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Chiara Brunello racconta il potenziale religioso del bambino

I bambini non sono terminali di un’educazione religiosa a loro rivolta, ma soggetti di pensiero e di comunicazione: originali percorsi di Irc nella nuova pubblicazione open access della collana digitale Triveneto Theology Press della Facoltà teologica del Triveneto. Il testo è scaricabile gratuitamente, in formato pdf, dal sito www.fttr.it ed è realizzata con il contributo dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Padova.

Lavorare all’esistenza insieme ai bambini implica uno sguardo e un ascolto che richiedono una riflessone incessante. Chiara Brunello, nel libro ‘Il potenziale religioso del bambino. Percorsi di Irc’ ispirati a Sofia Cavalletti, invita a entrare nel mondo del senso religioso nell’infanzia e della sua educabilità. La pubblicazione esce nella collana digitale open access Triveneto Theology Press della Facoltà teologica del Triveneto, terzo volume della sezione Education.

Alcuni orientamenti psicopedagogici, il pensiero di Maria Montessori innanzitutto, ma anche le scuole di Mario Aletti e di Maria Teresa Moscato, hanno considerato il fatto religioso come ‘infrastruttura psichica’ del bambino, e quindi parte integrante della cura dell’infanzia. Sofia Cavalletti, con l’educatrice montessoriana Gianna Gobbi, ideò un metodo di tipo attivo, denominato ‘catechesi del Buon Pastore’, basato sullo sviluppo del potenziale religioso del bambino da tre a sei anni, e da sei a dodici.

Chiara Brunello, insegnante di religione licenziata in Scienze religiose all’Issr di Padova, descrive e delinea le modalità di applicazione del metodo, ne indica le potenzialità e i limiti; tenta poi di avvalorarne la legittimità psicopedagogica alla luce delle principali teorie sul senso religioso del bambino; infine, a partire dalla normativa Irc del primo ciclo, mette in evidenza la plausibilità del metodo stesso.

Come annunciare il Kerygma? La risposta da 150 catechisti di Marche ed Umbria

Nello scorso maggio circa 150 catechisti dell’Umbria e delle Marche hanno partecipato al convegno, che si è tenuto alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, sul tema ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma’, le cui riflessioni saranno consegnate alla CEI che, dopo aver ricevuto tutte le proposte delle altre regioni d’Italia, avvierà una nuova progettazione per la catechesi a livello nazionale, come ha affermato mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, delegato della Conferenza Episcopale Umbra per la catechesi:

“Adesso si tratta di non dissipare questo patrimonio che abbiamo messo insieme. Delle tante proposte effettuate, mi piace sottolineare quella di non desistere da questa collaborazione e provare a creare un forum interregionale Umbria-Marche sulla catechesi, che potrebbe essere anche appoggiato da quale laboratorio di rinnovamento pastorale, nel quale fare un costate aggiornamento, un approfondimento e anche una operatività verificata per evitare che i nostri convegni siano solo parole”.

In conclusione della sessione don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Perugia-Città della Pieve, coordinatore della commissione per la catechesi della Conferenza episcopale umbra, ha sintetizzato in tre parole quelle giornate: “La prima è bellezza: abbiamo vissuto un’esperienza di gioia, di gaudio, di amicizia, di pace, di condivisione. La seconda è lavoro: abbiamo lavorato molto bene, abbiamo condiviso idee, esperienze, buone pratiche, ma soprattutto la vita. E infine la terza parola è proposta: dai tre grandi settori su cui ci siamo confrontanti (la comunità, la liturgia e l’annuncio) sono emersi suggerimenti su come poter essere Chiesa nuova, con i piedi saldi nella tradizione, in questo cambiamento di tempo”.

In quale modo celebrare la bontà del Signore?

“Certamente la bontà del Signore si celebra in tantissimi modi, grazie all’infinita fantasia dello Spirito. Il nostro convegno ha voluto sottolineare alcune tra le più importanti modalità espresse nel sottotitolo: ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una Comunità che celebra e testimonia il Kerygma’. La liturgia e la vita pulsante di una comunità sono vie per comunicare la bontà del Signore. E’ opportuno però che venga riformulato sia il concetto di ‘celebrazione’ che quello di ‘testimonianza’.

