Francesco, l’incanto della contemplazione

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Questa settimana in attesa della festa di San Francesco vi proponimo degli stralci della meditazione che Don Giuseppe Liberto ha offerto ad Assisi il 28 pomeriggio nel Sacro Convento.

La contemplazione non è pura visione intellettuale né semplice o complessa teoria astratta. Essa è intensa e luminosa intuizione che, attraverso l’ascolto e la visione del creato, si trasfigura in ascolto e visione del Creatore di tutte cose visibili e invisibili.

Questo itinerario sgorga dalla sapienza del cuore e va verso la visione estetica ed estatica che fa percepire e gustare l’Eterno Infinito. In questo ex-tare germina l’in-cantum con il Divino che fa fiorire pienezza di vita nel canto dell’amore.

Francesco d’Assisi rimane modello di questa energia estatica che è stile di vita. Egli, con la pienezza del suo essere, si è impegnato a rispondere a quel Vortice d’Amore da cui si sentiva attratto e amato. «L’Amore non è amato», gridava Francesco.

Il Cantico delle Creature, originalissimo inno di lode, sgorga da questa esperienza estatica ed estetica. Espresso in simplicitate cordis con armoniosa poesia e in simplicitate artis con raffinato ed elevato linguaggio, il suo modulare armonico e melodico è condotto ora con andamenti solenni e grandiosi, ora con accenti di soavità e forza. Nella sua natura trasfigurante, è un cantico colmo di stupore, di esaltazione e di pace.

Era notte!

Quella notte, giunto all’estremo delle forze per i suoi patimenti, in un impeto d’entusiasmo, disse ai suoi fratelli: Voglio, quindi, a lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova Lauda del Signore per le sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature. E senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene.Dopo essersi seduto, si mise in stato di riflessione e poi iniziò: Altissimo, Onnipotente, bon Signore… (Leggenda Perugina, 43, in Fonti Francescane, 1592). Francesco punta lo sguardo su Dio e, in Dio, con gli occhi del cuore ricolmo di gratitudine, contempla le opere della creazione, anche se ormai è incapace di vederle fisicamente. Il Santo, infatti, non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste sue infermità (Celano, Vita seconda, FF 1591).

Ogni creatura del cielo e della terra rivela il suo incanto: il sole, la luna e le stelle, i fenomeni atmosferici, il vento, il sereno e la pioggia. Poi con lo sguardo ammirato inneggia alle creature che vivificano e abbelliscono la terra: acqua, fuoco, piante, erbe, fiori e frutti. Guardava e gustava la creazione con lo sguardo limpido della semplicità che abbraccia tutto con lo sguardo d’amore che rispecchia la creazione senza artificiosi e falsi riflessi.

La storia ci tramanda che il Cantico terminava in questo punto, ma un fatto storico indusse Francesco a continuarlo: era sorto un dissidio tra il Vescovo e il Podestà d’Assisi. Rivolto ai fratelli disse: Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il Vescovo e il Podestà si odino talmente l’un l’altro e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia.Inviò, allora, alcuni frati a cantare il cantico con la nuova strofa alla presenza dei due contendenti i quali, dopo averlo ascoltato si riconciliarono (Leggenda Perugina 44, FF 1593). Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore… L’in-canto del testo sul perdono diviene “sacramento” di riconciliazione e di concordia!

Per il contemplativo, il dolore e la sofferenza accolte con amore non impediscono la letizia soprannaturale. San Bonaventura annotò che la gioia in Francesco trasfigurava anche le lacrime. Il Poverello d’Assisi, consumato ormai dalle logoranti malattie, chiude la lunga litania laudativa alla vita con la trenodia contemplativa dell’ultima strofa: per sora nostra Morte corporale. Mentre il suo cuore inondato d’amore va spegnendo i ritmi di vita, i suoi frati cantano per l’ultima volta quel cantico che lo accompagna nel “transito” pasquale verso il possesso della contemplazione eterna di Dio (LP 100, FF 1656). E così, con il canto sulle labbra e nel cuore, egli accolse sorella morte.

Nella strofa che chiude il cantico, Francesco si rivolge agli uomini e li esorta a lodare, benedire, ringraziare e servire con grande umiltà l’Altissimo, Onnipotente, bon Signore.Santità e poesia, contemplazione e canto, sono espressione di una vita trascorsa nell’incanto dello stupore: Francesco compose anche la melodia, che insegnò ai suoi compagni. Il suo spirito era immerso in così grande dolcezza e consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico – che nel secolo veniva detto “il re dei versi” ed era gentilissimo maestro di canto – e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio. Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale, tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio (FF 1591).

In questo nostro mondo in cui si vive nell’ossessione della velocità, della pubblicità, dell’utilità e del piacere, la vita contemplativa è vista come egoistica inutilità. Sì, è vero, contemplare è “inutile”, com’è inutile la gratuità della fede e dell’amore, com’è “inutile” lo stesso nostro Dio! Simile giudizio non rivela altro se non l’esaltazione di una sedicente utilità come forma di eresia del mondo moderno. Senza contemplazione manca quella forza e quel coraggio, come dice Baudelaire, per contemplare il proprio cuore e il proprio corpo, senza disgusto.

L’esperienza contemplativa è sublime atto di fede vissuto nella pratica d’amore, attraverso l’azione dello Spirito Santo che elargisce i suoi doni e permette al credente di entrare in comunione col mistero ineffabile di Dio. La vita contemplativa non è, dunque, in opposizione con quella attiva. Nella vita della Chiesa, azione e contemplazione sono due esperienze che s’intrecciano e si armonizzano tra di loro. La Sacrosanctum Conciliumafferma che la Chiesa nella sua totalità è ardente nell’azione e dedita alla contemplazione, tuttavia, l’azione è subordinata alla contemplazione (SC, 2). La spiritualità autentica pone sempre l’azione come frutto della contemplazione.

Il mondo, oggi, ha urgente bisogno di questa sublime Pentecoste: Fuoco nel cuore, Parola sulle labbra, Profezia nello sguardo.

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