Il peso del coraggio. 58° viaggio di solidarietà e speranza in Kenya. Saumu, triste caso di mutilazione genitale femminile

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.10.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi raccontiamo la visita di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami al paesino di Madogo, a 20 km da Garissa, al confine tra Kenya e Somalia, dove ha incontrato Saumu. Questa ragazza 23enne lo ha accompagnato poi alla visita delle capanne di Madogo, dove abitano le 10 ragazze che hanno subite la mutilazione genitale femminile, che vengono assistite dall’Associazione Amici di Santina Zucchinelli Onlus.
Sappiamo (almeno, pensiamo di sapere) cosa sia la mutilazione genitale femminile (MGF), per cui le Nazioni Unite sponsorizzano il 6 febbraio la Giornata Mondiale, senza eradicarla. Se leggi le informazioni su questa pratica orrenda [*], non ti viene niente, sono trattati asettici, delle statistiche e informazioni enciclopediche. Invece, le bambine che la subiscono non sono numeri, ma donne che soffrono una “stupido inutile dolore”, come scrive Don Gigi. Subiscono questo crimine, diffuso in molte parti del mondo, ancora oggi nel XXI secolo. Il racconta di Don Gigi che riportiamo gronda sangue, chiede il peso del coraggio per leggerlo, perché fa venire il disgusto. Ma ha il “pregio” di far capire cosa è la MGF, nella cruenta realtà: si tratta di donne tagliate da una orribile e stupida cultura ancestrale.

Dopo la consueta Santa Messa di inizio viaggio, concelebrata domenica 17 settembre nel Santuario Madonna dei Campi di Stezzano, Don Gigi è partito il giorno successivo per il 58° viaggio di solidarietà e di speranza in Kenya. Questo nuovo viaggio è molto impegnativo ed è il più lungo dei 58 compiuti da Don Gigi finora e prevede tra altro l’inaugurazione dalla Fondazione Santina di un sistema di irrigazione dei campi aridi della prigione di Garissa vicino alla Somalia e nella missione di Mpeketoni come abbiamo riferito [QUI].
Dopo aver iniziato il 22 settembre il reportage del 58° viaggio, riportando il Report 58/1 – La bilancia del coraggio [QUI] di Don Gigi, il 26 settembre abbiamo riportato il suo Report 58/2 – Barak [QUI], che sarà il #VoltoDiSperanza N. 44. Il 29 settembre 2023 abbiamo riportato il Report 58/3 – Malanga [QUI], in cui Don Gigi ci ha fatto partecipe delle formidabili consolazioni di questa piccola Fondazione Santina nell’aiutare dei piccoli giganti, come Mary, a riscattarsi dalla loro minorità e povertà.
Oggi proseguiamo con il Report 58/4 – Saumu, triste caso di mutilazione genitale femminile. “Se la storia di Barak era un eroico dolore – conclude Don Gigi -, questo stupido inutile dolore di Saumu mi tormenta di più e solo nello scrivere, nel silenzio e nella preghiera trovo un po’ di pace”.

Report 58/4 – Saumu, triste caso di mutilazione genitale femminile
“Mi sveglio in un bagno di sudore. È molto presto, non sono ancora le sei. La notte è stata breve e agitata, con terribili incubi che ricominciavano sempre daccapo. Provo a richiudere gli occhi, ma vedo ancora quelle immagini angoscianti: una miserabile stanza d’albergo, piccola e con la carta da parati ingiallita. Una bambina stesa sul letto, di dieci, dodici anni al massimo. Nuda. Quattro donne circondano il letto e la tengono giù. La bambina ha le gambe spalancate, e una vecchia le siede davanti con un bisturi in mano. Le lenzuola sono zuppe di sangue. La bambina grida con quanto fiato ha in gola. Continua a urlare. Grida da strappare il cuore. Sono state quelle urla a svegliarmi. E anche adesso sembrano riecheggiare nella mia camera. Mi alzo barcollando e vado a bere un bicchiere d’acqua. Guardo fuori dalla finestra. Comincia a far luce. Sono a Vienna, nessuno sta gridando. Era solo un sogno, mi dico”.
