faticosi tempi, in cui tutto era sfuocato e non aveva la forza per tante altre cose, era sempre attaccato alla Bibbia con tutte le poche energie rimaste, unitamente all’affetto incondizionato per Massimo che ha sempre indicato come esempio della mitezza divina di Gesù.

Il suo impegno evangelico richiedeva, come abbiamo ascoltato, giustizia, che vuol dire cambiare le cause, coinvolgendo tutti nell’intelligenza e nella passione per la persona, quella che deve animare la politica intesa nel senso più nobile e alto.

Era quella che aveva imparato dal papà e dai suoi tanti amici, che vedeva trasfusa nei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale che, diceva, ‘non citano esplicitamente Dio ma esprimono chiaramente la concezione cristiana della storia’. Fino alla fine non ha smesso di ricordarci lo scandalo della povertà, di farlo sempre con tanta cultura e conoscenza ma anche con la commozione personale, perché non riusciva a non piangere davanti a situazioni di povertà. Così ci aiutava a piangere, vincendo tiepidezza, scontatezza e indifferenza”.

Quindi don Nicolini era innamorato di Dio che si incarna nell’umanità: “Ha teso alla pietà, che non è mai un sentimento compiaciuto e quindi sterile, ma si traduce in prassi. Alla fede, cioè all’abbandono pieno a Dio e alla sua volontà, radicale non perché ha le risposte per tutto ma perché ha trovato la risposta che motiva tutto.

Alla carità, che supera tutti i limiti e le misure, perché è questa a durare per sempre, perché solo l’amore resta e resterà per sempre. Alla pazienza, che non è rassegnazione ma visione lunga, amore più forte delle delusioni e delle miserie, speranza con cui sapeva riaccendere nei cuori spenti dalla sofferenza il senso della rinascita e della luce che passa attraverso le ferite.

Alla mitezza, da vero uomo di pace qual era, che non perde tempo a litigare, ma che con il sorriso e la gentilezza sconfigge la forza del male con la forza del cuore. Giovanni ha combattuto la buona battaglia della fede, fino alla fine, pregando e trasmettendo fede nell’incertezza della vita. Ha viaggiato nel mondo, cercandolo e amandolo senza barriere, perché il mondo ci è lontano non perché è ‘contro-Dio’, ma perché è ‘senza-Dio’.

E quindi bisogna far conoscere Gesù, luce di cui il mondo ha bisogno e che non cerca perché si è rassegnato al suo crepuscolo grigio. Noi lo ringraziamo perché la sua professione di fede l’ha fatta con noi come testimoni. E oggi noi dobbiamo comunicarlo con più consapevolezza e responsabilità a tanti che lo cercano”.

Mentre nel diciannovesimo anniversario della morte di don Luigi Giussani il card. Zuppi ha ricordato il suo amore per la Chiesa: “Nel 1968 Giussani disse che la comunione è ‘una struttura nuova dell’io’, che non è tanto un complesso di formule, di dogmi, di concezioni astratte, di idee, ma una realtà fisica, ‘è l’appartenenza a Cristo, ma Cristo non è il Cristo di duemila anni fa, il Cristo è quella realtà che si compie, che si rende presente nel suo corpo mistico, nella Chiesa’…

Penso ad un’immagine che in questi anni ci ha accompagnato, dolcissima, riassunto di tutta la vita, eloquente più di tante parole, che rivela l’atteggiamento suo e nostro davanti al successore di Pietro – chiunque esso sia – che è stato chiamato a occupare quella cattedra.

Don Giussani, malfermo, si inginocchia davanti a Giovanni Paolo II al termine della sua testimonianza in quella Pentecoste straordinaria che deve diventare maturità consapevole, non tiepida, bensì radicale ed esigente sequela di Gesù di uomini che non si intristiscono ma sono pieni del vino nuovo e sempre più buono dello Spirito. Giussani ricevette in cambio un abbraccio tenerissimo, protettivo, che risponde pienamente alla richiesta di lui e di noi mendicanti di amore”.

(Foto: arcidiocesi di Bologna)

Papa Francesco invita ad ascoltare le vittime degli abusi

Nella lotta agli abusi papa Francesco ha raccomandato di non dimenticare mai l’ascolto e la compassione per le vittime, ricevendo i membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, in occasione dell’Assemblea Plenaria:

“Negli ultimi dieci anni il vostro compito di offrire ‘consiglio e consulenza e altresì proporre le più opportune iniziative per la salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili’ si è notevolmente allargato. Esso ha assunto una fisionomia più definita, dal momento che vi ho chiesto di concentrarvi nell’aiutare a rendere la Chiesa un luogo sempre più sicuro per i minori e gli adulti più fragili.