Per celebrazione non intendiamo soltanto il culto liturgico sacramentale, che ha nella Eucarestia domenicale il suo punto di ‘fons’ e ‘culmen’, secondo la costituzione sulla sacra liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’; occorre anche riscoprire il culto nel suo significato paolino, ‘offrire i vostri corpi in sacrificio soave a Dio, questo è il vostro culto spirituale’.

Non ci dimentichiamo che i gesti liturgici sacramentali provengono da parole, riti e materiali presi in prestito dalla vita quotidiana: il mangiare, il bere, il lavarsi, lo stare a tavola, il riposo, la festa, il pane, il vino, l’olio…

Facciamo un esempio concreto con i sacramenti della Iniziazione Cristiana (battesimo, cresima ed eucarestia) che definiscono sia l’identità cristiana che l’ingresso nella vita della comunità. I gesti e i materiali provengono dalla ‘Iniziazione della vita’. Nel battesimo veniamo purificati dall’acqua, con la cresima veniamo profumati dall’olio e con l’eucarestia veniamo nutriti. Non sono i tre momenti della venuta al mondo di ciascuno di noi? Dopo essere nati veniamo lavati con l’acqua, veniamo profumati con l’olio ed infine veniamo portati al seno della mamma per essere nutriti. Culto liturgico e culto della vita camminano insieme: l’uno illumina e rimanda all’altro.

Da qui comprendiamo allora dove è nato il corto circuito nelle nostre comunità: l’aver anteposto (forse sostituito) al culto della vita (culto spirituale), quello prettamente liturgico sacramentale.

Riscoprire che la bontà del Signore viene celebrata non soltanto in chiesa, nel culto liturgico, ma anche nella vita mediante la testimonianza nei vari ambiti della quotidianità (relazione di coppia, genitorialità, lavoro, responsabilità civile) significa sanare una grande ferita. Ma si celebra la fede anche nella carità verso i fratelli e le sorelle in condizioni di bisogno attraverso la vicinanza affettiva, il servizio generoso e la condivisione materiale. Un lavoratore che fa bene il proprio mestiere esprime la bontà del Signore nel servizio al bene comune, espressione dell’amore al prossimo che ha in Dio la sua sorgente e il suo modello. Così un genitore che sa ben educare i figli, è a tutti gli effetti celebrazione della paternità e maternità della bontà del Signore. Gli esempi posso essere tantissimi.

Il nostro Convegno, tenutosi nei giorni 10-12 maggio, è stato un tentativo di far ri-camminare insieme l’unica bontà del Signore attraverso l’unico culto comprendente sia quello liturgico che quello della vita, allargando la consapevolezza che la missione di rendere presente e sperimentabile la bontà di Dio non è prerogativa di preti o suore, ma di ogni battezzato, cioè di tutta la comunità cristiana, seppur nella specificità delle competenze”.

Come una comunità può testimoniare il kerigma?

“A mio avviso una comunità cristiana può testimoniare il Kerygma se parte dalla consapevolezza (senza meravigliarsi o scandalizzarsi) che anche l’Italia, come il resto del mondo occidentale, è di nuovo terra di missione. Per cui la postura che ogni comunità – ma anche ogni famiglia o ogni singolo battezzato – deve assumere è quella della missionarietà.

Questa situazione è stata compresa e prefigurata a suo tempo nella felice espressione del documento ecclesiale dell’episcopato italiano più significativo e concreto di questi ultimi anni: ‘Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali’ (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 6).

Il primo annuncio in senso stretto non consiste solamente nella proclamazione verbale del kerigma, come si è fatto per intere generazioni, riducendo il cristianesimo a dottrina o a morale. Qui ci viene incontro papa Francesco quando nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ esplicita in un modo creativo il contenuto del kerygma stesso: ‘Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti’ (164). Ci sono ‘alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna’ (165)’.

Una comunità può testimoniare il kerygma in modo autentico e credibile solamente se ha fatto esperienza dell’amore di Cristo, che è per sua natura diffusivo, non soltanto mediante gesti di carità ma soprattutto mediante relazioni di fraternità che sappiano toccare le corde fondamentali del cuore umano. E’ nella prossimità fattiva che il cristianesimo diventa credibile quale risposta alle domande, alle esigenze e ai desideri dell’animo umano, altrimenti Cristo viene ridotto a un bel discorso in chiave morale.

