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Il martirio di Don Giuseppe Diana, una storia da non dimenticare

“Desidero, dunque, rivolgere un pensiero paterno all’intera Comunità diocesana e specialmente ai fedeli della Parrocchia di Casal di Principe che, nel fare memoria di don Peppe, come affettuosamente veniva chiamato, vuole vivere la sua stessa speranza di camminare insieme incarnando la profezia cristiana, che ci invita a costruire un mondo libero dal giogo del male e da ogni tipo di prepotenza malavitosa. La mia riconoscenza va anche a coloro che continuano l’opera pastorale che don Diana ha avviato come assistente spirituale di associazioni e di gruppi di fedeli, in particolare di giovani e di realtà legate agli scout”: con queste parole papa Francesco ha ricordato il trentesimo anniversario di don Giuseppe Diana, richiamando l’omelia del sacerdote pronunciata nel Natale del 1991, ‘Per amore del mio popolo’.

Parole che richiamano altre parole: ‘Il 19 marzo è morto un prete, ma è nato un popolo’, quelle di  mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, nei funerali di don Peppe Diana, assassinato dalla criminalità organizzata nel 1994. Infatti quel giorno nacque un popolo che si identifica nella lotta alla criminalità organizzata, alle ingiustizie, alle disparità, in nome di quel sacerdote che non aveva avuto paura di fronteggiare i ‘cattivi’, come ha detto il coordinatore del Comitato ‘Don Peppe Diana’, Salvatore Cuoci.

Don Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio del 1958. Il papà, Gennaro e la mamma Iolanda di Tella, vivono lavorando la terra. Giuseppe è il primo di tre figli. Gli altri due sono Emilio e Marisa. Giuseppe entra nel seminario vescovile di Aversa nell’ottobre del 1968, appena compiuto i dieci anni di età,  dove consegue la licenza media e quella classica liceale. La famiglia faceva enormi sacrifici per farlo studiare. Il padre doveva pagare una retta. Ma ai genitori interessava innanzitutto toglierlo dalla strada. Casal di Principe era un paese difficile.  Tornava a casa solo a Pasqua e a Natale.

Conseguì la licenza liceale con ottimi voti. Tanto che vinse anche una borsa di studio. Il Vescovo dell’epoca, mons. Antonio Cece, diceva che Giuseppe non era un prete come gli altri e  che doveva fare carriera, doveva andare a Roma. Fu ordinato sacerdote il 14 marzo del 1982. Don Diana, da giovane prete, aveva un rapporto speciale con i ragazzi.

Anche perché nel frattempo era diventato uno scout. Era il responsabile diocesano dell’Agesci, gli scout cattolici, ed era anche cappellano dell’Unitalsi. Accompagnava i malati nei viaggi a Lourdes, perché era anche assistente nazionale del settore Foulard Blanc. Il 19 settembre del 1989 è nominato parroco della parrocchia di San Nicola a Casal di Principe.

Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le ore 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico nella sua chiesa della parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa. Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia.  Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.

A 30 dalla morte abbiamo chiesto a Salvatore Cuoci di spiegarci il significato di ricordare un uomo che ha lottato per il Vangelo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce della Chiesa: così inizia la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ‘Gaudium et Spes’, il documento conciliare promulgato da san Paolo VI nel 1965 che riflette, tra l’altro, sull’urgenza del tempo di manifestare un impegno comune per la pace e la giustizia.

Quella stessa pace e giustizia per cui si è battuto don Peppe Diana, accogliendo gli immigrati nella sua parrocchia, donando ai ragazzi del quartiere un orizzonte più vivibile, contrastando la camorra ed i soprusi di cui si nutriva, spezzando il cerchio dell’indifferenza e le catene che tenevano imprigionato un popolo. Perché la Chiesa non è cosa altra rispetto al territorio, ma lo vive fino in fondo, con le medesime urgenze e le stesse attese della gente. E per questo suo impegno di incarnare il Vangelo, don Peppe è stato ucciso dalla camorra. Farne memoria, significa rinnovare il suo impegno dentro un percorso di libertà”.

Per quale motivo non ha taciuto?

Nel documento ‘Per amore del mio popolo’, don Peppe scrive che ‘Dio ci chiama ad essere profeti. Il nostro impegno di denuncia non può venir meno. Il profeta fa da sentinella, vede l’ingiustizia e la denuncia’. Don Peppe ha incarnato fino in fondo il messaggio di Isaia, non nascondendosi dietro la tunica né voltandosi dall’altra parte di fronte allo strapotere dei camorristi, ma affrontando con le armi del Vangelo, con la forza della parola, il male che circondava il territorio, cercando nell’annuncio le parole da gridare dai tetti, nella testimonianza e nell’agire coraggioso, il senso pieno della vita. Non poteva tacere don Peppe, ha scelto di non farlo, per amore del suo popolo, solo per amore”.

