A L’Aquila il fuoco della perdonanza
Nell’ultimo fine settimana di agosto L’Aquila ha celebrato la729^ Perdonanza celestiniana, aperta dal ‘fuoco’ della Perdonanza, acceso dal card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo della città, sottolineando che il fuoco è purificatore:
“Il ‘fuoco’, per essere fattore purificatore e prorompente, va custodito ed alimentato, perché sia sempre più divampante: infatti, come insegna sant’Agostino, ciò che non arde, non brucia.
Il ‘combustibile’ per queste ‘fiamme’ è la carità: cioè l’amore evangelico che, come scrive san Paolo, ‘è magnanimo, benevolo, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità’.
Dunque non basta organizzare ‘buone ritualità’ (che pur sono necessarie), ma occorre suscitare mentalità aggregative e percorsi condivisi di azione”.
Mentre, chiudendo la porta della basilica di Collemaggio, il cardinale ha tratteggiato papa Celestino: “Era dotato pure di una robusta ‘intelligenza pratica’, che lo rendeva competente nel risolvere difficoltà concrete e nel guidare la Comunità da lui suscitata. Nel corso della sua esistenza si è rivelato oltre che un coinvolgente fondatore anche un buon organizzatore.
Proprio perché interamente proiettato in un cammino di santità aveva imparato a conoscere il Cuore di Dio e il cuore dell’uomo. Non aveva grande familiarità con assetti e frequentazioni curiali.
Celestino è stato ‘uomo di frontiera’: un monaco eremita ma anche un credente attento al mondo che lo circondava; un discepolo orientato all’Assoluto e un fratello accogliente verso tutte le povertà. Uomo dalle ‘scelte ardite’, poggiate sulla radicale fiducia nella Provvidenza.
Pronto a reggere l’urto delle avversità e a battersi con coraggio per migliorare la società che incontrava. E’ stato un profeta credibile perché autentico testimone del Vangelo”.
E’ stato un invito a ‘venerare’ il papa abruzzese: “La vera devozione a Celestino V sta nel seguire la sua dottrina e il suo esempio: infatti ‘venerare’ fa sempre rima con ‘imitare’. La ‘lezione’ di Pietro da Morrone resta attuale, perché animata dallo Spirito di Verità e di Comunione.
Chiediamo perciò la grazia di ‘celestinizzare’, sempre di più, la Perdonanza come anche la nostra vita, trasformandole, con crescente coerenza, in luminoso riflesso, dentro la storia, del ‘come in cielo così in terra’.
La Madonna di Collemaggio ci aiuti a rendere la Perdonanza ‘Scuola di umiltà’, e, proprio per questo, Centro propulsore di pace (con Dio, con noi stessi, con gli altri) e Casa di fraterna solidarietà: oggi e in tutti i giorni che segneranno il nostro cammino nel tempo”.
Ed il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro, ha parlato di ‘progetto complesso’: “Quello che stiamo celebrando è un evento complesso, sia per la storia che evoca, sia per l’abbondanza di significati e di simboli che implica.
I fatti ai quali ci riporta questa Perdonanza non sono facili da comprendere e, almeno per quanto riguardano la storia della Chiesa, ce la ripresentano in quel suo mistero che il Concilio Vaticano II ha richiamato con queste indimenticabili espressioni: ‘mentre Cristo, santo, innocente, immacolato non conobbe il peccato e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo, la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento’… Ecco la prima complessità: la Chiesa, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione”.
L’altra parola ‘complessa’ sottolineata ha riguardato la ‘porta’: “La seconda complessità la individuo nel simbolo della porta, pure evocato dalle parole di Gesù: ‘Io sono la porta’. La porta appartiene al nostro uso quotidiano. Abbiamo sempre a che fare con una porta: quella di casa, del posto di lavoro, del luogo di riposo…
Anche le città, in antico, avevano la porta. Lo stesso Gesù richiama l’importanza di una porta per la preghiera: ‘quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto…’. Ed anche a noi, quando avvertiamo il bisogno di un momento di pausa e di tranquillità, viene il desiderio di ‘chiudere la porta’.
La porta, dicevo, è un simbolo: il suo aprirsi e chiudersi può significare tante cose. Perfino quella di casa, che è protezione dell’intimità, a volte, purtroppo, è segno di dominio, di prepotenza. Quante volte le cronache ci parlano di persone anziane lasciate sole e dimenticate; di violenze perpetrate con le porte chiuse”.
Ed il perdono è una porta: “Anche il perdono, di cui ci parla il rito che stiamo celebrando, può essere descritto con il simbolo della porta. Nella mente della Chiesa l’apertura della Porta Santa ha un duplice significato: anzitutto ricollegare la nostra vita (quella personale e pure quella sociale, storica, ecclesiale) alla sua sorgente che è Cristo.
Non a caso Gesù parla di una porta, dalla quale si può entrare e uscire. E’ un linguaggio semitico, che indica una totalità e vuole dirci che l’intera nostra vita umana è compresa fra i due atti fondamentali dell’entrare e dell’uscire: la nascita, ossia l’uscita dal seno materno; l’uscire per entrare negli spazi della vita; l’uscita definitiva da questa storia con la morte”.
(Foto: Diocesi de L’Aquila)