Per questo una delle caratteristiche del Convegno è stata quello di non rimanere incastrati nelle analisi che da decenni stanno zavorrando la Chiesa italiana, ma di indicare proposte nuove e creative nel campo della evangelizzazione e della catechesi, soprattutto per famiglie e giovani”.

In quale modo essere Chiesa in un tempo che cambia repentinamente?

“Oggi viviamo in un cambiamento d’epoca come ci ricorda papa Francesco. Il segno evidente di questo cambiamento è che siamo arrivati all’apice di quel processo iniziato dopo il Medioevo, con il Rinascimento, l’Umanesimo e soprattutto l’illuminismo, di separazione tra vita e fede. Questo fenomeno, che ha generato il relativismo e la scristianizzazione, ha portato al collasso quel tipo di società in cui siamo nati e cresciuti e che si riconosceva nei valori cristiani; in poche parole non viviamo più in un regime di società cristiana. Come scriveva lo scrittore francese Charles Peguy nella sua opera ‘Veronique’: ‘Noi siamo la prima generazione di una società dopo Gesù, senza Gesù’, l’affermazione finale fa tremare i polsi, perché dice ‘la verità è che ci sono riusciti’. Dentro questo panorama, la questione della «Comunità» oggi è la questione per eccellenza, al punto tale che uno dei relatori (il vescovo di Gubbio – Città di Castello, mons Luciano Paolucci Bedini), ha affermato che: ‘Occorre non tanto puntellare quelle esistenti mettendo una toppa qua e là, ma generane di nuove’. Infatti dice Gesù, che non si può mettere una stoffa nuova su un vestito vecchio. Questo è il grande problema che come Chiesa occidentale stiamo vivendo. Occorre partire da una domanda: Quale modello di comunità oggi ci aiuta meglio a rendere sperimentabile il volto di Gesù?

Papa Francesco ha indicato alcune caratteristiche di questa nuova comunità, quali: ‘Chiesa in uscita’, ‘Ospedale da campo’ o/e ‘Chiesa sinodale’. Il rischio è però quello di ridurre il tutto a puro slogan. Credo in un mondo che cambia rapidamente come quello odierno, il volto nuovo della Chiesa deve essere quello di una ‘Comunità della prossimità’, dove ‘I care’ di don Milani o il sogno della ‘Chiesa del Grembiule’ di don Tonino Bello diventano il segno distintivo.

Durante la Settimana Santa di quest’anno diversi mezzi di comunicazione (cattolici e non) hanno evidenziato il fenomeno che sta accadendo in Francia e in Belgio, dove migliaia di giovani e di adulti hanno abbracciato la fede cristiana. Intervistati, molti di loro hanno detto che l’incontro con Gesù è avvenuto mediante comunità ‘gioiose e dinamiche’. Dobbiamo tendere a generare comunità gioiose e dinamiche in Umbria, nelle Marche e nel resto d’Italia. Comunità che ritornano a radunarsi attorno all’altare del Signore nel giorno del Signore, dove i pilastri della celebrazione eucaristica (Parola, Eucarestia e Fraternità) diventino i pilastri di una vita cristiana ed ecclesiale autentica”.

Quindi comunità capaci di essere ‘generative’?

“Io credo fermamente che il volto di Chiesa verso la quale stiamo andando, non per una convinta scelta pastorale ma per una realtà che si sta imponendo, è quello profetizzato dall’allora card. Joseph Ratzinger in un ciclo di trasmissioni radiofoniche in Germania nel lontano 1969, quando affermava che il futuro della Chiesa sarà nell’essere un ‘piccolo gregge’. Affermazione che poi da papa ha chiarito definendo questo piccolo gregge una ‘minoranza creativa’. Penso che come Chiesa italiana dovremmo approfondire questa modalità di Chiesa del futuro. Infatti in varie parti d’Europa è già una realtà, anche in quei paesi di antica tradizione cristiana. Interessante è l’esperienza vissuta in questi anni in Olanda e contenuta in un libro intervista al card. Willem Jacobus Eijk, ‘Dio vive in Olanda’”.

Come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social?

“Il mondo dei social è una realtà presente nella nostra vita e ogni giorno che passa conquista sempre più spazio, tanto che assistiamo anche a situazioni di totale dipendenza. Trascorriamo sempre più ore sui social e per molti quello non è un mondo parallelo a quello reale ma è una vera e propria realtà, anche se virtuale. Nessuno nega i tanti vantaggi che la tecnologia comunicativa ha portato nella nostra vita, diventando per tanti anche un lavoro ben retribuito come quello di ‘influencer’. Questo però non deve farci dimenticare anche i rischi che in tale mondo si annidano. Venendo alla domanda del come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social, non posso non citare un passaggio del discorso di papa Francesco in occasione del 60° anniversario di costituzione dell’Ufficio Catechistico Nazionale nel gennaio 2021 in cui afferma: ‘Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio della gente, di ascoltare le domande, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze, di elaborare strumenti nuovi, aggiornati, che trasmettono all’uomo di oggi la ricchezza e la gioia del Kerygma e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa’.

Elaborare strumenti nuovi e aggiornati, che trasmettono all’uomo di oggi la ricchezza e la gioia del Kerygma e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa. In questa affermazione finale papa Francesco pone due importanti questioni:

a. Il giudizio positivo sui nuovi mezzi social. Questo è un nuovo campo di evangelizzazione e non solo di socializzazione; non è un mondo solo virtuale ma anche reale; milioni di persone vi trascorrono a vari livelli la loro vita, tanto che negli ultimi tempi è stata coniata l’espressione ‘on life’.

b. Nel suo discorso però papa Francesco utilizza una parola quanto mai significativa, di cui non possiamo non tenere conto, cioè la parola ‘strumento’. I social sono strumenti; seppur importanti, ma sempre strumenti.

Non dimentichiamoci che il cuore del cristianesimo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi «carne» in una località ben precisa della geografia mondiale ‘Nazareth’. I padri della Chiesa affermavano “Caro Cardo Salus”, cioè la salvezza viene dalla carne. Non possiamo delegare in toto l’annuncio del Vangelo e la bellezza della vita cristiana al mezzo tecnico. In questo senso tutti abbiamo sperimentato il disastro ottenuto durante il periodo della pandemia Covid, quando abbiamo ‘abituato’ la gente a ‘vedere’ in Tv la santa Messa, ed ora facciamo fatica a farla tornare in chiesa.

Per alcune cose i mezzi social sono ottimi «strumenti», ma la fede cristiana si trasmette come il virus, da persona a persona. Questo significa che è imprescindibile il rapporto umano e l’appartenenza ad una comunità ‘gioiosa e dinamica’, non per un gusto vintage, ma perché è il metodo stabilito e vissuto da Dio in Cristo Gesù.

La Chiesa è la carne di Cristo, è il suo corpo; nessun mezzo tecnico può sostituire questo metodo. Noi siamo chiamati a mangiare un corpo e a bere un sangue che sono espressione massima di un rapporto carnale con il Signore, e quindi tra di noi.

Certamente le nuove tecnologie sono una opportunità, ma anche una sfida nel diventare nuove frontiere di evangelizzazione. Pensiamo ad esempio all’Intelligenza Artificiale, realtà presente nella nostra vita ad es. con il navigatore. Una sfida al rapporto uomo – macchina – fede. Ripeto non possiamo fare a meno della dimensione fisica della fede anche all’interno del mondo dei social”.

E’ possibile una collaborazione tra le due regioni ecclesiastiche per una nuova progettazione della catechesi?

“Non solo è possibile, ma di fatto si è realizzata. Il Convegno ne è una testimonianza ed anche un frutto certamente di un cammino e di un lavoro di più largo respiro. Per questo il primo sentimento con il quale tutti i partecipanti hanno vissuto quei giorni è stato quello di una grande gratitudine a Dio per la bella esperienza «sinodale»: due regioni ecclesiastiche che celebrano un convegno insieme, evento unico in Italia. Questo evento è, senza ombra di dubbio e a pieno titolo, frutto del percorso sinodale che come Chiesa italiana stiamo vivendo, così come ci ricorda papa Francesco ‘il Cammino sinodale è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del Terzo Millennio’.

Ma è stato anche un evento di gioia e di bellezza: vedere tanti delegati, provenienti da città, storie ed esperienze diverse ascoltarsi e confrontarsi avendo come unico scopo quello di conoscere e di far conoscere Gesù. Per questo sono risuonate nel cuore e nelle orecchie le parole del salmista quando celebra la gioia nel Signore: ‘Come è bello e come è gioioso che i fratelli stiano insieme’ (Sal 133).

La fraternità che si era creata è stata di fatto una modalità di testimonianza della bontà del Signore; in poche parole, senza accorgerci, stavamo ‘realizzando’ il tema del convegno con il semplice esserci prima ancora del fare o del dire certe cose.

Certamente il cammino ci proietta anche nel futuro e i prossimi passi saranno:

– innanzitutto l’elaborazione della sintesi da inviare alla Segreteria dell’Ufficio Catechistico Nazionale, quale contributo (insieme a quello delle altre regioni) per la elaborazione di un progetto catechistico e di eventuali strumenti catechistici a livello nazionale;

– la pubblicazione degli atti del Convegno, da cui prendere elementi significativi per un lavoro di iniziative comuni. C’è ancora tanta strada da fare ma, come comunemente si dice, ‘chi ben comincia è a metà dell’opera’.

In tutto questo percorso non posso non ringraziare due amici in modo particolare, con i quali abbiamo formato l’equipe dei responsabili e che sono: don Emanuele Piazzai, delegato per la regione Marche, membro della Consulta Nazionale dell’UCN, e la dott.ssa Sabrina Guerrini, direttrice dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Spoleto e membro della Consulta dell’UCN.

Siamo stati una squadra meravigliosa, affrontando gioie e dolori, fatiche e speranze. Anche qui abbiamo celebrato la bontà del Signore nel segno della nostra amicizia e della condivisione del lavoro”.

(Foto: CEU)

Papa Francesco invita a leggere il tempo favorevole

Questa mattina papa Francesco ha ricevuto al Palazzo Apostolico i partecipanti alla plenaria del Dicastero per l’Evangelizzazione – Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo ed ha soffermato il discorso, letto da mons. Ciampanelli, sulla ‘spiritualità della misericordia’, come contenuto fondamentale nell’opera di evangelizzazione con un particolare pensiero alle Chiese locali:

“Il primo pensiero va alla condizione in cui versano diverse Chiese locali dove il secolarismo dei decenni passati ha creato enormi difficoltà: dalla perdita del senso di appartenenza alla comunità cristiana, all’indifferenza per quanto concerne la fede e i suoi contenuti. Sono problemi seri, con cui tanti fratelli ogni giorno devono confrontarsi, ma non bisogna perdersi d’animo”.

Nonostante il secolarismo, il papa ha invitato a ‘leggere’ bene questo tempo ‘favorevole’: “Il secolarismo è stato studiato e si sono scritte valanghe di pagine in proposito. Conosciamo gli effetti negativi che ha prodotto, ma questo è il tempo favorevole per comprendere quale risposta efficace siamo chiamati a dare alle giovani generazioni perché possano recuperare il senso della vita”.

Il centro della riflessione papale è la libertà: “Il richiamo all’autonomia della persona, avanzato come una delle pretese del secolarismo, non può essere teorizzato come indipendenza da Dio, perché è proprio Dio che garantisce la libertà all’agire personale.

E riguardo alla nuova cultura digitale, che presenta tanti aspetti interessanti per il progresso dell’umanità (pensiamo alla medicina e alla salvaguardia del creato), essa porta con sé anche una visione dell’uomo che appare problematica se riferita all’esigenza di verità che alberga in ogni persona, unita all’esigenza di libertà nei rapporti interpersonali e sociali”.

Quindi occorre recuperare la trasmissione della fede: “A tale scopo è urgente recuperare un’efficace relazione con le famiglie e con i centri di formazione. La fede nel Signore risorto, che è il cuore dell’evangelizzazione, per essere trasmessa richiede un’esperienza significativa vissuta in famiglia e nella comunità cristiana come incontro con Gesù Cristo che cambia la vita. Senza questo incontro, reale ed esistenziale, si sarà sempre sottoposti alla tentazione di fare della fede una teoria e non una testimonianza di vita”.

In questa trasmissione di fede fondamentale è la catechesi attraverso il nuovo Direttorio, elaborato nel 2020: “Esso è uno strumento valido e può essere efficace, non solo per il rinnovamento della metodologia catechistica, ma direi soprattutto per il coinvolgimento della comunità cristiana nel suo insieme. In questa missione, un ruolo specifico è affidato a coloro che hanno ricevuto e riceveranno il ministero di Catechista, per essere rafforzati nel loro impegno al servizio dell’evangelizzazione”.

E’ stato un invito ai vescovi per accompagnare sempre più al ministero di catechista: “Auspico che i Vescovi sappiano alimentare e accompagnare le vocazioni a tale ministero, soprattutto tra i giovani, per consentire che sia ridotto il divario tra le generazioni e la trasmissione della fede non appaia come un compito affidato solo alle persone anziane.

In questo senso, vi incoraggio a trovare le forme perché il Catechismo della Chiesa Cattolica possa continuare ad essere conosciuto, studiato, valorizzato, così che se ne traggano le risposte alle nuove esigenze che si manifestano con il passare dei decenni”.

Inoltre nell’evangelizzazione è necessaria la ‘spiritualità della misericordia’: “La misericordia di Dio non viene mai meno e noi siamo chiamati a testimoniarla e a farla, per così dire, circolare nelle vene del corpo della Chiesa. Dio è misericordia: questo messaggio perenne è stato rilanciato con forza e modalità rinnovate da san Giovanni Paolo II per la Chiesa e l’umanità all’inizio del terzo millennio. La pastorale dei Santuari, che è una vostra competenza, richiede di essere impregnata di misericordia, perché quanti giungono in quei luoghi vi possano trovare delle oasi di pace e serenità”.

Fondamentali sono i ‘Missionari della misericordia’ per il sacramento della Riconciliazione: “Ministri di Dio che non solo attende ma va incontro, va in cerca, perché è Padre misericordioso, non padrone, è buon Pastore, non mercenario, ed è pieno di gioia quando può accogliere una persona che ritorna, oppure la ritrova mentre va errando nei suoi labirinti.

Quando l’evangelizzazione è compiuta con l’unzione e lo stile della misericordia trova maggior ascolto, e il cuore si apre con più disponibilità alla conversione. Si è toccati, infatti, in ciò di cui sentiamo di avere più bisogno, cioè l’amore puro, gratuito, che è sorgente di vita nuova”.

Eppoi ha chiesto di prepararsi al Giubileo, che invita a vivere la speranza: “Tra qualche settimana renderò pubblica la Lettera Apostolica per la sua indizione ufficiale: auspico che quelle pagine possano aiutare molti a riflettere e soprattutto a vivere concretamente la speranza.

Questa virtù teologale è stata vista poeticamente come la ‘sorella più piccola’ in mezzo alle altre due, fede e carità, ma senza la quale queste due non vanno avanti, non esprimono al meglio sé stesse. Il popolo santo di Dio ne ha tanto bisogno!”

Però nel frattempo ha invitato a non dimenticare la speranza attraverso l’intensificazione della preghiera: “E non dimentichiamo che questo anno che precede il Giubileo è dedicato alla preghiera. Abbiamo bisogno di riscoprire la preghiera come esperienza di stare alla presenza del Signore, di sentirci compresi, accolti e amati da Lui.

Come ci ha insegnato Gesù, non si tratta di moltiplicare le nostre parole quanto, piuttosto, di dare spazio al silenzio per ascoltare la sua Parola e accoglierla nella nostra vita. Incominciamo noi, fratelli e sorelle, a pregare di più, a pregare meglio, alla scuola di Maria e dei santi e delle sante”.