Quale era il suo rapporto con i giovani?

“Don Peppe amava i giovani, erano il suo nutrimento, la sua gioia ed anche il suo tormento perché non ne riusciva a salvare abbastanza. La  parrocchia era piena di ragazzi, giovani che hanno imparato a saper stare con altri giovani, che hanno imparato, in quegli anni complicati, le prime regole di convivenza, a stare fuori casa ai primi campi scuola, che hanno imparato a camminare da soli. Li amava don Peppe i giovani, e li rimproverava anche, con il suo carattere forte, diretto, schietto, salvo poi prenderli per mano e con una carezza, continuare a camminare insieme”.

Quanti frutti sono nati dall’uccisione di don Peppe Diana?

“Quando i camorristi uccisero don Diana, lo fecero con l’intento di uccidere anche la speranza perché questi territori dovevano restare imprigionati dalla criminalità, condannati a restare terre di camorra e di malaffare. Invece quella morte, quel sangue versato ha cominciato a produrre frutti, cambiamenti, resistenze, lotte di libertà.

Ci siamo ripresi dapprima i terreni confiscati ai mafiosi, li abbiamo messi a coltura e abbiamo prodotto frutti buoni e giusti; dalla pasta al vino, dall’olio ai sottaceti, dalla cioccolata ai succhi di frutta, dalla passata di pomodoro fino al pacco alla camorra, un contenitore non solo di prodotti della terra, ma ricco di storie, di narrazioni sociali, di cambiamenti, di sogni, giunti perfino al Parlamento Europeo.

Poi ci siamo ripresi anche le loro case e ne abbiamo fatto centri di aggregazione, luoghi di incontro e di accoglienza, punti di lettura, di presentazione di libri e film, sedi di dibattiti, seminari, teatro, laboratori, mostre. E’ il segno concreto e tangibile che  ‘si può fare’ che è possibile sperare che un giorno possiamo essere tutti liberi dalla camorra”. 

A 30 anni dalla sua uccisione quale è l’eredità di don Diana?

“Don Diana ci lascia un patrimonio di impegno e di verità, uno sguardo fiero, autentico, rivolto al futuro che viene e al presente che viviamo. Ci lascia la voglia di esserci, il grido di libertà e la risalita sui tetti per annunciare parole di vita. Don Peppe ci lascia tutto se  stesso, la sua vita per riscattare le nostre imprigionate dalle mafie e dalle camorre”. 

A quale punto si trova la causa di beatificazione di don Diana?

“Siamo tra i promotori dell’inizio del percorso di beatificazione di Don Peppe. Otto anni fa abbiamo presentato una lettera accolta dal vescovo, con cui si diede il via ad una raccolta di testimonianze, scritti, documenti. E’ una strada che tutto sommato appare già tracciata. A noi interessa il riconoscimento della storia di un sacerdote che viene ucciso da camorristi, il riconoscimento di un martirio accertato. Ma guai a pensare a don Peppe su un piedistallo! Noi vogliamo don Peppe che continui a stimolarci, che continui a prenderci per mano per spronarci. Un ‘don Peppe’ vivo!”

Cosa è il Festival dell’impegno civile?

“Il Festival dell’Impegno civile, promosso dal Comitato ‘Don Peppe Diana’ e da ‘Libera’ Caserta, è una manifestazione unica in Italia che promuove il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata lungo il solco di una economia sociale come antidoto dell’economia criminale. E’ un festival itinerante che fa tappa in diversi beni confiscati o beni comuni per sensibilizzarne il riutilizzo sociale attraverso concerti, dibattiti, seminari, film e che vede la partecipazione delle comunità locali, delle associazioni e di tanti artisti che animano le serate. Ha ricevuto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica”.

Per quale ragione nasce il Comitato don Peppe Diana?

“L’associazione di promozione sociale ‘Comitato don Peppe Diana’ è nata ufficialmente il 25 aprile 2006, come frutto di un percorso di diversi anni, che ha coinvolto persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo. Il comitato ‘Don Peppe Diana’ fu costituito da sette organizzazioni attive nel sociale, che avevano degli obiettivi comuni: la costruzione della memoria di don Giuseppe Diana, contestualizzando la sua vita di persona comune in una realtà problematica; la realizzazione di azioni educative e didattiche sui temi dell’impegno civile e sociale per una cittadinanza attiva; la promozione nelle nuove generazioni della speranza, dell’impegno e dell’assunzione di responsabilità per continuare a costruire comunità alternative alla camorra”.

