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Ernesto Olivero racconta 60 anni di SER.MI.G.
Ernesto Olivero nel 1964 ha fondato a Torino il Sermig, Servizio Missionario Giovani, insieme alla moglie Maria e ad un gruppo di giovani decisi a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri, che ha sede nell’Arsenale della pace, che era una fabbrica di armi. Dal 1983 il lavoro gratuito di migliaia di persone lo ha trasformato in Arsenale della Pace. E’ un monastero metropolitano, luogo di fraternità e di ricerca. Una casa aperta al mondo e all’accoglienza delle persone in difficoltà. E’ una casa per i giovani che cercano il senso per la propria vita, un laboratorio di idee, un luogo di incontro, cultura dialogo e formazione. L’Arsenale della Pace è dedicato a p. Michele Pellegrino.
L’arsenale della pace è oggi una porta sul mondo aperta 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Profezia di pace, monastero metropolitano, e’ un punto di incontro tra culture, religioni, schieramenti diversi per conoscersi, dialogare, camminare insieme. E’ un riferimento per i giovani che hanno voglia di dare un senso alla propria vita.
E’ una casa sempre aperta per chi cerca un soccorso: madri sole, carcerati, stranieri, persone che hanno bisogno di cure, di casa, di lavoro. E’ un luogo di preghiera dove chiunque può sostare, incontrare il silenzio e Dio. E’ un sogno che permette a chi lo desidera di restituire qualcosa di sè: tempo, professionalità, beni spirituali e materiali. Il risultato? Milioni di persone aiutano milioni di persone.
Il Sermig esce continuamente dal suo Arsenale per andare incontro ai più poveri, in Rwanda come nel Darfur, in Romania e in Georgia, ma anche in Italia. Per l’impegno senza sosta che dall’Arsenale della Pace si estende al mondo dei sofferenti; Nel 1991 Giovanni Paolo II lo invita ad essere “amico fedele di tutti i bambini abbandonati nel mondo” e lo conferma nel suo impegno già costante a dare vita ai bambini; nel 1992 Ernesto Olivero riceve il titolo di ‘Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana’, conferito dal Presidente della Repubblica. Nel 1996 il Presidente della Repubblica lo nomina anche ‘Cavaliere di Gran Croce’. Nel 1999 ha ricevuto dall’Università di Torino la laurea honoris causa in Sociologia.
L’arsenale nasce nel 1580 come fabbrica di polveri da sparo per poi evolversi nel corso dei secoli. Dopo l’incendio del 26 aprile 1852, per volere del re Vittorio Emanuele II la struttura viene trasformata in ‘Arsenale delle costruzioni di Artiglieria di Torino’, la prima fabbrica di armamenti della storia italiana: un’area di 45.000 metri quadrati, fino a 5.000 operai coinvolti. Da qui, uscirono gran parte delle armi usate dall’esercito sabaudo e italiano nelle guerre del risorgimento e nelle guerre mondiali. Dismesso nel secondo dopo guerra, il 2 agosto del 1983 il rudere dell’arsenale è affidato ai giovani del Sermig che decidono di farne una casa di pace. La riconversione di quel luogo attira e coinvolge centinaia di migliaia di giovani e adulti da tutta Italia e dall’estero. Lavoro gratuito, volontariato e disponibilità. Nasce così l’Arsenale della Pace, una casa sempre aperta, il cuore di una realtà di solidarietà presente in ogni angolo del mondo:
“Dall’inizio della nostra avventura questo termine (mese missionario, ndr.) fa parte del Ser.Mi.G. ed, ancora prima, insieme alla Lega Missionaria Studenti ed altri amici, organizzavamo raccolte di denaro per questi amici, che partivano per Paesi lontani a portare il messaggio di Gesù. Andavamo in luoghi frequentati, in particolare ai caselli delle autostrade. Il nostro gruppo si è poi definito come SERvizio MIssionario Giovanile, appunto SER.MI.G. Il MI è il baricentro che prende sottobraccio; il SER E la G, da ognuna sgorga come una cascata di responsabilità interconnesse, rivolte a costruire un futuro di speranza, un solo mondo di pace, una vita piena di dignità per tutti. E’ come fossero tre lampadine collegate che illuminano la via da seguire…
In questi 60 anni il SER.MI.G. ha declinato il MI in varie modalità: da inviare direttamente in missione suoi componenti, a tenere un contatto diretto e continuo con i missionari per reciprocamente aiutarsi a crescere spiritualmente ed umanamente, a farli diventare terminali delle migliaia di progetti di sviluppo in tante parti del mondo, ad allargare la missione ad iniziative di pace, che ci hanno visto presenti in tante zone di conflitto e di guerra”.
Partendo dal questo suo editoriale del mese di ottobre apparso su ‘Nuovo Progetto’ ci facciamo raccontare dal fondatore, Ernesto Olivero, cosa è il SER.MI.G. dopo 60 anni: “E’ come un figlio che è cresciuto e ha preso la propria strada. Se penso agli inizi ricordo che eravamo un piccolo gruppo di ragazzi, molto giovani, inesperti, ma con un grande sogno nel cuore: quello di sconfiggere la fame nel mondo attraverso opere di giustizia. Il verbo sconfiggere sembra una iperbole, ma non è così. Perché un ideale è come l’amore: o tutto o niente, o ci credi davvero o non serve. Noi abbiamo provato a vivere questo metodo e oggi quella strada si è allargata. Restano alcuni punti fermi: Dio, l’imprevisto che bussa alla porta e la gratitudine. Dico sempre che se la gente smettesse di aiutarci gli Arsenali del Sermig chiuderebbero in tre giorni. Credo che non avverrà mai, a patto però che non ci montiamo la testa, che facciamo della trasparenza la regola, che continuiamo a fidarci”.