È il sogno di Waris Dirie, diventata Ambasciatrice ONU nella campagna chiamata Face to Face, realizzata al fine di sradicare la pratica di mutilazione genitale femminile che riguarda – secondo i dati più aggiornati di fonte Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – almeno 200 milioni di bambine, ragazze e donne in almeno trenta Paesi del mondo. Ha creato una sua Fondazione che ricerca fondi a questo scopo, la Desert Flower Foundation. E continua a ricevere premi e onorificenze per la missione che si è data.
Le parole di Waris Dirie le riesco a trovare in Internet, approfittando di una rete WiFi molto debole:
“Lo considero semplicemente un crimine contro l’umanità, contro povere bambine innocenti. A praticarlo non sono solo le comunità musulmane, ma anche le comunità cristiane, ad esempio in Egitto, in Mali e in Etiopia. Ha a che fare con l’idea di reprimere e opprimere le donne, non con la religione. E l’oppressione femminile è un fantasma che si agita in tutte le società del mondo. Lo scopo della mia Fondazione è proprio quello di alzare il livello di consapevolezza e conoscenza di questo fenomeno”.
Scrivo di Saumu a Garissa, distante 20 km da Madogo, dove la nostra Associazione assiste 10 bambine tra gli 8 ed i 12 anni, “tagliate” due-tre anni fa. Madogo già voi lo conoscete per Esha [QUI], nostra rappresentante e tagliata 20 anni fa, e Asma [QUI], la bimba tagliata tre anni fa. A loro abbiamo dedicato i due libretti, nell’intento di scavare profondamente il tema della mutilazione genitale femminile.
In questo report parlo di una terza storia, della 23enne Saumu, nata il 20 marzo 2000. La nostra Esha ha appena partorito il suo terzo figlio tra dolori lancinanti e 40 giorni in ospedale a motivo di una brutta infezione per il taglio. È proprio Esha a farci conoscere Saumu, che ci accompagnerà in questi giorni alla visita delle capanne di Madogo, dove abitano le 10 piccole mutilate.
Saumu è una dolce ragazza non ancora sposata. Parla bene inglese e comunque ho sempre il supporto dell’inseparabile Jimmy, per alcuni passaggi linguistici.
Conosco cosa sia la mutilazione genitale femminile, ma non voglio rischiare approssimazioni. “Saumu, sarei davvero felice di poter scrivere la tua storia, se lo permetti, nell’intento di fare conoscere maggiormente il crimine contro l’umanità della mutilazione genitale femminile, che mi dici?”
La ragazza velata in modo musulmano, con una certa timidezza mi dice: “Se la mia storia può essere utile a eradicare questa terribile piaga, perché no?”
“Bene allora, cominciamo subito in modo cruento: raccontami la scena ed il momento del tuo taglio!” La giovane donna rimane colpita dal mio discorso diretto e senza mezzi termini.
In modo deciso mi risponde: “Hai ragione padre! Partiamo da quel momento. Anche se è avvenuto circa 12 anni fa, ricordo ogni dettaglio come se fosse oggi. Non ti risparmierò dettagli crudi e duri, va bene?
Faceva molto molto caldo in quell’ anno ormai lontano quanto così vicino. Era estate e mia madre mi disse: ‘Domani andiamo a trovare la zia e ti fermerai da lei un po’ di tempo’. Io, piccola di 9-10 anni, pensavo ad una serena vacanza ed andai a dormire felice.
La mattina ci alzammo prestissimo verso le 3 e poi con il fresco della notte percorremmo circa due ore di cammino per giungere al villaggio di mia zia.
Lei ci accolse con una piccola festa e la giornata passò serenamente. La sera andammo a dormire prestissimo e non capii il triste perché.
Il giorno dopo ci svegliamo ancora prestissimo e mia madre Zenabu mi disse di seguirla e che oggi sarei diventata donna. Ero curiosa ed affascinata di cosa mi sarebbe successo per divenire donna.
Ci mettiamo in cammino, la campagna lascia il posto al bosco verde e rigoglioso, il sentiero si fa stretto ed impervio. Guardo i fiori, gli alberi di palma, le noci di cocco per terra e dopo circa 30 minuti arriviamo in una piccola radura dove trovo altre sei bambine con le loro mamme che stanno chiacchierando. Appartate in un lato ci sono 5 donne, non sono più giovani, una di esse sembra essere il capo. Vi sono dei recipienti gialli di acqua ed una vaschetta di colore blu. Vicino vi è una specie di lenzuolo arancione, penso che sia un vestito di una di quelle donne. Il velo viene steso sulla nuda terra e fissato a terra con dei piccoli paletti.