Mi rallegra vedere che oggi siete qui numerosi, come pure poter ascoltare gli aggiornamenti sulle vostre attività. Vi esorto a continuare in questo servizio, con spirito di squadra: costruendo ponti e collaborazioni che possano rendere più efficace la vostra cura per gli altri”.

E’ stato un invito a studiare bene il Rapporto Annuale sulle Politiche e le Procedure di Tutela nella Chiesa senza scoraggiarsi: “Di fronte allo scandalo degli abusi e alla sofferenza delle vittime potremmo scoraggiarci, perché la sfida di ricostruire il tessuto di vite infrante e di guarire il dolore è grande e complessa. Ma non deve venire meno il nostro impegno; anzi, vi incoraggio ad andare avanti, perché la Chiesa sia sempre e dappertutto un luogo dove ciascuno possa sentirsi a casa e ogni persona sia ritenuta sacra”.

E’ stato soprattutto ad aver cura delle sofferenze delle vittime: “Per vivere bene questo servizio dobbiamo fare nostri i sentimenti di Cristo: la sua compassione, il suo modo di toccare le ferite dell’umanità, il suo Cuore trafitto d’amore per noi. Gesù è Colui che si è fatto vicino; nella sua carne Dio Padre si è avvicinato a noi oltre ogni limite e, così, ci mostra che non è distante dai nostri bisogni e dalle nostre preoccupazioni.

In Gesù Egli si fa carico delle nostre sofferenze e porta su di sé le nostre piaghe, come afferma il quarto poema del Servo sofferente nel Libro del profeta Isaia. E anche noi, impariamolo: non possiamo aiutare un altro a portare i suoi pesi senza metterli sulle nostre spalle, senza praticare la vicinanza e la compassione”.

E la vicinanza alle vittime si esprime con gesti concreti: “Nel nostro ministero ecclesiale di tutela, la vicinanza alle vittime di abuso non è un concetto astratto: è una realtà molto concreta, fatta di ascolto, di interventi, di prevenzione, di aiuto.

Siamo chiamati tutti, in particolare le autorità ecclesiastiche, a conoscere direttamente l’impatto degli abusi e a lasciarci scuotere dalla sofferenza delle vittime, ascoltando direttamente la loro voce e praticando quella prossimità che, attraverso scelte concrete, le sollevi, le aiuti e prepari un futuro diverso per tutti.

La risposta a coloro che hanno subito abusi nasce da questo sguardo del cuore, da questa vicinanza. Non deve accadere che questi fratelli e sorelle non vengano accolti e ascoltati, perché questo può aggravare moltissimo la loro sofferenza. C’è bisogno di prendersene cura con un impegno personale, così come è necessario che ciò sia portato avanti con l’aiuto di collaboratori competenti”.

Però ha chiesto anche di vedere i ‘frutti’: “Ringrazio voi per tutto quello che fate per accompagnare le vittime e i sopravvissuti. Gran parte di questo servizio viene svolto in modo riservato, come è giusto che sia per rispetto delle persone. Ma, nello stesso tempo, i suoi frutti dovrebbero diventare visibili: si dovrebbe sapere e vedere il lavoro che fate accompagnando il ministero di tutela delle Chiese locali.

La vostra vicinanza alle autorità delle Chiese locali le rafforzerà nella condivisione di buone pratiche e nella verifica dell’adeguatezza delle misure che sono state poste in atto. Vi ho già chiesto di assicurare la conformità con ‘Vos estis lux mundi’, in modo che ci siano mezzi affidabili per accogliere e prendersi cura di vittime e sopravvissuti, come anche per assicurare che l’esperienza e la testimonianza di queste comunità sostenga il lavoro di protezione e prevenzione”.

Infine ha esortato i membri a promuovere una rete di solidarietà con le vittime: “So che il vostro servizio alle Chiese locali sta già portando grandi frutti e sono incoraggiato nel vedere l’iniziativa Memorare prendere forma, in collaborazione con le Chiese di tanti Paesi del mondo.

Questo è un modo molto concreto per la Commissione di dimostrare la sua vicinanza alle autorità di queste Chiese, mentre rafforzate gli sforzi esistenti per la tutela. Col tempo, ciò darà vita a una rete di solidarietà con le vittime e con coloro che promuovono i loro diritti, specialmente dove le risorse e l’esperienza scarseggiano”.

(Foto: Santa Sede)

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