Una svolta sul processo vaticano che potrebbe avere conseguenze
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.10.2023 – Andrea Gagliarducci] – Il cambio di narrativa [QUI], che gli avvocati dell’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF) hanno imposto al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, potrebbe avere anche una serie di conseguenze per la Santa Sede in ambito internazionale. Gli avvocati di René Brülhart, ex Presidente, e Tommaso Di Ruzza, ex Direttore, hanno fatto una rilettura stringente dei fatti, mettendo in luce tre temi fondamentali che non possono essere trascurati nel momento in cui si vanno a leggere le carte del processo.
Il primo tema è quello della collaborazione tra gli organismi vaticani e la Santa Sede, che sono chiamate a esercitare le proprie competenze (e, nel caso dell’ASIF, di mantenere una giusta autonomia e indipendenza), ma allo stesso tempo sono costitutivamente chiamati a collaborare in unità di intenti per il bene superiore della Santa Sede. Il tema della collaborazione è stabilito proprio da Pastor Bonus, la Costituzione apostolica di Papa Giovanni Paolo II, che regolava la Curia al tempo dei fatti, ma anche Papa Francesco lo ha rimarcato numerose volte in questo pontificato.
Il secondo tema è quello del bene superiore, quello della Santa Sede, che riguarda anche la decisione di non procedere ad aprire un contenzioso legale prima di recuperare la proprietà stessa del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, che è oggetto del procedimento. È emerso, tra l’altro, che la decisione di non procedere ad un contenzioso legale era stata specificamente presa dal Santo Padre ed eseguita dalla Segreteria di Stato, come ente interessato della vicenda. Il consenso esplicito di Papa Francesco era stato comunicato sia al Sostituto alla Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, che a Brülhart e Di Ruzza. Questo modus operandi mostrava anche come gli enti vaticani fossero portati a collaborare, secondo quanto stabilito da Pastor Bonus. Infatti, la Segreteria di Stato, agendo dopo aver consultato il Papa – fatto descritto in maniera chiarissima dal Sostituto Peña Parra nella sua spesso citata testimonianza – operava nelle sue funzioni di coordinatore, e chiamava l’allora Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) ad assistere nella pacifica risoluzione della dolorosa questione.
Il terzo tema è quello della tenuta internazionale della Santa Sede, perché il processo, e il modo in cui è stato portato avanti, hanno dato anche un duro colpo alla credibilità internazionale della Santa Sede.
Sono temi importanti, che contribuiscono a guardare i fatti da un’altra prospettiva.
Se la Segreteria di Stato, cioè la Santa Sede, chiede collaborazione all’AIF, allora perché l’Autorità non dovrebbe dare una consulenza? Tanto più che i pareri dell’Autorità non sono vincolanti, le scelte vengono sempre fatte dalla Segreteria di Stato stessa.
Allo stesso modo, la Segreteria di Stato ha chiesto all’Istituto delle Opere di Religione (IOR), la cosiddetta “banca vaticana”, un prestito per far fronte ad un mutuo esistente sull’immobile di Londra nel momento in cui stava rilevando il controllo dell’immobile. Era una richiesta di collaborazione, con l’intenzione di riportare tutto “in casa”, come ha spiegato in interrogatorio il Sostituto Peña Parra. Ma davvero l’operazione non era fattibile per lo IOR?
Lo IOR – che ha poi segnalato (con un timing “assai curioso” secondo una delle difese) la situazione lamentando irregolarità e dando il via alle indagini da cui scaturisce questo processo – ha detto a più riprese di non aver concesso il prestito alla Segreteria di Stato principalmente per due ragioni: perché non poteva costitutivamente fare prestiti; e perché vedeva dei lati “oscuri” o “vaghi” dell’operazione finanziaria. Tuttavia, hanno notato le difese, non è stato mai fornito contenuto o significato giuridico a questi termini.
Ma lo IOR poteva svolgere l’operazione, perché è stato dimostrato che aveva il patrimonio necessario, che l’operazione aveva un vantaggio economico perché avrebbe concesso degli interessi, e che l’operazione aveva una garanzia, e la garanzia era data dallo stesso immobile.
