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La Resurrezione nel dramma teatrale di p. Giuseppe Scalella

“Pilato: Non mi parli? (pausa) Non è la prima condanna a morte che esegui, no? Che ti succede? Oltre alla parola hai perso anche il coraggio? E il tuo valore di soldato? E la grandezza di Roma?

Gallio: Quando finirà?…

Pilato: Finirà cosa, Gallio?… Com’è andata l’esecuzione?…

Gallio: Quando la smetteremo di uccidere innocenti?

Pilato: Gallio, la grandezza di Roma… ti sembra una cosa giusta mettersi contro i Giudei? In fondo… sono stati loro a volerlo, no?

Gallio: Tu non hai visto quell’uomo… Non lo hai visto morire… Io non ho mai visto morire uno, così… non l’ho mai visto… Gli altri due imprecavano atterriti dalla morte… lui… ‘Accoglimi’, ha detto…”.

Così inizia il dramma in ‘tre quarti’ per il teatro scritto dall’agostiniano p. Giuseppe Scalella, ‘Perché cercate tra i morti’, in collaborazione con l’attrice Giulia Merelli, che nasce “da una mia domanda che mi porto dentro da anni: delle lunghe ore trascorse a Gerusalemme tra la sera del venerdì (la morte di Cristo) e l’alba del primo giorno dopo il sabato (la resurrezione) nessuno ha mai parlato. Neppure coloro che scrissero i Vangeli”, specifica nella prefazione l’autore.

A lui chiediamo di raccontare come è nato questo testo: “Come scrivo nella prefazione questo lavoro nasce alla fine degli anni ’90. C’era una domanda che mi portavo dentro e che non riusciva mai a trovare una risposta: ma chi ha incontrato e conosciuto Gesù di Nazareth in Palestina duemila anni fa come avrà vissuto i giorni e le ore terribili, dall’arresto nel Getsemani fino al mattino del primo giorno dopo il sabato?

Il Vangelo non ci dice niente, ci racconta i fatti che si sono succeduti tra cui il rinnegamento di Pietro e i due di Emmaus che tornano a casa delusi e tristi. Ma niente di più. Sappiamo dal Vangelo che gli apostoli, dopo l’arresto, sono scappati tutti, eccetto Giovanni e Pietro che forse l’avranno seguito ma senza farsi vedere. Dei due di Emmaus il Vangelo di Luca dice che erano ‘col volto triste’ e quella tristezza mi ha sempre intrigato perché non sarà stato facile capire il senso di quegli eventi, come non è facile per noi, nonostante duemila anni di storia.

Come succede spesso a chi scrive, è facile non essere soddisfatti delle prime stesure e allora si lascia che l’idea decanti. Come il vino. Così è stato per me. Poi sopravvengono gli impegni e poi un periodo di calma in cui si riprende. Mi è capitato poi di incontrare Giulia Merelli, un’attrice di teatro e con lei ho potuto procedere alla stesura definitiva. Adesso forse bisognerà metterlo in scena. Chissà?”

Perché hai raccontato proprio le ore del Venerdì Santo?

“Più che raccontare ho cercato di immaginare il luogo dove possono essersi ritrovati e le cose che si son detti in quelle ore. E anche perché è l’evento più drammatico di tutta la vicenda di Gesù e di quelli che l’hanno seguito. Ho immaginato tre luoghi: il pretorio di Pilato e il dialogo con Gallio, il tribuno che ha eseguito la crocifissione e che si converte dopo aver visto non tanto la morte di Gesù ma il modo con cui Gesù affronta il supplizio e muore;

la casa di Maria, madre di Giacomo dove si sono ritrovati la Maddalena, Lazzaro e le sorelle e la loro disperazione di fronte a quello che è successo; e poi il cenacolo con qualcuno dei dodici e con Maria, la madre di Gesù. Sono i tre quadri del dramma ma forse il più bello è quest’ultimo perché Maria che aveva capito più degli altri il senso di quello che era accaduto, cerca in tutti i modi di prepararli a quello che sarebbe accaduto dopo”.  

Cosa muove i protagonisti del dramma?

“Secondo me, quello che muove noi. Perché noi seguiamo Cristo? Perché l’umanità oggi lo cerca? Se lui non c’entrasse niente con la vita non lo cercherebbe più nessuno, neppure noi. Loro si domandavano: il Maestro è morto… e noi? Che ne sarà di noi? Se Cristo ci venisse tolto, sarebbe così anche per noi?”