(Tratto da Aci Stampa)

A Roma la Giornata mondiale dei Bambini e delle Bambine

“Si avvicina la vostra prima Giornata Mondiale: sarà a Roma il 25 e 26 maggio prossimo. Per
questo ho pensato di mandarvi un messaggio, sono felice che possiate riceverlo e ringrazio tutti
coloro che si adopereranno per farvelo avere. Lo rivolgo prima di tutto a ciascuno personalmente, a
te, cara bambina, a te, caro bambino, perché ‘sei prezioso’ agli occhi di Dio, come ci insegna la
Bibbia e come Gesù tante volte ha dimostrato.

Allo stesso tempo questo messaggio lo invio a tutti, perché tutti siete importanti, e perché insieme, vicini e lontani, manifestate il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi. Ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore”.

Con questa lettera papa Francesco ha invitato bambini e bambine a Roma sabato 25 e domenica 26
maggio per l’incontro internazionale organizzato dal Dicastero per la cultura e l’educazione, in cui
sono attesi più di 100.000 bambini e ragazzi da più di 100 Paesi, come ha detto p. Enzo Fortunato,
coordinatore della prima Giornata mondiale dei bambini (Gmb):

“Ad oggi abbiamo già 57.555 iscritti. E’ un dato sorprendente, che crescerà. Vorrei ringraziare il Papa per il Messaggio che ci ha donato per la Giornata, che porta dentro il segreto della felicità: l’incontro con Gesù. Sarà un messaggio per il mondo”.

Mentre Stella Cervogni, responsabile delle delegazioni estere della Gmb, ha spiegato che saranno
invitati anche i bambini di altre religioni: “Ci saranno bimbi musulmani e buddisti, presenze che
saranno testimonianza visibile del mondo di pace che vorremmo”.


Nel messaggio papa Francesco ha sottolineato che i bambini e le bambine sono la ‘gioia’ anche
della Chiesa: “Così tutti voi, bambine e bambini, gioia dei vostri genitori e delle vostre famiglie,
siete anche gioia dell’umanità e della Chiesa, in cui ciascuno è come un anello di una lunghissima
catena, che va dal passato al futuro e che copre tutta la terra”.

E’ stato anche un invito ad ascoltare i propri familiari ed a non dimenticare chi ‘soffre’: “Per questo
vi raccomando di ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei
papà, dei nonni e dei bisnonni!


E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro
malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la
fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato
dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre
forme di schiavitù, degli abusi.


Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia. Ascoltateli, anzi
ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle
lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è
brutto il male”.

‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’, brano dell’Apocalisse scelto come titolo dal papa per questa
giornata: “Queste parole ci invitano a diventare agili come bambini nel cogliere le novità suscitate
dallo Spirito in noi e intorno a noi. Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per
una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come
salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie.

Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo”.


Inoltre ha ricordato che la felicità deve essere condivisa: “E c’è di più. Infatti, care bambine e cari
bambini, da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri.

Quando quello che abbiamo ricevuto lo teniamo solo per noi, o addirittura facciamo i capricci per avere questo o quel regalo, in realtà ci dimentichiamo che il dono più grande siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il ‘regalo di Dio’. Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme. Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai”.


Ed ha elencato alcuni luoghi in cui si può stare insieme felicemente: “Pensate ai vostri amici: com’è
bello stare con loro, a casa, a scuola, in parrocchia, all’oratorio, dappertutto; giocare, cantare,
scoprire cose nuove, divertirsi, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno. L’amicizia è
bellissima e cresce solo così, nella condivisione e nel perdono, con pazienza, coraggio, creatività e
fantasia, senza paura e senza pregiudizi”.

Infine in preparazione di questa giornata mondiale papa Francesco ha invitato a non dimenticare la
preghiera: “E adesso voglio confidarvi un segreto importante: per essere davvero felici bisogna
pregare, pregare tanto, tutti i giorni, perché la preghiera ci collega direttamente a Dio, ci riempie il
cuore di luce e di calore e ci aiuta a fare tutto con fiducia e serenità.

Anche Gesù pregava sempre il Padre. E sapete come lo chiamava? Nella sua lingua lo chiamava semplicemente Abbà, che significa Papà. Facciamolo anche noi! Lo sentiremo sempre vicino”.

In particolare la preghiera del Padre nostro: “Care bambine e cari bambini, sapete che a maggio ci
troveremo in tantissimi a Roma, proprio con voi, che verrete da tutto il mondo! E allora, per
prepararci bene, vi raccomando di pregare usando le stesse parole che Gesù ci ha insegnato: il Padre
nostro.

Recitatelo ogni mattina e ogni sera, e poi anche in famiglia, con i vostri genitori, fratelli, sorelle e nonni. Ma non come una formula, no! Pensando alle parole che Gesù ci ha insegnato. Gesù ci chiama e ci vuole protagonisti con Lui di questa Giornata Mondiale, costruttori di un mondo nuovo, più umano, giusto e pacifico”.