La donna malefica estrae un coltellino, lo prova su un arbusto: è affilatissimo e la vecchiaccia ne è soddisfatta, lo pulisce in modo sommario con acqua della piccola vaschetta. Poi confabula sotto voce con le aiutanti e dopo che esse hanno dato assenso con il loro capo, si muove verso di noi.
Siamo tutte donne, non vi sono uomini ed è proibito loro assistere. Malaika, così si chiama la vecchia, osserva con attenzione noi bambine, ci chiede l’età e poi con indice della mano destra scandisce i nostri nomi. ‘Saumu è la quarta’. Ricordo bene questa frase che mi si incide nel cervello con odio verso quella carnefice!
A voce alta grida: ‘Spogliate nude le sei bambine’. Cerco di fare resistenza, ma mia madre con forza mi denuda. È vano resistere e nuda inizia il mio panico. La prima bimba Fatuma è pronta e la madre fiera la consegna nelle mani delle quattro donne e si pone vicino a guardare. Io mi sento mancare: la bambina è inchiodata sul panno arancione, non può muoversi e tra grida formidabili Malaika inizia ad incidere le labbra della vulva con il dannato coltellino affilatissimo.
Le urla sono così forti che devo mettere le mani sulle orecchie e realizzando che sarebbe stato poi il mio turno, metto le mani sulla vulva un secondo e poi scappo via nuda, mia madre grida: ‘Fermate Saumu, mia figlia sta scappando!’ Prontamente una mamma mi afferra, mia madre mi raggiunge, mi spara un solenne ceffone e mi riporta indietro. È lo straziante turno della seconda e terza bambina e poi il mio. Non si può dimenticare quel terribile momento, è il peggiore della mia vita!”
Lo dice con le lacrime agli occhi. Io e Jimmy ci guardiamo increduli e disgustati nel breve silenzio riesco solo a dare una carezza a Saumu e lentamente le dico: “Continua Saumu. Immagino che sia duro e difficile per te, ma provaci, ti prego”. La ragazza con gentilezza e forza mi stacca la mano dalla carezza e capisco che ho commesso un errore: non posso toccare una donna musulmana. Congiungo così le mani e chinando il capo dico: “Chiedo scusa”. Lei accenna ad un debole sorriso che mi sembra una stella nel baratro del suo truce racconto.
E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
“È il mio turno e mia madre con finto orgoglio, che viene dalla tradizione e dalla cultura ancestrale, mi consegna alle quattro aguzzine. Nel mio cervello ogni secondo è impresso. Inizio a urlare per la paura ed a gridare: ‘No, lasciatemi! Lasciatemi’. Loro sembrano sorde, insensibili al pianto, addirittura sadiche. Malaika pulisce il coltello nella vaschetta di acqua. Cambia l’acqua sporca del sangue dell’altra bimba con acqua più pulita presa dal contenitore giallo, mentre le quattro donne mi sdraiano sul telo arancione pieno del sangue delle altre tre bambine, sento bagnato, è proprio sangue. E entro nel vortice dell’orrore.
Le quattro mi inchiodano per terra braccia allargate e altre due spalancano le mie gambe. Malaika con voce decisa dice: ‘Tenetela forte!’ Poi si avvicina a me, prende il labbro destro della mia vulva e lo tira forte forte. Mi fa male, ma quel dolore è nulla confrontato a quanto avviene subito dopo: uno, due, tre lunghi tagli e nel mio cervello la scossa elettrica per il dolore terrificante. Il labbro si stacca e lei lo getta via. Io grido, sento il sangue caldo uscire e un terribile bruciore. Lei inesorabile tira in modo deciso il labbro sinistro, ma questa volta non sento quel dolore sul labbro sinistro perché il mio dolore è tutto sulla parte destra che anestetizza il dolore del tirare il secondo labbro. Malaika con decisione taglia: uno, due, tre, quattro volte! E il labbro sinistro si stacca e lei lo getta via. Sento uscire il sangue e questa volta in modo più copioso. Malaika prende acqua dalla vaschetta, pulisce sommariamente, mette delle erbe e mia madre mi fascia strettamente, il dolore aumenta… e facciamo ritorno alla casa della zia”.