In quale modo si può credere che la morte è vinta?

“C’è un solo modo: se si incontra un uomo risorto. Quegli uomini e quelle donne avevano bisogno di vedere Gesù risorto. Come noi oggi abbiamo bisogno di vederlo presente. Si può morire in tanti modi nella vita, come per esempio uno che si droga o si dà al gioco e all’alcol, ma anche chi ha perso la speranza, ma vederlo rinascere (e io ne ho visti tanti) è davvero sconvolgente. Ma non basta. Anche gli apostoli hanno visto Gesù risorto ma non è bastato. Ci vuole qualcosa che Dio fa accadere come per loro l’evento dello Spirito a Pentecoste”.

‘Ma adesso chiediamo tutti… chiediamo che la morte non vinca in noi… che lo sconforto e la devastazione siano le occasioni buone per partecipare della sua vittoria… e la sua vittoria in noi verrà… verrà come l’alba… ma verrà…’: con queste parole Maria si rivolge al pubblico nella scena conclusiva che lascia spazio alla speranza. Cosa ci si attende dall’alba della Resurrezione?

“Una cosa soltanto: incontrare la risposta alle domande che la vita pone. La vita è spietata e non dà tregua e continuamente sfida la nostra umanità. E pone domande. Lo vediamo oggi più che mai. Tutti attendiamo una risposta ma non una risposta qualsiasi o teorica. Deve essere una risposta all’altezza di quelle domande. E non può essere mai scontata. Insomma: chi può rendermi davvero felice?”

(Tratto da Aci Stampa)

3^ domenica di Pasqua: è l’alba di un giorno nuovo!

Era l’alba di un nuovo giorno quando Gesù per la terza volta si presenta agli Apostoli. Questi, alquanto sbandati per non avere in mezzo a loro Cristo Gesù, decidono di tornare al consueto lavoro; Pietro va a pescare, gli altri lo seguono. L’ozio è sempre il padre dei vizi, il lavoro permette all’uomo la realizzazione del suo essere umano. Avevano lasciato tutto per seguire Gesù, ma ora la solitudine li avvolge e la ripresa dell’antico lavoro appare l’unica alternativa. 

Papa Francesco: l’educazione è un’opera di misericordia

Papa Francesco, ricevendo in udienza le Suore di Santa Dorotea in occasione del XXII Capitolo Generale, ha incentrato il dialogo sull’esigenza educativa, proponendo propone tre parole chiave che sono comunione, partecipazione e missione con l’invito di scegliere ‘un’altra strada’:

Il Papa: il Libano è un progetto di pace

Il Libano torni a essere ‘un messaggio universale di pace e di fratellanza’, una terra di tolleranza e di pluralismo, ‘un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari’: con questo auspicio papa Francesco ha concluso ieri la Giornata di preghiera per il Libano, celebrata nella basilica di san Pietro insieme ai capi delle comunità cristiane del Paese: cattolici, ortodossi, caldei, armeni, evangelici.

Concludendo la preghiera ecumenica papa Francesco ha chiesto una preghiera insistente per la pace in Libano, allo stesso modo della donna di Tiro nei confronti di Gesù, come raccontato nel vangelo di san Matteo: “Questo grido è diventato oggi quello di un intero popolo, il popolo libanese deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace. Con la nostra preghiera abbiamo voluto accompagnare questo grido.

Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Perché il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente”.

Nel discorso conclusivo il papa ha esortato i presenti a ‘studiare’ progetti di pace: “In questi tempi di sventura vogliamo affermare con tutte le forze che il Libano è, e deve restare, un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari”.

Un grido per chiedere di rendere la libertà ai libanesi dai profitti: “Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei! Occorre dare ai Libanesi la possibilità di essere protagonisti di un futuro migliore, nella loro terra e senza indebite interferenze”.

Progetti di pace e non di sventura, perché non ci salva da soli: “Radicatevi nei sogni di pace dei vostri anziani. Mai, come in questi mesi, abbiamo compreso che da soli non possiamo salvarci e che i problemi degli uni non possono essere estranei agli altri. Perciò, facciamo appello a tutti voi. A voi, cittadini: non vi scoraggiate, non perdetevi d’animo, ritrovate nelle radici della vostra storia la speranza di germogliare nuovamente.

A voi, dirigenti politici: perché, secondo le vostre responsabilità, troviate soluzioni urgenti e stabili alla crisi economica, sociale e politica attuale, ricordando che non c’è pace senza giustizia. A voi, cari Libanesi della diaspora: perché mettiate a servizio della vostra patria le energie e le risorse migliori di cui disponete. A voi, membri della Comunità internazionale: con uno sforzo congiunto, siano poste le condizioni affinché il Paese non sprofondi, ma avvii un cammino di ripresa. Sarà un bene per tutti”.

Il papa ha rivolto un invito particolare ai cristiani per realizzare i progetti di pace: “Noi cristiani siamo chiamati a essere seminatori di pace e artigiani di fraternità, a non vivere di rancori e rimorsi passati, a non fuggire le responsabilità del presente, a coltivare uno sguardo di speranza sul futuro.

Crediamo che Dio indichi una sola via al nostro cammino: quella della pace. Assicuriamo perciò ai fratelli e alle sorelle musulmani e di altre religioni apertura e disponibilità a collaborare per edificare la fraternità e promuovere la pace… In tal senso, auspico che a questa giornata seguano iniziative concrete nel segno del dialogo, dell’impegno educativo e della solidarietà”.

Citando il poeta Gibran ha invitato a scorgere ‘un’alba che ci aspetta’: “Alcuni giovani ci hanno appena consegnato delle lampade accese. Proprio loro, i giovani, sono lampade che ardono in quest’ora buia. Sui loro volti brilla la speranza dell’avvenire. Ricevano ascolto e attenzione, perché da loro passa la rinascita del Paese. E tutti noi, prima di intraprendere decisioni importanti, guardiamo alle speranze e ai sogni dei giovani. E guardiamo ai bambini: i loro occhi luminosi, ma rigati da troppe lacrime, scuotano le coscienze e indirizzino le scelte”.

Ed anche alle donne ha chiesto di non perdere la speranza: “Altre luci risplendono sull’orizzonte del Libano: sono le donne. Viene alla mente la Madre di tutti, che, dalla collina di Harissa, abbraccia con lo sguardo quanti dal Mediterraneo raggiungono il Paese. Le sue mani aperte sono rivolte verso il mare e verso la capitale Beirut, ad accogliere le speranze di tutti.

Le donne sono generatrici di vita, generatrici di speranza per tutti; siano rispettate, valorizzate e coinvolte nei processi decisionali del Libano. E anche i vecchi, che sono le radici, i nostri anziani: guardiamoli, ascoltiamoli. Che ci diano la mistica della storia, che ci diano le fondamenta del Paese per portare avanti. Loro hanno voglia di tornare a sognare: ascoltiamoli, perché in noi quei sogni si trasformino in profezia”.

Ma per scorgere l’alba occorre l’unità, come insegna san Gregorio di Narek: “E nella notte della crisi occorre restare uniti. Insieme, attraverso l’onestà del dialogo e la sincerità delle intenzioni, si può portare luce nelle zone buie… Fratelli e sorelle, si dilegui la notte dei conflitti e risorga un’alba di speranza. Cessino le animosità, tramontino i dissidi, e il Libano torni a irradiare la luce della pace”.

La Giornata si era aperta con la preghiera del papa in arabo, a cui sono seguite le sessioni di lavoro, precedute da un momento di preghiera davanti alla tomba dell’apostolo Pietro per invocare la pace in Libano ed accendendo una candela, segno della speranza per il popolo libanese che da lungo tempo soffre l’instabilità.

Intanto da un report dell’Unicef i bambini in Libano stanno sopportando il peso di uno dei peggiori collassi economici del mondo negli ultimi tempi: più del 30% dei bambini sono andati a letto affamati e hanno saltato i pasti nell’ultimo mese. Il 77% delle famiglie non ha abbastanza cibo o abbastanza denaro per comprare il cibo. Nelle famiglie di rifugiati siriani, questa cifra raggiunge il 99%; il 60% delle famiglie deve comprare cibo a credito o prendere in prestito denaro.

Per quanto riguarda la sanità il 30% dei bambini non sta ricevendo l’assistenza sanitaria di base di cui ha bisogno, mentre il 76% delle famiglie ha dichiarato di essere stato colpito dal massiccio aumento dei prezzi dei farmaci.

L’indagine denuncia anche come un bambino su 10 è stato mandato a lavorare; mentre il 40% dei bambini proviene da famiglie in cui nessuno ha un lavoro e il 77% da famiglie che non ricevono alcuna assistenza sociale. Infine, una delle conseguenze della crisi ha portato il 15% delle famiglie a interrompere l’istruzione dei propri figli.

(Foto: Santa Sede)

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