Lo IOR, alla fine, non è tenuto a sapere come la Segreteria di Stato gestisca i soldi. È tenuto solo a decidere se concedere un prestito o meno, dopo aver avuto l’autorizzazione a farlo. Come all’AIF non compete valutare l’operazione della Segreteria di Stato, ma solo di consigliare quale sia il percorso migliore.
Questo comportamento dello IOR è costato caro alla Santa Sede, che ha continuato a pagare un prestito inutilmente costoso, mentre sembra che la Commissione Cardinalizia non sia stata messa a piena conoscenza della situazione dai vertici laici dell’Istituto, né della richiesta di prestito, né poi della decisione dello IOR di denunciare.
Da una parte, dunque, c’è un processo che vuole mostrare la volontà del Papa a chiudere con ogni tipo di attività illecita. Dall’altra, le ricostruzioni mostrano che, più che operazioni illecite, ci si è trovati di fronte a decisioni che non hanno seguito l’unità funzionale di intenti cui sono obbligati gli enti della Santa Sede. Posto che l’affare fosse sbagliato o che la Santa Sede sia stata manipolata – ed è tutto da dimostrare – perché allora gli enti della Santa Sede, a partire dallo IOR, non hanno cercato di aiutare la Santa Sede ad uscire dalla situazione? Perché, invece, ci si è persi in quella che sembra essere più una lotta interna?
Le indagini che hanno seguito, hanno messo in rischio la Santa Sede, che ha perso credibilità internazionale proprio a ragione delle indagini e delle perquisizioni effettuate negli uffici dell’AIF, che portano al sequestro di documenti appartenenti alle UIF [*]. Lì fu violata l’autonomia dell’autorità, tanto è vero che il Gruppo Egmont Group l’AIF dal sistema sicuro di scambio di informazioni, e solo un protocollo di intesa tra il Promotore di Giustizia vaticano e la nuova Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF) permise di rientrare nel circuito.
Questa ricostruzione mette in luce che a livello internazionale non sono in discussione la reputazione di Brülhart e Di Ruzza, ma piuttosto la reputazione internazionale della Santa Sede.
Come si sa, la Santa Sede si è sottoposta al sistema di mutua valutazione di aderenza agli standard internazionali antiriciclaggio del comitato Moneyval del Consiglio Europeo. Il rapporto di Moneyval che ha fatto seguito all’inizio delle indagini, segnalava già diverse criticità, ed era un rapporto con luci ed ombre, certamente più negativo degli altri rapporti sui progressi cui si è sottoposta la Santa Sede nel corso degli anni. Questo segnala un passo indietro da non sottovalutare, perché testimonia che il sistema costruito ora ha una debolezza. Tra l’altro, anche l’ultimo rapporto di Moneyval del 2021 segnala i risultati modesti della giustizia vaticana a seguito dei rapporti dell’AIF.
Inoltre, la nuova dirigenza AIF, nel Rapporto Annuale pubblicato nel 2020 (agli atti), relativo alle attività svolte nel 2019, afferma che “L’AIF svolge un ruolo centrale nell’ambito del sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo dell’HS/VCS. I suoi rapporti analitici sono la principale fonte utilizzata dal Promotore di Giustizia per avviare indagini di riciclaggio. Il Promotore ritiene che questi rapporti analitici siano di buona qualità e utili per le indagini”. Ora, è lo stesso Promotore di Giustizia a lamentare che l’AIF non avrebbe segnalato, quando in realtà nessun protocollo internazionale prevede una segnalazione nella fase di intelligence.
Si notava anche che “i risultati in Tribunale sono modesti: due condanne per autoriciclaggio, una nel 2018 e una nel 2019”.