(Foto: Santa Sede)

Il nuovo responsabile, Matteo Fadda, racconta 50 anni della comunità ‘Papa Giovanni XXIII’

L’idea di creare la comunità ‘Papa Giovanni XXIII’ nasce dall’esperienza del suo fondatore,don Oreste Benzi, insegnante di religione cattolica ed assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, che aveva ideato un metodo da lui definito ‘un incontro simpatico con Cristo’ basato su attività ricreative e soggiorni estivi legati alla catechesi. Quando, nel 1968, incontrò i giovani rinchiusi in un istituto per disabili decise che anche essi avevano diritto al loro ‘incontro simpatico’ e decise di organizzare per loro un soggiorno in montagna.

Papa Francesco: la Parola di Dio è per tutti

“Questa mattina ho ricevuto due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti come ostaggi in Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti che soffrono a Gaza. Loro soffrono tanto e ho sentito come soffrono ambedue: le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre, questo non è guerreggiare, questo è terrorismo.

Il magistero del Beato Giovanni Paolo I, breve quanto un ciclo lunare

“Il magistero del Beato Giovanni Paolo I, breve quanto un ciclo lunare, si è centrato sulle tre virtù teologali, premettendo tuttavia, quasi come antifona di ingresso, la meditazione sull’umiltà. Questa virtù, lo sappiamo, è stata il filo conduttore della sua esistenza… La sua humilitas contrasta fortemente la moderna ossessione per i ‘followers’ e i ‘like’ dei social, sul cui altare si sacrificano, talvolta, vite, persone, ore di lavoro e di sonno, e purtroppo spesso si immola anche la verità, del dire e del pensare”.

Ma la parrocchia è capace di ‘formare’ i cattolici ?

Alla Facoltà teologica del Triveneto, con indirizzo di Teologia pastorale, dall’anno accademico 2023-2024 è stato attivato un seminario-laboratorio dal titolo ‘Una Chiesa che forma. Oltre la catechesi, prassi e criteri per una formazione possibile in parrocchia’, nato dall’ascolto di due esperienze di comunità cristiane (Piove di Sacco in diocesi di Padova e Borgo Sacco in diocesi di Trento) dove la scelta formativa sta cambiando il volto di parrocchia e sta generando nuove forme di Chiesa; il percorso proporrà approcci di taglio antropologico (Lucia Vantini), catechetico/formativo (Enzo Biemmi) ed ecclesiologico (Livio Tonello).

Catechisti d’oratorio, discepoli missionari: il cuore del nuovo programma pastorale del COR

All’inizio del nuovo anno pastorale il Centro Oratori Romani, associazione fondata dal Venerabile Arnaldo Canepa, si ritroverà lunedì 6 novembre 2023 presso S. Maria del Buon Consiglio al Quadraro, nella parrocchia dove Canepa aprì il suo primo oratorio e nella quale oggi è sepolto. La solenne celebrazione eucaristica avrà inizio alle ore 19.30 e sarà presieduta da S. E. Rev.ma Mons. Baldassarre Reina, Vicegerente della Diocesi di Roma.

Cresima/Confermazione per cattolici conviventi o sposati civilmente: prima o dopo il matrimonio canonico?

Pertanto, il Rito della “Iniziazione cristiana degli adulti” (obbligatorio dal 4 marzo 1979, prima domenica di Quaresima) ed i testi in materia  della maggior parte delle Diocesi del mondo (che si sono conformate all’ Amoris Laetitia) in particolare di quella di Milano che conosciamo bene (in quanto abbiamo io e mia moglie  il domicilio), di quella di Trani, di Torino e  di Como (https://www.google.com/url?sa=https%3A%2F%2Fwww.diocesidicomo.it%2Fwp-content%2F2%2F2018%2F04%2FCatecumenato_RICA.pdf&usg=AOvVaw3Yous3mdLbBkpgB72EO-eZ) ritengo che approvino il  n. 295 “Le indicazioni pastorali che seguono riguardano quegli adulti che, battezzati da bambini, non hanno poi ricevuto alcuna catechesi e perciò non sono stati ammessi (ATTENZIONE eccezione alla regola) alla Confermazione e all’Eucaristia”.

65.000 giovani italiani alla Gmg di Lisbona

Sono 65.000 i ragazzi italiani presenti alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, in programma fino al 6 agosto, accompagnati da 106 Vescovi insieme a sacerdoti, religiose e religiosi, educatori e animatori.

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