L’Italia ricorda don Peppe Diana

“Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere ‘segno di contraddizione’. Coscienti come chiesa che dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

Così inizia il documento diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppe Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe, per spingere a prendere coscienza del problema camorristico, affermando che essa è una forma di terrorismo: “I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario;

traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.

Era un appello ai cristiani ad essere sentinelle nel denunciare l’illegalità: “Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti… Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa; alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo ‘profetico’ affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili”.

Don Giuseppe Diana è stato parroco di Casal di Principe (nei pressi di Aversa) che si è battuto contro la camorra, denunciando i traffici illeciti di sostanze stupefacenti, le tangenti sui lavori edili, gli scontri violenti tra le fazioni della criminalità organizzata del suo paese. Egli ha pagato con la vita la propria coraggiosa attività: è stato assassinato a soli trentacinque anni nella sacrestia della sua Chiesa, mente si accinge a celebrare la messa.

Don Giuseppe nasce il 4 luglio del 1958 a Casal di Principe, vicino ad Aversa, da una famiglia che vive lavorando la terra. Dopo aver compiuti studi teologici ed essersi laureato in filosofia, entra nell’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) ed è consacrato sacerdote.

Si batte contro la criminalità organizzata della sua città, nel periodo in cui imperversano in Campania i casalesi, camorristi legati al boss Francesco Schiavone (detto ‘Sandokan’), infiltrati negli enti locali, nell’imprenditoria. Contro questo stato di cose, don Diana scrive una lettera, intitolata ‘Per amore del mio popolo’, diffusa nel giorno di Natale del 1991 in tutte le chiese, pagando il coraggioso gesto con la vita: la mattina del 19 marzo 1994 un assassino lo raggiunge, mentre si prepara a dir messa, nella sagrestia della sua chiesa, e gli spara quattro colpi di pistola, mettendo segno una vera e propria esecuzione camorristica.

Ed a 30 anni dall’uccisione papa Francesco ha inviato una lettera al vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo, in cui ha invitato a ravvivare la ‘evangelica’ inquietudine dei cristiani: “Ancora oggi si ripete la triste vicenda narrata dalla Sacra Scrittura del primo fratricidio di Caino contro il fratello Abele… Pertanto, la commemorazione del sacrificio di don Giuseppe ci sprona a ravvivare in noi quella evangelica inquietudine che ha animato il suo sacerdozio e lo ha portato senza alcuna esitazione a contemplare il volto del Padre in ogni fratello, testimoniando a chi si sente ferito il progetto di Dio, perché ciascuno potesse vivere nella giustizia, nella pace e nella libertà”.

Il messaggio del papa è stato un incoraggiamento ai giovani per costruire una società fraterna: “Prima di concludere, mosso da sentimenti di fiducia, esorto Voi giovani, volto bello e limpido di codesta terra: non lasciatevi rubare la speranza, coltivate ideali alti e costruite un futuro diverso con mani non sporche di sangue ma di lavoro onesto, senza cedere a compromessi facili ma illusori, raccogliendo l’eredità spirituale di Don Peppe per divenire, a vostra volta, artigiani di pace”.

Anche il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha invitato a non dimenticare la testimonianza di don Diana: “Ricordare Don Peppino ci aiuta a capire che non si può servire Dio e mammona. E di questo ringrazio voi che avete conservato la sua memoria. Don Peppino è una luce di speranza. Il suo sacrificio è il seme caduto a terra per la viltà di un assassino e del sistema di morte che si portava dentro e lo accecava. Il seme continua a dare frutto: l’amore per i poveri, l’attenzione ai fragili, la giustizia nei comportamenti, l’onesta che non accetta opportunismi, rendere il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, come ricorda la legge scout che ha amato”.

Mentre il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che è difficile far tacere una ‘voce scomoda’: “La testimonianza di don Diana è divenuta un simbolo potente di liberazione, una spinta al riscatto sociale. Don Giuseppe ai ragazzi insegnava che la via della libertà passa dal non piegare la testa al ricatto mafioso e che è possibile costruire un mondo migliore. Pagò con la vita il coraggio e la coerenza personale e la sua vita è diventata lezione, patrimonio per il Paese”.

Santa Teresa di Lisieux, perché la fiducia conduce all’Amore?

“E’ la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore! Queste parole così incisive di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo dicono tutto, sintetizzano il genio della sua spiritualità e sarebbero sufficienti per giustificare il fatto che sia stata dichiarata Dottore della Chiesa. Soltanto la fiducia, ‘null’altro’, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona. Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli”.

Partendo dall’incipit dell’esortazione apostolica ‘C’est la confiance’ in occasione del 150^ anniversario della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto santo, a suor Maria Chiara ed alle sorelle delle Carmelitane Scalze di Tolentino abbiamo chiesto di raccontarci per quale motivo la fiducia conduce all’Amore:

“Troviamo risposta a questa domanda osservando le dinamiche tra genitori e figli piccoli. Pensiamo a quando un bimbo sale sulle ginocchia del papà e si lascia abbracciare. Il piccolo si fida: non pensa che il papà possa lasciarlo cadere o fargli del male. Perciò gode di essere coccolato ed è libero di giocare con il papà, o di addormentarsi.

La grande intuizione di Teresa è stata che questo abbandonarsi fiducioso vale, a maggior ragione, nel rapporto tra noi e Dio: ‘E’ la fiducia che ci sostiene ogni giorno’, dice il papa nell’esortazione apostolica, e la fiducia ci porta ad abbandonarci senza riserve all’Amore di Dio: ‘Se siamo nelle mani di un Padre che ci ama senza limiti, questo sarà vero qualunque circostanza accada, potremo andare avanti qualunque cosa succeda’ (sono ancora parole del papa).

‘Si chiude il cerchio’, prosegue l’Esortazione, ‘C’est la confiance: è la fiducia che ci conduce all’Amore e così ci libera dal timore, è la fiducia che ci aiuta a togliere lo sguardo da noi stessi, è la fiducia che permette di porre nelle mani di Dio ciò che soltanto Lui può fare. Questo ci lascia un immenso torrente d’amore e di energie disponibili per cercare il bene dei fratelli’.

E’ un’esperienza che constatiamo anche nelle relazioni fra di noi: in un clima di reciproca fiducia, il cuore si dilata, i rapporti si approfondiscono in libertà e confidenza, lavoriamo e collaboriamo meglio, ci sentiamo sereni e interiormente forti, perché non siamo soli, sappiamo di poter contare sull’aiuto di chi ci vuole bene. Se noi ci radichiamo nella certezza che Dio ci ama, anzi che Dio può solo amarci, ci apriamo ad orizzonti inattesi di pace e di gioia.

Questo è il tesoro spirituale che Teresa ci trasmette e in questo consiste la cosiddetta ‘via dell’infanzia spirituale’, che forse, più correttamente, andrebbe chiamata ‘via dell’infanzia evangelica’. Nel confronto costante con il Vangelo, emergono dal cuore i sentimenti del Figlio, Gesù, che pienamente si è abbandonato alle mani del Padre e ha reso la sua vita un’offerta d’amore”.

Perché ella aveva un’anima missionaria?

“La giovanissima Teresa Martin si era appassionata per la ‘missio ad gentes’ e sapeva che i suoi genitori avrebbero desiderato un figlio sacerdote e missionario. Intuendo che ogni gesto di amore e ogni preghiera si diffondono come un profumo sino ai confini del mondo, già da ragazzina compie tutto quello che le è possibile per esercitare la carità, lavorando su di sé per diventare amabile e servizievole, e pregando per il bene degli altri, per la salvezza di tutti.

Entrata al Carmelo a 15 anni, ma con la maturità di una donna adulta nella fede, trova piena corrispondenza e dona luce nuova alla passione apostolica e missionaria della sua (e nostra) fondatrice, santa Teresa d’Avila. La giovane monaca di Lisieux scrive in una lettera: ‘Una carmelitana che non fosse apostola si discosterebbe dalla finalità della sua vocazione e cesserebbe di essere figlia della serafica Santa Teresa, che desiderava offrire mille vite per salvare una sola anima’.

Teresa vive in pienezza la sua vocazione contemplativa, ma sempre con uno slancio apostolico: la sua preghiera non è mai ricerca intimistica e alienante del proprio benessere. E’ incessantemente protesa nel servizio alle consorelle. Vive una solidarietà spirituale senza confini nell’offerta di ogni fatica e sofferenza, e in particolare prendendosi cura del cammino vocazionale e spirituale di due seminaristi missionari. Come scrisse Balthasar: ‘Teresa viene a trovarsi nella legge unica e unificante dell’amore, dalla quale provengono sia la passività ricettiva che la fecondità, sia Maria che Marta. Questo trascendente punto di unità è la più grande intuizione concessa a Teresa’.

Ella ha ricevuto una singolare luce sul versetto del Cantico dei Cantici: ‘attirami (attira me), noi correremo’ e su questo ha fondato la certezza che, nella sua tensione spirituale verso l’Amore misericordioso del Padre, avrebbe portato con sé tutti i fratelli e le sorelle nel mondo”.

Per quale motivo papa Francesco ha definito santa Teresa ‘Dottore della sintesi’?

“Questo titolo inedito, che Papa Francesco ha coniato per la più giovane e la storicamente vicina a noi tra i Dottori della Chiesa, inquadra bene la fisionomia caratteristica di Teresa di Lisieux. In soli 24 anni e senza alcuno strumento di cultura ‘accademica’, Teresa ha posto lo sguardo su ciò che essenziale nella vita spirituale e anche nella vita della Chiesa: l’Amore, l’Amore come quello di Gesù, spinto sino alle estreme conseguenze di un’offerta libera e gratuita per la salvezza di tutti”.

Ed infine raccontano il motivo per cui santa Teresa ‘appassiona’: “La ‘piccola’ Teresa, giovane donna appassionata, ha conquistato innumerevoli cuori, di credenti e anche di non credenti, di cristiani e di appartenenti ad altre religioni (come dimostra il santuario a lei dedicato a Il Cairo, frequentato ugualmente da cristiani e musulmani). La pioggia di rose delle grazie ottenute per sua intercessione non si è mai fermata, e il tempo non ha indebolito il fascino del suo messaggio, che può essere ugualmente vissuto da uomini e donne, consacrati e laici”.

Teresa di Gesù Bambino nasce ad Alençon, in Normandia nel 1873 e la sua breve esistenza terrena, bruciata dall’amore, si conclude nel Carmelo di Lisieux il 30 settembre 1897. Beatificata il 29 aprile 1923 da papa Pio XI, è proclamata santa dallo stesso pontefice il 17 maggio 1925. Monaca di clausura dall’età di 15 anni, è patrona delle Missioni dal 1927 insieme a san Francesco Saverio. Il 19 ottobre 1997, nel centenario della sua morte, è proclamata da Giovanni Paolo II Dottore della Chiesa: degli attuali 37 Dottori, è la più giovane e storicamente la più vicina a noi.

Inoltre l’UNESCO ha accolto ufficialmente Teresa tra le personalità significative da valorizzare nel biennio 2022-2023 presentandola come ‘Donna di cultura, di educazione e di pace’ con un importante riconoscimento del ‘messaggio universale di Teresa di Lisieux per l’Amore e la riconciliazione al servizio della pace’: “Questa celebrazione contribuirà ad apportare una più grande visibilità e giustizia alle donne che hanno promosso, con le loro azioni, i valori della pace”.

(Tratto da Aci Stampa)

Quarta Domenica di Quaresima: il volto di Dio è mistero di amore infinito

Il più bel romanzo di amore lo ha scritto Dio; non è un romanzo inventato, frutto di fantasia ma è la sua stessa vita divina. I capitoli di questo romanzo li trovi scritti nella Bibbia: Parola di Dio; li puoi scoprire tu stesso, se sai leggere nell’intimo del cuore. L’opera divina è solo storia di amore infinito; solo l’uomo, abusando della sua libertà, è capace di opporsi a questo amore con la logica terribile di rimanervi privo. Questa è la domenica ‘lastre’, della gioia. La liturgia inizia: ‘Rallegrati, Gerusalemme!’

Motivo della gioia è l’amore di Dio verso l’uomo. La liturgia ci invita alla gioia perché Dio, nella persona di Cristo Gesù, è venuto   non per condannare il mondo ma per salvarlo. Possiamo realizzare la vera gioia se, come dice Gesù a Nicodemo, rinasciamo ad una vita nuova, quella portata nel mondo da Gesù: ‘in Lui era la vita’. Rinasciamo allora in Cristo: Dio ci ha donato la vita eterna  e questa vita è nel Figlio.

Il segno evidente ce lo indica il Vangelo: Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, su comando del Signore, e chi, morso dal serpente, lo guardava, guariva, così chiunque, morso dal peccato, guarda Cristo in croce, sarà guarito e avrà la vita eterna; chi scegli il Figlio avrà la vita, chi si allontana dal Figlio non vivrà in eterno.. Cristo Gesù muore in croce per amore dell’uomo, per salvare l’uomo. L’amore di Dio è potenza di vita nuova; è luce che rischiara le tenebre.

Questo amore gratuito di Dio raggiunge l’apice con la passione, morte e risurrezione di Gesù; esso si contrappone all’agire dell’uomo, che preferisce la morte alla vita, le tenebre alla luce, il peccato alla grazia. Il nostro cammino quaresimale ci spinge   ogni giorno e scoprire l’amore grande e misericordioso di Dio. Purtroppo, evidenzia il vangelo: ‘La luce è venuta nel mondo ma gli uomini  hanno amato più le tenebre che la luce’. 

Questa domenica è detta ‘lastre’, domenica della gioia perché evidenzia l’amore concreto di Dio; esso è una forza vitale, un fuoco sempre acceso che genera, dà origine da tutta l’eternità al mistero della SS. Trinità. Dio infatti è una realtà dinamica che pensa ed ama dando origine così, da quando Dio è Dio, alle tre divine Persone; Il grande Dante poeticamente canta: ‘Fecimi la Divina Potestate, la Somma Sapienza e il Primo Amore’.