Per quale motivo nacque?
“Sconfiggere la fame significava impegnarsi fino in fondo contro le ingiustizie, quelle vicine e quelle lontane. Iniziammo con i primi campi di lavoro, poi le raccolte fondi per i progetti dei missionari in ogni angolo del mondo, infine sentimmo che dovevamo metterci in gioco anche noi a livello personale. Da gruppo siamo diventati una Fraternità nel mondo e nella Chiesa: la Fraternità della Speranza che oggi accoglie persone di ogni età e stato di vita che condividono la stessa responsabilità. Sempre dalla parte dei poveri”.
Perché il Sermig ha abbracciato le ‘ragioni’ della pace?
“La pace è quanto di più prezioso possiamo desiderare per noi stessi e per gli altri. Pace significa che ogni uomo e donna hanno il diritto di mangiare, di curarsi, di avere una casa e un lavoro. Significa credere e impegnarsi perché le armi non siano più costruite e siano trasformate in strumenti di lavoro. Lo diceva il profeta Isaia, ce lo ha ricordato uno dei nostri maestri, Giorgio La Pira. Oggi sembra un’utopia parlare di queste cose, ma non è così. Viviamo in un’epoca complicatissima, di odio, di riarmo, di nuove divisioni. La realtà non è lineare, ma chi crede nella pace ha il compito di ribadire con ancora più fermezza la direzione, senza fuggire dalle sfide del momento. E’ come se nella tragedia dell’oggi, fossimo chiamati già ad immaginare il mondo che verrà”.
Quanto è stato fondamentale il card. Pellegrino nel cammino del Sermig?
“E’ stata una figura decisiva perché ci ha riconosciuto quando ancora non avevamo consapevolezza di quello che avremmo potuto fare. Ad un certo punto, a causa di incomprensioni e invidie, fummo cacciati dall’ufficio missionario della nostra diocesi. Il cardinale non sapeva nulla, ci ascoltò, comprese l’equivoco che si era creato e ci fece un dono inimmaginabile: ci permise di usare la chiesa dell’arcivescovado come sede. Mi commuove pensare ad un uomo come lui che diede fiducia ai sogni puliti di un gruppo di giovani”.
Per quale motivo avete trasformato un arsenale di guerra in uno spazio accogliente?
“Per noi i ruderi del vecchio arsenale militare di Torino sono stati l’occasione per realizzare nel nostro piccolo la profezia di Isaia. Sapevamo di entrare in una sproporzione: per risistemare tutto sarebbero serviti decine di miliardi di vecchie lire. Noi non li avevamo, ma come dico sempre, avevamo un sogno. Lo abbiamo realizzato lentamente, ma decisamente grazie agli atti di restituzione di milioni di persone che hanno donato tempo, risorse, professionalità. Piccole o grandi azioni che hanno trasformato un luogo di morte in un luogo di vita. Il messaggio dell’Arsenale oggi è dirompente perché è come se ci ricordasse che l’impossibile in Dio non esiste. Per noi è stato così”.
Come il Sermig ha ‘trasformato’ Porta Palazzo, caratterizzato da un tasso di presenza immigrata storicamente tra i più alti della città?
“Non spetta a me dirlo. Ma credo che noi e il nostro quartiere ci siamo aiutati reciprocamente: abbiamo percorso un tratto di strada e continueremo a farlo. La speranza è radicarsi nel bene, non avere paura, camminare gli uni a fianco degli altri. Il resto avviene”.
Per quale motivo l’esperienza dell’Arsenale è stata ‘replicata’ in alcune parti del mondo?
“Gli Arsenali nati in altri Paesi del mondo non sono nati a tavolino, ma da alcuni incontri. Noi non abbiamo mai avuto la smania di allargarci. Al Sermig diciamo sempre che nessuno parte e nessuno arriva. E’ come vivere in un condominio con piani diversi: uno in Brasile, uno a Torino, un in Giordania, un altro ancora a Pecetto Torinese, altri dove Dio vorrà. Viviamo con lo stesso stile, con la stessa speranza. E’ questo che ci deve stare a cuore”.
Sicuramente al SER.MI.G. ‘la bontà è disarmante’!
(Foto: Sermig)
40 anni di Sermig: la bontà è sempre disarmante
“Cari amici, questo è l’ultimo appuntamento prima dell’estate e desidero dedicarlo all’Arsenale della Pace: il prossimo 2 agosto ricorderemo 40 anni dall’inizio. Ricordo di quei mesi la trepidazione e l’intensa preghiera alla Madonna. Ricordo la sera in cui seppi che ci volevano escludere dalla consegna dell’Arsenale. Ero a casa e, mentre pregavamo, chiesi a Maria di aprire la Bibbia a pagina 1640 (era una vecchia edizione della Bibbia). Mi lesse alcuni versetti del profeta Isaia (44, 24-28) e capii che non ci dovevamo arrendere”: