Il peso del coraggio. 58° viaggio di solidarietà e speranza in Kenya. Imparare un mestiere in modo eroico
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.09.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi raccontiamo la visita di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami a Malanga, presso la scuola tecnica per imparare a tagliare e cucire i vestiti, che la Fondazione Santina ha costruito. La scuola insegna a ragazzi disabili e questa cosa piace moltissimo a Don Gigi. Quando era venuto a marzo, c’erano 8 ragazzi normodotati. Oggi ci sono 18 ragazzi di cui 9 disabili. Questo per lui pone Malanga in cima alla lista delle cose da fare in Kenya: aiutare i ragazzi poveri e disabili, che in modo eroico imparano un mestiere. Mary, una delle ragazze disabili di 16 anni fa cinque giorni alla settimana quattro ore di cammino per venire e quattro ore per andare, per 20 km la mattina e 20 km la sera per tornare a casa: per 5 giorni sono 200 km alla settimana. Che forza nel venire a scuola.
Don Gigi ha chiesto con un video su YouTube ai sostenitori della Fondazione Santina 5.000 euro per fare un’altra classe. Questi soldi spesi lì, sono spesi non bene, benissimo. Sono spesi per questi ragazzi disabili che vivono nella miseria e che imparano una professione, facendo tante ma tante ore di cammino alla settimana come Mary. Sono ragazzi che hanno crisi epilettiche, che hanno possibilità di motricità difficile, che hanno dei ritardi. Ma questa è la carne di Gesù.
Non ci sono i soldi per fare la nuova aula e Don Gigi la mattina durante la Santa Messa nella ricorrenza della sua festa chiede l’intercessione di San Pio da Pietrelcina. Poi la sorpresa. Durante il difficile e pericoloso viaggio a Mpeketoni e Garissa, di cui abbiamo riferito nell’articolo precedente, arriva una chiamata via WhatsApp: una coppia di amici dice che vuole finanziare la nuova aula e di dare anche un aiuto per la ragazza che fa 40 km a piedi al giorno per venire a scuola.
Alla scuola di Malanga c’erano anche i bellissimi bambini delle maestre della scuola. Questo è il futuro dell’Africa. Questi bellissimi bambini, che Don Gigi ha preso in braccia, rappresentano il futuro dell’Africa.
Dopo la consueta Santa Messa di inizio viaggio, concelebrata domenica 17 settembre nel Santuario Madonna dei Campi di Stezzano, Don Gigi è partito il giorno successivo per il 58° viaggio di solidarietà e di speranza in Kenya. Questo nuovo viaggio è molto impegnativo ed è il più lungo dei 58 compiuti da Don Gigi finora e prevede tra altro l’inaugurazione dalla Fondazione Santina di un sistema di irrigazione dei campi aridi della prigione di Garissa vicino alla Somalia e nella missione di Mpeketoni come abbiamo riferito [QUI].
Dopo aver iniziato il 22 settembre il reportage del 58° viaggio, riportando il Report 58/1 – La bilancia del coraggio [QUI] di Don Gigi, il 26 settembre abbiamo riportato il suo Report 58/2 – Barak, che sarà il #VoltoDiSperanza N. 44 [QUI].
Mentre Don Gigi è in viaggio verso Msabaha, dopo l’inaugurazione nella prigione di Garissa dell’impianto di irrigazione dedicato a Maria e Vittorio Coda, con il Vescovo di Garissa, Mons. George Muthaka, oggi proseguiamo con il Report 58/3 – Malanga, in cui Don Gigi ci fa partecipe delle formidabili consolazioni di questa piccola Fondazione Santina nell’aiutare dei piccoli giganti, come Mary, a riscattarsi dalla loro minorità e povertà.
Report 58/3 – Malanga
Malanga è un piccolo villaggio di pastori e contadini a maggioranza musulmani, dove alcuni anni fa abbiamo costruito un’aula tecnica. In altre parole, si tratta di un laboratorio di sartoria dove ragazze e ragazzi imparano a tagliare e cucire abiti, apprendendo così una professione con cui vivere.
L’ interno della nostra “sartoria” è molto spartano: trionfano vecchie macchine da cucire Singer che anche mia mamma Santina usava e di cui mia sorella è fiera come antico cimelio. Bene, abbiamo trovato una decina di macchine da cucire attempate, molto attempate, le abbiamo riparate ed ora le ragazzine si cimentano a fabbricare abiti.
Subito le ragazze mi dicono che purtroppo tre macchine da cucire sono rotte e vanno riparate. Poi mi mostrano i modelli di vestitini realizzati non su cartoncino, ma su sacchi di cemento puliti che svolgono egregiamente la funzione del cartoncino regalando al tutto uno stile molto africano. Mi mostrano così prove di camicie, gonne, vestitini e poi alcuni pezzi realizzati. Sono davvero brave ed apprendono velocemente.