Di tutte le storie raccontate in questi anni, Saumu ha la capacità di fare rivivere anche a me, uomo, una storia di dolore che mi trapana il cervello. La fermo. Lei sembra in preda ad un delirio, quello di raccontare ad ogni costo qualcosa che sente come un nero peso sulla sua vita. Finalmente tace. Il silenzio porta pace anche al mio cuore sconvolto.
Il racconto è troppo duro, troppo, troppo, troppo! Jimmy lo intuisce e mi dice: “Padre, puoi rileggere i tuoi appunti in modo che io e Saumu li possiamo controllare?”
Obbedisco per togliermi dall’imbarazzo e in modo quasi maniacale rileggo le mie note. Saumu e Jimmy ad ogni passaggio acconsentono con il capo. Alla fine della lettura mi sento meglio.
È stata questa trascrizione dei fogli a farmi stare male e questa notte ho avuto l’incubo di assistere ad una mutilazione genitale femminile e una vecchiaccia mi buttava addosso il panno arancione pieno di sangue e tutto il mio corpo era alla fine rosso di sangue, un sangue che non riuscivo a togliere!
Devo aver anche gridato nel sonno e nel caldo e per calmarmi mi sono scolato mezzo litro di acqua e recitato una decina del rosario. Sicuramente mi è mancato il peso del coraggio e tante volte mi chiedo se questi viaggi non mi rovinino il cervello con tutto questo dolore che ascolto: dal Messico fino a qui, in un paesino polveroso chiamato Madogo ai confini con la Somalia.
Spero di aver registrato bene il dolore di Saumu e che tutti voi che mi leggete, ragazzi, ragazze, uomini o donne mi aiutate a fare conoscere queste note, passandole ai vostri amici.
Se la storia di Barak era un eroico dolore, questo stupido inutile dolore di Saumu mi tormenta di più e solo nello scrivere, nel silenzio e nella preghiera trovo un po’ di pace.
Sono come buchi neri
questi buchi nei pensieri
si fa finta di niente
lo facciamo da sempre
ci si dimentica
E così arriviamo alla terza parte di questo report. Noi non vogliamo dimenticare come dice il testo della canzone della Mannoia. Abbiamo incontrato Saumu non solo per il tremendo e crudo racconto di cosa sia oggi la mutilazione genitale femminile, ma con un preciso e chiaro obiettivo.
Dopo il racconto del momento della mutilazione genitale femminile, con Jimmy ho formulato a lei una proposta: “Sauma, le dieci famiglie che visiteremo ed alle quali ogni mese doniamo cibo, non lo facciamo perché sono povere: vi sono molte e molte più famiglie cristiane povere. Noi portiamo a queste 10 bambine musulmane il cibo per entrare nelle loro famiglie e con la scusa iniziare a parlare di questo crimine nell’intento di eradicarlo. Vedi, oggi vorrei con te dare vita ad un gruppo WhatsApp. In questo gruppo metterei Sister Josephine come coordinatrice di questo programma, poi Esha, Saumu, Jimmy e Don Gigi. Che ne dici, ci stai? È molto poco, ma piano piano possiamo cambiare le cose!”
Con Jimmy ci guardiamo complici negli occhi, la ragazza con tutto l’entusiasmo dei suoi 22 anni compie un gesto: si toglie la collanina bianca che ha al collo, si avvicina, la mette attorno al mio collo e dice: “Padre, ti regalo questa collana, ricordatevi di noi! Dillo ai tuoi amici in Italia… con grande piacere accetto questa proposta e voglio convincere altre ragazze della mia età e nella mia situazione qui a Madogo a fare lo stesso!”
Mi guarda ora con occhi sorprendentemente pieni di luce, quasi trasfigurata dal nuovo ed importante impegno assunto. E voi cari amici che mi leggerete attraverso questo report scritto tanto lontano da voi, cercate di farvi vicino a noi, aiutandoci!

Quella sera abbiamo aperto un nuovo gruppo in WhatsApp, nel quale Sister Josephine, Esha, Sausumu, Jimmy e Don Gigi si incontrano per parlare di dieci stupende bambine che in Kenya ai confini della Somalia nel villaggio di Madogo vivono tagliate da una orribile e stupida cultura ancestrale.