Una debolezza dimostrata dal processo stesso. In una situazione di normalità, AIF, Promotore di Giustizia, organi dello Stato, Corpo della Gendarmeria collaborano normalmente, mantenendo ognuno la propria autonomia e competenza. Questo non è accaduto, e la cosa non può che creare al limite perplessità in ambito internazionale. Si pensi solo al fatto che un ente vigilato, lo IOR, che pretende denunciare l’ente vigilante, l’AIF, causando un “raid” del Corpo della Gendarmeria negli uffici dell’AIF che interferiva con la sua indipendenza e autonomia. Basta questo dettaglio a mostrare la “stranezza” della situazione che si è creata in Vaticano.
Poi ci sono i rischi connessi al processo stesso. Ci si può domandare se c’è una indipendenza della giustizia vaticana. I magistrati vaticani sono quasi tutti avvocati o professori universitari provenienti dai ranghi della magistratura italiana o da un circolo ristretto.
Dopo la grande riforma del 2020, Papa Francesco ha modificato nel 2023 l’ordinamento giudiziario vaticano, annullando con un colpo di penna una delle più grandi novità della legge del 16 marzo del 2020, ovvero la presenza a tempo pieno di almeno uno dei magistrati ordinari del Tribunale vaticano e di uno dei componenti dell’Ufficio del Promotore di Giustizia vaticano.
Di fatto, i magistrati del Tribunale vaticano possono essere anche al servizio di sistemi giudiziari di Paesi esteri, e addirittura possono svolgere ruoli differenti, per esempio di avvocati in Italia e “procuratori” all’interno dello Stato di Città del Vaticano. Sarà da vedere come questo sarà giudicato a livello internazionale da Moneyval, il comitato del Consiglio Europeo che ha sottolineato nell’ultimo rapporto sui progressi della Santa Sede conflitti di interesse per Promotori di Giustizia e Giudici del Tribunale vaticano, perché non lavorano a tempo pieno per la Santa Sede.
La domanda che verrebbe da fare, di conseguenza, è se un Tribunale vaticano può essere composto da giudici part time. Sono esperti, ma di certo non esperti di tutto. Alcuni si occupano di diritto famigliare fuori dallo Stato, e si trovano a fare i giudici di complessi processi finanziari. Fino ad ora, si giustificava il fatto che i giudici fossero part time perché la mole dei processi in Vaticano non era così alta. Ma ora non è più così, eppure la nuova riforma ha riportato indietro il processo di riforme.
Il Papa è intervenuto nel processo con quattro Rescritti, cambiando in qualche modo le regole del gioco. Ma lo stesso Papa aveva autorizzato le operazioni, tutto era stato deciso per volontà sovrana. Questi Rescritti, dunque, che estendono la possibilità delle indagini non possono apparire piuttosto una alterazione del processo stesso da parte del Sovrano?
Sono domande che bruciano, mentre ora c’è la possibilità di guardare i fatti da un’altra prospettiva. Il tema non è la gestione dei fondi, né l’eventuale scandalo. Il tema è piuttosto se il Promotore di Giustizia vaticano ha perseguito una valanga di ipotesi di reato, mai provate, e, così facendo è, alla fine, riuscito a mettere sotto accusa un sistema funzionante e riconosciuto a livello internazionale.
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].
[*] Le UIF sono le autorità pubbliche nazionali incaricate nei vari Paesi di acquisire ed analizzare le informazioni relative a soggetti e a flussi finanziari riguardanti ipotesi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo principalmente attraverso l’analisi delle segnalazioni di operazioni sospette trasmesse da intermediari finanziari, professionisti e altri operatori in base. Le UIF nazionali partecipano alla rete europea e alla rete mondiale delle Financial Intelligence Unit (FIU) per il trasferimento delle informazioni utili a garantire la sicurezza e a fronteggiare la dimensione internazionale del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Lo scambio di informazioni tra FIU avviene a livello internazionale tramite la rete protetta denominata Egmont Secure Web del Gruppo Egmont, in ambito comunitario attraverso la rete gestita da Europol. Le UIF scambiano informazioni relative a fatti di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo con le FIU di altri Paesi, in deroga al segreto d’ufficio. La collaborazione tra le FIU avviene in base ai principi stabiliti dal Gruppo Egmont.