La storia della salvezza contiene tra capitoli principali:  a) la creazione dell’uomo a  immagine di Dio; b) la redenzione operata da Cristo Gesù, Figlio di Dio; c) la storia della Chiesa, guidata dallo Spirito santo: una storia che dura da quando l’uomo è uomo. A) La creazione: Dio amando crea e creando ama. L’uomo poi è la sintesi mirabile di tutta l’opera creativa perché in lui converge la materia e lo spirito; un corpo dove tutto è perfezione ed armonia e un’anima spirituale che pensa ed ama. L’uomo è all’apice dell’opera creativa di Dio.

B) La redenzione: l’uomo con il peccato  si allontana da Dio, ma Dio non abbandona l’uomo; l’uomo rompe il dialogo con Dio, ma Dio riapre questo dialogo con il quale l’uomo ha sperimentato l’amarezza per i suoi limiti, il suo orgoglio e il suo egoismo. L’amore di Gesù per l’uomo è forte, virile, tenero e costante. Amore misericordioso che arriva alla prova suprema: dare la vita per salvare questo uomo. Ed il Verbo si fece carne e si offre al Padre  come sacerdote e vittima. Chi vince in fine è sempre l’amore di Dio anche se l’uomo talvolta rimpiange le cipolle di Egitto.

C)  La terza tappa dell’amore di Dio è la presenza dello Spirito Santo a guida della Chiesa. Gesù aveva assicurato alla sua Chiesa: ‘Non vi lascerò orfani’ e mantiene la promessa nella pentecoste. La quaresima deve dunque segnare per il credente questo processo di ripresa spirituale e di risposta concreta all’amore di Dio. La croce non può e non deve far paura, né deve portare ad uno sterile lamento ma ad una vera ed autentica presa di coscienza.

La croce, che era apparsa la vittoria dell’uomo su Dio, diventa la vittoria di Dio sul peccato, su l’uomo peccatore. Dio continua a bussare alla mia porta, alla tua porta perché Gesù ha pagato per me, per te e ci vuole bene. Dove non arriva la tua immaginazione, arriva il suo amore misericordioso. La Pasqua di questo anno 2024 sia veramente Pasqua di risurrezione e di vita.

Karol Woytila e il suo sguardo paterno: perché il papa polacco era tanto amato dai giovani

“Voi siete giovani e il Papa è vecchio. Avere 82 o 83 anni di vita non è come averne 22 o 23. Ma il Papa ancora si identifica con le vostre attese e con le vostre speranze. Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani.

Papa: la grazia di Dio libera dai vizi dell’invidia e della vanagloria

“Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle”.

Con questo appello papa Francesco, non perfettamente ristabilitosi nella salute, ha ricordato il 25^ anniversario della convenzione per l’abolizione delle mine antiuomo, firmato ad Ottawa da 164 Stati, che proibiva in tutto il mondo uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose, ricordando i popoli che soffrono a causa della guerra:

“Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate”.

Mentre la catechesi sui vizi è stata letta, a causa delle sue ancora non stabili condizioni di salute, da mons. Filippo Ciampanelli, con una riflessione sul tema ‘invidia e la vanagloria’, descritti come ‘vizi più antichi’, iniziando dall’invidia di Caino nei confronti del fratello Abele:

“Se leggiamo la Sacra Scrittura, essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia”.

Il papa ha sottolineato che l’invidia conduce all’odio: “Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello”.

Il vizio dell’invidia nasce da una nostra falsa concezione di Dio, che può essere modificato dall’amore ‘fraterno’: “Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua ‘matematica’, diversa dalla nostra.

Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: ‘Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?’ Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi… Ecco il rimedio all’invidia!”

L’altro vizio, collegato all’invidia, è la vanagloria: “Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un ‘io’ ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui”.

Il vanaglorioso vuole essere sempre al centro dell’attenzione: “I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”.

Questo succede anche ai sacerdoti, come ha sottolineato Evagrio Pontico: “Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere”.

Per liberarsi dai due vizi occorre ‘abbandonarsi’ alla grazia di Dio: “Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di san Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Da quel giorno Paolo fu liberato”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco si è recato all’ospedale ‘Isola Tiberina Gemelli Isola’ per alcuni accertamenti diagnostici, eseguiti i quali è rientrato in Vaticano, come ha riferito la Sala Stampa vaticana.

(Foto: Santa Sede)

Prima domenica di Quaresima: Convertitevi!

Con il mercoledì delle ceneri è iniziata la quaresima; periodo forte dell’anno liturgico che ci porta alla Pasqua di risurrezione: uno spazio di 40 giorni, numero simbolico assai significativo. Il 40 è il risultato di 4×10: il n. 4 indica la realtà creata da Dio (acqua, terra, aria, fuoco); il n. 10 indica Dio e la Santissima Trinità, la forza divina. Continuando il simbolismo Gesù, prima di iniziare la vita pubblica si ritira nel deserto dove viene tentato da Satana. La vita del cristiano è un combattimento contro le forze del maligno.

Con Satana Gesù non dialoga ma risponde sempre con la ‘Parola di Dio’: entra in dialogo Eva e commette il peccato originale; Caino ed uccide il fratello Abele; Gesù resiste sempre a Satana dicendo: ‘Taci ed esci fuori’! La tentazione è sempre una scelta tra due amori; la tentazione ci permette di fare la nostra scelta. Nel deserto Gesù stava con le bestie selvatiche; Gesù invita noi a guardarle in faccia ma non ad aver paura: non devi temerle, né ignorarle, né ucciderle: è la bestia dell’orgoglio, della superbia, dell’arrivismo, della sessualità sfrenata. Non bisogna aver paura ma fare la scelta oculata, responsabile, attenta.

Gesù, fatta la sua scelta, esce dal deserto ed annuncia il Vangelo. La bella Notizia. Il Vangelo è il grande Messaggio annunciato da Gesù: non siamo mai soli, l’amore misericordioso di Dio e la sua Grazia non verranno mai meno. Il Vangelo non assicura ricchezze, onori, piaceri; anzi Gesù dice: “chi vuole essere mio discepolo prenda la croce e mi segua”! La bella notizia del Vangelo: non saremo mai soli; Dio è sempre accanto a noi. Da qui l’esortazione austera: ‘Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi!’

Forse tu mi chiedi: per chi suona questa campana? Amico, che ascolti: questa campana suona per me, per te, per ciascuno di noi: tutti abbiamo bisogno di ‘conversione’, operare una rivoluzione mentale, come indica il termine greco: ‘metanoia’, rivoluzione interiore che ciascuno di noi è invitato a realizzare dentro se stesso, nel proprio cuore. Per aiutarci in questo impegno la Chiesa ci indica un itinerario che si può sintetizzare in tre parole: preghiera, digiuno, elemosina.

La Preghiera può assumere varie espressioni: Dio ci parla e bisogna rispondere a ‘tu per tu’ con Dio, come figli al padre.  Digiuno: oltre che pratica fatta di sobrietà di cibo, è soprattutto sforzo sincero per togliere dal cuore tutto ciò che è frutto del peccato o di mancanza di amore. Elemosina: aprire il cuore  e gli occhi e scorgere accanto a noi tanti fratelli e sorelle materialmente e spiritualmente che soffrono. Perciò invito alla solidarietà.  

Ecco perché la quaresima è un cammino di conversione, di penitenza, di revisione completa della vita.  Gesù con il Battesimo ci ha costituito figli di Dio; Dio, come ben sai, è amore, perdono, misericordia infinita. La quaresima è il tempo propizio per la scelta guardando Gesù che, prima di dare inizio alla vita pubblica, dopo l’apprendistato di trenta anni a Nazareth e il Battesimo nel Giordano, si è ritirato nel deserto per insegnare a noi una lezione di vita. In Gesù ci viene offerta oggi un’alleanza nuova con Dio che è amore.

Il grande dono offerto da Gesù è quello di essere con il Battesimo veri Figli di Dio, perché fratelli di Cristo Gesù, chiamati perciò a ricevere il dono di una terra nuova e un cielo nuovo. E’ necessario ripensare al nostro Battesimo, ai doni ricevuti (talenti e carismi) ma soprattutto prendere coscienza di essere e di vivere da figli di Dio. Come cristiani siamo chiamati ad annunciare il messaggio di Cristo non solo proclamandolo a parole ma soprattutto con le opere.

Essere cristiani nel nostro lavoro quotidiano in campo politico, economico, sociale oltre che religioso. Nel nostro impegno quotidiano non saremo mai soli; dice infatti Gesù: “io sarò accanto a voi sempre, sino alla fine del mondo”. Maria, madre di Gesù e madre nostra, sa quanto siamo deboli, conosce le risorse di misericordia del Figlio suo, ci ottenga la grazia di fidarci del Figlio suo, vero Dio e nostro fratello.

A Torrecchia Teatina la festa dell’Amore

Mercoledi 14 febbraio 2024 l’Associazione Abruzziamci odv e il Museo della Lettera d’Amore organizzano, con il patrocinio del Comune di Torrevecchia Teatina, presso il Palazzo del Marchese Federico Valignani di Torrevecchia Teatina la “Festa dell’amore” dalle 8,30 alle 20 circa, con la collaborazione della Biblioteca “Bonincontro” di Chieti Scalo.

Nessuno ai margini per sconfiggere la lebbra

Oggi si celebra la 71^ giornata mondiale dei malati di lebbra con il tema ‘Nessuno ai margini’, in quanto essa ancora non è debellata, secondo i dati pubblicati dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) lo scorso settembre: nel 2022 i casi accertati sono stati 174.087 con un aumento del 23,8% rispetto al 2021 (140.594 persone).

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