Le più piccole hanno 14 anni e la più grande 19. Mi accoglie il maestro e mi dice: “Don Gigi è un grande piacere rivederti; grazie che ci vieni a trovare. Le mie allieve sono orgogliose del lavoro che svolgono e lo fanno con tanta passione: i loro occhi entusiasti te lo dicono più delle mie parole”.
In effetti, mentre James parla, attorno sono giunte tutte le sue alunne e con grandi occhioni mi manifestano tutta la voglia di mostrarmi i loro capolavori. Mentre parlo con loro osservo che la costruzione è forte e ben realizzata. Questi missionari del Guatemala sono davvero bravi. Con grande altruismo e sensibilità si spendono per le loro terre di missione. Ci accompagna Padre Elias, il parroco di Lango Baia dove abbiamo costruito anni fa quattro aule scolastiche. Padre Elias è un giovane missionario che con passione mi spiega il servizio sociale, che svolge questo centro e questa scuola tecnica, che nobilita la donna in questi luoghi tanto difficili e poveri.
Mentre Padre Elias parla, mi accorgo che il centro è particolarmente affollato: ci sono 18 ragazzi, la grande maggioranza sono femmine, ma noto anche tre maschi. Guardando con più attenzione mi rendo conto che tra questi 18 ragazzi vi sono alcuni disabili e la curiosità mi sbrana il cervello: “Elias, raccontami di questi disabili!”
L’astuto padre si attendeva questa richiesta ed i suoi occhi si illuminano. È meraviglioso vedere questi uomini di Dio riempirsi di gioia per una iniziativa di bene, che a loro costa tanta fatica, ma produce grande soddisfazione e risultato. “Gigi, proprio di questo ti volevo parlare: la scuola dall’ultima volta che sei venuto ha raddoppiato il suo numero e dagli 8 alunni che aveva, ora ne conta ben 18. Metà di essi sono disabili e te li voglio presentare. Hanno gravi problemi di motricità ma una indomita ed africana testardaggine e volontà”.
Queste parole catturano il mio cuore e mi riempiono di entusiasmo. È già difficile la vita di un menomato in un Paese sviluppato come l’Italia, vi immaginate cosa significhi essere disabile e vivere in una capanna? Davvero un inferno di dolore e di emarginazione.
Padre Elias inizia a raccontare: “Vedi Don Gigi, da quando abbiamo aperto la scuola, sempre abbiamo pensato al riscatto di questi ragazzi, imparare un lavoro significa porsi in modo più qualificato per la professione acquisita, ma ho pensato che questa opportunità non dovesse essere solo di ragazzi normodotati, ma anche e forse a maggior ragione per ragazzi disabili. Poi, quando i disabili sono eroici allora non è una opzione, ma un vero e proprio dovere”.
Dicendo queste parole, Padre Elias prende dolcemente per mano una ragazzetta di 16 anni di nome Mary. Lei cammina in modo pietoso, trascinando letteralmente una gamba e camminando in modo scoordinato. Dolcissima, si avvicina, mi abbraccia e mi dice: “Mi chiamo Mary e vengo ogni giorno da un villaggio distante 20 km, ti voglio ringraziare Don Gigi per la splendida possibilità che mi offri di imparare un lavoro. Ti prometto che ci metto tutta la buona volontà!”
Mentre Mary parla, al posto di concentrarmi sul suo impegno scolastico, nel cervello si formula una prepotente domanda: “Cosa hai detto Mary? Abiti a 20 km di distanza ed ogni giorno percorri questa strada? Chi ti porta? Una moto? Un’auto?” Mi guarda dritto negli occhi e mi mostra il piede della gamba destra, quella offesa e che trascina pesantemente. Con la mano mi fa toccare il piede: sembra un pezzo di legno per il grosso callo che lo ricopre e dopo avermi fatto palpare la sua disabilità mi dice solo tre parole: “Vengo a piedi”.
Incredulo guardo Padre Elias, che lentamente dice di sì con il capo e con la sua erre moscia continua: “Sono 4 ore di strada per venire e 4 ore per tornare. Mary si sveglia alle 04.30, parte alle 05.00 ed arriva alle 09.00. E dopo la scuola riparte per altre 4 ore di cammino verso la misera capanna”.
Rimango allibito e dico: “Se questo è vero, ed il grosso callo me lo prova, questa ragazzina ha una formidabile determinazione che ha dell’eroico. Tante volte cerco gli eroi negli schermi televisivi, mentre l’eroismo vero è quello che non appare, quello che non fa rumore, quello che compie ogni giorno 40 chilometri a piedi. Questo è il vero eroismo e lo trovo qui nel villaggio sperduto di Malanga”.
