Mons. Lorefice: salire al monte per cambiare la città

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Lunedì 4 settembre Palermo ha celebrato l’ascesa sul monte Pellegrino della patrona santa Rosalia con l’arcivescovo, mons. Corrado Lorefice, che è stato chiaro nel motivare questo momento: “Salgo con voi, cammino con voi, per chiedere alla nostra Santuzza, perdono”.

Prima dell’ascesa l’arcivescovo di Palermo aveva ricordato l’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo: “Nelle parole di Gesù: ‘Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà’ ritroviamo il fondamento della passione morale, conservata fino alla morte, del generale Dalla Chiesa, della consorte Emanuela Setti Carraro e dell’Agente della Polizia di Stato Domenico Russo.

Riconosciamo la loro fede religiosa, il loro ‘culto spirituale’ nell’offerta dei loro corpi per la pienezza di vita di altri corpi, di altre vite. Per una città umana che cresce nella passione morale, riscattata dalla morsa delle mafie, dall’omertà e dalle contiguità, dall’odio e dall’indifferenza, dalla prevaricazione maschilista e dalla nefasta legge del profitto che genera oppressione, morte e scarti.

Per una città umana che conosca artigiani di rigenerazione e testimoni di speranza di cieli nuovi, di mari nuovi, di una terra nuova… La loro memoria accenda in noi la stessa passione morale e ravvivi la nostra fede religiosa. Siamo chiamati ad onorare questi nostri martiri della giustizia e della fede assumendo la responsabilità di promuovere una cultura della vita, della giustizia e dell’amore. Pagando anche di persona”.

Passaggi ripresi nell’omelia dell’ ‘acchianata’: “Siamo saliti tutti, l’intera Città è qui rappresentata dai Servitori delle Istituzioni civili e militari, sul monte che la nostra Santuzza, S. Rosalia, ha scelto come casa delle ‘mistiche nozze’ con il suo Signore, come talamo di intimità sponsale e come oasi di preghiera, di dialogo orante.

Nella Bibbia il monte è il luogo dell’incontro affascinante e indicibile con Dio, proprio perché è anche il luogo della presenza dell’uomo a sé stesso, del riconoscimento di ciò che in definitiva lo abita dentro.

Abbiamo sentito anche noi il bisogno di salire sul monte. Rosalia continua a chiamarci in questo luogo. La festa cristiana, prima di tutto, è una opportunità per ritirarci e non per alienarci. Un tempo e uno spazio per lasciare alle spalle il trambusto, la confusione, lo strepitio del quotidiano, per lasciarsi lambire come Elia, come Rosalia, dal ‘suono di un silenzio sottile’. Per stare alla presenza del Signore: Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti”.

E’ stato un richiamo ad essere pieni di Dio: “La questione decisiva della vita, ci ricorda Rosalia, è essere ‘ricolmi di tutta la pienezza di Dio’. E’ questione di calcolo di intelligenza, mentre è in atto un processo di ‘stupidità collettiva’, di perdita della ‘passione morale’ che ci connota come esseri umani.

Rosalia ci ricorda di rimanere lucidi, di coltivare una rinnovata sapienza di vita, ‘di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito’. Di prendere con noi olio di scorta. Non possiamo continuare ad essere distratti.

La casa comune, la Terra, le nostre città, le nostre famiglie, i luoghi della politica, della cultura, della professione, della formazione, del tempo ibero, della scienza, oggi reclamano uomini e donne prudenti, saggi”.

La saggezza può anche apparire ‘antipatica’, però aiuta a vivere nella realtà: “La parabola (che evidenzia il ritardo della venuta definitiva del Signore e quindi la frustrazione e l’affievolimento della fede della comunità matteana) anche a costo di far risultare antipatiche le vergini prudenti, vuole dire che ognuno deve rispondere di sé, e rimarca la necessità sapienziale di gestire la vita, i suoi ritardi, la sua complessità, tenendo alta l’attesa del ritorno del Signore. Continuando ad aver fede, ad aver speranza.

Ed in questo nessuno può sostituirci.  Non possiamo demandare ad altri. E’ una realtà che non si fabbrica e nemmeno si trova lungo la strada dal primo ambulante che si incontra, ma che va ricercata con pazienza e fermezza, nel posto giusto e al tempo opportuno: ‘Andate piuttosto dai venditori e compratevene’, dicono le vergini sagge”.

Ed ha richiamato alla realtà che vive la città: “Ma se anche quest’anno siamo saliti a Monte Pellegrino con il cuore sedotto d’amore, per stare in disparte con la nostra Santuzza al cospetto del Signore, non possiamo negarlo o rimuoverlo, siamo costernati, appesantiti.

In città, nell’aria, si respira ‘un’inquietudine e una pesantezza sociale’. E’ ancora pesante l’olezzo dei roghi che hanno travolto l’ambiente naturale compreso e conteso tra monti e mare, che cinge come grembo ridente la città di Rosalia, la nostra Città”.

Quindi è stato un richiamo alla cura: “Ora ci appare come grembo sfiorito, arido, sterile, tenebroso, così come si mostra ai nostri occhi anche Monte Pellegrino, la dimora che Rosalia si è scelta per vegliare dall’alto su di noi, per ricordarci di dare un primato a Dio e prenderci cura, come fa lei, della casa comune che abitiamo”.

L’arcivescovo ha tracciato un volto della città inquietante: “Siamo sgomenti per le vite dilaniate dei nostri giovani presi d’assalto da incauti mercanti di superalcolici e da accaniti spacciatori di crack, venditori di una felicità contraffatta che stravolge i sentimenti, corrode la mente e i distrugge i corpi.

Siamo ancora sbigottiti dalle immagini del branco che si accalca attorno a una ragazza condotta al Foro Italico per lacerarla nel corpo e nell’anima. Un manipolo di giovani, accomunati dal delirio di ‘onnipotenza virile’, che si avventa su di lei come fosse ‘carne’ da preda. Epilogo del fallimento formativo di noi adulti, delle fondamentali agenzie educative della società”.

Le parole hanno risuonato forti: “Non possiamo essere gli amici, i devoti, i concittadini di Rosalia e violentare il suo corpo e la sua casa. Aggredire il corpo di una giovane per le strade e tra le case che Rosalia ha contribuito a liberare dalla peste che seminava morte e angoscia, povertà e separazione, significa aggredire e violentare Rosalia, la nostra Santuzza.

Ogni giovane donna è Rosalia, ogni anfratto di Palermo è la città che Rosalia ha liberato e che vuole libera dalle pesti di ieri e di oggi. Tutte le volte che appicchiamo un fuoco per incuria o per dolo causando incendi che devastano terreni, boschi, fauna, case e monumenti d’arte (come dimenticare il rogo che ha distrutto quel gioiello di chiesa che custodiva il corpo di S. Benedetto il Moro!);

tutte le volte che abusiamo di un corpo (tradendo così il nostro stesso corpo che è fatto non per predare ma per riconoscere, accogliere e amare gli altri), quando una strada o una casa della nostra Città invece di essere via di incontro e spazio esistenziale di cura si trasforma in trabocchetto di agguati o in spelonca di abusi, noi profaniamo Santa Rosalia e disprezziamo la sua e nostra Città”.

Però ha invitato i palermitani a ‘cambiare il volto’ della città: “Ma Rosalia, la sua vita, le sue scelte ci narrano amore non odio, cura non disprezzo, vita non morte, compassione non indifferenza, rispetto non prevaricazione, condivisione non predazione, liberazione non oppressione, custodia non distruzione. Perché lei è la vergine saggia: ha venduto tutto pur di guadagnare Cristo. Non ha svenduto la sua fede, la sua relazione con il Signore.

Oggi è festa se saliamo al monte del Signore, così da scendere a valle con l’intelligenza e la forza della fede. Per contribuire a cambiare il volto di Palermo. È questa la festa autentica che oggi dobbiamo vivere! Lo dobbiamo a Rosalia. Ai nostri giovani depistati. Alla nostra Città smarrita!”

(Foto: arcidiocesi di Palermo)

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