Affido a voi queste note – per me preziose perché grondano sangue – alla vostra meditazione, preghiera e perché no: azione!
Mentre chiudo il tablet, stringo forte al collo la bianca collanina di Saumu.

[*] Le mutilazioni genitali femminili
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono un fenomeno vasto e complesso, che include pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Nel mondo il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale è di diversi milioni. Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 29 Paesi africani, mentre una quota decisamente minore vive in Paesi a predominanza islamica dell’Asia.
In alcuni Stati del Corno d’Africa (Gibuti, Somalia, Eritrea) ma anche in Egitto e Guinea l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90% della popolazione femminile. In molti altri, invece, le mutilazioni riguardano una minoranza – fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.
Si registrano casi di MGF anche in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia sud-occidentale: si tratta di episodi che avvengono nella più totale illegalità, e che quindi sono difficili da censire statisticamente.
Pregiudizi alla base delle MGF
Le MGF vengono praticate per una serie di motivazioni:
- Ragioni sessuali: soggiogare o ridurre la sessualità femminile
- Ragioni sociologiche: es. iniziazione delle adolescenti all’età adulta, integrazione sociale delle giovani, mantenimento della coesione nella comunità
- Ragioni igieniche ed estetiche: in alcune culture, i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e osceni
- Ragioni sanitarie: si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino
- Ragioni religiose: molti credono che questa pratica sia prevista da testi religiosi (Corano)
Le MGF vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni di età. Tuttavia, in alcuni Paesi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate di pochi giorni (Yemen).
Ad eseguire le mutilazioni sono essenzialmente donne: levatrici tradizionali o vere e proprie ostetriche.
Le MGF sono spesso considerate un servizio di elevato valore, da remunerare lautamente: lo status sociale e il reddito di chi le compie è direttamente connesso all’esito di questi interventi.
Una pratica da condannare senza mezzi termini
L’UNICEF considera le MGF, in qualunque forma, una palese violazione dei diritti della donna.
Le MGF sono discriminatorie e violano il diritto delle bambine alla salute, alle pari opportunità, a essere tutelate da violenze, abusi, torture o trattamenti inumani, come prevedono tutti i principali strumenti del diritto internazionale.
Le ragazze che le subiscono sono private anche della capacità di decidere sulla propria salute riproduttiva.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente dolorose. Le bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause che vanno dallo shock emorragico (le perdite ematiche sono cospicue) a quello neurogenico (provocato dal dolore e dal trauma), all’infezione generalizzata (sepsi).
Per tutte, l’evento è un grave trauma: molte bambine entrano in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue.
Conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da HIV/AIDS, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto.
Secondo i dati più aggiornati di fonte Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono almeno 200 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale.
La diffusione geografica
L’Africa è di gran lunga il continente in cui il fenomeno delle MGF è più diffuso, secondo le stime sulla diffusione delle MGF che provengono da indagini socio-sanitarie su scala nazionale che vengono condotte tra donne di età inclusa tra 15 e 49 anni. La prevalenza del fenomeno varia considerevolmente da regione a regione all’interno del medesimo Stato: a fare la differenza è l’appartenenza etnica. In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l’intera popolazione femminile. In altri 4 paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale. In altri 5 (Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di prevalenza è considerato medio – tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti paesi la diffusione delle MGF varia dallo 0,6 al 28,2%. Anche il tipo di intervento mutilatorio imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle MGF praticate è di tipo escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell’apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all’azione specifica della “infibulazione”, che ha come scopo il restringimento dell’orifizio vaginale e può a sua volta essere associato anche a un’escissione.
In altri Stati (India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele) si ha la certezza che vi siano casi di MGF ma mancano indagini statistiche attendibili.
Meno documentata è la notizia di casi di MGF avvenute in America Latina (Colombia, Perù) e in altri Paesi dell’Asia e dell’Africa (Oman, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo) dove tale pratica non è mai assurta a tradizione vera e propria.
Infine, sono stati segnalati casi sporadici di MGF anche in Paesi occidentali, limitatamente ad alcune comunità di migranti.
Fonte: UNICEF.