Guardo Mary, lei mi sorride e dolcemente le dico: “Prega per me Mary, vorrei che Dio mi concedesse una millesima parte della tua splendida forza di volontà!” Mi inginocchiò e lentamente bacio quel deforme e disgustoso callo. Tre baci che mi entrano nel cuore insieme alla sensazione ruvida del grande callo con il quale protegge il piede e la gamba nei 40 chilometri quotidiani.
Queste sono le formidabili consolazioni di questa piccola nostra Fondazione, aiutare dei giganti come Mary a riscattarsi dalla loro minorità. Padre Elias ha nel cuore una richiesta e dopo avermi presentato i ragazzi disabili mi dice: “Gigi, ho nuovamente bisogno del tuo aiuto. Vedi, il numero di questi studenti sta crescendo e devo ampliare questo laboratorio con uno nuovo e garantire così spazio. Mi aiuti a costruire una seconda aula tecnica?”
La domanda mi coglie di sprovvista. “Sono tempi duri – rispondo – e la gente in Italia ha molti problemi economici. Come ben sai, abbiamo dovuto ridurre tutti i nostri progetti. Ma di quanto stiamo parlando?” Padre Elias mi dice: “Sono circa 5.000 euro”. “Senti Padre Elias, ora facciamo un video e lo mettiamo nel nostro canale YouTube e speriamo che la Provvidenza ci aiuti”. In questo anno per noi sono moltissimi soldi, continuo, dicendo a lui che dobbiamo vedere, che ne devo parlare con il consiglio di amministrazione, ecc.
Rientriamo a Lango Baia. Ho nel cuore il callo di Mary. E mi prende una forma di depressione e di impotenza. Cosa faccio? Non ho i soldi. Cavolo! Quella ragazza domani farà altri 40 km a piedi ed io non ho soldi per aiutare questi disabili. Nulla di più dilaniante che costatare una povertà e assaporare tutta l’impotenza di un aiuto. Mi addormento stanco morto e con l’amaro in bocca.
Mi sveglio alle prime luci dell’alba. Con Jimmy ci attende un massacrante viaggio verso Mpeketoni e Garissa. Oggi è la festa di San Pio da Pietrelcina di cui sono devoto a motivo di mio padre che lo incontrò. Durante la Messa prego questo Santo: “Dammi un segno che sono sulla strada giusta, che stiamo andando sul giusto sentiero. Ho bisogno di quei soldi! Ti prego, esaudisci questa mia piccola richiesta, non è per me ma per quei disabili di Malanga.
Termino la Santa Messa e saltiamo su uno scassato e bollente pulmino pieno di puzza e sporcizia. Guardo il panorama e recitò il Rosario. Mi sono dimenticato della mia richiesta e di Malanga, sto pensando invece ai luoghi che stiamo per visitare pieni di terroristi di al Shabaab e con gravi problemi come la mutilazione genitale femminile.
Suona il telefono con WhatsApp. La linea cade ed è molto disturbata. Dopo diversi tentativi alcuni secondi di comunicazione. È un amico: “Don Gigi, ho visto il video che hai postato in YouTube. Volevo dirti che con mia moglie abbiamo pensato di finanziare noi la nuova aula tecnica per tutto l’importo e ci mettiamo anche qualche cosa per migliorare la dura vita di Mary.
La linea cade. Con accanimento cerco di riprendere la linea: una, due, tre volte; finalmente ci riesco: “Sono in viaggio e la linea è pessima, ma ho capito bene? Finanziate voi l’aula tecnica?” “Si, si, si Gigi! Ci hai commosso e la storia di Mary ancora di più. Non ti preoccupare, siamo felici di poter realizzare questo piccolo aiuto ai tuoi disabili di Malanga”.
Il mio amico non sa della mia preghiera a Padre Pio. La comunicazione cade, ma nel mio cuore esplode la gioia, la riconoscenza, e la devozione a Dio che per l’ennesima volta mi ha mostrato un segno della Sua vicinanza, in occasione della festa di un santo molto vicino al mondo della sofferenza, come San Pio da Pietrelcina.
Sto scrivendo nel caldo dei 40 °C di Garissa, e sto ultimando questo terzo report nella festa di un grande amante della Carità come San Vincenzo de Paoli. Lui sì, che veramente amava i poveri. Chiedo anche a lui la forza di continuare, di non scoraggiarmi e di vivere con entusiasmo questo compromesso con i poveri. Nel cuore ho gratitudine e ammirazione per la coppia di amici-benefattori, che vogliono rimanere anonimi. Loro non lo sanno ma ho celebrato una Santa Messa per le loro intenzioni e la loro salute. Dio provveda ai cari amici quanto di cui abbisognano. E prego Dio per loro da qui, dall’ Africa, dove Dio sembra ascoltare di più le mie richieste. Chissà perché.